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- PROFUMO DI TARAS, IL MIRTO
…e coglierò voi, allori e mirti che crescete vicini, perché così disposti mischiate soavi profumi. Virgilio, Ecloga Tornata dalla sempre troppo breve vacanza tarantina, dedico poche righe e quel poco che so alle erbe che ho imparato a riconoscere quando mi reco laggiù. Qualche anno fa questa terra mi ha accolta come una seconda madre, le straordinarie similitudini che ho trovato lì con la mia pur amatissima Liguria mi hanno fatto sentire subito a casa e così mi sento ogni volta che torno. In questi anni ho potuto apprezzare le erbe selvatiche di campo che anche in Puglia usano ovunque, e oh! guarda caso ... le stesse del nostro Prebuggiun (qui>>>) le ho trovate, raccolte e cucinate alla maniera del sud. Ho imparato a usare il Mirto, ad andar per Capperi, a trovare Elicriso (qui>>>) e Timo(qui>>>) anche qui, la Malva (qui>>>) quasi sempre Arborea, alta anche un metro e mezzo, riconoscere il Finocchio dalla Ferula, apprezzare l'elegante fioritura dei prati di Asfodelo, ammirare gli spazi infiniti coperti di Calendula(qui>>>) scoprire il Lentisco, ho persino trovato l'Iperico (qui>>>)che nasce qui l'Hypericum triquetrifolium. Quest'anno una cara persona mi ha regalato una pianta di Mirto Tarantino, Myrtus communis subsp. tarentina, che sono riuscita a far arrivare sana e salva fra i miei monti e questo inverno trasferirò in riviera. Caratteristica di questa originale varietà di Mirto, sono le foglie piccole, fino a 6 mm., probabilmente per offrire meno superficie al caldo, stessa ragione per l'intenso lucido del verde della superficie di queste, che come uno specchio riflette indietro la luce solare, così da essere verde anche nelle estati più torride. Sul litorale tarantino cresce in grande quantità pure il Myrtus communis, presente lungo tutte le coste mediterranee, che tutti credono pianta esclusiva della Sardegna, ma non è così. È il liquore una prerogativa sarda, non la pianta, tanto che con la parola Mirto in Sardegna si identifica il liquore, peraltro con denominazione ministeriale riconosciuta. Storia affascinante quella del Mirto, pur se si hanno notizie da prima, si racconta che gli Spartani emigrati sulle sponde dello Ionio portarono appresso un rametto di Mirto, pianta da sempre sacra e dedicata sia al mondo dei vivi, simbolo di amore coniugale e anche di vittoria, che a quello dei morti. Dioniso donò al re degli Inferi, Ade, piante di Mirto per riavere indietro la madre Semele, morta folgorata per avere visto l'amante Zeus, ma cespugli di Mirto abbondano nel mondo dei beati amati da Dio, i Campi Elisi, per questo spesso si vedono piante di mirto vicino alle tombe, ma anche piantate vicino a casa per allontanare invidia e malignità e donare serenità. Pianta dedicata a Venere che se ne adornò uscendo dal mare, fuggendo in un bosco di Mirti, e simbolo di Roma che pare nacque fra due piante di Mirto. La religione cristiana rappresenta nel bianco fiore del Mirto la Verginità di Maria, nei dipinti spesso San Giuseppe ne tiene fra le mani un ramo per significare l'unione verginale con essa. Tutto ciò probabilmente per le grandi doti curative di questo arbusto, l'olio essenziale il mirtolo, combatteva le febbri malariche come il chinino. Espettorante, antibatterico, balsamico, astringente, cura la diarrea, la cistite, le infezioni genitali, e impedisce la caduta dei capelli! In infuso, nel vino, in liquore, le bacche, le foglie ... dai fiori si estrae l' Acqua d'oro, tanto è pregiata. L'infuso, 15gr di foglie e un po' di corteccia, è efficace contro la psoriasi e la sinusite. Meglio dell'eucalipto l'essenza bruciata come prevenzione per le affezioni delle vie respiratore, e ancora usata nella fabbricazione di saponi per l'intensa fragranza e come aromatizzante del tè. Per ultimo gli usi in cucina, oltre al liquore con le bacche, foglie e bacche ovunque. Ho imparato a fare arrosti al mirto, pollo al mirto, pesce al mirto, coniglio al mirto e meglio di tutto maiale al mirto, aggiungendo semplicemente le bacche in cottura. Ma i fiori nella macedonia di frutta, vogliamo dirlo? Una curiosità: l' originale mortadella, che era ben diversa da quella di oggi, ma pur sempre una specie di salsiccia, il Myrtatum, deve il suo nome al Mirto con il quale condivano le carni da insaccare gli antichi romani. Potrei continuare a iosa sugli usi del Mirto... dai rametti nei cassetti a profumare la biancheria, al suo legno usato per la fabbricazione di manici di ombrello e altri oggetti di fine tornitura... ma è meglio che scriva la ricetta del liquore di Mirto: Tra novembre e dicembre le bacche mature di Mirto, diventate blu, si coprono di pruina, una patina biancastra che le protegge dal sole evitando la disidratazione. Questo è il momento giusto per raccogliere. L'unico sistema è a mano, aiutandosi con un "pettine", l'attrezzo con i quali si raccolgono anche i mirtilli e altra frutta 1 Kg di bacche di mirto, pulite e asciutte, messe a macerare 40 giorni in un litro di alcool da liquori a 90°95°per 40 giorni, bene immerse. Passato il tempo, preparare uno sciroppo di zucchero nella proporzione di 1,5 litri di acqua per 600 gr. di zucchero, ma si può arrivare anche a 2 litri secondo la gradazione alcolica che si vuole ottenere e la maturazione delle bacche. Pressare, non esageratamente, per non avere troppo gusto tannino, le bacche macerate ed estrarre più succo possibile. Filtrare e unire lo sciroppo. Come sempre sarebbe meglio non bere subito e imbottigliare in bottiglie più piccole dopo qualche giorno, quando sciroppo ed estratto si sono amalgamati per bene. Per chi volesse saperlo non esiste la varietà di Mirto Bianco, bensì il liquore chiamato così è ottenuto con le infiorescenze e le foglie o le bacche che mancano di pigmentazione. Non finisce qui, ho ancora tante cose da dire sulle erbe di Puglia, potrei mai non parlare di Fave e Cicoria? ... Una brezza lieve dal cielo azzurro spira, Il mirto è immobile, alto è l’alloro! Lo conosci tu? Laggiù! Laggiù! O amato mio, con te vorrei andare! ... Goethe, 1795 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- DEL MANDÌLLO DA GRÓPPO e di quando si viveva senza plastica ...
