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- FIORI ANTICHI DEI MIEI GIARDINI SPARITI
Questo è un post nostalgico come succede solo a chi ha una certa età. Al giorno d'oggi a fine inverno si va in un garden si spende due soldi e si torna con i fiori, già pronti, praticamente destinati a vivere quel tot. Una volta no, una volta nei giardini delle case e se possibile anche di città non potevano mancare alcune piante, che venivano scambiate tra vicine, chi riusciva meglio a coltivare una cosa, chi l'altra, e ogni fiore aveva spesso un motivo per esserci. Oggi ve ne presento qualcuna di quelle che sono riuscita a salvare dai ruderi abbandonati, qui dove vivo io e perché non dovevano mancare nei giardini fino a qualche anno fa. Certamente la Rosa , ovviamente quella da sciroppo qui>>> di cui ho già parlato diffusamente sia di colore rosa che quella rossa. L' Erba della Madonna , il Sedum telephium, qui ho sempre visto quello a fiori rosa, ma so che esiste anche bianco. Su questa pianta, nelle sue diverse varietà, è stato fatto uno studio dalle Università di Firenze e Pisa, a seguito di alcune esperienze di un certo dott. Balatri dell'Ospedale San Giovanni di Dio di Firenze che ne hanno confermato le eccezionali proprietà nei casi di ulcere, giraditi, ascessi, dermatiti, ustioni e anche nel favorire la fuoriuscita di corpi estranei sottocutanei, come già la tradizione popolare sapeva. L'uso delle foglie fresche, spellate della pagina inferiore applicate direttamente o tritate è da sempre usato, per esempio, per curare giraditi. L'articolo dedicato a questa pianta dove troverete il pdf del dott. Balatri: qui Un altro sedum, il Sedum sieboldii , l' Erba Teresina , così chiamata perché fiorisce a ottobre, nella ricorrenza di Santa Teresa d'Avila La Bergenia, Bergenia crassifolia , con foglie larghe carnose che a fine inverno nei posti caldi, qui non prima di aprile, formava con i suoi fiori rosa le bordure di questi giardini, ma le donne di una volta tenevano segreto fra di loro quanto questa pianta servisse per le irrigazioni vaginali a curare infiammazioni e irritazioni della cavità vaginale in generale. E chi sapeva preparava un estratto concentrato facendo bollire rizomi e radici ... Il meraviglioso Lillà , Syringa vulgaris , qui che con il suo prepotente profumo è annunciatore della primavera. Ma quanti ricordano ancora che è pianta curativi per i disturbi di cuore, per l'ipertensione? e come il profumatissimo oleolito fatto con i fiori serva per i dolori reumatici e per i gonfiori alle gambe dovuti al caldo estivo? Vicino il prezioso Calicanto , Chimonanthus praecox , perché anche l'inverno vuole il suo fiore e il suo profumo, trovate tutto su di lui qui>>> La Pervinca , Vinca minor , qui il post, tappezzante, che per prima regala i suoi fiori blu, a parte essere usata per i filtri d'amore, seppur tossica, ancora oggi le sono riconosciute grandi proprietà nella cura dell'ipertensione e il meccanismo per il quale agisce ne fa una pianta benefica "per la salute del cervello" La semplice Tagete , Tagetes patula, cui tanti conoscono l'uso nei giardini e negli orti per combattere parassiti e funghi ma che si è dimenticato che lo stesso serviva per noi, il suo olio essenziale è un buon antimicotico, utile nel caso di zanzare e nello shampoo contro i pidocchi e contiene anche piccole quantità di antibiotico... per niente conosciuta anche come Calendula messicana. Non poteva mancare la Calendula , Calendula officinalis , per approfondire qui , le incredibili proprietà lenitive sulla pelle dell'oleolito, fatto con le sue corolle arancioni, specie nei bimbi piccoli per le dermatiti da pannolino, ma anche l'infuso, un casalingo rimedio per regolarizzare il ciclo e da qui il suo nome popolare "oro di Maria", mentre quello di Calendula pare sia dato dal fatto che fiorisce quasi tutto l'anno il primo giorno di ogni mese Fra le annuali, sempre presenti Astri, Zinnie, Cosmee, Gladioli, Dalie, Violaciocche, Bocche di Leone, e Garofani , e Fucsie chiamate qui Orecchini della Madonna , che se non erano famosi per le proprietà curative, con le corolle variopinte, attiravano le api e nel caso della Zinnia pare fosse il fiore della risata, sicuramente per i colori accesi che mettono allegria anche a guardarla Alte e preziose quelle che mia nonna chiamava Bismalva, l' Alcea rosea , in varie sfumature dal bianco al rosso scuro passando per il classico colore rosa, con le stesse proprietà più o meno della cugina malva qui e il Giglio di Sant'Anna , l' Hosta plantaginea a formare bordure con le foglie enormi e il fiore bianco profumato O quello di Sant'Antonio, profumatissimo, che tutte abbiamo portato in processione con l'abito della prima comunione O ancora il giglio turco, arancione, l'Hemerocallis, che pochi ricordano sia commestibile dal gusto di limone, qui per distinguerlo dall'altro, quello protetto dei boschi, il giglio di San Giovanni E a protezione della casa il così detto Guardiatrun , Sempervivum tectorum, non poteva mancare sui nostri tetti, vivendo del nulla, quella poca terra trasportata dal vento che si attaccava alle ciappe (ardesia), l'acqua che pioveva e sfidando gelo e neve proteggeva la casa dai fulmini e da temporali. Dalla casa di mia suocera, negli anni '70, ne tirammo giù uno intero che misurava più di un metro quadrato, ma... serviva anche per i calli, specie quelli fra un dito e l'altro. Una foglia tritata grossolanamente posizionata e tenuta in loco con una fasciatura dava sollievo e favoriva la scomparsa del callo e tanti la conoscono come Erba dei calli. Giardino Italiano - Gustav Klimt - Tutte piante e fiori rustici, semplici, di poche pretese, non bisognosi di particolare accudimento, come poco tempo avevano le donne di un tempo da dedicare al giardino. Spesso le fanciulle li usavano per adornare gli altari delle chiese delle nostre campagne, ricordo ancora, le domeniche sul piazzale, prima di messa le comari a scambiarsi pezzi di rametti, bulbi e semenze: - Maria ti ho portato la semenza di zinnia, ce l'hai le tagete da darmi?...- Cose di un tempo, giardini perduti, informazioni scambiate di bocca in bocca, nomi dati per associazione alla forma o al sollievo che procuravano... niente wikipedia... niente blog ... niente social ... ma tanta condivisione. Nei giardini dei ricchi c'era, magnifica, la Peonia ... qui >> DEL SALE, DEL SÂA E DELLA SAÖA, E ALTRO DALLE CUCINE ANTICHE CHE NON CI SONO PIÙ Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti . Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.
- OGNISSANTI O HALLOWEEN... DOLCETTO O SCHERZETTO? O CALDARROSTE ALL'INFERNO?
