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- DELL'INTRECCIAR DI CESTI ... DELL'IMPAGLIAR DI SEDIE
Da sempre mi sono interessata a questo tipo di manualità, ma non sono molti anni che sono riuscita in un vero approccio di intreccio cestini o impagliatura sedie. Poi la mia strada si è incrociata con Rossana Sciascia dell'Agriturismo Ca'Marcantonio che con semplicità mi ha fatto tornare a casa con il mio primo tentativo di cestino, da lei ho conosciuto Claudio Mariani e tutto è diventato ancora più chiaro, e in seguito Fortunato Caruso e altri. Scoprire poi che per tutto o quasi, cestini, sedie, fabbricare funi ci sia ancora una volta la presenza costante e indispensabile delle erbe fa si che in questi tempi conoscerle e provarle sia stato sempre più pressante. Avrei voluto fare e forse un giorno ci riuscirò, un post più dettagliato con più informazioni, ma in questo periodo si concentrano molte cose, dalla raccolta del prebuggiun a quella delle erbe da intrecciare, alle prime semine e io ho davvero, purtroppo, una vita sola e le giornate troppo corte per fare tutto quello che vorrei. Così ho deciso per queste brevi note per un'informazione di base. Come succede con le erbe commestibili, che sono molte di più di quelle tossiche o velenose, l'uomo ha provato ad intrecciare di tutto con risultati diversi, e sono sempre le più comuni quelle più usate. La prima volta che ho incontrato Rossana stava intrecciando foglie di canna comune, secche e poi inumidite, per rifare una sedia. Arundo donax è il nome botanico di questa semplice canna che possiamo trovare tutti lungo qualsiasi argine di fiume o palude o dove il terreno è semplicemente umido e alla quale dedicherò prossimamente un post visti i suoi numerosi utilizzi. Le foglie lunghe raccolte a inizio estate, essiccate all'ombra e poi reidratate e mantenute umide mentre si lavorano permettono di ottenere dei buoni sedili. Questo non è l'unico uso della canna comune, è una specie officinale, ha proprietà curative, con le dovute attenzioni per la presenza di un alcaloide che agisce nei confronti di febbre, raffreddori e altri malanni invernali. Gli Egizi usavano le foglie per fasciare i morti. È largamente usata per fare graticci, le arelle, per sostegno alle piante negli orti, bastoni, e strumenti musicali. Si stanno studiando le possibilità di produrre biomassa con questa pianta, da molti invece considerata ormai un'infestante. C'è da dire anche che non va confusa con il bambù come molti pensano, con il quale condivide solo la famiglia botanica. Un'altra pianta usata per impagliatura delle sedie e ancora più resistente sono alcune del genere Carex, devo ancora studiare un po' prima di poter dedicare un post, visto che ne ho trovato nelle zone umide dei boschi qui intorno e vicino al fiume, e ho riconosciuto uguale a quella che ho usato con Fortunato lo scorso settembre per impagliare la mia sedia. A guardarmi sembro brava, ma è tutto merito del maestro, la strada per imparare è ancora lunga e spero di poter avere ancora altre esperienze con Rossana e Fortunato. Fra le erbe di palude adatte c'è anche la Tifa della quale avevo già parlato qui>>> La Tifa I SALICI Ma se di intrecci si parla non si può dimenticare le tante qualità di Salice che da sempre vengono impiegate per costruire ceste, cavagni, borse, arredi ecc. e aver conosciuto prima Rossana che me ne ha insegnato con semplicità i rudimenti e poi poter anche solo ammirare Claudio mentre con passione e una precisione non umana incrocia, accavalla, tira, spinge flessuosi rami per far uscire dalle sue mani incredibili manufatti è per davvero una fortuna. Claudio non compera nulla, tutto il materiale che usa è preso in natura, negli ultimi anni per averne a sufficienza ha impiantato nei propri terreni un saliceto, con molte varietà dei salici che usa, semplicemente con delle talee e la sua generosità innata lo ha portato a insegnarci anche questo, e giusto questo è il momento migliore. Questa la borsa che ha fatto per me l'anno scorso prendendo spunto da una vecchia sporta per la spesa usata dagli anni 30-40 in poi e che solo lui poteva rifarmi identica. Al momento mi accontento di raccogliere lungo il fiume, a fine inverno, così come mi hanno insegnato loro, i giovani rami lunghi sottili e flessibili, prima che escano i nuovi germogli, e adesso con questa luna nuova è già quasi tardi e così sono andata ieri. I giovani rami, se non sono usati subito, da secchi devono essere lasciati a bagno per farli tornare flessibili prima di usarli. Sulle varietà di salice Salix purpurea, Salix alba, ecc. è necessario davvero parlarne in un altro post dedicato, anche per le innegabili proprietà che sono derivate da queste piante. Per chi ancora non lo sapesse proprio da una varietà di salice fu isolato l'acido acetilsalicilicilico e poi riprodotto sinteticamente con il nome di Aspirina, visto che da millenni gli uomini usavano la corteccia del salice o pure le foglie di mirto per curare dolori e febbri Intanto se qualcuno vuole provare può passeggiare lungo un qualsiasi corso d'acqua e approfittare di quello che trova. I miei sono solo piccoli tentativi ma mi rendono così felice di esserci riuscita. Sulle erbe da intreccio, per esempio su quello di fare funi con le erbe, o sulla lavorazione dei giovani polloni di castagno ridotti a strisce sottili per la lavorazione delle corbe, c'è ancora molto da dire ma piano piano ci riuscirò, conosco persone che intrecciano qualsiasi essenza vegetale sia duttile e flessibile, anche se sta sparendo questa arte. Ho scritto adesso questo post perché domenica 27 non potrò essere presente a una delle riunioni annuali di intreccio che fa Rossana nel suo agriturismo visti i miei impegni con le erbe, spero di riuscire il prossimo. Il suo casale è completamente immerso nei boschi in Alta Val di Vara, a pochi km da Sestri Levante e dalle Cinque Terre, e da Varese Ligure e Rossana non si ferma all'intrecciare, ma fila la lana, lavora l'argilla, coltiva la terra, scrive libri ... e tutto condivide con piacere con chi lo desidera. Potete contattarla al suo Agriturismo Ca' di Marcantonio per vedere e comperare i suoi manufatti, per chiederle dei corsi, per farvi impagliare le sedie, per filare la lana e molto altro. Alberto Anzi e Rossana Sciascia Loc. Marcantonio - Fraz. Chiama 19010 Maissana - La Spezia P.IVA 01225020112 Tel. Fax. 0039 0187 845 720 Cell. 0039 329 392 4199 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LA CARBONARA