“Quella umana è l'unica specie al mondo ad aver inquinato la Terra ed è l'unica che può ripulirla.” Dennis Weaver Si fa un gran parlare ultimamente in senso dispregiativo di plastica, e in realtà l'uomo ha vissuto fino al secolo scorso senza conoscerla. Sono talmente vecchia (o no? è il mondo che è cambiato in fretta?) da ricordarmi i negozi di alimentari che vendevano pasta, farina, zucchero, sale, addirittura la salsa di pomodoro super concentrata, non confezionati. Anni fa, in occasione della mia Mostra sulle Donne, nel tentativo di rappresentare la spesa di una volta, mi aiutò una vecchia bezagnìnn-a, per riprodurre la chiusura dei pacchetti di carta, nessuno sa più farlo, non riuscivo più nemmeno io. Bezagnìn, Bezagnìnn-a, è il termine dialettale con il quale si identificavano i venditori specialmente di ortaggi, da Bisagno, in quanto le verdure venivano coltivate nelle paludi del fiume tra i quartieri genovesi di Marassi e San Fruttuoso, che brulicavano di mercati ortofrutticoli. Termine facilmente passato ai piccoli negozi di alimentari che oltre alla verdura vendevano appunto pasta, zucchero e altro sfusi. Mi sono soffermata su questa parola perché credo siano trent'anni che non la sento e non so in quanti ancora la pronuncino. Dunque si comperavano cose che venivano confezionate in carta, specie quella detta pappê mattu, introvabile oggi, una sorta di carta di scarto, la carta straccia: Carta di cattiva qualità, senza colla fatta di cenci più ordinari e d'ogni fibra vegetale, che non è acconcia a scrivervi ma sì a fare viluppi, così la definisce il dizionario antico genovese e non siamo nemmeno morti nessuno per gli alimentari avviluppati in codesta carta ... il macellaio aveva la carta paglia , appena più resistente dell'altra. Latte, vino, aceto si portavano le bottiglie o i fiaschi vuoti, e poi? E poi tutto nel Mandìllo, il Mandìllo da Gróppo, il fazzoletto, un quadrato di stoffa resistente, di buon cotone, quasi sempre a fantasia tipo madras, solitamente blu o grigio. Si poteva mettere intorno al collo, in testa, non pesava come il cavagno da portare vuoto all'andata e con l'aiuto di qualche nodo diventava una comoda sporta. Niente ci vieta anche al giorno d'oggi di portarci appresso un così comodo oggetto. Non mi soffermo sul modo più elementare di fare un fagotto annodando le cocche incrociate, preferisco mostrare altre soluzioni a mio modo di vedere molto carine. Questa borsa in foto è realizzata con un Mandìllo antico, originale. In qualche negozio di buona merceria si trovano ancora, ma possono essere usati tutti quei fazzoletti anche di seta che tanto erano di moda qualche decennio fa, o qualunque pezzo di stoffa quadrato. É molto semplice da realizzare. Sistemate gli oggetti al centro annodare come nelle foto. Un'altra versione semplicissima per una borsa a tracolla. piegare a triangolo Annodare da entrambi i lati Rivoltare sistemando le cocche annodate all'interno Annodare i restanti angoli per ottenere le maniglie da usare come tracolla In tutto il mondo orientale sono famosi i fazzoletti da trasformare in borse, in Corea sono chiamati genericamente Pojagi, ma è il Giappone che è specializzato nel confezionare tutto dentro a un quadrato di tessuto, per ogni tipo di oggetto, regalo, c'è il nome e una stoffa, la tecnica si chiama più o meno Furoshiki. Si trovano in rete centinaia di video su diversi modi di annodare un quadrato di stoffa e trasformarlo in borsa o anche zaino che si riferiscono a questo metodo. Se serve una borsetta per una cerimonia, magari dello stesso tessuto dell'abito, con un minimo di manici, si possono ottenere oggetti carinissimi. Mandìllo è termine mescolato tra il latino Mantellum, il greco Mandilion, l'arabo Mindilun, che in sostanza significano tutte più o meno quadrato di stoffa. Da Mandìllo è derivato Mandillä, parola che un tempo aveva il significato di borsaiolo, piccolo ladro, forse perché nella borsa stavano i fazzoletti o perché con velocità un ladro raccoglieva la refurtiva nel grande fazzoletto per scappare. Qui, l'unico posto dove ho sentito regolarmente usare questo vocabolo fino a qualche anno fa, si appellavano Mandillå i giovanotti che si riunivano "in mandria" per andare ai balli, fare scherzi, corteggiare le ragazze, magari bevendo qualche bicchiere di vino, suonando la fisarmonica e finire con laute mangiate allegramente. Dal fazzoletto annodato al collo, tipico dei contadini una volta, è derivata la cravatta. t'æ ciû musse che mandíli , mandilli no ti n'æ , t'æ ciû musse che dinæ "hai più pretese che fazzoletti, fazzoletti non ne hai, hai più pretese che soldi" - detto ligure - Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. 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- IL FAVAGELLO 🔴
Dopo aver scritto di tante erbe che raccolgo, mi sembra giusto inserire quelle che NON raccolgo e il perché, visto che sono abitualmente consumate da molte persone. Ho già raccontato, correndo il rischio di annoiare, come le mie informazioni derivino tutte dalla tradizione casalinga delle donne della mia famiglia, senza nessuna conoscenza scientifica, anzi mia bisnonna, l'unica di cui posso ricordare, sapeva a malapena scrivere. Ebbene, scoprire negli anni che queste nozioni erano tutte giuste, che da sempre non raccoglieva e non ha insegnato a raccogliere erbe o piante che sono nel tempo risultate tossiche con conferme scientifiche, devo dire mi ha lasciato basita, evidentemente lei in qualche modo lo sapeva già. C'è un fiore che sarà mio, è la piccola celandina. William Wordsworth Una di queste piante, la prima che spunta adesso in inverno, è il Favagello, Ficaria verna Huds, chiamata precedentemente Ranunculus ficaria L.. Molto conosciuta fin dall'antichità e regolarmente purtroppo ancora raccolta anche nelle mie zone per il misto del Prebuggiun (qui>>>). La sua tossicità è stata confermata dalla presenza di protoanemonina, comune a tutte le Ranuncolaceae, il solo contatto con foglie di piante appartenenti a questa famiglia, specie se rotte, pestate, può causare prurito, eruzioni cutanee o vesciche sulla pelle o sulla mucosa . L' ingestione può causare disturbi diversi, anche gravi. Allora come sarà possibile che tanta gente la consumi abitualmente da tanti anni? Come sempre in questi casi ci si dimentica che: la pianta è più ricca in particolari situazioni, nel caso del Favagello, con la fioritura sviluppa la tossina che l'essiccazione o la cottura in acqua abbondante tende a eliminare anche se solo parzialmente la tossina che è sempre la dose che fa il veleno, quindi una o due piante in un misto ... Per contro spesso si dimentica che: difficilmente un po' di mal di pancia lo imputeremo al favagello, sull'onda dell' "abbiamo