è l'è de' vivi che bisogna avè paura, no de' morti..! Gli zii di mia mamma intorno agli anni 20-30 del '900, nelle sere che precedevano l'uno e il due novembre, tentavano di impaurirla con una candela accesa infilata in una zucca intagliata, raccontandole di morti che per una notte ritornano tra i vivi e lei ne conservava un ricordo poco piacevole. Questi zii, oltre a non essere mai stati in America, erano cattolici praticanti, uno organista e l'altro campanaro, per tutta la loro vita, in una delle basiliche più belle di Liguria, la Basilica dei Fieschi, tanto da essere chiamati "I Parrocchia" come soprannome di famiglia, quindi impensabile un rito di sfregio alla loro religione. Qui, alta Val di Vara, ancora negli anni '50, prima della grande ultima emigrazione verso le americhe e le fabbriche, i giovani vagavano di casa in casa mascherati per chiedere un'offerta di cibo per i propri morti. In realtà in tutta Italia, senza scomodare altri paesi stranieri, ma un po' dappertutto è così, la fine dell'estate e quindi l'inizio del buio invernale venivano salutati con rituali che ricordano gli spiriti dei defunti, i poveri chiedevano qualcosa da mangiare a chi più ricco aveva accumulato più provviste per l'inverno e l'intenzione è sempre più o meno quella di accogliere con qualcosa i propri cari trapassati che per una notte tornano sulla terra, ai quali si accende una luce, che sia in una zucca, in una rapa o semplicemente una candela sulla finestra o un lumino acceso in casa. Dalla festa celtica di Samhain alle Parentalia romane si è arrivati al nostro Ognissanti e Festa dei defunti ... i miei ricordi di bambina sono nei lunghi rosari serali nella basilica a San Salvatore a far sciogliere gli Offiçiêu, con attenzione a non sporcare e bruciare la panca della chiesa. Questi offizieu o"mucchetti", propri della tradizione ligure, sono una sorta di lungo cerino avvolto attorno a delle forme in legno, che simulano piccole borsette, fiaschetti, cestini, scarpette, ecc. che venivano accesi e lasciati consumare durante il rosario serale di questo periodo. Facevano bella mostra nelle vetrine di pasticcerie e drogherie, e fra bambini era gara a chi aveva il più bello, il più grande. Spariti come tante altre cose, non c'è più nessuno che li fa e che li usa, i miei figli non ne hanno mai visto o acceso uno. Davanti ai negozi de tûtti i speziæ, esposti in bell'ordine pe mettine coæ gh'è un mûggio asciortio de belli offiçieu delizia, sospio de tanti figgieu Nicolò Bacigalupo Se posso comprendere il fastidio di qualcuno nei confronti della mercificazione di queste usanze, meno capisco chi non ricorda da dove arriva davvero tutto ciò e non certo dall'America. Nel dopoguerra, e io da lì vengo, abbiamo volutamente accantonato e dimenticato usi e tradizioni, modi di fare e di dire, cibi che ci ricordavano la povertà, la campagna, assettati di modernità e industria, che ci rappresentavano e adesso non riconoscendoli li chiamiamo addirittura strumenti del demonio... Meglio sarebbe, se si vuole davvero sapere cosa è Halloween, lo si chiedesse alla nonna, senza nemmeno scomodare i Celti. Gli uomini di tutti i tempi hanno sempre avuto paura del buio invernale che si avvicina in questa stagione e con qualsiasi rito cercavano di conservare e omaggiare la luce sperando che questa tornasse la primavera successiva. Nel nord dell'Europa i bambini facevano e fanno processioni di lanterne intagliate nelle rape, chiedendo offerte per i defunti e ogni paese ha la sua leggenda, ma tutte riportano ai morti che tornano per una notte. Per la facilità con la quale si trovavano più zucche che rape i primi emigranti in America iniziarono a intagliare quelle. Non è obbligatorio sottostare alle regole di mercato, si può sempre come me continuare ad intagliare la zucca dell' orto, a mettere candeline e cere ( se potessi avere ancora uno dei nostri offizieu! ) nella speranza che per una sera i miei morti ritornino, fosse possibile vederli ancora una volta! La zucca classica da intagliare qui dalle mie parti era il chéussu o zucca a fiasco, fra gli infiniti usi che ho cercato di elencare in quest'altro post >>> O CHÉUSSO Ai bimbi liguri venivano regalate "reste di balletti e mele carla" una sorta di collana che anche gli adulti si mettevano al collo per andare a messa la sera dei defunti. Con poca pasta di mandorla insaporita con curaçao, cacao, pistacchio, venivano confezionate fave e castagne arrostite dolci da regalarsi di casa in casa. Oggi è ancora possibile comperarle nelle pasticcerie più pregiate come Romanengo>>> Proverbi liguri ricordano che " Ognissanti senza becco, Natale poveretto " o " Pe i Morti, bacilli e stocchefisce no gh’è casa che no i condisce" dai quali si capisce che tradizione vuole un qualche volatile in tavola, che poteva essere il gallo, la faraona o altro da eliminare nel pollaio prima dell'inverno, o anche il bottino del cacciatore di casa, fagiano o (ahimè!!!) uccelletti, così da riservare le carni più pregiate del maiale a Natale. Oppure lo Stoccafisso con i bacilli , ovvero un legume tipo una piccola fava secca, praticamente introvabile, che negli ultimi anni è ricomparso con il nome di Favino, qui da me con le fagiolane, i grandi fagioli di Spagna, semplicemente bolliti e conditi con il primissimo olio nuovo. Venivano regalate i bamb In casa mia non c'erano grandi tradizioni culinarie per questo periodo, se non forse per i ceci o a volte fagioli a zimin, del quale ho già scritto qui>>>A Zimino . - zimino in cottura - Certamente erano i giorni delle castagne, nella tradizione fatte a " balletti", le castagne bollite con la buccia, ma ricordo con più piacere le serate fra ragazzi, qui, a fare le " Rustie all'inferno " caldarroste, spolverizzate di zucchero, innaffiate di grappa e accese poi sempre mescolando. È d'obbligo spegnere la luce durante il procedimento così da godere dello spettacolo, o almeno così a noi sembrava, ci si divertiva davvero con poco. Sempre perché ci si divertiva con quello che si aveva, finì in canzoncina la serata fra ragazze del dopoguerra che non avendo la grappa un po' ne chiesero ai giovani, i quali per vendicarsi di non essere ammessi al divertimento, offrirono una bottiglia di acqua al posto della grappa che alla fine non bruciò annacquando miseramente le castagne. Quando furono nel piatto pronte ben bagnate continuarono per mezz'ora a mescolar ma l'acqua dei Ghiggeri non volle mai bruciar La ricetta, con qualche attenzione, è quanto di più facile ci sia. Fatte le caldarroste, si sbucciano il più velocemente possibile cercando di tenerle in caldo. Si sistemano in una pirofila, si mette qualche cucchiaiata di zucchero, un bicchierino di grappa, si mescola e CON ATTENZIONE si dà fuoco, sempre mescolando. Bruciato tutto l'alcool si gustano le castagne così condite, quasi caramellate. Se proprio non c'è altra soluzione, è possibile fare qualcosa di simile a delle caldarroste nel forno o nel microonde, e ci sono decine di modi diversi. Uno è quello di praticare il solito taglio nella parte rotonda, mettere le castagne tagliate a bagno per 10 minuti in acqua tiepida, mettere sul piatto del microonde e far andare per cinque minuti alla massima potenza. Un sistema veloce per fare una minima quantità di castagne per una - due persone. Se se ne devono fare di più, dopo l'ammollo, si asciugano e si passano in forno a 180° per una mezz'ora, mescolando spesso. In entrambi i casi, a fine cottura, si mettono dentro ad un sacchetto di carta ben chiuso o in uno strofinaccio, per cinque minuti, in modo da poterle sbucciare bene. - castagne all'inferno - Per vedere la lavorazione degli Offiçêu qui: https://www.youtube.com/watch?v=X0_DvwpbILA&t=86s&ab_channel=PrimailLevante Per saperne di più sulle tradizioni italiane antiche di zucche intagliate e regali dolci ai bambini qui: https://www.thinkdonna.it/festa-ognissanti-commemorazione-dei-defunti-tradizioni-italia.htm?fbclid=IwAR1aN2r3aCS_WahxRUKOcWGktFrJYrkpUfYPXskK-jYR5wJAyLm0b4163Zw# Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LA MIA GIARDINIERA DELICATA