Mi vien da ridere solo a scrivere il titolo... e mi ci sono voluti tre anni e mezzo di blog per farmi venire il coraggio. Poi mi sono detta: perché no? la mia carbonara mi è stata insegnata 50 anni fa con dovizia di particolari tali da farmela credere la più giusta e sicuramente quando la faccio risulta essere buona per me, ma sempre anche per coloro ai quali l'ho proposta. Poi ho fatto qualche ricerca e ho ancora meno coraggio a trascrivere perché mai come in questo caso è vero tutto e il contrario di tutto. Quello che fa la storia sono i documenti, se una cosa è scritta ha un valore diverso, si riesce a risalire il più possibile vicino alla comparsa della ricetta scritta di un piatto e non solo semplicemente raccontata di bocca in bocca e magari realizzata con qualche differenza e di nuovo raccontata diversa. Nel caso della carbonara checché se ne dica, è un piatto tutto sommato recente, intorno ai 75 anni, non di più e quindi ci sono prove attendibili della sua comparsa, sia tramandata a voce, sia scritta. Che poi minatori e carbonari sull'Appennino si preparassero una pasta con qualcosa di grasso e formaggio e qualcuno fra loro occasionalmente abbia aggiunto un uovo non si stenta a crederlo, ma riferimenti precisi attendibili che da questo venga tutto non ce ne sono, anzi. Per cominciare una tabella comprensibile della differenza fra Cacio e Pepe, Gricia, Amatriciana, Carbonara, visto che molti pensano che da una derivino le altre, ma non sembra essere proprio così nel caso della Carbonara. L'articolo più completo e credibile che posso passarvi per concentrare le notizie storiche è di Luca Cesari su Gambero Rosso a questo link, dove troverete informazioni davvero insospettabili: https://www.gamberorosso.it/notizie/articoli-food/carbonara-storia-origini-e-aneddoti-di-una-ricetta-mitica/ e qui: https://www.ricettestoriche.it/2018/03/11/la-storia-della-carbonara-capitolo-2-gli-esordi-1951-1960/ Cose che in parte sapevo, raccontatemi appunto 50 anni fa, ma che da sola mai mi sarei permessa di trascrivere, incredibili tipo che Luigi Carnacina e Gualtiero Marchesi usavano la panna. Sembrerà quasi impossibile ma nella mia collezione ho il numero della Cucina Italiana di agosto 1954 citato da Luca Cesari e ho fotografato la pagina perché possiate ridere, tant'è questa è la prima pubblicazione in Italia della ricetta di Carbonara. Se allargate la foto leggerete groviera, aglio e pancetta! O che il tanto sbandierato guanciale è tutto sommato recente, introdotto intorno al 1960 e che solo negli anni '90 finalmente la ricetta si è stabilizzata negli ingredienti conosciuti: guanciale, uovo, formaggio, pepe. Così ho fotografato anche il Carnacina dove finalmente c'è il guanciale ma anche la panna, e pure Il Talismano della Felicità, visto che molti dicono che ai tempi di Ada Boni la carbonara non venisse nominata, anche se lei aggiunge le uova nelle edizioni successive alla prima del 1949, e ce n'è pure una di magro, vegetariana ante-litteram, . E tutte le ricette adesso sarebbero improponibili, cipolla! panna! prezzemolo! e stiamo parlando di mostri sacri della cucina. Tutte edizioni originali in mio possesso. Se poi la verità sta nel racconto che trovate ai link sopra dello chef Renato Gualandi, scomparso nel 2016, che, vuoi si dica una volta a Riccione una volta a Roma, l'avrebbe preparata per la prima volta il 22 settembre 1944 agli alleati con quello che aveva, il loro bacon, le uova in polvere e chissà cosa, si scopre che c'entrano poco le origini povere, la romanità e quant'altro. A questo punto qui c'è come faccio io e a me piace così e la difficoltà non sta negli ingredienti che come si è visto possono mutare, ma piuttosto nella preparazione precisa, nei tempi giusti, in qualche particolare da non sottovalutare. Di solito uso la pancetta, e spesso quella affumicata, e d'altronde la mia versione è pre uso del guanciale, non avendo a disposizione il bacon, e comunque mi piace personalmente di più. Non a fettine ma a cubetti, e messa a sobbollire con una generosa quantità di olio in un pentolino alto, a fuoco giusto perché si sciolga il grasso fino a prendere un colore ambrato e rimanga la carne morbida ma non troppo croccante, una cosa giusta. Quindi questa è la prima operazione da fare. Messa al fuoco l'acqua occorre calcolare con esattezza i tempi per procedere. Mentre cuoce la pasta, al dente, quasi sempre spaghetti, la pancetta finisce di sciogliersi sul minimo, si mette la terrina, vuota dove si condirà, a scaldare nel forno o nel microonde come viene meglio, passaggio importantissimo. Sul tavolo pronte le uova, andrebbero uno a persona, ma a me sembra sempre troppo e faccio magari tre per quattro persone o due per tre persone. Il formaggio grattugiato, io parmigiano con a volte divagazioni nel pecorino. Il pepe Negli ultimi attimi mentre cuoce la pasta, calcolati alla perfezione, si prende il piatto caldo, si posa su un canovaccio piegato perché non raffreddi subito, si rompono le uova dentro, io uso anche l'albume, si mescolano velocemente con una forchetta, si butta la pasta calda appena scolata, si mette immediatamente il formaggio che mescolando si deve sciogliere con il caldo della pasta, e poi si butta la pancetta e si finisce di mescolare. Questa è la tempistica veloce che secondo me fa la differenza più degli ingredienti usati. Le uova non devono cuocersi con il caldo del piatto, non deve venire una stracciatella di uova, la poca acqua che si porta dietro la pasta servirà per dare una specie di cremosità che con il formaggio diventa perfetta e successivamente completata dal grasso della pancetta. Ultimo il pepe, necessario per sprigionare tutti i sapori. Orribile il passaggio in padella, poco gradevole la pancetta a fettine, se poi rosolata, diventa troppo croccante, inutile il formaggio all'ultimo, non si scioglierà a dovere. Questo è quanto hanno insegnato a me, un caro amico che non ho mai più rivisto dagli anni dell'adolescenza, tale Ennio Manchi, che lavorava in trasferta, frequentava il negozio, e che ricordo con affetto, sparito dalla mia vita quando mi sono sposata e trasferita in campagna, ma che oltre alle ore divertenti trascorse assieme mi ha lasciato il sapere di una carbonara per me speciale, mangiata per la prima volta con lui più di 50 anni fa, insieme al racconto suo della nascita di questo piatto, fedele, ho scoperto più tardi, alle notizie che ne danno gli storici della cucina. Non t'ama chi amor ti dice ma t'ama chi ti prepara la carbonara e tace La mia considerazione personale a questo punto è che forse bisognerebbe avere un poco più di ascolto per le opinioni di tutti, ognuno ha il suo vissuto e le proprie esperienze, specie quando si parla di cucina, che segue modi e luoghi, usanze, tempi e ingredienti spesso al bisogno o di quello che si ha a disposizione soprattutto quando una ricetta non è antica e codificata. È possibile che fra vent’anni metteranno chissà cosa nella carbonara e sogghigneranno di noi che non lo usavamo e ci criticheranno ferocemente per quello che usiamo oggi. Che ne so ... gli spaghetti saranno di farina di grilli conditi con cavallette fritte e ci sarà chi riderà leggendo il mio blog. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- FIOR DI MIMOSA
Ogni anno, mentre scopro che Febbraio È sensitivo e, per pudore, torbido, Con minuto fiorire, gialla irrompe La mimosa. G. Ungaretti Inutile aspettare marzo per parlare di mimosa. Lo strano inverno tiepido di quest'anno l'ha fatta fiorire in riviera già da15 giorni, se non più, appena passato Natale già sembrava primavera con tutto quel giallo profumato ovunque. Perché scriverne in un blog di erbe commestibili? perché la mimosa lo è, come già ho ricordato qui >>> Fior d'acacia, glicine e maggiociondolo molto più della Robinia chiamata a sproposito acacia, ma chissà perché l'ho sempre vista usare molto meno in cucina. Una confusione fra le due piante, anzi tre: l'Acacia quella a fiori bianchi a grappolo, che non è un'acacia ma una Robinia e la Mimosa gialla che non è una Mimosa ma un'Acacia e la vera mimosa sarebbe quella a fiori tipo piumino rosa, l'Albizia. In casa abbiamo sempre chiamato la mimosa comune gialla Gaggìa e ho poi scoperto che questa è un'altra ancora, l’Acacia farnesiana, con fiori gialli più grandi e profumo simile più intenso, così tanto per complicare ancora di più, anche se mia madre, venendo di moda il rametto di mimosa per la festa della donna, si ostinava a dire "non è la vera gaggìa", ma sono dovuti passare anni di letture prima che capissi. In comune hanno la famiglia botanica delle Fabaceae, e ce ne sarebbero altre ... Già m’accoglieva, in quelle ore bruciate sotto ombrello di trine, una mimosa, che fiorì la mia casa ai dì d’estate, coi suoi