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  • STOCHEFÌSCE ACOMODÒU, LO STOCCAFISSO ACCOMODATO

    Stoccafisso accomodato alla marinaresca , così si chiamava in casa. Quanti chili ne ha cucinato mia madre per i suoi sempre numerosi ospiti non saprei dirlo, so che con questa ricetta è riuscita a far mangiare lo stocco anche ai miei figli. Mi ci sono cimentata oggi, a memoria, perché il suo non lo mangeremo più e ho avuto un risultato somigliante, non posso dire uguale. Sullo stoccafisso, in due parole, è un merluzzo, pescato nei Mari del Nord, viene seccato, nel periodo da febbraio a giugno, all'aria fredda, che ne previene contaminazioni batteriche, una pratica antichissima. Il migliore, detto ragno, viene dalle isole Lofoten. Due terzi della produzione è consumato in Italia. Un chilo di secco equivale a cinque chili di pesce fresco. È un alimento che, secco, può vantare fino a cinque anni di scadenza e può essere cucinato solo dopo una opportuna reidratazione. Ricordo mio padre, che dopo aver tolto la vescichetta natatoria, il budello, (conviene farla rinvenire a parte, in acqua, se si è un appassionato), con un mazzuolo di legno batteva a lungo il pesce, lo divideva a metà con una sega e lo metteva in un filo d'acqua corrente per almeno 48 ore, perché come dice un mio amico "sta più tempo in acqua da morto che da vivo". Avuto il mio bel pezzo di stochefisce , ho preparato la mia vecchia amata pentola di terracotta con olio evo abbondante (lo stocco vive nell'acqua e muore nell'olio) con due spicchi di aglio e pinoli e rosolo un po', mentre metto un pugno di funghi secchi , che ho trovato l'anno scorso, a bagno e preparo un trito di carota-sedano-cipolla. Aggiungo olive taggiasche, le mie, capperi messi sotto sale da me, un acciuga salata , sempre mia, diliscata, il trito, i funghi secchi e per ultimo i pezzi di stocco, possibilmente privati della lisca. dopo opportuna rosolatura sfumo con vino bianco fatto scaldare prima Aggiungo la mia passata dei miei pomodori, poca, quel tanto da colorare un po', e la punta di un cucchiaio di concentrato . Non mi resta che cuocere su fuoco bassissimo, nel mio caso in un angolo della stufa a legna, a parpelâ, (sobbollire) aggiungendo l'acqua filtrata dei funghi e sorvegliando attentamente la cottura. Per tanto, tanto, tanto. Tipo un tre ore, anche quattro. Un'oretta, quaranta minuti prima di portarlo in tavola aggiungo le patate , quelle da stufato, che non si disfano, a pezzi grossi Durante la cottura, con attenzione, tolgo le spine che riesco a vedere, e controllo il sale perché fra capperi, acciuga, olive in salamoia ho sempre paura di esagerare. Il pesce si sfalda, i sapori si mischiano, il profumo inonda la casa e mio figlio commenta: - Forse assomiglia a quello della nonna - Vi lascio con la mia favola sullo stoccafisso, fa parte di una collezione di ricette in favola scritte da me, e che potete ascoltare qui: Ricette Infavolate L’AMMIRAGLIO STOCCO L’Ammiraglio Stocco, un brutto carattere, come lui nessuno. Le lunghe permanenza al pallido sole e al vento gelido del nord lo avevano reso duro e inflessibile con tutti, non gli scappava una risata neanche con l’amico Baccalà, che da salato quale era avrebbe voluto sempre andare a bere assieme. Inoltre, diciamolo pure, puzzava anche un po’, non era facile stargli vicino e avere la possibilità di scoprire se e dove aveva delle qualità. A volte passavano fino a cinque anni prima che qualcuno gli rivolgesse la parola ma quasi sempre la conversazione iniziava con una lite, si arrivava alle legnate e doveva essere preso a botte prima di cedere. Intontito trascorreva a bagno in acqua fresca corrente cinque o sei giorni prima di lasciarsi cucinare per benino e accettare allora di buon grado la compagnia delle patate o delle fagiolane che inondandolo di prezioso olio ligure lo guarivano dalle ferite e anche dal carattere ostico per la gioia dei nostri palati. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti . Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.

  • DELL' EPIFÀNÎA, DELLA GIANCA LAZÀGNA E DELLA NOSTRA PASQUÊTA

    Viene viene la Befana vien dai monti a notte fonda. Come è stanca! La circonda neve, gelo e tramontana. Viene viene la Befana. Ha le mani al petto in croce, e la neve è il suo mantello ed il gelo il suo pannello ed il vento la sua voce. G.Pascoli " Epifagna gianca lazagna ", così si diceva un tempo in Liguria, alludendo alla tradizione di mettere in tavola i sottili quadrati di pasta fatta con sola farina e acqua, bianchi appunto, come era consueto allora senza uova, e mai mai per questo giorno, conditi con salsa di pomodoro o ragù. Da piccola mi era stata data la spiegazione che giusto nei giorni della Befana era normale ci fosse la neve, distesa proprio come una bianca lasagna e così anche in tavola si ricordava la neve, chissà se è vero o se se lo erano inventati lì per lì per me. Vero è che se non nevica prima, quasi certamente nevica per i primi di Gennaio, quest'anno non ci siamo fatti mancare nulla, è cominciato molto prima e oggi per esempio non ha mai smesso. Resta poi il fatto che la lasagna è il primo formato di pasta che si ricordi, già in tempo greco romano si cuocevano quadrati di pasta assottigliata, anche se non propriamente di farina bianca come si usa adesso. Presenti in tutte le cucine d'Italia, assumono diversi nomi e sono diversamente proposte, anche se mi ci sono voluti anni per capire che i vincisgrassi marchigiani non sono altro che lasagne riccamente condite. In Liguria le lasagne sono i mandìlli de sæa, ovvero "fazzoletti di seta", la sfoglia è tirata talmente sottile e tagliata in quadrati, da incuriosire alla