Mia per modo di dire, mia perché sono 50 anni che la si fa in casa, solo con questa ricetta. Le verdure che avevo a disposizione in questa urfida giornata di questo freddo e piovoso ottobre erano davvero poche e neanche tanto belle, prese di corsa ieri pomeriggio nell' abbandonorto , prima della pioggia, ma questo avevo e questo ho usato. Tre finocchi che stavano per spigare, il bianco di un porro, tre carote medie, l'ultimo piccolo cavolfiore, il cuore di un sedano, un piccolo pomodoro Camone, una piccola melanzana. Avendolo si può aggiungere un peperone, oltre a non averlo io non ne posso mangiare. Comperandole o avendone sono consigliate: carote, fagiolini, sedano meglio bianco, cavolfiore, finocchi, cipolline, peperoni. Vengono cotte in una soluzione di aceto, olio, zucchero e sale nella quale verranno poi conservate, e per questo resta un agrodolce delicato. La procedura presenta alcuni passaggi obbligati, lavare bene la verdura intera, tagliarla a pezzi regolari, tenendola separata per tipo, rilavarla, prima di metterla a bollire. Le proporzioni della verdura sono a piacere, quello che importa invece sono le proporzioni fra aceto e il resto. Per ogni litro di aceto servono 100 gr. di olio, 100gr. di sale 100 gr. di zucchero. Bisogna però considerare che questa dose serve per circa due chili di verdura pulita, perché poi bollendo rilascerà acqua e alla fine il liquido sarà più che sufficiente per invasare tutto, anche se all'inizio sembrerà che sia poca, ed è anche per questo che non aggiungo ne acqua ne vino. Oggi per la verdura in foto, che ho descritto sopra, ho usato mezzo litro di aceto con le debite proporzioni e mi è avanzato del liquido. Per mio piacere personale ho aggiunto qualche grano di pepe e una foglia di alloro. La cottura avviene scaglionata, prima le verdure più dure: le carote, poi i fagiolini, poi il sedano, poi cavolfiori, finocchi e cipolline. Si aggiunge il peperone all'ultimo e senza farlo bollire si spegne il fuoco. Fra una verdura e l'altra non deve passare molto, e soprattutto in totale non devono passare più di 15 minuti, perché le verdure rimangano bene al dente, croccanti, lasciandole raffreddare nel liquido continueranno a cuocere un pochino. Si preparano delle " arbanelle ", vasi pulitissimi e sterilizzati (per sterilizzare: lavati e vuoti un passaggio in microonde per 5 minuti o in forno a 110°), si sistemano le verdure, si aggiunge il liquido a coprire e si chiude. In alternativa, se le volete particolarmente croccanti o se vi è sfuggita la cottura, si tolgono dal liquido e si mettono le verdure a raffreddare su uno strofinaccio pulito, conservando il liquido di cottura. Quando tutto sarà freddo si riempiranno i vasi chiudendo bene. Verdure e liquido freddi non faranno sottovuoto, si conserva bene comunque, volendo si pastorizza come sotto. In casa mia non si conserva mai quasi nulla a lungo ma non perché va da male, ma perché lo mangiamo. I conservanti sono l'aceto, lo zucchero e il sale contenuto, bisogna calcolare anche la diluizione dell'acqua di vegetazione. Se si vuole conservare a lungo si possono pastorizzare i vasi come di consueto, coperti di acqua per almeno 20 minuti a secondo della misura del barattolo. Non è agra come un sottaceto, non è scivolosa come un sott'olio. Può essere usata come antipasto o come un contorno. Ci sono diversi modi per confezionare una giardiniera, per esempio le verdure cotte nell'aceto, lasciate asciugare e poi conservate sott'olio, ma io preferisco questa più delicata e per diversificare i sapori, tra funghi sott'olio e verdure sott'aceto. Conosciuta e usata in ogni parte d'Italia per conservare il sovrappiù dell'orto, le sue origini si ricercano in Piemonte, e dell'antipasto piemontese fa parte da sempre. Anche se quello chiamato Antipasto Piemontese è molto diverso, c'è il pomodoro per esempio e i peperoni che starebbero bene anche in questa giardiniera, ma io non li posso mangiare. Al sud gode di aggiunte quali olive, capperi, ecc. Il termine Giardiniera ha diversi usi e significati diversi che poco c'entrano con la pietanza. La Giardiniera, intorno al 1821 era una donna, quasi sempre appartenente all'alta borghesia, affiliata alla Carboneria, che apriva il suo salotto dove far incontrare pensatori e patrioti per parlare di libertà. Si radunava con altre per organizzare l' attività di sostegno alla causa di liberazione e unità nei giardini e per questo esse presero il nome di "Giardiniere", come i compagni Carbonari che si incontravano nelle così dette " vendite carbonare ". Fra di esse Adelaide Cairoli madre dei 4 fratelli Cairoli morti in battaglia, e molte che furono arrestate o uccise in battaglia. Diversi libri narrano la loro storia. Sempre nel XIX secolo viene usata la parola Giardiniera per definire la maestra d'asilo, con la creazione da parte di Friedrich Fröbel dei Giardini d' Infanzia intendendo paragonare i bambini a piante e fiori da accudire nello sviluppo naturale. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- A ZIMINO
Mà se ve l’ho da dî Spozoî me sento Mi ascí vegnî re lagrime in zimin, Mà finimola un pó piggiæ ò mandillo, E metemmo à re lagrime ò sigillo Antonio Pescetto, Rimme Galantinne A Zimin , in Zimin , a Zimino , Aziminu , come sempre chi la sa la dica. La parola si trova in un documento la prima volta nel 1698, i dizionari ne danno l'origine dal termine arabo samīn , grasso da cucina, ma proprio non è pietanza grassa, visto che in tutti i luoghi dove si usa questo termine ci si riferisce a qualcosa di magro o di pesce cucinato a mo' di zuppa con erbe. Nelle rime sopra si usa " lagrime in zimino " proprio perché di magro e quindi si poteva abbondare.. Forse alla maniera corsa Aziminu con la A davanti come a significare privato di grasso, successivamente persa la A per strada rimasto lo Zimino , che contraddistingue in Liguria qualunque fagioli, ceci, seppie, totani, cotti quasi sempre con bietole. A complicare le cose nel Sassarese lo Zimino è un piatto di frattaglie di agnello o di bovino arrostite alla brace , e zimino è sinonimo di pezzi... In Corsica Aziminu è una zuppa di pesce aromatizzata con profumate erbe e Pastis ... In altre parti d'Italia è più o meno come in Liguria, a volte le bietole sostituite dagli spinaci. Certamente un piatto di cucina povera, incredibilmente saporito pur senza l'aggiunta di grassi animali. Chi usa mettere cotenna di maiale, pancetta o simili non è nella stretta tradizione ligure. E tradizionalmente sono i ceci o le seppie i prescelti per questo piatto. Oggi io solo ceci. E storicamente questa zuppa di ceci era d'obbligo per il giorno dei morti, e direi che il tempo umido e nebbioso di questo strano inverno autunnale lo ricorda Occorrono ceci ammollati a bagno e cotti: io pentola a pressione, coperti di acqua fredda, niente sale, perfetti in 15 minuti massimo, anche dieci e semmai finiscono di cuocere nello zimino. Nel frattempo in pentola di terra, con olio evo, rosolo odori tritati, sedano cipolla carota aglio, e aggiungo le bietoline ad appassire, tagliate a listarelle con qualche cucchiaio d'acqua. Se non ho a disposizione gli odori freschi (succede) passo le bietole con un cucchiaio del mio dado vegetale (qui>>>) . C'è da precisare che ne esiste una versione con funghi secchi e una senza, con pomodoro o senza pomodoro. In realtà in casa mia il sapore lo danno proprio i funghi secchi, anche se si tratta di seppie o totani e quindi appassite le bietole unisco qualche fetta di fungo porcino secco, ammollato e un cucchiaio di pinoli tritati, lascio insaporire un poco e unisco i ceci con l'acqua necessaria per formare nel giro di mezz'ora un piatto simile ad una zuppa non troppo liquida. Altrimenti si può aggiungere anche polpa di pomodoro alla verdura e successivamente i ceci o le seppie. Via via si controlla sia il sale, sia la brodosità e si serve con una fetta di pane tostato, meglio la galletta, a lato. Se gradito aromatizzare con origano o rosmarino, raramente maggiorana, di recente peperoncino. Piatto corroborante, adatto a chi era preposto ai lavori di fatica, i camalli del porto, i pescatori, contadini, riempiva, nutriva e non costava. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- O CHÉUSSO, LA ZUCCA A FIASCO