sempre mangiato e siamo vivi", "mia nonna lo mangiava e ha 90 anni" quello che non ha mai fatto male a noi può far male ad altri con un fegato diverso può essere molto pericolosa, anche una piccola dose, per una donna incinta, per un bambino, un anziano non abbiamo di certo il fegato e l'apparato digerente in genere di 100 anni fa, i nostri sono fegati che hanno digerito oltre a medicinali quotidianamente, quantitativi di grassi e cibi spazzatura impensabili un tempo. Cento anni fa si moriva tranquillamente più di fame che per aver mangiato certe tossine sono da "accumulo" cioè si depositano nell'organismo negli anni insieme ad altre e poi il danno è difficilmente imputabile a loro. si tende a "dimenticare" parte delle informazioni antiche non scientifiche e quindi quanto e quando e come raccogliere. Anticipato tutto ciò, in casa non lo abbiamo mai raccolto, fiorito o non fiorito, e io continuo a non raccoglierlo e mangiarlo, forti anche del fatto che nessun animale si avvicina a una Ranunculacea fresca. Provate a guardare un recinto dove sono pecore o asini o cavalli, ci sarà la terra battuta con solo ciuffi di ranuncoli che spuntano qua e là intonsi. Anche le api solitamente le evitano e non le bottinano. Se questa non è una legge ferrea, in questo caso è vera. L'identificazione del Favagello non è difficile, intanto perché mentre intorno è tutto brullo, in pieno inverno, quando nasce poco e niente, spunta con le sue foglie verdi, lucide, non pelose, che crescendo hanno una macchia scura ben evidente al lungo la nervatura centrale, a cui seguiranno verso febbraio fiori gialli deliziosissimi L'unica confusione possibile è con la Viola, (qui>>>) questa ultima sì raccolta per il misto, per la foglia vagamente somigliante, ma di un altro verde non lucido. Ogni dubbio è tolto strofinando una foglia che nel caso della viola è profumato, mentre anche il gusto del Favagello è acre. Qui sotto le piante a confronto Negli anni ho scoperto, parlando con uno e con l'altro, che qualcuno usa anche i piccoli tuberi attaccati alle radici, ebbene, dopo tanto averla esecrata devo ammettere che fin dal Medioevo era adoperata nella medicina popolare per curare le emorroidi, per la teoria delle "signature" queste radici gonfie ricorderebbero la forma delle emorroidi. Gli sono tutt'oggi riconosciute proprietà lenitive, analgesiche, antinfiammatorie. Non ne ho esperienza diretta ma so di impacchi e creme fatte con questa pianta. In virtù di queste sue radici a tubero è altamente infestante, predilige luoghi umidi e ombrosi, in un angolo del giardino, può diventare invasiva. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- STORIA DI UNA GEMMA
Tre anni e devo ancora capire che è vero. Non ho mai saputo quanto fosse alta, sapevo che era piccola, soprattutto vicino all'omone che era mio padre, alto sì ma anche con un gran portamento che incuteva un certo timore. Novant'anni li aveva fatti il settembre prima, inconsapevolmente come tante altre cose faceva nella vita. Di passi indietro a quell'uomo di una vita, lei era stata sempre anche di dieci, in un mondo dove era obbligatorio essere un po' meno intelligente, un po' meno capace, un po' che senza un uomo non sai cavartela. L'aveva sposato non perché fosse il grande amore, quello era stato, come quasi tutti i grandi amori, impossibile, ma affascinata dalla sottile intelligenza, dalle enormi capacità che si intravedevano e anche dal carattere particolare, perché ad uomo così ci si poteva stare anche dietro. Si era decisa quando in un dopoguerra di città e genti devastate, una sera, che già frequentava la casa, lui smontò pezzo per pezzo la macchina da cucire di mia nonna sarta che non funzionava più rimontandola alla perfezione prima di andarsene, mentre il gelo era calato in quella cucina dove l'unico attrezzo che procurava qualche lira era ridotto a pezzi piccolissimi sul tavolo e miracolosamente dopo qualche ora a posto e funzionante. Il nonno dopo averlo ringraziato e richiudendo la porta quando se ne fu andato, si girò e le disse: -Sto chi u l' atrovâ da mangia ànche in sce in schéuggio - Una vita non facile vicino a lui, piena di cose che lei non voleva, quando le sarebbe bastato abitare in campagna, andare per erbe e per funghi, chiusa invece in un negozio così poco femminile, dove l'unico vantaggio era conoscere tanta gente, persone che poi lui le portava a casa a pranzo senza nemmeno avvisarla. Amici che in casa nostra avevano il portatovagliolo tanta era la frequentazione, tipi spersi che non sapevano dove andare perché magari erano stati appena lasciati dalla fidanzata, rappresentanti girovaghi per i quali casa nostra era una seconda famiglia, clienti che venivano a comperare apposta all'ora di chiusura nella speranza di essere invitati. Mio padre, vero showman, aveva bisogno di pubblico, di una corte che lo acclamasse e lei invisibile, coinvolta solo per spignattare, con una leggerezza e senza la minima organizzazione, inconsapevole di dover dare da mangiare a un dozzina di persone in un'ora, che poi c'era il negozio da aprire. Inconsapevole l'unico vero aggettivo che la descrive, inconsapevole lei e noi di riflesso delle sue capacità, e non l'abbiamo mai sentita dire no. Sarebbe stata un ottimo medico, guardava una persona e le diceva di cosa soffriva e il rimedio possibile, con una frase definiva lo stato di una persona, da come camminava, dal colore del viso, dal tono della voce o da chissà cosa non lo sapeva nemmeno lei. Rimasto proverbiale il suo: - Quello lì, u là inn-a faccia ... - e poi si veniva a sapere che non stava bene. Curava tutti distribuendo litri del suo olio di iperico quando nessuno sapeva cosa fosse l'iperico e tanto meno un oleolito. Ha sconfitto un tumore terribile per la tempestività con la quale se lo è quasi trovato da sola e quando le dissero che era cattivo cattivo lei rispose: - Io sarò più forte di lui- La morte non rientrava nella sua idea di vita, se n'è andata senza rendersene conto, inconsapevolmente. Felice davvero l'ho vista solo nei prati, per erbe, per funghi, felice la facevano i fiori, qualunque fiore, che lei faceva tripudiare. Una volta mise le radici un ramo di abete che aveva messo a Natale nel bicchiere portaspazzolini del bagno, altro che pollice verde. Le piante ricambiavano il suo grande amore. La sua tomba tutti gli anni, nella campagna della sua infanzia, si copre naturalmente delle erbe del Prebuggiun. Le preferite le rose, vere, finte, disegnate, ricamate, sui cuscini, sui lenzuoli, sui piatti, sui vestiti, vedeva e metteva rose ovunque e lavanda, quella vera, non il lavandino, anche con quel suo fare leggermente kitsch che non badava molto al gusto. E libri, libri di erbe, libri di cucina, romanzi, Cime