pennacchi di color di rosa ... Le mie piante - G.Pascoli Fatta un minimo di chiarezza, si fa per dire, parliamo dell'uso in cucina. Importante: è commestibile solo il fiore, le foglie meglio di no. non usare nelle pietanze fiori di fioristi imbevuti di sostanze chimiche per mantenere il fiore, concimi ecc. non usare fiori raccolti ai bordi delle strade trafficate Esistono diversi piatti con il termine mimosa nel nome, la più famosa la Torta Mimosa, un pan di Spagna sbriciolato per avere l'effetto fiori, o l'Insalata Mimosa a base di patate, pesce e tuorlo d'uovo sbriciolato, forse in origine preparati proprio con i fiori della Mimosa e poi abbandonati per poter preparare questi piatti tutto l'anno. A parte le onnipresenti frittelle, possono essere usati per decorare, accompagnare asparagi o verdure ripassati in padella, insaporire un burro per condire dei tagliolini sfiziosi, aggiunti all'ultimo ad un risotto al parmigiano, o usati con tutta la fantasia che si vuole, tenendo presente che a tutti può non essere gradito il gusto dolce, che ricorda un po' la camomilla, il retrogusto leggermente amaro e il profumo molto aromatico che trasmette al piatto. È necessario usare fiori freschissimi e accertarsi delle eventuali allergie dei commensali, io per esempio non posso usarli, se non per piccole decorazioni. Il profumo cambia con il passare dei giorni e ancora più intenso è quella della suddetta Gaggìa se si pensa che in Sicilia venivano usati mazzi di questo fiore per confondere i sensi delle ragazze per far all'amore, gli Arabi preferivano stordirle con il gelsomino. La storia della mimosa scelta per la festa della donna l'otto marzo ha origini più semplici e innocue. Teresa Mattei insieme a Rita Montagnana e Teresa Noce, decisero per questo fiore perché pareva un fiore povero, presente ovunque, facilmente e gratuitamente recuperabile nelle campagne, ma la storia della festa della Donna già l'ho raccontata qui>>>Donna Tra le proprietà insospettabili della mimosa ci sono quelle degli oli essenziali ricavati dai fiori, specie dell'Acacia farnesiana e usati in profumeria, oleoliti anche fatti anche in casa con fiori e corteccia che hanno qualità elasticizzanti per le pelli mature. Basta mettere un pugno di fiori in un barattolo coperti di olio, meglio di mandorla o di jojoba o di sesamo, e lasciare coperto da una garza, per una ventina di giorni massimo un mese, meglio riposta al buio sopra una mensola in alto dove arriva il calore di un termosifone, per esempio. Quest'anno ho deciso di fare un oleolito misto di fiori di calicanto e di mimosa per poi confezionarmi una crema da notte. Il metodo più semplice per farsi una crema è descritto qui >>>Calendula Fiorrancio Non uso conservanti di nessun genere, perché ne faccio poca e vado da un fiore all'altro cambiando a secondo quello che mi offre la stagione, finita mimosa e calicanto ci sarà il lillà. Molte proprietà sono nella corteccia usata da tempi antichi ma non ho esperienze personali in merito da raccontare. Ho letto di utilizzi per la pelle, per cicatrizzare le ferite e altro, ma preferisco il consiglio di un esperto erborista, anche perché si è visto c'è acacia e acacia. Ricca di tannini è usata anche per colorare stoffe. E infine nominata nella Bibbia in vari passaggi, quando nell'Esodo per la costruzione dell'Arca dell'Alleanza dove erano custodite le Tavole della Legge si nomina l'acacia, si intende proprio quello di una varietà di mimosa. 1 Bezaleel fece l'arca di legno di acacia: aveva due cubiti e mezzo di lunghezza, un cubito e mezzo di larghezza, un cubito e mezzo di altezza. 2 La rivestì d'oro puro, dentro e fuori. Le fece intorno un bordo d'oro. 3 Fuse per essa quattro anelli d'oro e li fissò ai suoi quattro piedi: due anelli su di un lato e due anelli sull'altro. 4 Fece stanghe di legno di acacia e le rivestì d'oro. Dal libro dell'Esodo 37, 1-5 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- VOLEVO VIVERE IN UN MONDO DI RADICCHI
Il titolo è una scusa per parlare della parola radicchio o meglio dei tanti usi che se ne fa, visto che in tutta Italia indica un'infinità di erbe, selvatiche o meno. Anche ai meno studiati appare semplice la provenienza del termine: evidentemente da "radice", quindi erba con la radice che quasi sempre si mangia. Proprio dal mangiare radici e erbe deriva il ritenere povero chi se ne nutre. Cosa è maggior indice di miseria che nutrirsi di bacche e radici? Ha sempre significato non aver nemmeno un fazzoletto d'orto, o la possibilità di cacciare, appannaggio una volta solo dei ricchi proprietari terreni, tanto che ancora oggi è legge universale non si possa punire chi "raccoglie" da terra ciò che gli può essere necessario per la sopravvivenza. E così ogni posto ha il suo radicchio, la sua radicchiella, qui in Liguria radicciun, radicetta, ecc. Se si va a vedere di che pianta si tratta al 90 per cento si scopre che è quasi sempre Cichorium intybus, comune Cicoria, una fra le primissime piante di cui l'uomo si è nutrito alla sua comparsa sulla terra, e di questo esistono tracce certe nei siti archeologici. Nel tempo sono state selezionate varietà orticole tese a mitigarne l'amaro, a ingrandirne la foglia, ingrossare il cuore o qualsiasi altra proprietà le rendesse più appetibili. Abbiamo anche imparato a cuocere le verdure per attenuarne il gusto e ad apprezzare le sfumature dell'amaro. Nel mondo dei radicchi coltivati i più famosi sono sicuramente quelli che arrivano dal Veneto. Il particolare terreno adatto alla presenza di cicorie selvatiche lungo il fiume Sile, il fiume di risorgiva più lungo d'Europa, le sue acque pulite usate per lo sbianchimento dei radicchi ora coltivati in quel terreno ha fatto sì che ne diventasse la patria. In questo video uno dei più famosi, quello Rosso di Treviso, il grande e lungo lavoro e il processo di rinascita che c'è dietro a ogni pianta che ne giustifica il prezzo, e questa è solo una delle selezioni di questa varietà di radicchio https://www.youtube.com/watch?v=hL2jLuV4D8s&ab_channel=ConsorzioRadicchioRossodiTrevisoIGP Ce ne sono un'infinità, rossi, gialli, verdi, il Radicchio Variegato di Castelfranco, quello di Verona e quello a palla di Chioggia, quello Canarino e la Rosa di Gorizia, Cicoria bianca mantovana, Pan di Zucchero e Cicoria di Milano, il radicchio verde da taglio e quello a grumolo, Catalogna e Puntarelle, Indivia, Belga e Scarola, ecc. ecc. e ce ne sarebbero ancora tutti radicchi e quindi cicoria Tutti, anche se coltivati, se lasciati fiorire arrivano a un fiore solo, più o meno questo: Il fiore è lo stesso e ci riporta subito alla cicoria di campo, la madre di tutte le insalate, con foglie lunghe lanceolate, dentate ma non sempre, facilmente confondibile con altre piante da sempre raccolte per l'alimentazione, talmente facile la confusione che una parte dell'Italia, specie centro e sud, parla di "cicorie" intendendo con questo nome gran parte delle erbe commestibili raccolte. Nelle foto sotto due piante di Cichorium intybus, la vera cicoria selvatica, pur se le foglie sono diverse. Di questa e dei suoi usi ho già parlato qui >>>Della Cicoria e della Ciofeca Oltre alle cicorie chiamate radicchio, ci sono le erbe chiamate radicchiella, radichietto, ecc. ecc. spesso del genere Crepis, senza contare il Tarassaco con il quale la Cicoria è sempre confusa, che non hanno nulla a vedere fra di loro e la distinzione, oltre all'esperienza, si può avere solo con la fioritura che è quasi sempre con fiore tipo margherita gialla, davvero difficile riconoscere dalle foglie o dalla rosetta basale. In realtà cicoria sono solo quelle con il