Quest'anno la mia zucca di Halloween è stata proprio quella della tradizione nostra, dei miei nonni, dei miei zii che la intagliavano per spaventare le sorelle agli inizi del '900 e più tardi mia madre, un po' per dimostrare per l'ennesima volta come le zucche intagliate e festa compresa, non siano un'importazione dall'America, ma una tradizione dimenticata di ritorno, quando si è capito che si poteva mercificare. Tutte le mie considerazioni, quello che si è sempre fatto, le ricette della tradizione sono in questo altro post >>>OGNISSANTI O HALLOWEEN, DOLCETTO ecc Questa particolare zucca è quasi dimenticata, dopo essere stata presente nella vita quotidiana dell'uomo da migliaia di anni, in Liguria come in tutte le parti del mondo. Conosciutissima, chiamata chéusso, cossa, cusso, cösso e chi lo sa in quanti altri nomi, cresceva sulle téupie , le pergole che ogni casa di campagna aveva davanti all'uscio, insieme all' uva merella, l'uva fragola. foto dal web Talmente antico il suo uso che non si riesce nemmeno a rintracciarne l'origine, uno dei primi ortaggi coltivati, pare addirittura prima del frumento. Tracce ne sono state trovate fino a 13000 anni fa, sia in Africa, che in Cina ma anche in Messico, tutti i popoli ne hanno e ne fanno uso. Il suo nome botanico è Lagenaria siceraria, della famiglia Cucurbitacee, unica zucca presente prima della scoperta delle Americhe, quando arrivarono le altre, sempre stessa famiglia ma genere Cucurbita. Contrariamente a quanto si pensa è commestibile da giovane, una varietà, la Lagenaria longissima o Serpente di Sicilia è molto conosciuta al sud, e i suoi germogli chiamati tenerumi apprezzatissimi in zuppa. foto dal web Difficile possa venire in mente di mangiarla matura, la polpa di consistenza schiumosa è un purgante e un emetico e la buccia dura. Secca è leggera ed è stata usata come galleggiante per le reti e anche per imparare a nuotare. Seccando diventa come legno e da sempre l'uomo ha pensato che svuotandola dei semi e dei residui di polpa secca aveva a disposizione un recipiente ottimo per i liquidi acqua e vino, ma anche per farine, tabacco e simili. L'origine del nome viene dal greco lagenos che significa fiasco e l'uso antico è dimostrato nelle frequenti raffigurazioni in dipinti e statue. Specialmente nell'iconografia dei Santi, la Lagenaria è rappresentata quando si tratta di santi pellegrini come per esempio San Rocco e San Giacomo. Si usa anche una forzatura nella crescita per farla rimanere piatta come la più classica borraccia piatta In Cina è simbolo dei farmacisti in quanto vi venivano riposti erbe e rimedi vari. Svuotata e divisa, modellata, diventava recipiente, mestolo. Qui veniva usata per per concimare gli orti con la chintànn-a... e separare l'olio dall'acqua e i miei nonni che in tempi più moderni ne ebbero uno di lamiera, continuarono a chiamarlo cossu, mi ci volle un po' di tempo per capire che il nome veniva direttamente dalla zucca, Nel libro sotto come trasformarli in utensili di uso quotidiano https://www.amazon.it/Historic-Gourd-Craft-Traditional-Vessels/dp/0764328301 Prima ancora di pensare a svuotarla, semplicemente scuotendola, secca con i semi dentro, l'uomo scoprì uno dei primi strumenti musicali. Le vere Maracas ancora oggi sono fatte spesso con una zucca dipinta. In seguito zucche svuotate sono state usate come cassa armonica, uno dei Sitar indiani, Kaccapi vina , è fatto con una lagenaria svuotata e sei corde, e pure il Berimbau, strumento tribale emigrato dall'Africa con gli schiavi e diventato indispensabile elemento della Capoeira brasiliana. Non ci è voluto molto per pensare a decorarle e quindi dipinte, incise, disegnate sono diventate elemento decorativo di arredo. Qualche esempio in foto, ma si può trovare di tutto. Chi di noi, di una certa età, non ha avuto un presepe in una zucca? Non privo della giusta rilevanza, l'uso, comune in tutte le parti del mondo, che ne fanno alcuni gruppi etnici come astuccio penico, la Koteka. Dall'Africa al Nord America, ancora oggi in Papua Nuova Guinea gli uomini usano la parte opportuna della zucca essicata e svuotata a protezione del pene, tenuto con una cordicella di palma, dando a questo indumento, l’unico spesso indossato, simbolismi particolari, tipo protezione contro gli spiriti maligni a tutela della propria fecondità e decorato in maniera diversa a secondo dell'occasione nella quale viene messo caccia, danza, eventi sociali. Ultimi, ma forse chissà non ne trovo altri, l'uso nell'orto per allontanare roditori e istrici e quello nella medicina popolare L'odore delle foglie di una varietà, la Lagenaria Mayo Giant, sembrerebbe essere sgradito e quindi in un orto a carattere familiare, una pianta di Lagenaria, opportunamente cimata per non sopraffare le altre coltivazioni, potrebbe tenere lontano fastidiosi visitatori notturni. Ho già scritto della polpa che ha effetti purganti e emetici, e un impiastro con le foglie pari curi il mal di testa. -foto da Actaplantarum- Mi resta da fare una piccola considerazione personale. Al di là degli innumerevoli impieghi di un qualcosa che cessato l'uso ritorna alla terra, alla natura, senza lasciare traccia, mentre per tutte le cose che si possono fare si spreca spesso plastica, chi mai ci restituirà la fantasia, l'inventiva, che una semplice zucca in tutto il mondo ha saputo suscitare? Qualche anno fa, quando per curiosità un amico le aveva seminate, me le portò dicendo che nessuno sapeva cosa farne... Servirà l'intelligenza artificiale? Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- DUE MARRONI...
Che sia questa la mia svolta nella volgarità più becera? Quando mai! No! Intendo parlare proprio dei marroni, la castagna che l'uomo ha sapientemente coltivato, innestato, selezionato per ottenere un frutto più liscio, più grosso e più facile da sbucciare. Le differenze si comprendono bene con l'immagine sopra. Una castagna, se pur di dimensioni ragguardevoli, vicino a un marrone è di dimensione più piccola, ma soprattutto l'interno della castagna è arzigogolato in numerose pieghe dove si infila la pellicina mentre il marrone è liscio e quindi risulta molto più facile da pelare. Un Regio decreto del 1939 >>> stabilisce la differenza fra castagne e marroni, come confezionarli e come spedirli, e di quanti frutti deve essere composto un chilo. La foto non fa sentire il gusto, se pure più neutro, cioè alcune varietà di castagne possono sembrare più saporite, ma il marrone è almeno il 20% più dolce di una castagna normale. Ragion per cui l'uso più scontato è quello nei dolci e quindi Marron Glacè e Mont blanc e marmellata. Il prezzo è purtroppo un elemento deterrente, perché molto più caro della comune castagna, quando poi non succeda purtroppo di trovarle bacate, ed è per quello che dopo una brutta esperienza non ne ho mai più comperato. Tanti anni fa un amico piantò pochi alberi di marroni non lontano da casa mia e mi chiedeva tutti gli anni di andare a vedere se le nuove piante avessero cominciato a produrre. Stamattina mi è tornato alla mente, e vista la buona produzione di castagne, anche grandi, mi sono decisa ad andare. Lui non c'è più, ma le sue castagne c'erano, grosse, belle e sane. È stata un'emozione trovarle e pensare a lui, grande amico della mia adolescenza. Purtroppo non ci è stato concesso di mangiarle assieme e negli anni scorsi, dopo la sua scomparsa, fra il cinipide, la siccità, la scarsa produzione, un po' di malinconia, non ero più andata a vedere. Nonostante qualcuno ci avesse pensato prima di me, qualcosa era rimasto. Giusto quelle da fare qualche marron glacés e forse un cucchiaio di Mont blanc... MARRON GLACÉS CASALINGHI Come sempre fatti un po' a modo mio Ho tolto la buccia esterna, l'ho messi in acqua fredda e ho bollito una quindicina di minuti. Pelate molto facilmente da calde, ho preparato uno sciroppo di zucchero fatto con 250gr di acqua e 250 di zucchero. L'acqua deve coprire bene i marroni, si pesa e si aggiunge lo stesso peso di zucchero. Si mette al fuoco, si possono aggiungere i semi di una bacca di vaniglia, si fa bollire per cinque minuti, si mettono le castagne pelate una a una delicatamente e si fanno sobbollire per un minuto. Si spegne. Si copre e si lascia tutto lì per 24 ore. Si tolgono le castagne, si rifà bollire lo stesso sciroppo e si immergono di nuovo facendo bollire per un minuto. Si spegne e si copre per altre 24 ore e così per almeno 4 volte in totale. Al quarto giorno si mettono a raffreddare su una gratella. Se nel corso delle operazioni se ne rompe qualche pezzo non importa, sono buoni lo stesso e servono per decorare il Mont blanc. È possibile rifinirli sopra con un glacé fatto con poco sciroppo avanzato e zucchero a velo mescolati. Se dovesse avanzare dello sciroppo anche quello può essere conservato e usato per dolcificare qualsiasi cosa. MONTBLANC A MODO MIO A modo mio perché trovate casualmente le castagne l'ho arrangiato con quello che avevo in casa, e per fortuna avevo una confezione di panna fresca. Per questa ricetta ho provato a cuocere i marroni in maniera diversa della precedente. Incise, l'ho messe a cuocere per in acqua fredda per una quindicina di minuti, poi l'ho pelate. Tutto sommato ritengo meglio il metodo di sbucciare prima le castagne, farle