Tempestose, storie, la rivista Intimità al mercoledì e la Traviata, lei che aveva la voce da soprano. Solo dopo ci siamo resi conto chi era, di quanto valeva la sua innocenza, la sua semplicità. Solo dopo ci siamo ricordati che non aveva mai litigato con nessuno, che non si era mai imposta con una sua idea, fatta notare per il suo carattere. Quando qualcuno le faceva del male, la feriva con una cattiveria, la invidiava per quella che sembrava una vita più agiata, lei non se accorgeva o meglio mandava giù senza replicare e alle mie proteste rispondeva: - Mi dispiace tanto per quella persona, se mi ha fatto una cattiveria è perché sta tanto male - e riapriva sempre la porta e il cuore a tutti. Per lei erano tutti buoni, tutti bravi, non esistevano gli assassini, i ladri, certe cose non potevano essere vere, a cosa serviva il male? Se andava a Genova in treno riusciva a parlare con tutta la carrozza, al supermercato usciva che era parente alla lontana di qualcuno. Parlava, parlava, parlava, non importava molto che la ascoltassero, e diceva: - Devo scrivere un libro - La conoscevano tutti, dopo la sua morte, ancora oggi ci imbattiamo in persone che l' hanno incontrata una volta sola, magari alla fermata del bus, e che fanno sempre la ricetta che gli ha passato in quella occasione e tutti le volevano bene, quanto ce ne siamo accorti in questi tre anni! Nel deserto di desolazione che ci ha lasciato la sua scomparsa a noi, rimasti improvvisamente niente senza di lei, l'idea di mio figlio di fare un'Associazione sulle erbe a lei dedicata e un blog anche di cucina, dove io potessi scrivere quello che sapevo prima di dimenticarlo o come dice lui - che poi muori anche tu - è stata vincente per metabolizzare il dolore e grazie a chi legge. Penso a quanto questo la farebbe contenta, lei i social li aveva inventati già nella sua testa, la condivisione era obbligatoria, cosa serviva sapere una cosa se non la potevi condividere con qualcuno? Conoscere un'erba e non mostrarla a tutti e farci una tisana? Cucinare qualcosa di buono e non farlo assaggiare? - Fermite a mangiâ - ... fermati a mangiare ... Un amico raccontava che negli ultimi anni Elsa chiedeva a tutti: “Qual è secondo voi la frase d’amore più vera, quella che esprime al massimo il sentimento?”. Tutti dicevano grandi cose. Lei rispondeva: No. La frase d’amore, l’unica, è - Hai mangiato? - Laura Morante , attrice, nipote di Elsa Morante Gemma Busani in Canepa 21 gennaio 2017 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LA LATTUGA VELENOSA 🔴
Non è ancora tempo di raccolta erbe. Siamo nella Luna di Ghiaccio o Del Sonno, la lunazione che avviene quasi sempre a fine gennaio, raramente a febbraio. La linfa smette di scorrere, e sotto una coltre di freddo, nel terreno caldo, semi e radici si preparano per germogliare. La Natura riposa e normalmente non si effettua nessun lavoro nell'orto o nel giardino, se non di pulitura, ma quest'anno si potrebbe dire che per il tempo clemente, le abbondanti piogge autunnali, il freddo mai arrivato, non si è smesso di raccogliere, aggiungo purtroppo, perché tutto ha bisogno di riposo. Nonostante questo la Natura, pur se disorientata, continua il suo lavoro e presto, se noi siamo stati diligenti a quando e come raccogliere, nuove piantine nasceranno, e qui è quando si deve stare davvero attenti al riconoscimento. Nella fase di crescita della rosetta basale delle piantine che vogliamo raccogliere, l'osservazione dei caratteri peculiari di ogni pianta deve essere il più precisa possibile. Dubbi che difficilmente avranno chi studia le piante da un punto di vista scientifico, mentre per chi si approccia ad un riconoscimento empirico a prima vista la confusione è possibile. Io stessa sto molto attenta non solo quando raccolgo ma quando pulisco scrupolosamente prima della cottura, e spesso nei cestini di chi viene con me è capitato trovare quello che non ci sarebbe dovuto essere. Una è la così detta Lattuga velenosa, Lactuca Virosa, o anche la Lactuca serriola. La Lattuga velenosa, lo dice pure il nome volgare, proprio buona non è e nemmeno è difficile trovarla, anzi è comunissima, infestante. Ecco una foto delle Lattughe in questione nel momento che possono essere confuse Lactuca per esempio con la Talegua (qui>>>) , Reichardia picroides nella foto sotto: Talegua o con la Scixèrboa, il crespigno, il Sonchus asper (qui>>>) nella foto sotto: Scixèrboa Se non ci si ferma alla sola osservazione visiva, come succede con una foto, con la pianta dal vero è possibile individuare la diversa consistenza della foglia che nella Lattuga è sottile e leggera e ricorda appunto una foglia di lattuga tipo quella commestibile, sua parente stretta, mentre nella Talegua è più consistente, carnosa e questo è quello che la distingue davvero immediatamente. Quasi sempre nelle foglie delle lattughe velenose dietro, sulla nervatura centrale sono presenti delle "setole" simili a spine, e questo serve anche a distinguerla dalla Scixèrboa. Anche il bordo non è liscio. Si può provare anche solo ad avvicinarne una fogliolina alla bocca, se la Talegua ha un buon gusto dolce di erba, la Lattuga puzza ed è amara e invita a sputarla subito. Una e l'altra la serriola e la virosa crescendo sono più facilmente riconoscibili, oltre ad avere spesso anche un odore sgradevole e la virosa quasi sempre le foglie macchiate scure, ma sempre la leggerezza della foglie le distingue da una cicoria. Queste piante spezzandole rilasciano un lattice biancastro amaro che è potenzialmente tossico. Ha proprietà che pare ricordino l'oppio e infatti veniva chiamato l'oppio dei poveri, seccato e usato come analgesico e anestetico. Nonostante le innegabili proprietà, confermate scientificamente, del lattice, chiamato Lactucarium in farmacopea, non contiene oppiacei, la pianta non interessa a livello legale, non è vietata né regolamentata la detenzione o la coltivazione, ma onestamente queste mere informazioni non devono invogliare a fare alcuna pratica priva di una minima conoscenza erboristica. https://samorini.it/etnobotanica/europa/lactuca/lattucario/ Le stesse sostanze, in concentrazioni minori, sono presenti nella Lattuga coltivata, quella che arriva sulle nostre tavole, parente stretta di queste, probabilmente discendente della serriola, e infatti le nostre nonne sapevano come una bella insalata alla sera rilassa e favorisce il sonno, tanto quanto alcune persone hanno difficoltà a digerirla e provoca loro gonfiore per la grande presenza di cellulosa. Fra le due la virosa, che significa velenosa, è la peggio, alcuni ritengono la serriola, da giovane, commestibile e credo qualche foglia in un misto creare pochi danni e risolvibili, ma la sensibilità individuale verso alcune sostanze ci è sempre sconosciuta, così come è diversa in un bambino, in un anziano, in una donna incinta, anche perché come disse qualcuno, Paracelso nel caso, è la dose che fa il veleno. Per quanto hanno insegnato a me non mi perdo nemmeno a distinguerle, non raccolgo nessuna delle due o qualcosa che potrebbe essere. Una curiosità, viene chiamata anche erba bussola, perché ha la capacità di girare le foglie per non "ustionarsi" al sole, disponendo le foglie verticalmente nelle ore più calde per ricevere i raggi solo sul bordo e girarsi mattino e sera piane. Arrivederci alla Luna del Sogno, la prossima, il 23 febbraio, quella dove la Natura pian piano mostra i primi segni di risveglio, e noi saremo pronti. La luna è bugiarda; quando fa C, diminuisce e quando fa D, cresce Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- UOVO ALL'ACQUA