fiore tipo a margherita celeste. In Liguria è chiamato radición il Tarassaco tenero dei prati spesso confuso con la Cicoria spadona venduta a mazzi e radicétta qualsiasi cicoria coltivata tagliata fine fine, ma i due vocaboli finiscono per essere usati indifferentemente secondo il paese. erba amara tienila cara Insomma volevo vivere e in realtà ci vivo, in un mondo di radicchi perché mi piacciono molto, coltivati e selvatici, potrei dire che ne mangio tutti i giorni, forse solo in piena estate luglio e agosto ne faccio meno uso perché ho altre insalate nell'orto del tipo lattuga e la Cicoria fiorisce proprio agosto - settembre. Adesso che arriva la primavera e sento dire spesso: - Vado a cicorie - volevo solo ricordare sommariamente quale sia la cicoria, come spesso è impossibile riconoscerla da altre. A proposito l'amaro ... c'è amaro e amaro ... in natura quasi sempre e in quantità variabili l'amaro indica il veleno, i nostri recettori sulla lingua avvisano che c'è qualcosa che non va, ma come insegna Paracelso per semplificare solo la dose fa il veleno e in tutti i veleni l'uomo ha saputo trovare il farmaco. Ricordare anche che l'amaro della cicoria è un tipo di amaro, altre piante commestibili spesso scambiate per cicoria non hanno la stessa appetibilità. Il discorso sul gusto amaro è più ampio, in questa società moderna dove procacciarsi il cibo nei campi non serve più e l'istinto non ci guida a quello che ci serve e ci fa bene, ma ci attirano altri fattori il colore, la confezione, la possibilità di avere a poco prezzo grassi e zuccheri, i recettori della lingua tendono nei giovani a non riconoscere nemmeno più l'amaro e a non accettarlo. Sarebbe invece opportuno fare una specie di ginnastica gustativa cominciando poco alla volta, chi ha il gusto amaro allenato consuma istintivamente meno zucchero. Se i sensori dell'amaro sono 25 proprio per riconoscerne i vari tipi, contro solo uno per il dolce un motivo ci sarà. Il recettore più potente è quello del dolce perché lo zucchero è la prima fonte di energia e aveva un senso fosse il più potente quando era molto difficile trovarlo, cosa che non è adesso. Tutto questo è cambiato solo negli ultimi 50-60 anni, non posso dimenticare il cruccio di mia madre quando doveva usare lo zucchero per le marmellate, nessuno poteva convincerla che ora costava pochissimo. In fondo al post la piccola ricerca che avevo fatto 15 anni fa per la mostra sulle donne dove è evidente la differenza di prezzo dall'inizio del '900 agli anni '60. Tutto questo ha influito in maniera, diciamo subdola, sulle nostre scelte e di conseguenza sulle abitudini, ma ha contribuito all'aumento del diabete in primis e altro. Di quante proprietà ha la cicoria se l'uomo ne mangia dall'inizio dei tempi è quasi inutile parlarne. Stimola l'azione del fegato e reni, della bile, ricchissima di minerali, utile alla funzione dell'intestino, preziosa nelle diete, ovvio che cruda in insalata è meglio per non perdere nulla. Ringrazio chi mi ha insegnato che si mangia tutto, facendomelo apprezzare, perché poi l'amaro nella vita non è che lo devi accettare solo in bocca ... https://www.lellacanepa.com/della-spesa Per approfondire Della Cicoria e della Ciofeca https://www.lellacanepa.com/single-post/2017/11/27/cicorie-il-mio-caff%C3%A8 Conosci il Tarassaco?https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/04/12/-tarassaco#:~:text=Le%20propriet%C3%A0%20curative%20del%20Tarassaco,che%20far%20bene%20al%20fegato. La Radichella a costaneigra https://www.lellacanepa.com/single-post/2019/04/07/la-radichella-a-costaneigra Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- DI QUEL CHE SO SUI RAMOLACCI O RAVANELLI SELVATICI
Insomma, sono stata tutto il giorno senza titolo perché davvero non sapevo come chiamare questa erba perché fosse riconoscibile il post. In comune con tante altre ha cento nomi popolari, che si intersecano con altre erbe simili ma diverse, non poi così usata qui, nonostante ci sia chi la inserisce nelle erbe del Prebuggiun. Ho già scritto e detto più volte come i misti di erbe siano il risultato di quello che si trova, dove si è, nel momento che si raccoglie, quindi qualsiasi erba commestibile è possibile. Nel caso di questa, specialmente qui nel Tigullio, non si usa proprio a meno che piaccia il suo sapore, destinato però a ricoprire il gusto delle altre e a dare un'impronta particolare. Ramolaccio spesso chiamato, ma tanti chiamano così la radice, chi la crede un ravanello chi pensa sia il rafano, chi confonde con la rucola. Partendo da uno dei nomi più usati qui intorno, Ravizzun, si capisce che è simile a qualcosa tipo rapa, un ravanello selvatico più o meno e di questo mantiene il piccante e il pungente, anche nell'odore, anche nelle foglie. Nella pianta erbacea selvatica però non si sviluppa molto la radice, che al contrario esiste nelle varietà orticole seminate chiamate appunto Ramolaccio, fino ad arrivare al Rafano, e in botanica questa selvatica ha il nome scientifico di Raphanus raphanistrum Ulteriori confusioni, per me povera mortale, derivano dalle sottospecie, che cambiando colore del fiore da giallo a bianco con qualche sfumatura di viola lo fanno assomigliare alla rucola. Tutto questo mi interessa a livello di conoscenza, perché fra una e l'altra, riconosciute per odore, forma della foglie se non proprio per la specie esatta sono tutte commestibili, basta che appunto piaccia. Solitamente quando mi incapono su una pianta, cerco il posto dove cresce in abbondanza, e la osservo per almeno due stagioni, in tutte le sue fasi di crescita, dalla rosetta basale fino al fiore per essere ragionevolmente sicura. Se alla fine ho il conforto di qualche amico più esperto di me con il quale discuterne, meglio ancora. Giorni fa mi sono fermata nel posto dove ho scoperto l'anno scorso cresceva in abbondanza questo Raphanus, e non ci sono dubbi che lo fosse, visto che mesi fa ne ho potuto osservarne anche il fiore in questo pezzo di incolto a bordo strada. Come si evince il fiore ha quattro petali in croce, tanto che un tempo si identificavano come "Crocifere", ora diventate Brasiccaceae, la stessa famiglia di Cavoli, Rape e Ravanelli, Senape ecc., ed ecco spiegato il motivo del sapore e dell'odore. Pioveva talmente forte che non sono riuscita a fotografare quello che ho trovato, praticamente tutto infestato da nuove piantine tenerissime, ma tornerò. Così appena nate, dalle temperature miti dei giorni scorsi e l'acqua che ne ha favorito lo sviluppo, non ne avevo mai viste tante tutte assieme, quasi da non riconoscerle, ma il forte odore che pervaso l'auto mentre tornavo a casa e la certezza del luogo non mi hanno lasciato dubbi, anche se come si può vedere dalle foto, le foglie giovani sono abbastanza diverse da quelle della pianta adulta. Sono sicura che siano il risultato dei semi caduti dalle tante piante che avevo trovato lì l'anno scorso, anche se così tenere e così tante non mi era ancora capitato. LEGGERE L'AGGIORNAMENTO IN FONDO ALLA PAGINA Della pianta si mangia tutto, specie quando la radice è così bella bianca e sempre ricordando il piccante che lascia, anche se le foglie bollite ne perdono gran parte lasciando come un gusto di cavolo, quindi se piacciono, per esempio, i cavoli neri. Preferisco, quando ne ho voglia, gustarle da sole, saltate in padella con aglio, per accompagnare per esempio un bollito. Certamente come i suoi parenti stretti, ha virtù innegabili, ormai riconosciute anche dalla scienza ufficiale, si studiano gli effetti sul cancro, si sa dell'effetto disintossicante su fegato e bile, proprietà che contribuivano una volta