metà del '700 i veneziani, che ne chiesero conto su come si facessero ai maestri lasagnari genovesi, già nominati intorno alla fine del 1200 perché imbarcati sulle galee affinché rifornissero di pasta l'equipaggio. D'altra parte i Genovesi, arrivati in Cina prima di Marco Polo, gestivano il commercio del grano nel Mediterraneo, e proprio in Liguria per la mancanza di un entroterra atto a grandi coltivazioni, il particolare clima, le nozioni sulla conservazione carpite ai Mongoli, fu favorita l'apertura dei primi pastifici nel ponente ligure. Famoso il primo scritto dove si nomina la pasta, atto del 1279 del notaio genovese Ugolino Scarpa che nel testamento di tal Ponzio Bastone cita "una bariscella plena di macaronis". Tornando ai nostri mandilli da fare assolutamente il giorno dell'Epifania, ho già scritto e illustrato diverse volte come a prendere farina e acqua per fare la pasta ci voglia più a scriverlo che a farlo. Tradizione vuole senza uova, al massimo un uovo ogni tre etti di farina, vuoi tutta 00 o metà farina 00 e metà di grano duro con l'acqua necessaria, poca per volta, per impastare. Si lascia riposare una mezz'oretta coperta prima di stendere. Se non si riesce a tirare la pasta con il "cannello", il matterello, per fare i mandilli è lecito usare la macchina Tagliati in grossi quadrati, vengono cotti in acqua pochi minuti e conditi così senza il passaggio in forno, spesso con il pesto, ma anche con salsa di noci o un sugo bianco di funghi. Anzi se proprio proprio si volesse ottemperare la tradizione andrebbero cotti nel brodo. Niente besciamella quindi e niente strati cotti in forno, tutte le trasformazioni sono di epoca moderna. Con gli anni dai mandilli bolliti si è arrivati alle lasagne al pesto cotte in forno con la besciamella. Le faccio anche io, ma solo una o due volte all'anno, perché non è consigliato cuocere il basilico e nessun buongustaio mangerebbe mai il pesto cotto. Come si vede dalla foto il pesto usato tra uno strato e l'altro è molto diluito. Per renderle del tutto liguri alterno negli strati di pasta tra la besciamella e il pesto anche fagiolini spezzettati e fette di patate sbollentati, ma di certo non è un piatto invernale. Reso omaggio alla tradizione della " gianca lazagna ", il secondo prevederebbe pesce, ma semplicemente bollito e se oggi il Cappon Magro si serve a Natale è invece la giornata dell'Epifania il momento che si metteva in tavola una volta. ( qui>>> la ricetta ). Ultimo ricordo del tempo che fu, nel pomeriggio si andava in visita ai parenti e si portavano gli Anicini. Qui come farli >>>ANICINI E ANICE così anche per capire un po' la differenza tra semi di anice e semi di finocchio. Nel titolo del post ho citato la Pasquêta , perché è così che i Genovesi chiamano l'Epifania, in molti altri paesi e non solo italiani viene usata la parola Pasqua indicando una festa importante cristiana dove Gesù si è manifestato e quindi Pasqua di Natale, Pasqua delle Rose (la Pentecoste) e Pasqua di Resurrezione. Di contro l'Epifania, giornata che celebra la manifestazione ufficiale di Gesù al mondo con la presenza dei Magi è Pasqua di Luce, e per noi Pasquetta, che niente a che vedere con il Lunedì dell'Angelo. Ma nel povero mondo agricolo di una volta è molto di più, è la notte magica dove gli animali nelle stalle parlano fra di loro di chi li accudisce, cosi che il contadino previdente la sera della dodicesima notte dopo il Santo Natale provvede a loro con particolare cura, abbondando in cibo e pastura, perché parlino bene di lui. Male ne insorge a chi per caso dovesse riuscire ad udire queste particolari conversazioni. La notte di Befania nella stalla parla l’asino, il bove e la cavalla Molti gli usi e le credenze che si riferivano alle ragazze da marito: tra l'interpretazione dello scoppiettio delle foglie di ulivo gettate nel fuoco, ai bigliettini con il nome dell'amato, o degli amati!!!, arrotolati e posti vicino al camino perché si srotolassero con il calore e il mattino del 6 il più srotolato di tutti, a rivelare chi sarebbe diventato lo sposo, ma attenzione uno doveva essere vuoto, cioè bianco senza scritto e se si apriva proprio quello ... erano pianti. Per mio conto, nella mia lontana gioventù, una volta sola ho rischiato la sorte e visto come è andata mai più mai più, ho sfidato il destino. Per una curiosa usanza la mattina dell'Epifania, qui, le ragazze da marito si ponevano in cima alla scala e lanciavano la ciabatta destra e a secondo come rimaneva si interpretava una possibile data di matrimonio, se bella diritta con la punta in avanti ti sposi entro l'anno, se storta chissà forse ti fidanzi, se indietro con la punta verso la scala niente da fare. Ciò che racconto è pura verità, ero la più grande di età quel mattino del 6 gennaio 1975 e insieme ad altre tre gettammo la ciabatta. Solo la mia rimase lontana e perfettamente diritta davanti a noi, le altre sparse sulla neve in maniera disordinata. Scettica, mi girai verso coloro che mi avevano quasi costretta al cerimoniale, tutto mi interessava meno che il matrimonio, e le apostrofai con le suddette memorabili parole: - Lo vedete che siete sceme? Secondo voi dovrei sposarmi entro l'anno e manco ancora lo conosco?