Posso cucinare ricette davvero complicate, ma ci vuole un vero talento per fare l’uovo perfetto. C. Teigen In seguito a numerose richieste mi sono decisa a "passarvi" questa complicatissima ricetta che potrebbe mettere in difficoltà chef pluristellati che forse nemmeno la annoverano fra i loro prontuari 😂😂😂 Dalla ricercatezza degli strumenti, alla difficoltà di reperimento dei preziosi ingredienti e di incommensurabile difficoltà per i più. Una volta all'anno devo pur pubblicare qualcosa di difficile... Cominciamo: Ingredienti: Un uovo, due cucchiai di acqua, pizzico di sale. Padellino antiaderente, forchetta, fuoco. Si prenda il padellino antiaderente, questo aspetto facilita l'esecuzione, lo si ponga sul fuoco acceso e si metta in esso due cucchiai di acqua del rubinetto. In breve tempo l'acqua friggerà come fosse olio, a questo punto rompere dentro un uovo. Mentre l'albume si rapprende velocemente, con una forchetta, di lato al tuorlo, sollevare delicatamente il velo di albume che lo ricopre, e tenendo la forchetta aderente al tuorlo spostare il velo di lato. Condire il tuorlo con un pizzico di sale, mentre il bianco finisce di rapprendersi. Spegnere e trasferire su un piatto piano, con poche strisce di pane tostato da intingere. Tutta l'operazione dura pochi minuti. Si avrà un uovo perfettamente cotto nell'albume e quel poco nel tuorlo come dovrebbe essere dal punto di vista nutritivo, più leggero perché non fritto nell'olio e con un gusto delizioso. È ovvio che la materia prima, l'uovo, deve essere incredibilmente fresco e di qualità. Se pensate sia come un uovo alla coque, sbagliate se pensate sia come un uovo in camicia, sbagliate se pensate che l'acqua nella padella antiaderente sia ininfluente ai fini del gusto e della cottura, sbagliate non resta che provare. Ho voluto scherzare un po', ma la ricetta è vera e da sempre la faccio, ricetta antica, da padella di ferro, di quando in casa, pur se produttori di olio, non ci si pensava nemmeno a sprecarne una goccia per friggere un uovo, tanto buono anche così. Chi mangia le uova super strapazzate imbevute di grassi vari o chi ha paura dell'uovo non cotto adeguatamente non gradirà ma Dei palati uguaglianza non può stare, perciò non s’ha dei gusti a disputare. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LE GRAMIGNE
Svelga dunque il Cultor destro, e vegliante Ogni germoglio reo d' Erba malnata; Che il nutrimento fura all'altre piume, E suggendol per se s'erge, e dilata; L'Involvulo, l' ingorda abbarbioante Gramigna tenacissima cacciata. In bando sia dal fortunato sito, Che alla Rosa gentil fia sabilito Pietro Guadagnoli 1785 Un altro tentativo di riabilitare un'erba odiata, da coltivatori, da giardinieri e pure dagli allergici ... ci riuscirò? Se si segue il proprio cane o gatto, se si osserva l'asino nel campo a primavera proprio quella andranno a cercare, o un tempo dopo l'aratura, maiali lasciati liberi e cavalli gustavano le radici di questa pianta o di queste, visto che più di una pianta è conosciuta volgarmente con il nome di gramigna. Infatti quando chiedevo ai contadini quale era la Gramigna mi indicavano, con enorme fastidio, genericamente, una quantità di erbe diverse contribuendo a crearmi confusione, con un ringhioso -Tùtta l'èrba gràmma a l'è gramigna - A loro interessa solo che il lungo e tenace rizoma sotterraneo che può a espandersi per 50 metri fino ad una profondità di 2metri, ruba spazio alle altre piante e hanno dimenticato, almeno gli agricoltori del dopoguerra, di quando con le radici di gramigna ci si faceva di tutto. Dal pane: aggiungendo la farina ottenuta macinando i rizomi essiccati, ad altra farina di cereali, il pane risulterà più soffice. Questa strana farina ha il 20% di amido, il 5-6% di proteine e fino al 40% di carboidrati e altro ferro, potassio, ecc. e ben lo sanno ancora oggi i paesi che sono rimasti poveri più a lungo di noi. Uno sciroppo zuccheroso, una gelatina medicamentosa e non solo, una specie di birra dei poveri. Copio da "Nuovo Dizionario universale tecnologico o di arti e mestieri e ...", 1840 -Si raccolgono in primavera e sul finir dell'autunno le radici di gramigna, si lavano ben bene e dopo averle tagliare in pezzi si fanno seccare ... La gramigna così tagliata deve essere macinata ma grossolanamente, dopo di che si opera come per l'orzo per la birra ... - Lo sfizio dell'asino è la gramigna fresca In altri paesi, come il Canada o in Europa centrale ha interesse come pianta foraggera, fino a che non diventa dura e stopposa. Era abitudine mescolarla con il mangime per i cavalli per far diventare loro il mantello lucido. Le stesse radici fibrose e lunghe servivano per fare le scope e i pennelli. I benefici più grandi un tempo, e ancora adesso se andrete dall'erborista, si avevano dal decotto della radice. Per "ripulire il sangue" si diceva una volta e quindi fegato, ma anche per gli effetti sui reni e le vie urinarie, ottima per le cistiti, per lo stesso motivo per la cellulite. È talmente diuretica che può interagire con farmaci che si stanno assumendo, e nel contempo occorre ricordare come sia responsabile insieme ad altre graminacee, di grandi allergie prima di avventurarsi da soli in decotti e tisane. È quasi primavera, e quindi oltre alle radici si può andar cercando le sue prime tenere foglie, che si possono mettere nelle minestre, nelle zuppe ... cose dimenticate, ma se conosciute qualcuno dell'Est Europa, provate a chiedere ... Dopo tanto sono arrivata alla conclusione che comunemente vengono indicate due piante con il nome volgare di Gramigna: Cynodon dactylon la vera gramigna e Agropyron repens la falsa gramigna. Entrambe hanno le stesse proprietà, delle due la prima, il Cynodon, è quella più allergenica nel periodo estivo della fioritura. Le differenze: Agropyron repens ha la foglia che abbraccia il fusto e poi prosegue piatta, fino a 