a mantenere sani gli organi del popolo volgare, che di questa povera erba si nutriva in abbondanza essendo essa infestante. Ne parla già Plinio, anche se non sembra l'ami, molto pur ammettendone le qualità. https://www.latin.it/autore/plinio_il_vecchio/naturalis_historia/!19!liber_xix/26.lat Talmente tenere che al ritorno ho provato a metterne qualche foglia sulla pizza, le foglie possono essere facilmente confuse con la rucola, colore, sapore e odore diversi anche se simili. È stato un esperimento riuscito direi. AGGIORNAMENTO APRILE 2022 Sono ripassata dall'angolo dei ramolacci e vedi un po' cosa ho trovato! Insieme ai numerosi ramolacci cresciuti, anche questa pianta! Probabilmente, vedendola adesso fiorita, una Calepina, sempre della stessa famiglia, e sempre con il gusto un po' piccante che ricorda la rucola ... Ah! poveri noi erbandi dilettanti! Probabilmente le piante fotografate sopra e messe sulla pizza sono appunto di Calepina, troppo diverse dal ramolaccio anche se simili nell'odore e nel gusto. Come più volte rimarco nel post, per essere sicuri, bisogna avere la costanza di osservare più volte la pianta nel corso dei mesi se non degli anni specie per chi come me ha imparato e continua ad imparare sul campo senza supporto di una conoscenza scientifica. Quindi sono ormai quasi certa che quelle che avevo portato a casa tenere non fossero ramolacci, d'altra parte pioveva a dirotto (l'unico giorno di pioggia in mezzo a mesi di siccità assoluta) e avevo raccolto frettolosamente senza osservare bene bene, i dubbi li avevo e sono ritornata proprio perché non ero convinta. Spargendomi il capo di cenere chiedo scusa per le fotografie delle rosette basali erroneamente descritte come ramolaccio anche se tutto il resto scritto su questa pianta resta valido. Spero che questa mia esperienza abbia convinto anche i più renitenti a quanto serva anzi sia assolutamente necessaria un'osservazione attenta del luogo, del come, del quando e di tutto lo sviluppo della pianta. e insieme vicino i Ramolacci che avevo trovato l'anno scorso Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LA SPONGATA A MODO MIO
A volte mi vien da chiedermi per quale motivo mi imbarco in progetti dai quali poi qualsiasi sia la riuscita non saprò mai se è così che doveva essere. Avevo voglia di un dolce diverso e domani per l'Epifania ho pensato alla Spongata. Un dolce che condivide Emilia, Toscana e fine Liguria di Levante. Vista tante volte tra valli piacentine, a Pontremoli, a Sarzana, a Berceto, tutti luoghi a poche decine di chilometri qui intorno, ma non ricordo se l'ho assaggiata o no. Parto dall'idea di mia madre che una pietanza dove ci sono cose buone non può essere cattiva e leggendo qui e là decine di ricette scopro per l'ennesima volta che ognuno la fa come vuole, e ogni paese ha la sua per così dire RICETTA ORIGINALE, così decido di fare come mi sento e come sempre, con quello che ho, perché oramai l'ho in testa. In linea di massima si tratta di due dischi di pasta con in mezzo un impasto di frutta secca mescolata a vino e miele, e questo è quello che ho fatto: Per la pasta: 300 gr. di farina bianca 100 gr. di burro morbido 100 gr.di zucchero 70 gr. di vino bianco Per il ripieno: 100 gr. di noci 70 gr. di mandorle non sbucciate 50 gr. di pinoli 50 gr. di uvetta 100 gr. di miele 250 gr. di vino bianco 100 gr. di pane grattugiato cannella a piacere estratto di vaniglia Ho preparato prima il ripieno, frullando le noci, le mandorle e i pinoli e anche l'uvetta, così non infastidisce nessuno. Ho scaldato il miele, messo il vino bianco fino a portarlo a bollore e aggiunto la frutta secca tritata, amalgamato il tutto con un cucchiaio e alla fine aggiunto il pane grattugiato. Lasciato asciugare un po' sul fuoco, poi messo a raffreddare. Ovviamente si può lasciare la frutta a pezzi più grandi, qualcuno intero e si possono aggiungere le nocciole che io non posso mettere. Ho impastato una specie di pasta brisee, senza difficoltà solo con il burro e il vino. Nel caso aggiungere pochissimo altro vino. Ho diviso la pasta in due. Ho allargato con il matterello un disco sottile per una tortiera da 25 cm a bordi bassi, ho unito il ripieno allargando con un cucchiaio e ho ricoperto con un altro disco di pasta. Ho chiuso bene i bordi premendo e ho cercato di formare sulla superficie qualche disegno come ho visto fanno con degli appositi stampi. Ho infornato a forno caldo a 180° fino a un colore ambrato, circa 40 minuti. Sfornata l'ho girata a raffreddare e infine coperta di zucchero a velo È un dolce delle festività natalizie e quindi per domani l'Epifania, era l'ultima occasione per provare. Dolce di quasi certa provenienza mediorientale, partendo dal porto di Luni dove commercianti ebrei scaricavano le merci e da lì la "Via della Spongata", passando per Sarzana e Pontremoli, arrivando a Parma e un po' in tutto il nord Italia con mille varianti, mano a mano che gli Ebrei si insediavano e conosciuto anche con la complicità dei pellegrini cristiani che in barba al divieto del Sinodo del 1642 dove si proibiva di mangiare cibi ebraici, assaggiavano questo impasto o qualcosa di simile, portandone con sé il ricordo in ogni luogo dove si fermavano per questa o quella devozione. Ma chissà se sarà davvero così la storia che ho letto, anche le origini sono controverse. Incredibili le varianti via via dal Piacentino a Parma, da Sarzana a Pontremoli. Marmellate al posto del miele, mostarda, spezie diverse, pasta più o meno sottile. Ecco pronta, profumata, bella tonda, zuccherata il suo aroma eccezionale ha il sapore di Natale sulla tavola dorata sarà di spicco la Spongata* Sono piuttosto soddisfatta del mio risultato, è quello che mi aspettavo. Dalle ricette che ho trovato si possono aggiungere noce moscata e altro, ma io con le spezie vado piano, cambiare proporzioni e modo della frutta secca, aggiungere le uova nella pasta e fare una frolla, insomma dovrò girare ad assaggiare di casa in casa le vari spongate. Così a naso, con scarsa conoscenza di abbinamenti vini, mi sembrava che ci stesse bene un vino, che a me normalmente non piace, tipo Passito o Sciacchetrà che non avevo, ma ho trovato, fra i regali, uno Zibibbo siciliano di ignota provenienza che sì per stasera va bene, tanto non esco, non sono più la Befana di una volta 😜 *dal web Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL PURÈ
La cucina è semplicità e la semplicità è la cosa più difficile Joël Robuchon Mi è giunta voce che alcune persone trovano difficoltà a preparare un purè morbido e omogeneo, senza grumi, o troppo "annacquato". Visto che sta benissimo con lo zampone, il cotechino e le lenticchie, roba da questi giorni, cercherò di scrivere come lo faccio da sempre o meglio come da sempre l'ho visto fare da mia madre, talmente spesso che il dubbio di un purè non riuscito non mi ha mai sfiorato. Il purè piaceva molto a mio padre e sulla nostra tavola era presente anche due volte alla settimana, quando invece lui non avrebbe mai mangiato una patata bollita o bevuto un bicchiere di latte. Con gli anni e tornando tardi dal negozio gli rifilò qualche volta quello preparato in polvere da reidratare, esistono marche di soli fiocchi di patate disidratate, gli altri più conosciuti lo sono al 99%, il rimanente 1% sono monodigliceridi per dare cremosità, tutto sommato esistono cose peggiori. Per mera curiosità aggiungo che si possono ottenere dei simil fiocchi di patate da poter utilizzare, semplicemente facendo seccare una purea di patate bollite e passate, meglio con un essiccatore, e poi frullate fino ad ottenere una polvere fine. Al momento di