- Mi sono sposata il 25 maggio dello stesso anno, ecco. Pe Pasquêta in' oêta .. Ancora due parole sulla Befana. La parola una storpiatura di Epifania, il personaggio da ricercarsi nell'antichità, tra riti celtici e romani rappresentanti figure femminili che volavano di notte sui campi, proprio nei primi giorni quando si intravedeva la luce del giorno allungarsi (A Pasquetta un'oretta, vuol proprio dire un'ora di luce in più) e con questi voli propiziare buoni raccolti e di qui l'usanza dei doni. Attenzione però, praticamente tutte le raffigurazioni della Befana sono completamente sbagliate. La Befana non è una strega e non appartiene al mondo della stregoneria e la si distingue essenzialmente da due cose. Innanzitutto è sempre vecchia e grassottella, poco affascinante diciamo, non ha mai il cappello a punta, ma un fazzoletto legato sotto la gola, un grande grembiale allacciato, e importantissimo cavalca sì la scopa, ma non come le streghe con la punta del manico in avanti e la scopa dietro, ma al contrario, tiene sempre la scopa in alto, e lasciatevelo dire da una che queste cose le sa, è un peccato che si siano dimenticati questi particolari e si faccia una grande confusione. E poi è venuto il momento di dirlo: non è la moglie di Babbo Natale, ma proprio non esiste nemmeno un pettegolezzo sui due, si ignorano a vicenda. foto dal web In questa campagna erano sconosciuti Gesù Bambino e Babbo Natale, ma credo proprio perché mondo legato all'agricoltura e al raccolto, i doni li portava solo la Befana, anche se nient'altro che qualche mandarino, qualche mandorla, forse caramelle, il torrone che spesso non si mangiava prima del 6 gennaio e non nella calza, ma nello scarpone messo fuori alla finestra. Immancabili le grosse monete di cioccolato ricoperte di carta dorata. Quanto eravamo ricchi! Ricordo con piacere come tutto il paese partecipasse all'evento e di comune silenzioso accordo durante la giornata del 5 venivano interrogati dagli adulti in presenza dei bambini, coloro che tornavano da fare legna, o da caccia per chiedere se per caso l'avevano vista sui monti o al passo, e che spesso la risposta era:- Sì, sì l'ho intravista da lontano, sta arrivando, era giusto giusto dalla Cappelletta.- A sera tarda poi, qualcuno si travestiva e girava di casa in casa portando un sacco coi doni, tra lo stupore e a volte anche un malcelato terrore dei bambini che non riuscivano a spiccicar parola, e le risate trattenute perché la Befana parlava in dialetti sconosciuti, che spesso ricordavano il parmigiano. Ebbene sì, due volte l'ho fatta anche io. Infine il carbone, per chi non è stato proprio buono ... Inutile stare qui a ripetere per l'ennesima volta la ricetta del carbone dolce, facilissimo da fare in casa. Quest'anno non lo preparerò, d'altra parte siamo stati o meglio state, buonissime io e la gatta, ma se qualcuno vuole cimentarsi in pochi minuti si fa, ed è anche divertente vederlo gonfiare. Lascio il link a uno dei video più dettagliati e comprensivi. Se non si hanno i coloranti, in altri tempi lo coloravo con le pastiglie di carbone comperate in farmacia. https://www.youtube.com/watch?v=8HJgdAb6yjo&ab_channel=Ateliercucina Scusate è davvero tardi, devo darmi da fare, anche se la mia trasformazione da strega a Befana è un attimo: basta girar la scopa. Vado. “L’Epifania tutte le feste se le porta via” Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • IL PUNGITOPO

    Senza pensarci, giorni fa, nei pressi di una strada che frequento per tornare a casa da sempre, mi sono imbattuta in un bosco di pungitopo. Avevano attirato la mia attenzione delle piante di Asparago, volevo vedere se il tempo matto di questo autunno particolare aveva anche qui anticipato la produzione dei turioni come in altre parti. Non sono luoghi che frequento abitualmente a piedi perché lontani da casa, oltre il passo, a circa 400 mt sul versante del mare e molto scoscesi e quasi impraticabili. In tanti anni non avevo mai notato il pungitopo e mai comunque ne ho visto un'abbondanza simile. Qui è più difficile incontrarlo, ne conosco poche piante in un terreno. Il nome scientifico Ruscus aculeatus , potrebbe derivare dal greco becco, rostro per via delle spine, invece c'è chi sostiene derivi da rusticus e avrebbe dato origine all'altro appellativo volgare con il quale è conosciuto: Brusco , nome di molte località dell'Appennino ligure e vicini, dove il Pungitopo era ed è presente in quantità, e al conseguente uso del frequente cognome Brusco, Bruschi, per chi veniva da questi luoghi. Nel raggio di 40 km qui ci sono almeno due località con il nome Bruschi e facilmente si ha fra le conoscenze qualcuno che si chiama così. Questa pianta deve il suo nome volgare più conosciuto, Pungitopo , proprio all'uso che ne facevano i contadini di proteggere dai topi, con mazzi e corone, i viveri, salame, formaggio e anche il granoturco appeso, per via degli aculei alla fine di quelle che si credono foglie. In realtà le sue non sono foglie, le sue foglie son quasi inesistenti, sono parti di fusto appiattito che compiono la funzione clorofilliana al posto di queste, e che i botanici chiamano cladodi . Un altro uso conosciutissimo e veramente efficace è la pulizia dei camini a fine inverno. Un mazzo su una lunga asta serve egregiamente allo scopo, tanto da essere conosciuta come la pianta degli spazzacamini e in generale per fare scope rustiche e resistenti. Se a questi usi si aggiunge quelli commestibili, quelli curativi e pure quelli decorativi, si comprende come negli anni la pianta è diventata protetta su tutto il territorio nazionale e in ogni regione con direttive speciali. Per quanto riguarda la Liguria, mi sembra di capire che si possano raccogliere " 5 rami al giorno a persona, ivi compreso il proprietario del fondo" ( L.R. 9/1984 e L.R. 28/2009). Esistono, come per tutte le piante, diverse varietà di Ruscus. In tutta la Liguria e specie nel ponente, la pianta è coltivata insieme a un altro Ruscus simile, la Danae racemosa (una volta Ruscus racemosus ), conosciuto anche come Lauro d'Alessandria perché originaria del Medioriente, e usate entrambe per le le composizioni