bollire e poi pelarle. Una volta pelate facilmente, ma nel caso di questo dolce anche dovessero rompersi non ha molta importanza, visto che poi vengono passate, le ho messe in una pentola con del latte e zucchero. Avevo inizialmente circa 250gr. di castagne con la buccia, ho aggiunto circa 300ml. di latte e 50gr. di zucchero, un cucchiaino di estratto di vaniglia o i semi di una bacca e ho fatto bollire piano per una ventina di minuti, facendo molta attenzione che assorbissero tutto il latte e non bruciassero. Devono diventare morbide tanto da poter facilmente essere schiacciate anche con una forchetta. Se dovesse mancare il latte va aggiunto fino a che le castagne non sono cotte bene. Con uno schiacciapatate, con un passaverdura o con quello che si vuole ridurle a una purea consistente. A questa purea le ricette prevedono l'aggiunta di qualche cucchiaio di cacao amaro, non l'avevo, ho sciolto poco cioccolato fondente e ho messo quello, più un cucchiaino di rum. Ho mescolato tutto bene. Ho formato con la purea una montagnola su un piatto, rigandolo con una forchetta, non mi piace fatto come viene passandolo nello schiacciapatate, a vermicelli, e mi piace più morbido, giusto quel tanto che stia su. Una generosa porzione di panna fresca montata al momento sopra, pezzetti di cioccolato fondente e amaretti rotti perché non avevo la meringa, che si trova spesso nelle ricette, ma ci stavano benissimo. Marmellata di Marroni Ho già fatto la marmellata di castagne altre volte, certo con i marroni è tutto più facile. Pare che il metodo migliore per pelarle bene sia quello di inciderle con un taglio, metterle a bagno per mezz'ora, farle cuocere in acqua bollente per 4 cinque minuti, e poi asciugate bene su una padella calda. Procedimento da fare poche castagne alla volta. Una volta pelate si pesano, si rimettono in pentola, si coprono d'acqua e si fanno cuocere per almeno mezz'ora, 35 minuti, fino a che non si spappolano e l'acqua è quasi tutta consumata. Si frullano con un mixer o con un robot fino ad avere un composto liscio. A questo punto, tenendo a mente il peso delle castagne pelate, si aggiunge 600gr di zucchero a chilo e si fa cuocere con molta attenzione girando spesso fino a che non si ottiene la consistenza di una marmellata che vela il cucchiaio. Alcune ricette prevedono metà zucchero integrale, alcune un aggiunta di estratto di vaniglia, altre rum. Per una volta, cosa che non faccio mai con le mie marmellate, ho bollito per venti minuti i barattoli dopo averli chiusi, perché mi è successo che la marmellata di castagne sia più deperibile di altre e dopo tanto lavoro sinceramente dover aprire e trovare della muffa... E SE LE CASTAGNE NON CE L'HAI? Se non ce l'hai te le fai finte. Biscotti a forma di castagna fatti con una parte di farina di castagne e immersi nel cioccolato fondente Ne avevo giusto un rimasuglio in frigo e per completare il post ne ho fatto qualcuno. Gli ingredienti semplicissimi: 60gr. di burro ammorbidito 50gr. di zucchero a velo un uovo piccolo (ma si può fare senza) 80gr. di farina di castagne 60gr. di farina 00 cioccolato fondente per finire i biscotti Mescolare zucchero e burro ammorbidito, unire l'uovo e poi le due farine, fino ad ottenere un impasto morbido. Lasciar riposare per mezz'ora. Riprendere l'impasto e formare delle palline, appiattirle da un lato e creare una punta per assomigliare la forma a una castagna. Cuocere in forno a 180° per una ventina di minuti massimo mezz'ora. Lasciar raffreddare, sciogliere il cioccolato a bagnomaria e immergere i biscotti con la punta lasciando scoperto il fondo. Altre ricette sul blog con le castagne qui: IL CASTAGNACCIO DOLCE O SALATO>>> PAN MARTIN>>> DELL'USO DELLE FOGLIE DI CASTAGNO>>> STRUDEL DI FARINA DI CASTAGNA>>> PASTA FRESCA DI FARINA DI CASTAGNA>>> CALDARROSTE ALL'INFERNO>>> I CÀSSARILEU >>> Diverse varietà di marroni sono coltivate in Italia e hanno l'Igp o altri prestigiosi riconoscimenti, come si può leggere sulla Gazzetta Ufficiale di cui sopra, fin da allora sono nominati come gli unici a essere riconosciuti di categoria AAA quelli di produzione della Campania " i marroni di Napoli" che addirittura erano 48 in un kilo. Ma Toscana con il Marrone del Mugello, Veneto con i Marroni di San Zeno e quelli del Monfenera e i Marroni di Combai, Emilia Romagna Marroni del Castel del Rio, i Marroni della Val di Susa, nel Cilento i Marroni di Roccadaspide, e in Irpinia quelli di Serino e chissà quanti non so. La castagna una volta si mise in dosso una sua veste orrida, spinosa, spiacevole, coprendosi tutta insino al volto, talché li viandanti non ardivano toccarla, anzi detestandola la schifavano. Passando per la selva Autunno, l a pregò che ‘l volto si scoprisse e dicessegli chi ella era. Il che fatto, e la sua grata condizione conosciuta: – Quanto son pazzi li omini – disse Autunno – che da la vista di fòra de l’altrui condizione fanno iudicio! - Pandolfo Collenuccio - A CANDIDO Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- ZUPPA FUNGHI, ZUCCA E CASTAGNE
Questa è la mia cena preferita quando torno dal bosco tardi, con poche cose raccolte, qualche galletto, qualche trombetta da morto, se c'è un piccolo porcino, le prime castagne cadute. È sicuramente così buona perché passa talmente poco dal bosco al mio stomaco che tutti i sapori sono intatti, saziante e per me a costo zero. Sui funghi non mi dilungo ne ho già parlato qui>>> e qui>>> anche per riconoscere quelli che raccolgo e mangio. Dunque oggi sono uscita tra un'allerta meteo e l'altra, uno squarcio tra le nuvole ha fatto spazio a un raggio di sole caldissimo, di corsa sono scesa nel bosco e ho trovato qualche galletto e due trombette da morto e un bel porcino, che conserverò per fare con dei taglierini verdi. Per prima cosa metto a cuocere in acqua fredda una decina di belle castagne sbucciate dalla buccia marrone. Scelgo per questa zuppa i galletti e le trombette per il sapore più deciso. Tolto il fondo del gambo e lavo. Piccola parentesi, vanno dimenticate le dicerie sul non lavare i funghi, è necessario passarli velocemente sotto l'acqua, nel caso dei galletti sotto la doccetta perché, sempre molto velocemente, l'acqua passi tra le lamelle sotto e si porti via la terra e eventuali animaletti. Pochi per volta tra le mani e poi messi in un colapasta. Su di un tagliere, quelli che si vedono in foto servono per due porzioni, taglio grossolanamente. Nella pentola di terra, sul fuoco, poco olio e uno spicchio di aglio. Sono della scuola che non leva l'anima all'aglio a meno che non sia talmente vecchio e il germe già verde e spuntato, ma anche lì... dipende. Anche l'aglio intero non fa parte delle mie abitudini e men che meno lo tolgo a un certo punto, ricordare che l'allicina, la responsabile dell'odore pungente ma anche delle immense proprietà dell'aglio si libera solo quando è tagliato o pestato e nell'olio dà il suo massimo e probabilmente è in maggior quantità nel germe. E tra l'altro togliere il germe non lo rende più digeribile, solo meno pungente, se non si digerisce non si digerisce a prescindere. Torno alla zuppa. Nell'olio caldo metto i funghi tagliuzzati e li faccio passare, aggiungo una manciata di zucca tagliata a quadretti, meglio se una zucca pastosa, tipo Delica. Do qualche giro con il cucchiaio, faccio insaporire qualche secondo e copro con acqua calda e finisco con un cucchiaio del mio dado vegetale qui>>> Aggiungo una bella patata bianca sempre a tocchetti ( si può anche non mettere) Lascio cuocere per 15-20 minuti con il coperchio a fuoco basso, dopo passo o schiaccio solo una parte della zuppa, magari anche solo con due giri con il minipimer per renderla più cremosa, ma non completamente tutto. Nel frattempo le castagne saranno quasi cotte, le sbuccio della pellicina e le aggiungo negli ultimi minuti, aggiusto di sale ed è pronta per essere servita, se si vuole con crostini di pane o anche no se è abbastanza cremosa. Per come fare i crostini qui>>> Per decorare e perché dà sapore, un rametto di timo. C'è voluto sicuramente di più a scrivere questo articolo che a fare la zuppa... a mangiarla poi... e come diceva mia madre: - A m'è arriva fin-na inte ongæ di pê - E domani taglierini verdi all'ortica con il porcino di cui sopra. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- PISAREI E FAŚÖ