utilizzarli basterà aggiungere acqua o latte. Non son proprio come quelli comprati, ma insomma, si può fare. https://www.italiaspezie.com/legumi-cereali-e-farine/745-fiocchi-di-patate.html I segreti per avere un buon purè, per chi non li sapesse, sono pochi, forse però importanti. Primo LE PATATE Devono essere di una varietà morbida non acquosa, farinose, che tendono a disfarsi. Non importa pasta gialla o bianca, meglio non appena raccolte, ma già un po' vecchie, il purè è pietanza invernale e le patate con il tempo tendono a perdere una parte di acqua. Con la buccia, messe in acqua fredda e sbucciate il più rapidamente possibile che non raffreddino. Sbucciate a fette, meglio cotte a vapore. Per passarle, mai il frullatore, diventerebbero una colla non recuperabile, anche se so di chi lo fa con il Bimby e simili, ma è un'altra cosa. Il meglio è con il passaverdure con i buchi piccoli, credo che ormai sia l'unica cosa per la quale lo uso. Intere con la buccia, più o meno della stessa misura, si possono schiacciare con lo schiacciapatate come ho già detto più volte senza sbucciarle, altrimenti a che servirebbe? Però se ha i buchi piccoli, altrimenti si corre il rischio di avere qualche grumo. Nel caso di ritrovarselo con i grumi non resta che passarlo manualmente a un setaccio. Al limite schiacciate velocemente con la forchetta, difficile riuscire, ma a volte per una persona due patate si può fare. Sempre rimesse nella pentola dove si sono cotte, che è rimasta calda, ovviamente svuotata l'acqua. Personalmente se ho fretta, sbucciate, a fette, cinque minuti di pentola a pressione, con il cestello del vapore, sono più che sufficienti. IL LATTE Non deve essere aggiunto freddo, ma appena raggiunto il bollore. Impossibile definire esattamente la quantità necessaria, la proporzione latte-patate è data dalla capacità di assorbirne di queste ultime. Una volta passate, mescolando velocemente e aggiungendo il latte caldo poco per volta si arriva alla consistenza desiderata, su una fiamma bassissima, non deve cuocere oltre. Se si dovesse aggiungere troppo latte non è facile se non impossibile, anche cuocendo ancora, farlo rassodare di nuovo. Insomma il terzo segreto è la velocità, pochissimi minuti da quando le patate son cotte a quando diventano purè. Scuola di cucina vuole che si usi una frusta in modo da inglobare aria che lo renderebbe più soffice, io mi sono sempre trovata bene con il cucchiaio di legno, come mi hanno insegnato, quello tenuto da parte per il purè, poi c'è quello dei sughi e degli umidi e un altro per le creme e i dolci. Raggiunta la compattezza desiderata, per me ben sostenuto sul cucchiaio, si aggiunge qualche fiocchetto di burro, e una spolverata di noce moscata e si aggiusta eventualmente di sale, che deve essere messo con le patate a bollire. Potrei dire che mia madre non ha mai aggiunto il burro e siamo sopravvissuti benissimo, ma certo mettendolo è più buono, sulla noce moscata poca ma ci va. Molti aggiungono parmigiano, se non ci mettevamo il burro figuriamoci il parmigiano, ma ovvio che ogni ingrediente dà sapore, se poi si mette, come leggo in giro, panna e/o pezzetti di salumi o di formaggio credo diventi proprio un'altra cosa. È invece possibile divertirsi a fare dei purè colorati aggiungendo carote, spinaci, ortica, barbabietola bollite e passati a parte e aggiunti alla purea prima di mescolare con il latte. I purè colorati sono molto coreografici da mettere in tavola e buoni, ma il vero purè resta quello di patate. Il purée più famoso al mondo è quello di Joël Robuchon, chef francese pluristellato, morto qualche anno fa. La sua ricetta si avvale della varietà Ratte, una particolare patata dalla forma allungata, burrosa, con il gusto che ricorda quello della nocciola, ma credo che molto influisca anche la quantità di burro che mette su un chilo di patate ... Potete vederlo qui all'opera, tutto sommato il procedimento è quello di mia mamma, che sarebbe però svenuta a vedere usare tutto quel burro. Il risultato finale sinceramente a me piace più sostenuto di come sembra rimanere nel video https://www.youtube.com/watch?v=vrzs170Wfbc&ab_channel=BonApp%C3%A9titBienS%C3%BBr Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. 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- NATALINI, I MACCHERONI DI NATALE IN LIGURIA
maccheroni natalini del Pastificio Dasso Nö ghe raxön, ne scûsa; Coscì và faeto e s’ûsa, Pe antiga tradiziön. Minestra: ö natalizio Tipico maccarön, Chêutto c’ûn pö de sellao, Ne-o broddo de cappön. Questo ö lé de prammatica, Nö sae manco Natale, Se ûnn-a minestra uguale A fösse eliminâ. Niccolò Bacigalupo Ho già accennato qui >>>È Natale ... a questo formato particolare di pasta che non si trova fuori della Liguria. Si tratta essenzialmente di grosse penne lisce lunghe tagliate in sbieco, che ormai solo pochi pastifici fanno e di solito venduti come pasta secca in pacchi, nello scaffale della pasta appunto. La tradizione, che potrete leggere in tantissimi altri articoli sul web, li vuole cotti come primo piatto nel pranzo di Natale, che iniziava nel pomeriggio, in un brodo di sbira, la trippa, nel quale si era fatto cuocere, se si era ricchi, un cappone, della carne di manzo e delle palline di salsiccia. Più prosaicamente finivano nel brodo della Cima qui>>> che si sarebbe mangiata magari il giorno dopo. Verso Savona si aggiungeva del cardo e venivano chiamati " e gambe du bambin". Le trippe nel caso erano prima cotte in umido, anche solo insaporite in un soffritto di cipolla, sedano e carota, sfumate con vino bianco e fatte ben cuocere prima di essere aggiunte al brodo. Nella mia infanzia i tentativi di mia madre di farceli apprezzare cadevano tutti nel vuoto, al di là del neppure supposto brodo di trippa, pure asciutti con il ragù non hanno mai incontrato il favore di nessuno in famiglia, e ogni anno ci toccava sorbire il predicozzo che "il bisnonno li ha sempre mangiati", bisnonno che aveva trascorso gran parte della sua vita in quel di Savona, l'altro quello del Maggiolo, beveva la tazza di brodo di trippa la mattina di Natale senza manco i maccheroni. Scivolavano ovunque, non raccoglievano il sugo, in brodo non ne parliamo, chi riusciva a tirarli su con il cucchiaio? Ovviamente vanno cotti interi. Il pacco anonimo di Maccheroni Lisci giaceva per mesi nella credenza fino a che non finiva alle galline. Ma c'era un motivo ... non avevamo ancora capito che esistono i Natalini del Pastificio Dasso di Lavagna, e per fortuna mia un' amica me li ha fatti conoscere! Roberta e Rossella Dasso insieme al padre li producono tutti gli anni nel periodo delle feste ed è una corsa per averli. Sono una pasta fresca di semola e acqua che nulla a che vedere con quella secca industriale. Buoni in brodo, eccezionali con il Tuccu qui>>> , cotti pochi minuti in abbondante acqua bollente, alla quale volendo essere ligi alla tradizione, si aggiunge una costa di sedano e poi scolati e conditi. Chiederò alle sorelle Dasso, delle quali godo l'amicizia, quale è il motivo di questa capacità dei loro maccheroni di raccogliere il sugo o perché non scivolino dal cucchiaio, al di là del gusto che resta eccezionale anche solamente bolliti. Li ho cotti giusto ieri sera a una coppia di amici e non c'è stato nemmeno il tempo di chiederci come andavano mangiati, che nella fiammanghilla non ce ne sono rimasti. Saranno le materie prime di ottima qualità o forse l'acqua di Lavagna? o meglio la passione di Roberta e Rossella? Un giorno vi parlerò più a lungo di questo pastificio, ora devo scendere in riviera a fare provvista di Natalini ... altrimenti mi tocca aspettare l'anno prossimo. Auguri!! Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL DONO DEL FUOCO