floreali. La raccolta indiscriminata per la vendita, specie nel periodo natalizio, quando sfoggia le belle bacche rosse, ha costretto a regolarne la raccolta. Il rametto di Pungitopo in casa è considerato un talismano portafortuna e simbolo di buon augurio. Forse la sua nomea di portafortuna deriva dalle incredibili proprietà curative, conosciute fin dai tempi antichi, un eccezionale tonico venoso, molto usato in altri paesi per prevenire trombosi prima degli interventi, per curare le emorroidi, le flebiti, la pesantezza delle gambe, i geloni, nei prodotti di bellezza contro la couperose, lo si ritrova in molti medicinali erboristici. L'uso casalingo, quantomeno per me, è dimenticato, e come al solito meglio rivolgersi a specialisti se ci si vuole curare. Ho letto di un famoso "Aperitivo delle cinque radici" con prezzemolo, sedano, finocchio, asparago, e appunto pungitopo, dai miracolosi effetti diuretici, ma chissà se da qualche parte esisterà la ricetta, e della corona di Pungitopo da mettersi in capo per far passare il mal di testa. È anche pianta commestibile, amara, i suoi germogli a primavera sostituiscono gli asparagi, ma la raccolta è regolamentata, se non proibita in molti posti, potete vedere l'articolo sugli asparagi qui>>> Asparagi e non Asparagi I semi delle bacche macinati erano usati per sostituire il caffé. Molti confondono Agrifoglio e Pungitopo, chiamano uno per l'altro, ma l' Agrifoglio, molto diverso, è invece tossico nelle bacche e nelle foglie. Con questo rametto di Pungitopo auguro a tutti quelli che mi leggono Buone Feste, che se pur virtuale porti nelle vostre case davvero salute, fortuna, amore " Che io anzi ti possa sembrare più amaro dell'Erba Sardonica, più irto del ruscus, più miserevole dell'alga infranta dalle onde, se per me questo di' non dura già più d'un anno intero . " ( Virgilio, Bucoliche) Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • L'ERBA DI SANTA BIBIANA

    - Come a Santa Bibiana quaranta giorni e una settimana - Oggi 2 dicembre Santa Bibiana, protettrice dei malati di epilessia e delle malattie legate al cervello, un breve post su un' erba molto comune dimenticata a lei dedicata. Fin dal V secolo si commemora il 2 dicembre e in questo giorno è indicato, per tradizione, il tempo che farà nei 50 giorni successivi. La Santa, il cui nome oggi è più usato in Viviana, è una delle tante martiri che subì le persecuzioni romane tra il 361 e il 363, e di questo resta traccia in alcuni scritti. Erano anni quelli dove ancora si tentava di restaurare gli antichi culti pagani al posto della ormai dilagante religione cristiana. Bibiana apparteneva ad una famiglia cristiana dai tempi di Costantino e con tutta la sua famiglia patì il martirio. La leggenda narra che nel suo caso, sopravvissuta alla morte di padre, madre e sorella si cercò di traviarla con intrighi e intrallazzi amorosi di bassa lega, al suo rifiuto e professando la sua fede e l'intento di rimanere vergine fu legata ad una colonna e percossa con i piombi, dopo quattro giorni di indicibili sofferenze, morì e il suo corpo esposto allo spregio dei cani randagi che però non lo toccarono. A lei fu dedicata una basilica, a Roma, nei pressi della Stazione Termini, dove è conservato il suo corpo e la colonna dove è stata legata per il martirio. Ora non è più possibile, la colonna è protetta da una grata, ma la si intravede consumata dai fedeli che ne raschiavano un poco di polvere per scioglierla nell'acqua di un pozzo vicino e mescolarla con l'erba cresciuta sul terreno bagnato dal sangue della martire e questa mescolanza ritenuta ricca di misteriosi poteri taumaturgici. foto dal web E l'erba? Pare che lì dove sorge la chiesa a lei dedicata, l'Esquilino, e luogo del martirio, crescesse diffusamente l' Eupatorium cannabinum L., a quei tempi ritenuta la più potente tra le erbe per i suoi effetti su diverse patologie e così fu chiamata Erba di Santa Bibiana con riferimento al luogo dove veniva raccolta. Erbe che cresce alta e rigogliosa in umidi acquitrini, ai bordi dei fiumi, il nome popolare di Canapa acquatica le è dato a proposito, i suoi fiori solitamente rosa antico sono leggermente profumati. Il nome botanico Eupatorium dal Re Eupatore Mitridate , colui che pare per primo scoprì le sue proprietà e cannabinum per la somiglianza delle foglie con la canapa. Veniva usata contro l'influenza e i dolori alle ossa, e per supposte capacità cicatrizzanti dopo aver osservato che i cervi feriti se ne servivano allo scopo. La scienza ha poi confermato queste doti riscontrando principi attivi altamente curativi in tal senso, e anche in altri campi davvero particolari, purtroppo anche un alto contenuto di alcaloidi tossici davvero pericolosi, che ne sconsigliano l'uso casalingo. Come spesso succede abbiamo perso la conoscenza per poter consumare questa pianta. Probabilmente è stato un bene e ora il suo uso è affidato alle mani di esperti erboristi che ne controllano il quanto e il come usarla. Questo non impedisce di farne una buona pianta mellifera, mentre gli animali da pascolo ne stanno quasi sempre lontani. Nei tempi antichi erano ricavate dal suo fusto filamenti che venivano intrecciati per fare spaghi resistenti, così pare che le corde che legavano Gesù durante la Passione fossero di Eupatoria. Usata nei grandi giardini al bordo di laghi e ruscelli, nei colori di varietà diverse, dal rosa al rosso al bianco, nel linguaggio dei fiori significa " sollievo " e si regala per ringraziare del sollievo ricevuto. Tutte queste notizie le ho ovviamente lette qui e là negli anni, non c'ero ai tempi di Santa Bibiana, così come mi è stato accuratamente consigliato di non farne un uso terapeutico casalingo, e me ne sono ben guardata dal provare e così spero facciate voi, ma orami è noto quanto mi piacciono le leggende, le tradizioni e quant'altro è legato al mondo antico vegetale e condividerle con chi è così gentile da leggere. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • TORTA LIGURE DI VERDURA