20cm, molto ruvida finendo a punta, successivamente le spighe, chiamate anche grano delle formiche, lunghe dai 10 ai 30 cm Quando riesco raccolgo verdi le spighe del Agopyro, prima della maturazione per metterle occasionalmente nelle composizioni di fiori secchi Agropyron repens foto dal web qui > La vera Gramigna, Cynodon dactylon ha foglie più corte, ugualmente ruvide, le spighe sono riunite in cima come dita protese, di colore tendente al rosa scuro quando sono fiorite. Cynodon dactylon foto dal web qui> Cynodon dactylon foto dal web qui> È possibile che andando al garden a cercare un prato resistente al sole, alla salsedine, al calpestio, che non dia noia, venga facilmente consigliato seme di Cynodon dactylon nano, che altro non è che Gramigna ibridata perché resti nana e poco bisognosa di cure La gramigna cresce maligna e ovunque si arrigna ... Cleonice Parisi Non avendo foto mie, per questo post ho dovuto necessariamente usare foto prese da altri siti linkati e saranno sostituite appena con il caldo troverò la pianta qui da me da poter fotografare. Segnalo pure che entrambe sono conosciute anche con altri basionimi, un altro nome che in pratica significa la stessa pianta. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. 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- BISCOTTOSI SBAGLIATI ALL'OLIO D'OLIVA
Biscottosi sbagliati è il giusto titolo visto l'incidente di percorso accaduto che li ha trasformati da Biscotti all'olio d'oliva come dovevano essere. Ricetta antica del sud, sempre imparata nei miei girovagare, che prevede l'uso dell'ammoniaca da dolci. E li ho fatti diverse volte, scettica all'inizio, su questo agente lievitante usato prima dell'avvento del lievito chimico da dolci. Poi avere in cucina un odore come avessi fatto la tinta dal parrucchiere invece che profumo di dolce mi dava comunque fastidio, nonostante i biscotti da freddi non ne conservassero minimamente il gusto, così non li ho più fatti. L'altro giorno ricordando questi deliziosi e poveri biscotti da prima colazione ho provato a farli usando il lievito da dolci... Impastato il tutto, è suonato il telefono, e in tempo di isolamento forzato una videochiamata con un'amica è tanta cosa, ho dimenticato l'impasto. Dopo ore e dico ore... ho ricordato e non volendo buttare via ho rilavorato questa massa che nel frattempo era semi lievitata e ho formato alla belle e meglio dei dischetti. Messi in forno sono ulteriormente gonfiati e diventati biscotti più morbidi di quelli che ricordavo, molto semplici, poco dolci, giusto da tutti i giorni. La ricetta originale comprende: 250 g di farina 00 400 g di farina di rimacinato 200 ml di latte 50 ml di olio extravergine d'oliva 200 g di zucchero 5 g di ammoniaca per dolci (ho sostituito con un cucchiaino di lievito da dolci) 1 bustina di vanillina scorza grattugiata di 1 limone Impastare il tutto, e nel caso dell'ammoniaca, lasciare riposare la pasta coperta come fosse una frolla. Tirare la pasta non sottilissima e in origine mi piaceva farli tipo Macine, con il buco. In questo caso non sono riuscita e mi sono limitata a fare dei dischi. Probabilmente con il lievito in polvere da dolci non deve essere lasciata riposare, soprattutto non deve essere dimenticata... Comunque sono venuti, e buoni sono. Quando dico buoni mi viene sempre il sospetto che chi legge non la pensi come me, ma il mio è un gusto rustico, povero, disabituato al forte e aggredente delle cose comperate sempre troppo dolci o troppo salate, sempre troppo ricco per quanto mi riguarda. Il sapore è poi sempre in misura degli ingredienti, un impasto che contempla solo 50 gr. di olio e 200 etti di zucchero in proporzione alla quantità di farina usata non può essere né tanto dolce, né tanto grasso, ma anche questi sono biscotti senza uova ed è possibile mangiarne qualcuno tutti i giorni a colazione senza affaticare troppo fegato e altro. Inoltre per me che male mi trovo con la farina normale, la presenza della semola me li rende oltre che più gustosi, più digeribili. Conservati in una scatola durano diversi giorni, se durano ... La prossima volta provo con farina integrale e zucchero di canna. Aggiornamento post: è passato un po' di tempo e li ho rifatti con zucchero integrale e un po' di cannella nell'impasto ... questa volta Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- RAPA O BARBABIETOLA?
In casa mia mi sa meglio una rapa, ch'io cuoca, e cotta su 'n stecco me inforco e mondo, e spargo poi di aceto e sapa, che a l'altrui mensa tordo, starna o porco selvaggio; e così sotto una vil coltre, come di seta o d'oro, ben mi corco. Ludovico Ariosto C'è una sola risposta: quella che frequentemente si sente chiamare rapa rossa è in verità una barbabietola. Una varietà di Bieta vulgaris selezionata e coltivata normalmente per le sue belle radici tonde rosse e sugose, una sorella della comune bietola. E questo dai tempi dei Babilonesi che già ne apprezzavano le innumerevoli proprietà. Di come e perché ci si confonda con facilità tra rape e barbabietole non so, forse per via dei tuberi che assomigliano, ma basterebbe guardare le foglie e potendo i fiori, per capire la differenza a livello botanico. Le belle coste rosse e le grandi foglie ricordano assolutamente quelle della bietola, ma ormai siamo abituati a vedere le barbabietole chiuse in confezioni sottovuoto già cotte, e raramente si trovano nei banchi della verdura fresca, almeno qui da me. barbabietola da zucchero Sempre Bieta è la Barbabietola da zucchero, selezionata per dare il massimo rendimento in sostanza zuccherina dalla quale ricavare lo zucchero bianco. Anche in questo caso si vede la foglia con i tratti della bietola. Ancora la Barbabietola da foraggio, usata per l'alimentazione animale, specie per migliorarne il latte. E infine la Bietola da foglia a coste larghe o strette usata in cucina. Tutte pare derivate dalla Barbabietola rossa. Questa, per qualche ragione che mi è sconosciuta, viene ormai quasi esclusivamente venduta già cotta al forno, sottovuoto, pronta da consumare. Avendo finalmente trovato qualcuno che l'ha coltivata mi sono cimentata nell'arduo compito di cuocerla, per scoprire che non c'è niente di difficile, che si può cuocere tranquillamente nel tempo delle altre verdure come ricordavo aver fatto tanti anni fa quando l'avevo seminata nel mio orto. Si può bollire sbucciata e tagliata a pezzi insieme a patate e cipolle, ovviamente usando pure le buonissime foglie. Tutto insieme diventerà di un bellissimo e carico rosso porpora, condito poi con olio e limone può essere un'ottima cena o un allegro contorno nelle buie e fredde sere invernali. Per impedire che colori tutto di rosso basta cuocerla intera, con la buccia. Per conservarne al massimo