Tempo di zuppe e piatti caldi, corposi, sazianti e riscaldanti. Fra questi i Pisarei e fagioli, non proprio una zuppa, non proprio una pasta asciutta, un piatto che ho imparato da sola, da un'enciclopedia comperata anni fa e mai mangiata nella zona di origine: il Piacentino. Quindi trattasi di esperienza personale, mi perdonerà chi li sa fare veramente. Piatto povero, si racconta che i monaci lo servissero ai viandanti che passavano sulla via Francigena, nutriente e appagante oltre che poco costoso. Ricetta antica , Fasò si capisce sono i fagioli, che con gli arrivi dalle Americhe nel tempo sono cambiati, da quelli piccoli con l'occhio ai borlotti (qualcuno mette i cannellini), all'aggiunta del pomodoro, Pisarei sono dei piccoli gnocchetti di pane grattato e farina che cotti in acqua bollente vengono poi conditi in un sugo di fagioli. Spesso li faccio quando mi avanzano dei fagioli bolliti per qualche altra pietanza, si conservano nell'acqua di cottura, ben chiusi in un contenitore in frigo, anche 4 o 5 giorni. Prima faccio l'impasto (con queste dosi vengono tre piatti abbondanti) 50gr. di pane grattugiato 130 di farina, spesso la metto integrale, anche se è un po più difficile da lavorare sale acqua tiepida quanto basta per un impasto compatto che metto a riposare sotto una ciotola mentre preparo il sugo. Nella casseruola, se possibile di terra, (la mia si è rotta!!! dopo tanti anni di onorato servizio e un numero di traslochi incredibile), metto i classici odori cipolla, sedano carota, ma anche solo cipolla e poco lardo pestato con un niente di aglio, i piacentini doc usano la pestata di lardo , cioè lardo tritato a lungo con un coltello grosso e pesante, al quale si aggiungono aglio e prezzemolo tritati finemente fino a ottenere una pasta morbida. Spesso si scalda il coltello per arrivare a un risultato pastoso. Faccio imbiondire questo trito, poi butto i fagioli con parte dell'acqua di cottura e faccio passare, insaporire, dopo qualche minuto aggiungo il pomodoro passato e cuocio a fuoco basso mentre formo i pisarei dall'impasto che ha riposato. . Dall'impasto prendo una piccola parte che allungo in un rotolino e da questo stacco delle porzioni di pasta grosse più o meno come i fagioli, che finisco incavandole con la pressione del pollice . Sulla bravura nel formare i pisarei, pare che le suocere valutassero l'affidabilità delle future nuore, probabilmente io sarei rimasta nubile, ma non li ho mai fatti con una piacentina doc e come li faccio li faccio piacciono molto. Sull'etimologia della parola " pisarei " ci sono diverse versioni, la più verosimile sembra derivare dallo spagnolo " pisar " nel senso di schiacciare, l'azione che si fa con il pollice per dare al pezzetto di pasta per dare la forma. Altre alludono a spiegazioni più terra terra, ma lasciamo perdere. Quando il sugo è pronto cuocio i pisarei in abbondante acqua salata come qualsiasi gnocco, pochi minuti e appena venuti a galla, dopo qualche bollore, li raccolgo con la schiumarola e li metto a insaporire nel sugo di fagioli per qualche altro minuto. Il risultato è a mezza strada fra una zuppa non troppo brodosa e una pasta non troppo asciutta. Per chi è vegetariano, tolto il lardo, è una valida alternativa al sugo di carne, come era nell'intenzione dei monaci che lo servivano ai pellegrini di passaggio, bisognosi di nutrimento, per proseguire il viaggio a piedi per raggiungere Roma Viandante non c'è via, la via si fa con l'andare Antonio Machado Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- DELL'ERICA E DEL BRUGO
Calluna vulgaris o Brugo L’ha mai osservata l'erica, Isabella? E’ tormentata dai venti, dalle tempeste, dai ghiacci dell’inverno, eppure l’erica resiste, rimane attaccata alla sua terra e alle rocce sempre e comunque, non tradisce mai, non le abbandona per rifiorire in posti più tranquilli, le sue radici non muoiono, sanno che il loro destino è legato alla brughiera, anche se aspra e ostile, ma l’amano così com’è, senza riserve. Brugo o Calluna vulgaris Molti ma molti anni fa ebbi una discussione con un amico apicoltore che in questo periodo trasportava le sue api più in alto su queste colline perché producessero un buon miele di Erica. Il mio pensiero era che quella che fiorisce adesso non è Erica ma Brugo, mentre lui insisteva dire fossero la stessa pianta con due fioriture annuali e finì con io che a suo dire non capivo niente e che l'apicoltore era lui. Dopo tanti anni quando a fine estate rivedo l'amato P asso del Biscia ricoprirsi di un manto roseo, al di là del desiderio smodato di mettermi a urlare Heaaaaaathcliffffff! fra la nebbia, ogni tanto mi viene in mente che non sono mai riuscita a convincere l'amico apicoltore, ma, mentre lui non fa più miele, io sono ancora qui a parlare di erbe. Il peccato non era gravissimo, in quanto molti pensano davvero che sia la stessa pianta, quando invece, oltre a evidenti differenze se si osservano bene, basta il periodo di fioritura per definirli: l' Erica carnea fiorisce a fine inverno, il Brugo a fine estate. Ovviamente la famiglia è la stessa, ma per questo anche i mirtilli sono della famiglia delle Ericaceae. Una l' Erica carnea , o specie simile, da "frangere", il Brugo, la Calluna vulgaris , da "scopare" per l'uso che se ne faceva nel fabbricare scope. Più o meno lo stesso habitat, spesso vicine, il portamento quasi uguale, piccoli arbusti, a volte striscianti, il colore simile, ma le foglioline nell' Erica assomigliano di più ad aghi, sempreverdi, i fiori leggermente più grandi, più rigonfi e più chiusi di quelli del Brugo e dal colore roseo più intenso, che ricorda la carne appunto. Le differenze evidenti nelle foto sotto. L'Erica in questo periodo presenta i fiori in formazione, quindi non ancora completamente definiti e senza il colore che li contraddistingue, il Brugo è un trionfo di rosa. Si notano le foglie completamente diverse, successivamente aggiornerò il post con il fiore dell'Erica sbocciato, per il momento nelle foto sotto il fiore chiuso e una foto di Actaplantarum di erica fiorita, così per vedere la differenza. Erica carnea a fine inverno - foto di Actaplantarum - La fioritura appunto in due epoche diverse, da adesso fino a novembre il rosa delicato del Brugo mentre a fine inverno, quando ancora qui e là sprazzi di neve dai quali spunta il rosa carico dell'Erica. Due piante officinali entrambe, usate nella farmacia del contadino per le vie urinarie, cistiti, più potente l'Erica, la specie " cinerea ", per il colore tendente al grigio della corteccia e presente solo in Liguria e Piemonte, inserita insieme alla Calluna nella lista di piante medicinali ammesse dal Ministero della Salute. Entrambe mellifere, il miele ottenuto ottimo ugualmente, quindi la discussione di cui all'inizio post aveva poco senso per l'amico apicoltore, mentre per un appassionato di piante è diverso. Se si vuole essiccarne un po' per le composizioni di fiori secchi con l' Erica è praticamente impossibile, mentre il Brugo è più resistente. A questo link parlo dell'altra Erica, l'Erica erborea e dell'uso per fare le scope https://www.lellacanepa.com/single-post/di-scope-e-di-streghe Come in Italiano Erica anche la traduzione inglese Heather è usata come nome femminile, ma la traduzione esatta è brugo. Il brugo è uno dei fiori nazionali di Scozia e Norvegia, la brughiera più famosa è quella delle sorelle Brontë, la brughiera di Haworth, dove ambientarono i loro romanzi, Cime Tempestose e Jane Eyre, e le traduzioni confondono, come molti, brugo con erica e pensano siano la stessa pianta che fiorisce due volte, visto che le due piante vivono praticamente assieme come si vede nella foto sopra. stessa località, sopra: fine inverno cespuglio fiorito di erica carnea, si capisce dalla vegetazione intorno che siamo a fine inverno sotto: fine estate cespugli di Callunna vulgaris o brugo, fiorito In questi anni ho visto diminuire tantissimo le piante, su al passo, una volta davvero due volte l'anno era ricoperto di un manto rosa, forse per le stagioni sempre più diverse e per l'avanzare di vegetazione che prima non viveva lì. Questo non impedisce a me di sognare ancora e alle prime nebbie udire nel vento che sferza fischiando, anche stasera, al tramonto, mentre facevo le fotografie, Catherine che chiama il suo Heathcliff ... «Helen, tra quanto tempo potrò salire sulla cima di quelle colline? Che cosa c’è al di là? Il mare?» «No, signorina Cathy,» rispondevo io, «ci sono altre colline, proprio come queste.» «E che aspetto hanno quelle rocce dorate a guardarle da sotto?» mi chiese una volta. Lo strapiombo della Rupe di Penistone la attirava in modo particolare, specialmente quando era illuminato dal sole al tramonto, e tutto il paesaggio intorno era in ombra. Io le spiegavo che erano soltanto una massa di nude rocce, con così poca terra nelle fenditure da non lasciar crescere neppure l’albero più stento. Emily Brontë, Cime Tempestose, Capitolo 18 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- FUNGHI, FUNGHI, FUNGHI