    Dalle lor mense se credo tragga ancora I'origin quella torta preziosa, Che da' ghiotti si chiama Gattafora. In questo mondo in somma non v'è cosa, Che se dal gatto piglia un po' d'attacco, Non sia celebre, saggia, e misteriosa Rime piacevoli - Giovan Battista Fagiuoli 1733 Con tutte le erbe che si raccolgono in questo periodo non fare una torta di verdura come si fa qui in Liguria è quasi un peccato mortale. Ho letto che in origine era chiamata Gattafura , anche se non conosco nessuno che l'ha mai chiamata così, leggi e rileggi pare che manco c'entri il gatto, ma piuttosto tutto derivi dal francese gateau fourré ... torta ripiena ... (cit.da STUDI LINGUISTICI ITALIANI) L'unico posto che conosco dove usano una parola simile è a Levanto per i famosi Gattafin, una specie di tortello ripieno di prebuggiun e fritto, sui quali sto studiando e riuscirò prima o poi ad assaggiarne uno vero. Più veloce della leggendaria Pasqualina o della Cappuccina ( qui>>> ) con le quale condivide più o meno gli stessi ingredienti, questa versione è solo più semplice. Devo dire qui è una delle poche volte nelle quali mi piace la bietola, quindi se non si ha l'occasione di trovare le erbe del Prebuggiun ( qui>>> ) un mazzo di bietole lo si trova sempre. Una sottile sfoglia di pasta matta, niente altro che acqua farina e olio, poco sale, il ripieno di bietole bollite, ricotta, uova, formaggio. Un'altra sfoglia sottile sopra, bucata, forno caldo. Fine. Ecco le bietole, un mazzo non troppo grande, cotte in abbondante acqua calda e tritate grossolanamente a coltello. Una confezione di ricotta e due uova, poco olio e aggiusto di sale, siamo in Liguria, non nella grassa Emilia, o nella ricca Lombardia, noi liguri siamo parchi, siamo più attenti alla qualità visto che la quantità ci è impossibile da avere, qualche cucchiaio di parmigiano, ma soprattutto l'immancabile aglio tritato con Pèrsa, la maggiorana ( qui >>>) il ripieno è pronto, per la pasta matta ho già scritto nel post della Pasqualina e in altri, non faccio altro che mettere nel robot farina, in questo caso integrale, due cucchiai di olio, sale fino, avviare il robot e aggiungo acqua fino a quando non si forma una palla, forse dieci secondi... meglio se la preparo prima e la lascio riposare coperta, si tira meglio. Stendo l'impasto nella sfoglia tirata e posata sulla teglia bassa in modo di coprire bene e che ne avanzi un po' fuori dall'orlo e c'è un perché, poso sopra un'altra sfoglia sottile sempre con i bordi che escono fuori, ungo con un pennello la superficie, passo rapidamente il matterello sul contorno della teglia, premendo in modo che si sigillino e si taglino con lo stesso movimento le due sfoglie. Impossibile fare la foto da sola. Se nel fare questo movimento le sfoglie si ritirano è normale, non succede nulla. Tutto ciò per una teglia di circa 32cm. con la punta delle forbici pratico dei tagli sulla superficie e metto in forno per circa 40 minuti a 180° statico, ventilato meno caldo. Insomma c'è voluto molto di più a scrivere il post, le varianti sono infinite tra le altre aggiungere cipolla, aggiungere riso, usare la prescinseua o il prebuggiun, o come fanno da altre parti mettere la bietola cruda condita con olio e sale direttamente nella sfoglia e sopra la ricotta o la prescinseua, versione che non ho ancora provato... Ormai questa è di sicuro successo e faccio talmente presto ... tagliata a fette, insieme alla Torta di riso ( qui>>> ) è l'antipasto perfetto man mano che si avvicina la primavera, per le prime cene tiepide tra amici e le scampagnate delle domeniche a venire, si spera, sui prati. Ritrovava intorno a sé un'Italia che credeva morta per sempre, l'Italia di quando era ragazzo, l'Italia del popolo e dei bambini, dei cani randagi, delle fiere di paese, dei banchi dei venditori di frittelle e di fusaglie, l'Italia del gioco dei birilli, delle processioni, delle scampagnate... Curzio Malaparte - Sangue Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • LA RIBOLLITA DEL MIO ORTO

    Penso a mia madre che avrebbe cotto formiche se avesse letto la ricetta da qualche parte e a quanto ha sperato di poter provare a fare una ribollita, ma no, non si poteva perché mio padre non sopportava l'odore di cavoli in casa. Lei si accontentava di mangiarli qui, a casa di qualcuno, quell'unica volta in inverno quando si macellava il maiale e si facevano con le ossa. Ricordo distintamente quante volte ne ha parlato e le discussioni con me convinta come ero che ci fosse anche la carne, ma allora non c'erano i food blogger. Dopo tanti anni non so in preda a cosa, ho deciso di provare a farla . Ispirata forse da quell'unico cavolo nero, quella striminzita verza e le due foglie di bietole nell'abbandon'orto, che null'altro mi hanno fatto venire in mente se non una mini ribollita per me. La pietanza non è ligure, ma della vicina Toscana e di preparazione un po' lunga ma non difficile, facilitata per me dalla presenza della stufa. Per fortuna si può surgelare così fatta in abbondanza si mette via. Serve oltre all'imprescindibile cavolo nero, della verza e qualche foglia di bietola, ma in realtà se si hanno delle verdure avanzate si possono aggiungere, essendo questo un piatto povero di recupero. Non so le dosi, le verdure che ho adoperato sono quelle in foto, e ne sono venute tre porzioni abbondanti. Poi