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Il Blog di Lella Canepa

A ÇIMMA - LA CIMA ALLA GENOVESE


Bell'oueggè strapunta de tùttu bun... Bel cuscino, trapunta di tutto buono...

Fare un post sulla Cima alla genovese è correre qualche rischio, vista la serietà con la quale i genovesi veri affrontano la preparazione di questa pietanza, e le innumerevoli rime, novelle, canzoni che le sono state, da persone ben più autorevoli di me, dedicate.

Avevo già in mente di prepararla, ma con ciò che è successo ieri a Genova, non potevo aspettare, volevo sentirmi in qualche modo ligure, genovese, ...

Sulle origini i pareri sono discordi, chi dice che sia un piatto di recupero degli avanzi, io sono più propensa a credere la versione che racconta di come una volta, vista la difficoltà di procurare carne in Liguria, scarsa di pascoli e allevamenti, portasse le massaie a utilizzare tutti i tagli anche i più poveri e trasformarli in una preparazione ricca adatta alle tavole della festa.

Appunto il pezzo di carne usato... lo sa il macellaio, e solo il macellaio ligure... hai voglia a spiegarlo lontano da Genova cosa vuoi fare... non riusciranno mai a capirti, almeno per mia esperienza.

A quanto so le possibilità sono due: la vera Cima, quella che il bravo macellaio con il coltello affilato crea facendo una tasca all'interno di un pezzo di carne o quella fatta con fetta sottile piegata e cucita su tre lati.

La posizione è forse nella cima o punta di petto, nella pancia, chiamata "lampo" o nella parte superiore del collo detta "cappuccina".

Ma pare che l'unica cosa che deve interessare alla cuoca che si vuole avventurare, è dichiarare al macellaio da quante uova vuole la sua cima e questi la servirà di conseguenza.

Per il ripieno non mi resta che regolarmi come per gli altri post, scrivere quello che so o meglio quello che si è sempre fatto in casa mia, dove le Cime non erano di certo da 30 uova come leggo spesso nelle ricette.

Dunque questo è quello che serve per una famiglia normale e per non avere avanzi che durino giorni e giorni:

Una Cima di vitello di circa un chilo che il nostro solerte amico macellaio avrà già cucito da due parti, e se non si riesce a convincerlo con un sorriso tocca cucirla a casa lasciando un lato aperto

un pugno di erbette del Prebuggiun (qui>>>), se non è possibile qualche foglia di bietola

parmigiano grattuggiato

un po' di carne, va bene anche un avanzo di bollito, animelle, cervella ecc. (qui>>>) passate in burro e tritate

uova

poco aglio, molta maggiorana, oudù de pèrsa lègia, e pinoli e una fetta di fungo porcino secco

un pugnetto di pane bagnato nel latte o nel brodo

odori per il brodo, carota, cipolla steccata con chiodo di garofano e pepe, sedano foglia di alloro

Ma la Cima non necessita solo di ingredienti materiali, fare questo piatto è una lotta con le streghe, con la magia, con il malocchio per impedire che nella cottura esploda perdendo nell'acqua tutta la bontà del ripieno e resti solo uno strato di carne poco pregiata, e quindi scusate se, sul filo della famosa canzone "a Çimma", di De Andrè e Fossati, nella descrizione sono compresi i gesti scaramantici.

Ti t'adesciàe ‘nsce l'èndegu du matin

ch'à luxe a l'à ‘n pè ‘n tera e l'àtru in mà

ti t'ammiàe a ou spègiu de 'n tiànnin

ou cè s'amia a ou spègiu da ruzà

ti mettiàe ou brùgu rèdennu'nte 'n cantùn

che se d'à cappa a sgùggia ‘n cuxin-a stria

a xeùa de cuntà ‘e pàgge che ghe sùn

‘a cimma a l'è za pinn-a a l'è za cùxia

È quindi fondamentale alzarsi presto il mattino al sorgere del sole, senza perdere tempo in inutili cure di bellezza, basterà specchiarsi in cucina nel fondo di un tegamino.

Di corsa a mettere la scopa a testa in su sotto la cappa, che se la strega volesse entrare dovrebbe perder tempo a contare di quante paglie è fatta e nel frattempo la Cima sarà già cucita, pronta da cuocere.