- Aspetta, aspetta un attimo che ci devo prendere l'oomia - Se qua vivo, la colpa va tutta ai funghi. La grande passione di mia mamma nel cercarli sperando di trovarli, ci ha portato in questa vallata tanti anni fa quando ero piccola piccola. Erano anni quelli che in Alta Val di Vara il fungo porcino secco era una risorsa importante nella vita di contadini, che non avevano grandi coltivazioni redditizie a disposizione. Erano anche anni che i funghi nascevano i grandi quantità per via dei boschi tenuti bene per un'altra risorsa, la castagna, e funghi di un'ottima qualità, facendo del fungo porcino della Val di Vara quello che era già ai tempi di Gioacchino Rossini , musicista, grande gourmet e gourmand, che solo i Porcini secchi delle suore Agostiniane di Varese Ligure voleva per i suoi piatti prelibati. Quindi tramite amici comuni, mio padre e mia madre con me di tre anni, lasciata la moto ad Arzeno , si passò il Monte Biscia a piedi, per venire a trascorrere un fantastico mese di settembre in una casa isolata ai piedi del Monte Chiappozzo , senza luce elettrica, acqua corrente, ma circondati da boschi di castagno dove i funghi si vedevano dalla finestra. Quell'anno, ho ancora le immagini in mente, oltre ai funghi del bosco di castagno vicini alla casa, il marito della nostra ospite, un b&b ante litteram quando non esisteva nemmeno la parola, andava e veniva dalla faggeta del Monte Zatta con la còrba in spalla piena di funghi. Momenti indimenticabili, che abbiamo quasi rivissuto nell'ottobre del 1999, quando i funghi nascevano ovunque, anche uno sopra l'altro, e che mia madre per fortuna è riuscita ancora a godersi . Non divenne mai una vera fungaiola, di quelli che ho imparato a conoscere dopo, quelli che i funghi li hanno nel sangue, che li fanno nascere mentre camminano, che intuiscono il momento giusto per andare nel posto giusto... ma si divertì sempre molto e ogni fungo trovato era un racconto. Poi un giorno mio figlio, il primo, mentre eravamo a pascolare la mucca, a tre anni, allontanatosi di pochi metri vicino a un castagno, tornò con un porcino di quelli biondi con il gambo lungo, dicendo: - Mamma, cog'è quetto ?- Ecco, era nato il fungaiolo di famiglia. Non mi dilungo a raccontare altro, ma da allora è stato tutto un crescendo. Gli altri bambini a scuola facevano la settimana bianca, lui la settimana dei funghi. Il vicino, Silvano, di La Spezia, (un nome una garanzia) fungaiolo vero ed esperto, che per scherzo lo portava con sé nei boschi, un giorno mi disse: - Non lo porto, più. Mi trova tutti i funghi lui. O quando, a nove anni, mi telefonò dal ritiro spirituale per la prima comunione, dicendomi -vai nel tal posto, vicino alla tale capanna che stamattina dovrebbe esserci un fungo-. Basta. Se pensavate fosse un post per aiutarvi a riconoscere i funghi o a cuocere i funghi non sapevate che il fungo è come il pesce per il pescatore, mentre lo racconta diventa sempre più lungo. Comunque per la mia tavola esistono poche specie di funghi e tutte riconoscibili con certezza. Porcini, colombine, galletti, tiulli, prataioli, ovuli, qualche trombetta da morto. So che per chi non li riconosce è difficile anche capire un porcino, ma è esattamente come per le erbe del Prebuggiun . Intanto prima si impara, meglio si impara. Poi dimmi con chi vai e ti dirò cosa impari. Infine al qualunque minimo sospetto di non commestibilità eliminare senza rimpianti. Come dicevo la metodica è la stessa delle erbe. Abbigliamento comodo, scarponi, bastone e cestino, MAI ma proprio MAI sacchetto di plastica. La pratica e la conoscenza di luoghi che devono esserci familiari, non solo quando nascono i funghi. Capire i posti dove nascono perché ci si imbatte per caso o per intuizione, la zona del bosco che rimane umida ma è baciata dal sole, per esempio, il particolare albero ben strutturato che con il porcino è simbionte, il giorno giusto dopo le piogge, il vento no, troppo sole no, la luna nuova ... Insomma non è solo fortuna o studio ma passione e voglia di camminare. E poi bisognerebbe che nascessero come una volta, che i boschi fossero puliti come una volta e che le persone che li frequentano fossero più rispettose della natura, senza predare inutilmente tutto quello che vedono, buono o cattivo, con la voglia di distruggere o di raccogliere anche l'inutile. - È tacito, è grigio il mattino; la terra ha un odore di funghi; di gocciole è pieno il giardino - Giovanni Pascoli - Myricae Per la commestibilità dei funghi non c'è da scherzare, ogni anno qualcuno ci rimette la pelle o il fegato rovinandosi per sempre, per aver raccolto e cotto con leggerezza. Qualunque consiglio scritto a mio parere è inutile, qualunque fotografia non serve, non serve sentire il profumo, non serve descrivere l'habitat, serve la pratica. Serve imparare sul posto con persone esperte. Servono i corsi istituiti dai gruppi micologici, serve portare i funghi raccolti, se non si è sicuri, presso lo sportello della propria Asl, rintracciabile su web alla voce Controllo funghi epigei. La stessa Asl, normalmente, si occupa dei corsi o fornisce gli attestati per la commercializzazione o l' abilitazione alla vendita. Qualche foto di confronto dei funghi che raccolgo io a questo post dell'ottobre 2021, altra grande annata di funghi https://www.lellacanepa.com/single-post/funghi-e-ancora-funghi-s%C3%AC-ma-quali-funghi Anche se avevo già scritto del TÓCCO DE CÀRNE E FÓNZI NÉIGRI ( qui>>> ) non posso terminare senza almeno qualche accenno di ricetta... FUNGHI RIPIENI AL FORNO : Facili, preferibilmente colombine, da lasciarci anche i porcini. Su un letto di patate crude, salate e oliate dispongo a testa in su le migliori cappelle di colombine. Copro con un trito di funghi, le cappelle quelle non proprio belle, i gambi sani, galletti, mescolate con pane bagnato nel latte, aglio e origano o se si preferisce prezzemolo, uovo, olio, e poco formaggio parmigiano. In forno a 180°. TAGLIERINI ALLA BOSCAIOLA Appronto i taglierini Con la nostra (del vicino e mia😂) farina integrale a fontana metto le uova, diciamo quattro per mezzo chilo di farina, impasto con vino bianco secco fino a formare una palla omogenea. Lascio riposare un pochino sotto una ciotola, poi stendo una prima passata con il matterello, finisco con la macchina della pasta non troppo sottili, perché mi piacciono così, per le tagliatelle preferisco una tiratura più sottile. Mentre riposa la pasta preparo i funghi Puliti e tagliati a pezzi non troppo piccoli spadello velocemente in padella in olio e aglio, un attimo con il coperchio perché tirino fuori l'acqua, finisco la cottura con con un cucchiaio di formaggio molle fresco light e poco latte. Meglio la panna forse, ma meno pesante e in casa non se n'è mai accorto nessuno, e garantisco il risultato. Spolverata di prezzemolo. Potrei narrarvi ancora di risotti e funghi fritti , polenta e sughi e funghi crudi ... e scriverò, spero... se nascessero due funghi... Vi lascio con il meraviglioso ritrovamento d ieri dell'amico Fabietto, due griffi Grifos frondosus (Dicks.) Gray, 1821 Grifola frondosa , al prezzo di uno ... meraviglia ... Dimenticavo, la frase iniziale " Aspetta che ci devo prendere l'oomia ..." era la frase che pronunciava ogni volta mia madre entrando in un bosco. La parola " Oomia " , non so nemmeno se si scrive così, è un termine, dialettale intraducibile, che ho scoperto dopo essere di origine marinaresca, che si riferisce al "prenderci le misure" al bosco o meglio farci l'occhio. Si definisce meglio con l'esempio di quando si va in un bosco con uno del posto che trova i funghi e noi no. Proprio perché il nostro cervello "si abitua" a riconoscere la tale pietra, il tal cespuglio, il tale albero e vede subito il nuovo, il fungo che prima non c'era, anche noi entrando dobbiamo dare il tempo al nostro cervello di adattarsi a quello che c'è intorno, così che girando intorno lo sguardo dopo un po' vede il fungo. Provate anche in casa quando cercate una cosa che avete perso. Distogliete lo sguardo e ritornando la troverete. Chissà se mi sono spiegata... vabbè, ditelo ... questa non la sapevate. Vi porto un minuto nel bosco con me. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LA NEPETELLA, anzi ... LE NEPETELLE!