due pugni di fagioli cannellini, messi a bagno, io non li avevo, ho messo una varietà di fagioli piccoli di qui tipo il Patanin o fagiolo dall'occhio, che sarebbe poi l'unico fagiolo del Vecchio Mondo prima della scoperta dell'America. Due patate medie. Due cucchiai di pelati o polpa di pomodoro. Carota, cipolla e sedano. Pane raffermo, non ne avevo ho usato le friselle. Il nome viene dalla modalità di cottura che avviene in più fasi e più si ri-cuoce più viene buona. Infatti la cottura può anche avvenire in giorni diversi. Si inizia bollendo i fagioli in acqua con un rametto di rosmarino. Cotti e scolati senza buttare via l'acqua di cottura, se ne schiaccia o frulla una parte e l'altra si lasciano interi. In una pentola capiente, magari fosse di terracotta, si fa un soffritto in olio di carota cipolla e sedano, non c'è per una volta l'aglio ma arriverà più tardi. Taglio a pezzi grossi, perché è una minestra, ma è una mania mia, si può fare un trito anche finissimo. Appassito bene il tutto si uniscono il cavolo nero, il cavolo verza, la bietola tagliati grossolanamente e si fanno appassire per bene. Dopo qualche minuto le patate tagliate a tocchetti. Poca polpa di pomodoro Ho aggiunto l'acqua dei fagioli, ho salato, con anche un po' del mio dado vegetale, e lasciato sobbollire sulla stufa per tanto, anche un'ora e mezzo, dipende un po' dalla quantità che se ne fa, aggiungendo del brodo vegetale (acqua+il mio dado) se tende ad asciugarsi tutto. Dimenticavo! Un rametto di timo. E questa è la prima bollitura. A questo punto ho aggiunto la crema di fagioli e ancora brodo se necessario. Dopo una mezz'oretta i fagioli interi, lasciando amalgamare e insaporire per un'altra mezz'ora e si controlla il sale. Il risultato deve essere appena un po' brodoso, non tanto. Ed è un'altra bollitura. bolle la ribollita bolle Ora si prepara per l'ultima bollitura. Se non si è ancora usata è il momento di una pentola di terra. Ho sfregato con uno spicchio d'aglio alcune friselle integrali, perché non avevo pane raffermo e meno che mai toscano come servirebbe, le ho messe sul fondo, le ho coperte di zuppa, un altro strato di friselle e un ultimo di zuppa. Ho chiuso ermeticamente con un coperchio e ho lasciato lì a fuoco spento. Dopo almeno tre ore, si dice che è ancora meglio il giorno dopo, va rimessa sul fuoco, aggiunto altro brodo e portata a bollitura, si impiatta con un bel giro d'olio e una macinata di pepe ci sta bene. Assolutamente niente formaggio. Imprescindibile questa l'ultima bollitura con il pane, che deve durare una decina di minuti almeno. Se dato il lungo tempo di preparazione si vuole mettere via in congelatore, è meglio conservarla prima di questa ultima cottura, così che tirata fuori si può scaldare, comporre con il pane, lasciare coperta in attesa, portare all'ultima bollitura e ottenere un piatto quasi identico al fresco. Questa ultima è più che altro un sobbollire, a fuoco lento per far scaldare il tutto fino al cuore. Le varie cotture si possono fare in giorni diversi, per esempio un giorno si fanno cuocere le verdure, il giorno dopo si aggiungono i fagioli e si fa ribollire, l'ultimo giorno si fa bollire con il pane. Proprio perché era un piatto di recupero, quando si mettevano un po' tutti gli avanzi di verdura della settimana, per avere un piatto di magro del venerdì, non per questo caldo e corroborante. L' Artusi la chiama "Zuppa toscana di magro alla contadina" e cuoce i fagioli con le cotiche Mi sono aperta una bottiglia di Rosso di Montepulciano, (non bevo Chianti), e mi sono gustata questa zuppa succulenta ammirando l'acquarello dell'amico e maestro Roberto Curotto che rappresenta dei cavoli. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • LA GALINSOGA

    Nell'orto abbandonato prospera ora indomita la Galinsoga. Una delle poche erbe della quale non conosco nessun nome volgare. In pochi anni ha rimpiazzato con successo altre infestanti, pare complice il clima sempre più caldo, insieme al terribile Erigeron, quello che ingenuamente i primi tempi credevo fosse un tipo di aster, la settembrina, solo per una certa somiglianza e per il periodo di fioritura, ma ahimè non lo era. Questo post è solo per dare un nome a questa pianta che fa parte delle piante vagabonde o viaggiatrici. Portate per curiosità negli orti botanici, nello specifico questa da tali Ruiz e Pavon, due giovani spagnoli, che, incaricati dello studio delle piante del Sud America, la dedicarono a un medico di corte, Ignacio Mariano Martinez de Galinsoga, nominato poi Intendente dell'Orto Botanico di Madrid. Era la fine del '700 e da allora, questa come tante altre piante, arrivate dal nuovo mondo, conquistò il vecchio. Per chi come me ama anche la storia delle piante può divertirsi leggendo questi due articoli: https://www.inomidellepiante.org/storie/effetti-collaterali-linarrestabile-galinsoga-e-i-corsetti-malefici https://www.inomidellepiante.org/storie/ruiz-e-pavon-e-la-spedizione-botanica-nel-vicereame-del-peru Riconoscerla è facile, ce n'è talmente tanta che se non lo capisci la prima volta che ne vedi una, puoi tranquillamente fare allenamento con tutte le altre che trovi in qualsiasi campo. La foglia è leggera, ovata o anche lanceolata, più o meno dentata, l'infiorescenza piccola e insignificante, bianca con il centro giallo. Arriva a 50 cm. non di più. Odore praticamente nullo, sapore non l'ho assaggiata, c'è chi dice buonissima Principalmente gradisce i terreni coltivati, meglio se umidi, anche se è pianta di poche pretese e infesta le colture di ogni genere in tutte le latitudini meno l'Antartide. Parlo di Galinsoga, ma come sempre sono le Galinsoghe, compresi ibridi che si formano, ma tant'è questo non è un post botanico scientifico e poco mi interessa se è questa o l'altra, anche perché mi sembra difficile distinguerle per un profano. Sempre leggendo qui e là scopro che è commestibile, sia cruda in insalata che cotta in minestre. Ci penso ancora un po', poi mi deciderò ad assaggiarla. Nei paesi da dove proviene, specie la Colombia, fa parte di una zuppa, di patate e pollo, l' Ajiacco, dove essiccata è l'elemento insaporitore. Nelle ricette che si trovano è chiamata guasca, e l'ignaro chef scrive "non so se si trova in Italia". Tranquillo, c'è. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • DELLE POLPE E DELLA FOCACCIA CON LE POLPE