Forse la prima cosa considerata sacra dall'uomo è stato il fuoco, arrivato dal cielo, e da quel momento tutto è stato diverso. L'autonomia nel produrre, trasportare, controllare il fuoco è stata la grande conoscenza che ci ha indotto a credere come noi fossimo superiori agli altri animali e simili a un dio al quale lo avremmo rubato. Al fuoco sono dedicati i riti più antichi, i fuochi del solstizio, i fuochi dei Santi, al fuoco erano messi eretici e streghe, il fuoco purifica, il fuoco disinfetta. E alle donne era assegnata la custodia del fuoco sacro, vedi le Vestali. Se vuoi vedere una donna da poco mettila attorno al fuoco Anche nella nostra cultura contadina tutto era accentrato intorno al fuoco e quindi saperlo gestire, usare al meglio la legna, nessuna donna sarebbe mai tornata a casa dai campi senza la fascetta di sticchi indispensabile per accendere un fuoco e fare bollire una pentola, era solitamente affidata alla donna, mentre la provvista della legna grande era compito dell'uomo di casa. C’è un’usanza delle campagne di una volta ormai dimenticata, il dono del fuoco. Tempi nei quali i fiammiferi erano rari e costosi e lasciarsi spegnere il fuoco sembrava quasi una disgrazia. Era d’uso allora recarsi dal vicino e farsi regalare un tizzone acceso. Dico farsi regalare perché a nessuno sarebbe mai venuto in mente di chiedere un compenso per il fuoco domandato. Il fuoco donato agli uomini da un essere superiore, fosse Dio, Giove o chi per loro, non appartiene a nessuno e nessuno può ricavarne profitto, può rifiutarsi di condividerlo e chi lo riceve non ha l’obbligo di ringraziare. Facciamo che i doni scambiati in queste ore abbiano la valenza e l’importanza che aveva una volta il fuoco domandato, senza nulla pretendere, semplici ma indispensabili. Facciamo che sciolgano i cuori, sgelino il ghiaccio di certi atteggiamenti duri, scaldino con la presenza più che con la sostanza, brucino le distanze spesso mentali. Per una volta, proviamoci, domandiamoci l’un l’altro un fuoco d’amore e non ci sarà bisogno di ringraziare Voi date ben poco quando date dei vostri beni. E’ quando date voi stessi che date davvero (Khalil Gibran) L'ASSOCIAZIONE CULTURALE ERBANDO E LELLA CANEPA AUGURANO BUONE FESTE Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LA BÛCHE DE NOEL, IL TRONCHETTO DI NATALE VERO, E ....
... E IL MIO PASTICCIATO 🤣😂😜 Giorni fa ho ritrovato questa ricetta e meraviglia! perfettamente eseguita su you tube con semplici spiegazioni, anche se in francese. La Bûche de Noël è un dolce francese, classico delle feste natalizie, diventato di successo popolare dopo la seconda guerra mondiale e che in molti paesi del nord ha il posto dei nostri panettoni. Nato intorno alla metà del 1800, ma dalla controversa paternità, chi dice sia il cioccolatiere Bonnat a Lione, o Pierre Lacam famoso gelataio del principe di Monaco, che brevettò la ricetta nel 1895. Ricetta originale che all'inizio prevedeva un pasta genoise generosamente farcita con crema al burro e arrotolata, ricoperta di cioccolato a sembrare corteccia, così come è appunto quella che sapevo e che ho trovato, che non è il solito rotolo alla marmellata che si è abituati a fare velocemente. Attualmente invece i pasticceri francesi si inventano di tutto, tanto da ogni anno, per Natale, ambire alla bûche signature, quella che viene definita la più bella e che contiene le caratteristiche, il simbolo, lo stile della pasticceria che deve rappresentare. Spesso abbandonato il rotolo classico, le patisserie francesi in questo periodo sono ricche di monoporzioni ad ogni gusto e sapore. Qui sotto le foto le bûche signature 2021 decretate le migliori, che si possono ammirare nelle vetrine parigine. https://frenchly.us/7-best-buche-de-noels-by-french-pastry-chefs-2021-edition/ In origine pare che l'idea sia venuta per celebrare il ceppo di Natale che, specie nei paesi del nord, è tradizione lasciar bruciare nel camino durante tutte le feste, insieme a riti più o meno scaramantici, tipo innaffiarlo di vino o spargendo del sale. In ogni paese cambia il tipo di albero, qui in Liguria sicuramente si usava un bel ceppo di alloro che doveva durare nel camino fino all'anno nuovo e addirittura si tenevano da parte gli ultimi tizzoni spenti per accendere quello dell'anno successivo. Ora, perché scrivere un post se già esiste una bellissima versione dettagliata della ricetta francese? Perché a qualcuno potrebbe essere sfuggito e mi fa piacere segnalarlo, perché è fatto molto bene e soprattutto mostra alcuni piccoli suggerimenti forse non così noti, per esempio la seconda cottura della copertura o come stringere il rotolo. Ovviamente ho provato a farlo, ed è per quello che il titolo del post è il Tronchetto di Natale vero e... che sarebbe poi ... e il pasticcio che ho fatto io, ma dato che mi interessava più che altro le tecniche, sono andata un po' così, non l'ho riempito di crema al burro, (della mia più semplice ho già parlato qui>>>IL DOLCE DI MENELIKKE). Non sono riuscita a fare i rotolini di cioccolata per simulare la corteccia, probabilmente oltre a non avere la manualità necessaria, nemmeno il cioccolato era quello giusto. Sono comunque soddisfatta di quello che ho imparato, anche senza altre piccole decorazioni che avrei potuto aggiungere, bastava un rametto di pungitopo, (NON AGRIFOGLIO È TOSSICO, in tavola non si sa mai) ma non avevo più tempo, alla fine la cucina è sempre un delirio da pulire. Come i pasticceri francesi si possono fare infinite variazioni, sia sulla pasta che sul ripieno. Altri consigli: Per provare basta metà dose, è venuto davvero tanto. Per bagnarlo a me non è servita tutta quella quantità di bagna, quella avanzata l'ho messa in una bottiglietta in frigo, in fin dei conti è sciroppo di zucchero. Importante i tempi di cottura che però per il mio forno non così professionale ho dovuto aumentare di uno o due minuti Così come la copertura al cacao da cuocere, lo rende diverso dal solito rotolo che si è abituati a fare. Bisogna farla cuocere bene e raffreddare alla perfezione Interessante il metodo per stringere alla perfezione il rotolo già arrotolato, funziona alla grande, così come quello di lisciare con la spatola l'impasto per averlo perfetto sopra e sotto, per chi non lo sapeva si vede bene come fare. Importantissimo tenerlo in frigo, e in freezer, io non l'ho fatto e si vede, pensando che con la marmellata non servisse, si ammoscia un po' e poi per esempio ho provato a spruzzarlo con lo spray oro e volavano via i foglietti di cioccolata. Non ho valutato l'idea che se non potendo mangiare tutto quel tronchetto con tutta quella crema al burro da sola, avrei potuto conservarlo in freezer tirarlo fuori alla bisogna rifinendo le decorazioni all'ultimo minuto. Sotto alcune foto della mia preparazione, poi il video su youtube, dove ci sono anche le dosi e gli ingredienti oltre alla dettagliata lavorazione https://www.youtube.com/watch?v=exVf3QeYpPk&ab_channel=APPRENDRELAPATISSERIEFRANCAISE Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- L'OMBELICO DI VENERE