Post difficilissimo, che non volevo nemmeno scrivere, ma tant'è mi piace il rischio, perché in questo caso la strada per arrivare è tortuosa e piena di insidie, nelle quali da semplice appassionata quale sono potrei cadere. La storia: C'era una volta, ma tanto tanto tempo fa, mia madre che tornò da una vacanza alle terme di S.Carlo, tutta presa dai saporiti piatti che aveva gustato mentre "passava le acque", specie a base di funghi aromatizzati con la Nepetella o Nepitella che fosse. Tornata a casa si mise in cerca di questa nella nostra campagna e grazie ai millemila libri che possedeva pensò di averla individuata, anche se l'odore non era proprio uguale e tanto meno il gusto, a quella assaggiata. Finì col decidere che terra diversa profumo diverso e non usò quasi mai la Nepetella trovata, preferendole l' Origano ( qui>>> ) e soprattutto la Maggiorana ( qui>>> ). Ma tant'è ogni anno tornava dalle terme con quel gusto che non riusciva a ritrovare. Dopo tanti anni passati in diatribe, abbiamo poi scoperto che esistono almeno due Nepetelle distinte. Come al solito il nome volgare, a volte diffuso ovunque, a volte solo locale, dà luogo a fraintendimenti. Non sono mai riuscita a trovare l' "altra" e quindi non so che profumo possa avere, sono in grado di mostrarvi solo la mia, la più comune, quella che mi circonda qui nei prati, con un odore simile a una menta, molto più canforato. Clinopodium nepeta o Calamintha nepeta Questa, quella che trovo facilmente qui, è la Clinopodium nepeta, conosciuta con tanti altri sinonimi anche a livello botanico che non provo neanche a scrivere per intero, con il rischio di perdermi fra infinite sottospecie che non sarei in grado di identificare. Un po' come succede con le varietà di mente che fra loro si ibridano rendendo difficile collocarle (per classificarle io uso un sistema semplicissimo: menta che mi piace - menta che non mi piace). La mia Nepetella ha le foglie arrotondate, pelosette e i fiori lilla-azzurrini sulla parte finale di tralci lunghi tra i 30 e i 60-70cm che formano piccoli cespugli su poggi, nei prati incolti, alla luce del sole che ama, circondata da api e comunissima ovunque. Il profumo gradevole, come già detto assomiglia vagamente a una menta canforata. L'uso in cucina è il solito di un'erba aromatica, carne, pesce, verdura e i funghi specie i porcini. Uno dei piatti più incredibili con la Nepetella è la frittata di Pasqua, tradizionale in tante parti dell'Italia centro-meridionale, dalle Marche, Abruzzo fino a Campania e Basilicata. Pietanza della mattina di Pasqua dove vengono impiegate tutte insieme in un'unica frittata dalle 30 alle 60 uova fino ad arrivare a 100. Cotta pazientemente a fuoco basso in una padella con i bordi alti (tale padella una volta rappresentava il regalo classico per la sposa che non poteva andare all'altare senza), l'abilità sta proprio nel saperla cuocere con più uova possibile. Tra un paese e l'altro cambiano gli ingredienti aggiunti ma è sempre presente la Nepetella in abbondanza. frittata di 66 uova foto da you tube E l'altra? È la Nepeta nepetella , che poi sarebbe la vera Nepetella , proprio un genere a sé, per fare un confronto ed evidenziare le differenze mi è stato necessario cercarla sul web. foto di Actaplantarum Le foglie di questa se pur piccole, spesso sono dentate, lanceolate più che rotonde e i fiori sono più riuniti, di colore dal bianco all'azzurrino passando per le diverse varietà. Chi vuole approfondire può andare al link cliccando sulla foto o digitando Nepeta nepetella su internet. Appena avrò il piacere di trovarla aggiungerò dettagli. Se la prima si trova ovunque in Italia, molto comune, questa seconda è limitata a poche zone, per esempio dell'Italia Centrale, forse anche in Liguria e Piemonte. Da quello che ho letto anche l'aroma è più penetrante, per i suoi particolari olii essenziali, dal singolare effetto sui gatti, e per questo è chiamata erba gattaia . Entrambe sono specie commestibile e officinale, con proprietà simili, da sempre usate nella tradizione casalinga, spesso arrivando a dar loro fantasiose proprietà curative, tipo applicare foglie fritte nell'olio di oliva in caso di orecchioni ... mi limiterò a dire che una tisana di Nepetella, sia una che l'altra, sono utili nella digestione e nel meteorismo, aiutando ad eliminare i gas intestinali. Il nome le venne dato come " pianta che viene da Nep i", ossia la città delle acque, dall'etrusco " nepa " cioè acqua. Che vi devo dire ... a ognuno la Nepetella sua, l'importante è capire che ne esiste più di una, e credetemi non ci sono solo queste due. Il fiore si nasconde nell'erba, ma il vento sparge il suo profumo. Tagore Per finire la storia di mia madre alle terme, un giorno, sperando di trovare la suddetta erba, mentre arrancava sulla strada per arrivare allo stabilimento termale, l'affiancò una macchina di lusso con autista, e un gentile signore si offrì di darle una passaggio dicendole che anche lui andava da quella parte. Mia madre, donna integra di assoluta onestà e probità, rifiutò decisamente la profferta dello sconosciuto, con la scusa di star cercando erbe, nonostante volto e voce le fossero familiari. Arrivata, scoprì chi era: Alberto Sordi ... e insieme, ridendo, si bevettero due bei bicchieri di acqua di San Carlo, parlando di Nepetella . Tornò senza una foto insieme, tantomeno un autografo, io giovane donna già mentalmente proiettata in un futuro di selfie, le dissi: - Ma come! Mamma ... !!! - mi rispose: - Non mi sarei mai permessa -. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- I MIEI RABATON DI ORTICA
Poco resta nella mia memoria della nonna paterna nata e cresciuta a Molare, se non questo piatto che mia madre ricordava fatto da lei, più che altro perché anche questo è realizzato con le sue amate erbe selvatiche commestibili. Questa è una di quelle preparazioni che con pochi ingredienti di base e pochissime varianti gira per l'Italia con nomi diversi. Se fossimo a Brescia li chiameremmo Malfatti , in Toscana Gnudi , in Romagna Topini , senza contare anche il semplice Gnocchi , pur non contenendo patate. Gli ingredienti sono erbe di campo, tipo il misto del Prebuggiun ( qui>>> ) ricotta, cambiando paese cambia la ricotta usata, formaggio grattugiato, uovo, farina e poche spezie. Stasera me li sono fatti semplici semplici, con quello che avevo e non avendo uova non ne ho messo ed erano buonissimi. Nel pomeriggio avevo raccolto delle belle punte di Ortica ( qui>>> ) e bollite in abbondante acqua e spremute per bene. Tritate finissime, anche con il robot e aggiunte alla ricotta, uso quella buonissima del Caseificio Val di Vara. Per dare un'idea della quantità, la ricotta metà peso delle erbe cotte e spremute. Le mie erano più o meno 200 gr. di ortica, 100 di ricotta ho aggiunto ancora due cucchiai di farina, due di pane grattugiato, due di parmigiano, un pizzico di sale. A questo punto ci andrebbe l'uovo, ma devo dire che sono venuti benissimo senza. La ricetta prevede un pizzico di noce moscata. Amalgamo il tutto e con l'aiuto di due cucchiai formo delle quenelles che passo nella farina facendole diventare dei cilindri della misura di un grosso dito. Le nonne li facevano direttamente con le mani e da questo movimento prendono il nome, da " arrabattare ". A questo proposito occorre basare la farina, il pane e il formaggio, se la verdura ha trattenuto più o meno acqua, per ottenere un impasto sostenuto ma non troppo duro. La tradizione piemontese li vuole molto più grandi, ma a me stanno bene così. Nel frattempo ho messo sul fuoco una pentola di acqua, salo, e a bollore butto tutti i Rabaton a cuocere per pochi minuti, come per altri gnocchi simili fino a che non salgono a galla. È possibile cuocerli in brodo vegetale o di carne leggero. Disposti in una pirofila imburrata, conditi con burro e parmigiano, salvia, gratinati minuto in forno. È possibile porzionarli e pronti da infornare, conservarli in congelatore. Da qualche parte in provincia di Alessandria c'è la sagra del Rabaton. Da questo tipo di piatto, sarà solo una leggenda, sono poi derivate le varie paste ripiene e in special modo i ravioli. Si narra che tal Ravioli, cuoco in quel di Gavi Ligure, allora roccaforte della Repubblica di Genova, confezionasse degli "Gnudi", più piccoli dei Rabaton, ma con gli stessi ingredienti, talmente buoni che non si riusciva a soddisfare tutti coloro che ne volevano mangiare. Fu necessario inventare un modo perché fossero facilmente trasportabili per poterli cuocere anche a casa, non erano i tempi della plastica, e fu così che l'impasto fini in mezzo a due sfoglie di pasta all'uovo, ma questa è tutta un'altra storia ... pitost che niente...le mei pitost - proverbio Alessandrino - Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>