le innumerevoli proprietà uso la mia pentola a vapore della quale ebbi già modo di raccontare qui >>> A Bagnomaria ... ma che Maria era a Bagno? È possibile cuocerle anche in forno in teglia o anche intere in un cartoccio di carta alluminio o carta forno, con il forno caldo a 180° - 200°. Sbucciata, tagliata a fette sottili o a cubetti e condita con olio e limone. È ingrediente più che altro decorativo del Cappon Magro Genovese qui>>> Inutile dire che bollita chissà quando e conservata sottovuoto perde in sapore e qualità. Nella continua riscoperta delle sue virtù apprezzo il Succo fresco di Barbabietola Cruda, una piacevole bevanda ottima per una prima colazione energizzante. Basta poco, qualche pezzo di barbabietola cruda non sbucciata,ben lavata, mezzo limone con la buccia, qualche spicchio di arancia con l'albedo, la parte bianca, che poi è quella che fa bene, tutto bio. Inserire nell'estrattore o nella centrifuga o ancora meglio nel frullatore con poca acqua. Si ottiene uno smoothie molto cool, ai miei tempi un frullato che fa bene, al quale si può aggiungere yogurt o acqua a piacere. Per cambiare il gusto o la densità basta aggiungere mela o banana o sedano o carota ma anche frutta secca o mix di muesli, provare per credere. Ma quali sono le infinite e semisconosciute peculiarità della Barbabietola rossa? Fibre che favoriscono il transito intestinale, vitamine e sali minerali, acido folico e una certa quantità di flavonoidi e antociani, associata al limone aiuta ad assorbire il ferro. Di recente il succo di barbabietola con il limone è consigliato ai ciclisti per il potenziamento dei muscoli, stimola la ri-ossigenazione delle cellule e la produzione di nuovi globuli rossi, combatte le infezioni, aiuta la pelle, allieva varie infiammazioni cutanee, acne, secchezza della pelle, forfora. La betaina che le dà il colore rosso e favorisce la produzione di seratonina, può colorare urina e feci senza che questo possa spaventare. In mezzo a tante meraviglie occorre ricordare che ha anche un certo contenuto di ossalati e quindi potrebbe dare fastidio ai reni o a uno stomaco delicato e con attenzione, cotta, a chi soffre di diabete . Ma non è finita qui. La Barbabietola rossa è molto usata come colorante alimentare naturale con la sigla E162 e anche a casa è facile colorare qualunque cosa estraendo il succo coloratissimo, meglio da cruda che da cotta, con l'estrattore, ma anche spremendola dopo averla frullata e inserita in un sacchetto di tela. E per tutto intendo tutto, la pasta fresca, la pasta del pane, uova, dolci e altro in cucina. Si può passare un pomeriggio facendo divertire i bambini con pennelli e succo di barbabietola, alterando le sfumature di rosso con succo di limone, sale, aceto o bicarbonato. Ma anche per una occasionale tinta tutta naturale per i capelli, usando sia il succo versato direttamente che la poltiglia spremuta distribuita con il pennello. Ovviamente il risultato cambia a secondo del colore di base Pure lana e stoffa naturale da sempre sono tinti con la barbabietola. L'intensità del colore si ottiene con la quantità di barbabietola, tritata e messa a bollire insieme con aceto, che darà gradazioni diverse sul rosa intenso. Difficile avere uniformità nella tinta, almeno lo è stato per me, ma è sempre una bella sorpresa il risultato. Cosa si può pretendere di più da un tubero considerato da sempre un ortaggio povero? rape (Brassica rapa) A proposito queste sono rape, stessa famiglia dei cavoli, e per tornare al discorso iniziale, prossimamente racconterò di esse, bianche e rosse, sedano rapa, cavolo rapa, cime di rapa ... a presto. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- PAPPARDELLE DI MAIS AL SUGO DI PORRI E LUGANEGA
Inventata sul momento stamattina per fare domenica come una volta, con la pasta fresca, ma con la variante delle farina di mais. Avevo, tantissimi anni fa, strabuzzato gli occhi davanti al mio cuoco preferito quando decise di fare le tagliatelle con il mais per un menù tutto autunnale, ero giovane e inesperta e lui guardandomi mi disse:- è farina, con qualunque farina fai pane e pasta. E così, avendo ancora farina di mais da smaltire e non avendo voglia di polenta, vado di pappardelle anche io oggi, per condirle il sugo di porro. Per la pasta ho usato 150gr.di farina di granoturco e 200 di farina di grano duro, non semola, ma può andare bene anche una farina 00, un uovo di oca, ma ovviamente sostituibile con due uova grandi o tre piccole normali, mezzo bicchiere di vino bianco, un pizzico di sale qui lo metto. Impastato il tutto e formata una palla lascio riposare coperto mentre taglio finemente un bel porro, lo sistemo con olio in un tegame e lo lascio stufare, una punta di cucchiaio del mio dado di verdure (qui>>>), aggiungo qualche pezzetto di luganega o salsiccia, lascio insaporire insieme e dopo qualche minuto la polpa di pomodoro, di solito la mia, non tantissima e metto il tutto a finire di cuocere coperto, il tempo di tirare la sfoglia e far bollire l'acqua. Garantisco ottimo anche il sugo di solo porro. Tirata la sfoglia e tagliata in larghe fettucce non resta che cuocerle in abbondante acqua salata e condire con il sugo ottenuto. La vita è una combinazione di pasta e magia Federico Fellini Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- TORTA TENERINA A MODO MIO
Sono da tempo abituata, per la mia particolare scelta di vita, ad arrangiarmi con quello che ho, e vivendo abbastanza lontana da negozi e supermercati vari, con lunghi inverni di isolamento, con una dispensa ben fornita. Ultimamente, essendo sola, poco mi serve ed evito di accumulare per non dover buttare. Mi ha completamente spiazzato quindi questa chiusura, mi sarei preparata ben diversamente, sono andata a fare una bella spesa ignara di quello che sarebbe successo, il 24 di febbraio e poi più. E quindi modifico, provo, e tolgo, soprattutto tolgo da ricette conosciute, per usare quello che ho. Oggi avevo voglia di torta al cioccolato e inoltre devo rifocillare mio figlio a casa dal lavoro e non volevo adoperare di nuovo uova, già usate ieri sera per una frittata fatta con avanzi di riso e prebuggiun, e nel contempo tenere da conto la farina di grano che uso per pane e pasta. Così rivangando ho trovato farina di riso e zucchero integrale, avanzi vari di cioccolato e quindi subito procedimento e dosi: Sciogliere a bagno maria (Ma chi era 'sta Maria? qui>>>) 200gr di cioccolato fondente grattugiato con 50 gr. di burro. Nel frattempo in una ciotola mescolare 100gr di latte con 100gr di acqua. In un'altra ciotola 80 gr. di farina di riso, mezza bustina di lievito per dolci, un pizzico di sale fino e 100 di zucchero integrale( se piace più dolce o se il cioccolato è