    Mai avrei pensato che scrivere della focaccia con le polpe diventasse un'impresa così ardua. Non ho trovato notizie sui classici di cucina genovese, quasi niente in internet, solo ricordi vaghi e confusi e risposte negative dai frantoi ai quali ho chiesto. Il sapore quello sì lo ricordo. Una focaccia morbida molto unta che una volta si faceva in casa o si trovava dal panettiere solo nel periodo di raccolta delle olive, quando si portavano al frantoio e si portava a casa parte dello scarto della lavorazione. Cosa sono le " polpe " ormai lo sanno forse pochissimi. Poco ne so anche io, una volta era quasi banale averle, cose quotidiane che sono sparite senza che ce ne accorgessimo. Ma io ho super Cassinelli , il mito che mi ha raccontato tutto. foto del museo dell'olio di Albenga Questo saporito elemento si otteneva direttamente dal frantoio, quando i frantoi "molavano" e non torchiavano le olive. Sulla pietra del frantoio rimanevano una volta i noccioli e le pelli delle olive e questo insieme veniva portato a casa, sempre nell'ottica del non si butta niente. Questa specie di pasta di olive macinate conteneva anche i noccioli, veniva messa in acqua tiepida in modo che i noccioli andassero a fondo e si provvedeva a tirare su con una schiumarola le parti di oliva, che poi erano più che altro la pelle delle olive e successivamente si mescolava all'impasto del pane. Cassinelli mi raccontava che nel panificio arrivavano dall'Onegliese sacchi di pelli di oliva secche, già pulite, che venivano reidratate in acqua prima di aggiungerle all'impasto. In fin dei conti le "polpe" non sono altro che le pelli delle olive schiacciate. Ora non più possibile averle, i frantoi funzionano diversamente, sfruttano fino in fondo tutta l'oliva e non rimane scarto utilizzabile in quel modo. Ma son testarda e la domenica uggiosa e se il frantoio le polpe non me le dà, me le faccio. Ho fatto un esperimento. In casa ho l'estrattore e l'unica cosa per la quale non lo uso quasi mai è fare i succhi di frutta, perché l'ho trovato utile per tantissime altre cose. Anche questa volta ho pensato che tutto sommato schiaccia, e mettendo le olive dovrebbe da una parte uscire un misto di quello che sarebbe olio, sansa e acqua e dall'altra una pasta di olive macinata. Nemmeno l'estrattore più grande, che ho adesso, avrebbe macinato i noccioli, quindi armata di pazienza, con il denocciolatore antichissimo che avevo nel cassetto, li ho tolti. Ho usato le olive più mature, quelle più nere. Le olive denocciolate le ho buttate nell'acqua calda non bollente, per un minuto, un processo credo necessario anche per togliere un po' di amaro. Scolate, ho passato il tutto nell'estrattore e ho usato il residuo di olive nell'impasto. Ho ottenuto 75gr. circa di pasta di olive. Sono anche convinta e proverò, che la mia pasta possa essere congelata Adesso molti usano semplicemente le olive fresche snocciolate, sempre con un passaggio in acqua calda, non bollente, e poi tritate. Altra cosa è invece un pane o una focaccia fatta con olive conservate in salamoia o sotto sale, macinate o meno e aggiunte. Quello è pane alle olive, buonissimo anche quello. Per la mia focaccia ho impastato 250gr di farina con mezza bustina di lievito secco Mastro Fornaio e un cucchiaio di zucchero e acqua quanto basta per avere un impasto morbido appiccicoso. Per ultimo ho aggiunto il sale. Chiuso in un contenitore l'ho messo a lievitare vicino alla stufa perché oggi era freddino. Dopo mezz'ora - 40 minuti ho fatto qualche piega senza togliere dal contenitore. Questa è stata la mia ricetta frettolosa perché volevo un risultato alla svelta, ma qualunque formula di impasto di pane morbido tipo focaccia viene bene, qualsiasi farina può funzionare, l'importante è aggiungere le polpe nell'ultima piega prima di metterlo in teglia Dopo un'altra mezz'oretta ho aggiunto la pasta di olive, impastando con le mani sporche d'olio e aggiungendo poca farina perché l'impasto era particolarmente appiccicoso tanto da non riuscire a mescolare bene le olive La prossima volta userò la planetaria. Messo nella teglia abbondantemente unta con olio di nuovo a lievitare. A lievitazione a cuocere nel forno caldo della stufa. La cottura nel forno della stufa a legna è intuitiva. A occhio capisci il calore del forno, a occhio sai se cotto. Nonostante adesso abbia una termocucina moderna con tanto di termometro e luce non mi servono. Anche perché la lampadina bruciava ogni volta che l'accendevo e il termometro da tempo gira a vuoto. Sono più che soddisfatta del risultato. Forse la prossima volta rimacinerò la pasta più fine per avere un impasto più uniforme Con un attimo di tempo posterò anche i mille e un modo di come quest'anno ho provato a fare le olive: in salamoia, al forno, cunzate o no, ma oggi è lunedì, ho giusto il tempo di pubblicare il post, fuori è ancora una bella giornata di sole e c'è pieno di erbe in giro da raccogliere. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • UN ANNO DI BLOG ...