Per cucirla con facilità è necessario un ago robusto, il famoso ago da materassaio, e un filo alimentare tipo da legare l'arrosto.

Per primo taglio a striscioline sottili la verdura e la metto su un tagliere cosparsa di sale e la lascio cosi per una mezz'oretta, dopo la strizzo per bene.



In un contenitore sbatto le uova, comincio con metterne quattro, con il formaggio, la verdura strizzata.

Trito finemente con la mezzaluna aglio, maggiorana, una fetta di fungo secco, un cucchiaio di pinoli e aggiungo alle uova e formaggio.

Aggiungo pure la carne, se non ho le animelle solo la carne passata nel burro e tritata e un poco di prosciutto cotto tagliato a listerelle e il pane ammollato e strizzato.

Calcolo ad occhio se può bastare e se è abbastanza molle come ripieno, in questo caso ho aggiunto ancora un uovo.

A questo punto scuole di pensiero diverse aggiungono altre cose, piselli quasi sempre, carote a listerelle, e in primavera sostituiscono la verdura con i carciofi.

In casa quella con i piselli, i pezzetti di carota, il giallo delle tante uova ha sempre ricordato quella di rosticceria, e quindi ci si limitava a quanto sopra.

Semmai spesso mia madre la faceva senza carne di nessun tipo ma con un ripieno di sola verdura, allora sì mettendo pezzetti di zucchini o carote o altro.



Con l'aiuto di un mestolino, dal lato rimasto da cucire, riempio la tasca di carne, facendo attenzione a non arrivare all'orlo, ma lasciandone vuota una metà.

Le uova cuocendo aumenteranno di volume e nel caso fosse piena da cruda esploderebbe in cottura perdendo nell'acqua il prezioso ripieno e lasciando solo una sottile striscia di carne.

La chiudo con un punto festone.


Cè serèn tèra scùa carne tènia nu fàte nèigra nu turnà dùa e ‘nt'ou nùme de Maria tùtti diài da sta pùgnatta anène via


Nel frattempo avevo messo sul fuoco una capace pentola con acqua, sedano, cipolla steccata, carota, foglia di alloro, e a bollore immergo riverente la Cima pronunciando la formula di rito dopo aver fatto un segno di croce sopra:

"Cielo sereno, terra scura, carne tenera non venire nera, non tornare dura e nel nome di Maria tutti i diavoli da questa pentola andate via"

Mantenuta in un bollore impercettibile, appena accenna a gonfiarsi la pungo più volte con l'ago per far uscire la pressione.


Alla mia Cima di un chilo basterà una cottura di un ora e mezzo, massimo due.

Sempre sorvegliata attentamente, sarà cotta quando la carne cederà morbidamente toccandola con l'ago.

Non mi resta che tirarla fuori dal brodo, leggero e buono, posarla su di un piatto e dopo qualche minuto metterla in caregòia e cioè caricata di un peso, in modo da perdere il liquido assorbito e assumere la caratteristica forma.

Il solito peso delle case liguri... il mortaio.

Nel delicato equilibrio che cerco sempre di creare, fra piatti, taglieri o coperchi, se mai mi è scoppiata una cima, invece mi è caduto il mortaio...



Dopo qualche ora è pronta per essere affettata e servita tradizionalmente fredda con insalata, qualcuno la gradisce tiepida.

Fette di cima fredda avanzata, oppure fatta apposta, andranno nel panino del picnic.

Qualcuno le frigge, impannate come cotolette, io mai provato.


... Bell'oueggè strapunta de tùttu bun

prima de battezàlu ‘ntou prebuggiun

cun dui aguggiuìn dritu ‘n pùnta de pè

da sùrvia ‘n zù fitu ti ‘a punziggè

àia de lùn-a vègia de ciaèu de nègia

ch'ou cègu ou pèrde ‘a tèsta l'àse ou sentè

oudù de mà misciòu de pèrsa lègia

cos'àtru fa cos'àtru dàghe a ou cè ...

Fabrizio de Andrè - Ivano Fossati

"A Çimma"





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Lella

 

Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi.


Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna.


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