particolarmente amaro aggiungere zucchero) essendo lo zucchero integrale e la farina di riso abbastanza granulosa ho passato tutto insieme al mixer per avere un composto uniformemente fine. Quando cioccolato e burro sono sciolti mescolare prima i liquidi, poi le polveri, tutto insieme. L'impasto è molto liquido. Teglia da 24 cm circa con carta forno. Attenta cottura nel forno a 170°statico per 25 minuti, perché faccia una bella crosta ma resti morbidissima dentro. Nel forno della stufa a legna ho avuto un risultato strepitoso. Una spolverata di zucchero a velo e vi mostrerà tutto il suo buon sapore nella sua estrema semplicità. Penso sia possibile sostituire il burro con la stessa quantità di olio di mais o chi lo sa con poco più di panna, così come farina o metà fecola con farina, ma come ho detto ho usato quello che avevo. Ogni volta che diminuisco una ricetta di qualcosa, mi viene in mente la storiella che mi raccontava mia nonna per essere la più bella della festa, e che molti di voi conosceranno, almeno ai miei tempi si raccontava. Dunque si narra di quella che voleva essere la più bella della serata e chiese consiglio alla fata dell'eleganza, la quale le disse:- Preparati di tutto punto e quando sarai pronta vieni. La principessa si adornò del suo più bel vestito e dei suoi più bei gioielli e si rimise al giudizio della fata. Questa le disse subito:- Togli una cosa - e lei tolse la collana. -Bene ora togli due cose - e lei tolse gli orecchini -Adesso leva tre cose - lei tolse lo scialle dorato, il bracciale, e la corona -Ecco ora vai - Un po' insoddisfatta si recò alla festa, dove tutti però poterono notare ammirando il suo collo flessuoso, le sue spalle nude e candide, le braccia sinuose, i morbidi capelli. Unica, fra le altre, a mostrare la sua preziosa, elegante e semplice bellezza. Chissà perché, funziona anche con il cibo, più è semplice più si esalta il gusto. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL FINOCCHIO SELVATICO
Alle prime tiepide giornate d'Aprile, qui, fra il rumore dell'erba che cresce, spuntano i teneri germogli del finocchio selvatico. Da tanto volevo parlarne, ma non sapevo mai quando fosse più opportuno, ora o a fine estate quando si raccolgono i semi, ma andare oggi a cercarli, trovarli per farne un'insalata gustosa mi ha fatto decidere. Erano lì sopra il sentiero, a tappezzare quasi interamente il solito prato come fosse una mia piccola Maratona personale, sì perché marathṓn è il nome greco del Foeniculum vulgare e proprio nella piana di Maratona, quella della famosa battaglia, cresceva largamente il finocchio tanto da dare il nome al luogo. È pianta largamente diffusa, usata da sempre, nei tempi antichi non come verdura come noi usiamo i finocchi coltivati, ma come aroma, condimento, che sfiora la magia e il mito, visto che sembra come forse in un gambo cavo di questa pianta o della famiglia, Prometeo nascose il fuoco rubato a Zeus, donandolo agli uomini che tutto di un botto, tanto per dirne una, poterono cuocere il cibo. Ma anche un medicamento importante per le sue proprietà, diuretiche, carminative cioè di aiutare ad eliminare i gas, antispasmodiche, aiuta a fermare il vomito e il singhiozzo, profuma l'alito, rinfrescanti e rigeneranti. Talmente rinvigorenti che i gladiatori masticavano semi di finocchio prima di scendere nell'arena, i soldati romani per le lunghe marce, insieme all'aglio, i cristiani per sopportare il digiuno e anche per altro ... insomma la pianta era la preferita di Adone, voluttuoso figlio di Venere e alle feste licenziose di Dionisio il finocchio era sempre presente. Sull'onda della magia, della leggenda e della superstizione è arrivato fino ai giorni nostri con "Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio" per difesa contro l'invidia, appeso fuori la porta per impedire al diavolo di entrare, i semi a chiudere il buco della serratura, per la prosperità della casa, per la fecondità della famiglia. Tutti abbiamo usato semi di finocchio ricoperti di zucchero rosa o azzurro, i "fenogétti" ben auguranti, per annunciare la nascita di un bambino o di una bambina in famiglia. Le proprietà digestive sono certe, tanto che i suoi semi e anche le foglie sono usate non solo in tisana per averne beneficio, ma in molte pietanze per garantirne la digeribilità come per esempio aggiungerlo alle castagne o alla carne di maiale. Una volta era uso alla fine di lauti pasti servire semi di finocchio da masticare. Certo l'aroma deve piacere e nel caso del finocchio selvatico è più intenso. Il riconoscimento dovrebbe essere abbastanza facile, le foglie possono essere forse confuse con qualche altra pianta, ma il profumo è inconfondibile. Attraversando lunghi campi al Sud mi sembrava di aver individuato distese di alte piante di finocchi in realtà si trattava di Ferula, è bastato avvicinarsi per accorgersi dell'errore. La Ferula, molto simile, è proporzionalmente più grande, più alta, i fiori più grandi, quasi a palla, gialli ma soprattutto NON ha odore di finocchio, anzi spesso puzza. Ferula (foto dal web) fiore del finocchio con ospite Il fiore del finocchio, a ombrella, diventa giallo a fine estate, e con qualche accortezza si riesce a raccogliere i semi. I vecchi contadini erano soliti, quando il fiore iniziava a sfiorire prima che il seme maturasse completamente, chiudere intorno all'infiorescenza un sacchetto di carta, perché i semi non cadessero a terra e così faccio ancora io. Oltre alla tisana che ha davvero mille proprietà, i semi e le "barbe" verdi, possono essere usati nel pane,famosi quelli di segale e finocchio dell'Alto Adige, con le carni, il pesce, formaggi e uova così come si userebbe una qualsiasi erba aromatica, in Toscana nel salume chiamato Finocchiona, ma anche in certi formaggi, specie pecorino. Il suo aroma è talmente intenso che ha dato luogo al termine "infinocchiare" inteso come imbrogliare, visto che si usava alterare cibi e vino scadente con il finocchio. Sui rami di Finocchio alberga volentieri il bruco del Macaone, nato dalle piccolissime uova deposte dalla bellissima farfalla Papillo machaon. I teneri germogli raccolti si possono consumare come si vuole, crudi o cotti, nelle minestre, nelle insalate. Questa la mia pietanza al ritorno dalla raccolta, puliti, lavati e grossolanamente spezzati con le mani, qualche fogliolina di rucola, qualche piantina ancora tenera di Talegua (qui>>>) fettine di pera caramellate al miele, noci, pinoli, un fiore di tarassaco, sfogliette di parmigiano, olio sale. Le fronde avanzate, a seccare, le userò poi per la mia tisana primaverile, insieme o alternata a quella di rosmarino o di ortica, ora è il momento di queste. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>