...Come sempre, il paesello taceva e sembrava deserto, abbandonato; sui muri si apriva con le sue piccole coppe di carne verde l'ombelico di Venere ... Dopo il Divorzio - Grazia Deledda 1903 Per una volta riuscirò a parlare di una pianta facilmente riconoscibile, difficile da confondere con altre. La sua caratteristica forma rotonda, un dischetto con una depressione al centro, il verde tenero, la consistenza di pianta grassa, il posto dove cresce sui muri ombrosi dei boschi ma anche sulle rocce umide a picco sul mare sempre e solo se non troppo baciate dal sole, la rende inconfondibile. Il particolare aspetto la fa assomigliare vagamente alla zona dell'ombelico e se di corpo si parla, per la sua bellezza non può che essere di Venere. Chissà quante volte l'abbiamo incontrata nelle nostre passeggiate, inizia adesso a mostrarsi in riviera, per fiorire prima che venga il caldo, con un lungo ramo di piccole campanelline pendule di un bianco sporco tendente al verde, raramente sfumato di rosa. Forse mai abbiamo pensato di raccoglierla per mangiarla... L'utilizzo alimurgico di questa pianta non è molto in uso da queste parti, forse dimenticato, anche se in tempi diversi veniva addirittura bollito, meglio a vapore, insieme ad altre piante. Invece è buona in insalata e soprattutto decorativa e spesso inaspettata dagli ospiti quando se la trovano nel piatto insieme ad altre foglie più comuni. Da raccogliere giovane, prima che fiorisca. Inutile stare qui a descrivere il gusto, ognuno di noi ha la sensibilità sua e esperienza mi ha insegnato che questi particolari sapori sono tutti da recuperare. I recettori della nostra lingua stanno velocemente andando verso una globalizzazione che non esce da o dolce o salato, i bambini non sono più minimamente abituati, per esempio, all'amaro, che è uno dei quattro sapori fondamentali indispensabili per la sopravvivenza, amari sono quasi tutti i veleni che in minima dose diventano però medicina, quindi è perfettamente inutile che stia qui a scrivere che ha un sapore fresco e delicato, provare provare provare. Un ultima cosa, ha anche blande proprietà. Pestata veniva usata per le scottature, ma anche per sciatica e reumatismi, forse quando davvero non c'era altro Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- ELLEBORO, LA ROSA D' INVERNO
La mia mente vacilla e l'intelletto s'oscura; abbi tu, o fior, di me pietà, appresta alle mie labbra il succo eletto che nelle foglie tue celato sta. L'Elleboro - Pietro Gori, 1882 In questo periodo in quasi tutte le nostre case c'è una Poinsettia, pianta di origine messicana, forzatamente obbligata a far diventare rosse le sue foglie perché fa tanto Natale, con grande dispendio di energie in serre riscaldate dove si fingono luce e calore dell'inverno centroamericano che le sarebbero congeniali. Difficile rinunciarci. Eppure è una moda relativamente recente, solo dopo gli anni '60 divenne accessibile a tutti, sebbene fosse arrivata in Europa già da più di un secolo. Moda iniziata per decorare i boulevard di Hollywood, quando il rosso divenne il colore di queste feste, sbarcata in Germania intorno agli anni '50 dove iniziarono le coltivazioni intensive. Ma precedentemente, il primo fiore invernale, che rappresentava il Natale, è sempre stato l'Elleboro, un fiore selvatico. Come sempre ne esistono diverse varietà, qui nel sottobosco fra le sterpaglie, cresce l' l'Helleborus viridis, completamente verde, abbastanza comune, o l'Helleborus foetidus, sempre tutto verde, ma con le corolle appena tinte di rosso ai margini, mentre salendo a quote più alte, più a nord, fin nei prati di montagna, si trova anche il bellissimo Helleborus niger, dal fiore bianco con l'interno giallo dorato, dal quale derivano le piante che si possono comperare in questo periodo nei garden. Ne scrivo ora perché leggermente anticipata la fioritura con la coltivazione, si trova pronto giusto per le festività natalizie, con un cespo verde compatto che può raggiungere i 30 cm, il fiore bianco che sfiorendo si sfuma di porpora, con un aspetto simile alla rosa selvatica e chiamato Rosa di Natale e ricomparso da qualche anno nei negozi dei fioristi, anche in più colori. Una pianta rustica, che sopravvive più facilmente della Stella di Natale ai climi freddi, anche all'aperto, riempiendo le zone a mezz'ombra, ed essendo perenne torna ad abbellire giardini e terrazzi tutti gli anni, con un minimo di cura. Avevo voglia di parlarne anche perché come pianta selvatica, è conosciuta fin dall'antichità per i suoi molteplici usi. La pianta come tutte le Ranuncolaceae, è altamente tossica, e come tanti altri veleni ha proprietà medicinali, ricordo che "farmaco" dal greco ha anche significato di veleno. Tutta la pianta è tossica, ma in special modo il rizoma e le sue radici contengono più di una sostanza potente che può condurre anche alla morte se usata in modo inappropriato. Soprattutto quello dal fiore bianco, che deve il "niger" del nome botanico per il colore nero della radice, mentre Elleboro potrebbe significare "che fa morire nutrendo". Come tutte le piante che avevano effetti sull'uomo anche questa entrò nell'elenco delle piante magiche e proprio nel medioevo fu usata come veleno, per fare fatture ed esorcismi, di elleboro pare si spalmino le streghe per riuscire a volare ai sabba, ma pure per curare scompensi cardiaci, come purgante, e soprattutto per curare la pazzia, anche se per questo uso già se ne parlava ai tempi di greci e romani quando si narrava di Ercole e Melampo guariti dalla follia grazie all'Elleboro nero, o raccontando del filtro magico di Circe che trasformò gli uomini in porci. Solo San Martino di Tours, nel suo soggiorno all'isola Gallinara, qui in Liguria al largo di Albenga, pare si nutrisse di Elleboro, senza conseguenza alcuna, non sapendo fosse così velenoso, ma d'altra parte lui era Santo. “ bisogna mandarlo per l’elleboro ad Anticira” Orazio Se a livello casalingo sono dimenticate dosi e modi di curarsi con questa pianta e non è proprio il caso di provarci, avendo attenzione anche se si usano i fiori per un bouquet su tavoli e simili, i contadini invece solo da pochissimi anni hanno smesso di curare gli animali con l'Elleboro, o forse qualcuno lo fa ancora, inserendo il rizoma appuntito sottopelle nel collo o nella coscia. La parte gonfiava formando un bubbone e l'animale guariva da diverse patologie. Rimaneva però il segno e l'animale era deprezzato in quanto si capiva che era stato malato. Ho letto da qualche parte che le bustine di polvere per starnutire, vendute a Carnevale non sarebbero altro che radice di Elleboro tritata, che per il potere irritante provocano forti starnuti. Non posso accertare se sia vero o meno, già come scherzo non mi pareva intelligente, nel caso fosse vero spero proprio che non sia più in vendita. Resta comunque da constatare quante nozioni si siano perse nella quotidianità, una volta fin da bambini si sapeva cosa ci circondava, cosa fosse velenoso e cosa no e come andava o non andava usato, anche senza nozioni scientifiche. I bambini una volta andavano a raccogliere gli Ellebori nei boschi per farne grandi mazzi da portare ai mercati dove erano venduti appunto come Rosa di Natale e guadagnare qualche soldo e sapevano di cosa si trattava. Il nome Rosa di Natale le viene da una leggenda che la crede fiorita nei pressi della grotta di Betlemme per le lacrime cadute da una pastorella che non aveva nulla da portare in dono al Bambin Gesù. Per contro la Poinsettia o Stella di Natale, Euphorbia pulcherrima, che l'ha sostituita ha pure una certa tossicità, se pur non così pericolosa, il lattice che secerne è irritante per la pelle, ma che dire allora del Vischio che è davvero tossico anch'esso? L'importante è saperlo. "Anna Onna, su svegliati, su lèvati e vammi in cerca dell'Elleboro nero, che il senno renda a questa creatura” La Figlia di Iorio G. D'Annunzio, 1903 * foto di Actaplantarum, cliccando sulla foto si accede alla scheda sul sito Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. 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