    Grazie. È la prima parola che mi viene in mente. Era il 14 novembre del 2017 quando stuzzicata da un video americano che girava su FB, ho ceduto e mi sono decisa a scrivere il primo post ... Per chi se lo fosse perso: Burro? Grazie, me lo faccio ( qui>>> ) Il video faceva vedere un giovane che metteva della panna liquida in una bottiglietta di plastica da mezzo litro e in pochi minuti, scuotendola, otteneva del burro fresco. Ovviamente non fu l'azione del giovane, per me banale, che mi lasciò perplessa, quanto i commenti e non su come veniva fatto, ma semplicemente perché molti, ma veramente tanti, anzi troppi, non sapevano che il burro è o dovrebbe essere fatto con la panna ... Giusto qualche giorno mi prima era capitato in uno dei tanti gruppi di cucina, ricette ecc., di leggere come avessero consigliato di buttare via tutto ad una malcapitata che nel tentativo di montare la panna con un robot, era successo di trovarsela stracciata e di colore giallastro e tutti a scrivere sotto: - Butta, butta è andata a male- ... quando invece era semplicemente montata troppo e diventata burro. Cosa era successo in questi anni? ma quanti secoli erano passati da quando qui, in campagna, seduta sulla panca in cucina sbattevo il fiasco per fare il burro con la panna fatta affiorare dal latte appena munto? Proprio ora che tutti possediamo robot che ti parlano e che sanno la ricetta meglio di te? Frigoriferi che ti telefonano per farti fare la spesa? A che cosa servono esattamente se tu non conosci la materia prima, l'ingrediente che ci devi mettere dentro? Ora io non sbatto più il fiasco, ma so mettere la panna, che raramente ormai prelevo dal latte munto, e compero fresca al supermercato, nel frullatore e farmi il burro... e per fortuna il mondo è cambiato e non sono più costretta a farmelo, ma scelgo ciò che voglio o non voglio fare. Un breve sondaggio fra conoscenti, e solo chi aveva più anni di me ricordava a fatica che il burro si fa con la panna. Tanto bastò a convincermi a dar retta a quello che da mesi mio figlio mi andava ripetendo: - Scrivi, scrivi quello che sai, c'è gente che non lo sa ... Provati in famiglia dalla scomparsa di mia madre, alla quale oramai non si poteva più chiedere e attingere, nella primavera Alessio era arrivato a casa con il sito e il progetto sulle erbe a lei dedicato, e con la frase felice: - Scrivi, che poi muori anche tu e a chi lo chiediamo? - ... grazie del "poi"... Crudo, realistico e convincente, ma io tergiversavo. Scrivi... sembra facile... fai le fotografie... ahahaha figuriamoci... d'altronde avevo già raccontato e stampato l'esperienza della Mostra delle donne ( qui>>> ), l'idea non era scrivere per altri, giusto per la cerchia familiare e qualche amico che chiedeva spesso ricette o altro, specie sulle erbe e quindi errori grammaticali, inesattezze formali, forse mi sarebbero state perdonate. Ebbene, mi trovo qui oggi a sperare che nell'enorme seguito che ha avuto e continua ad avere il mio blog, TUTTI perdonino le inesattezze e gli errori. Non voglio fare un discorso di cifre, le ho seguite sbalordita i primi giorni, così come incredula pensavo a quello o quella che in Australia o chissà quale paese sperduto del mondo, apriva il mio blog, per leggere qualcosa che forse era un ricordo anche per lui. Appunto le cifre, sono impressionanti perché l'argomento è limitato, cose antiche, di una volta, esperienze che nessuno fa più, vita semplice al limite dell'essenziale, ostico da comprendere per chi vive lontano, non solo fisicamente ma mentalmente e temporalmente da quella che è la mia scelta di vita e pensavo davvero interessasse a pochi. I numeri ... sono quelli che oggi danno valore a una persona... a me hanno dato un'immensa responsabilità per quello che scrivo. Al momento resisto alla tentazione del facile copia incolla e spero si sia capito, resisto a chi mi fa l'occhiolino per farmi scrivere quella parola giusta o quella ricetta in quel modo perché leggendola così tante persone, potrei influenzare questa o quell'altra scelta, resisto alle imposizioni di Google che vorrebbe un modo meno arcaico di scrittura, dirmi lui quando e cosa devo pubblicare per avere più visualizzazioni... Se una cosa non la so, non la scrivo, se non l'ho provata non la scrivo e scrivo come parlo e per ora il sito e il blog sono a totale carico dell'Associazione. https://www.lellacanepa.com/donazione-tutti-manuali Eventuali donazioni rivolte all'Associazione vengono utilizzate per la pubblicazione dei manuali che cerco di diffondere il più possibile nelle scuole e simili, scopo per il quale l 'Associazione Erbando ( qui>>> ) è stata fondata. Anche solo un "mi piace " sulla pagina Fb ( qui>>> ) e la condivisione serve a farci conoscere. E allora grazie, grazie anche a chi condivide sui social facendo in modo che ancora più persone mi seguano, conoscano l'Associazione e partecipino non solo virtualmente ai nostri incontri, alle nostre iniziative. Grazie a chi è venuto a conoscermi personalmente dal mio gazebo nelle piazze, nelle fiere, a chi ci ha sostenuto, ho conosciute persone splendide, sentito racconti, condiviso esperienze e ricordi pur essendo perfetti sconosciuti fino a poco prima. Chi mi legge avrà capito che vivo in una frazione isolata, a 800mt. sull'Appennino, nell'entroterra ligure, sola con la mia gatta, con la stufa a legna, pecore e asini per vicini, una specie di orto che, non riuscendo più a gestire, fa quello che vuole quando vuole e che condivido con caprioli e cinghiali, con alberi di frutta abbandonati, prati incolti, castagneti immensi dimenticati, faina che viene sul terrazzo tutte le notti a vedere se il gatto ha lasciato qualcosa e comunque lascia qualcosa lei, il lupo che banchetta il cinghiale nel cortile e la farfalla che ha deciso di passare l'inverno da me. Vivo, se voglio, come si dice, di bacche e radici, bevo acqua di fonte e l'unica diavoleria moderna è giusto questa antennina che mi permette di ricevere un segnale che il mondo c'è da qualche parte, laggiù, dopo un numero congruo di curve, ma più lo guardo da qui, più penso che non è e non è mai stato il mio mondo... Cerco di rispondere a tutti quelli che mi scrivono per quello che so e sicuramente mi sfugge qualcosa, ma sappiate che mi fa piacere ogni parola che mi dedicate. Qui nella solitudine, nell'abbandono che soffrono questi paesi per le difficoltà oggettive a viverci, siete ora voi la mia compagnia e adesso a voi penso scrivendo e al piacere che mi fa sapere che esistete, che ci siete, che perdonate il mio essere semplice e rustica. Siateci, grazie. Vivo la mia vita tra i papaveri e il grano Il cielo è trasparente il mondo gira piano E c'è un camino acceso e coperte sui divani La notte sopra il tetto e il correre dei cani E sentirai l'odore della bella primavera E suoni di campane tra gli echi della sera E conterai le stelle nella notte senza luna Vienimi a cercare io ti aspetto qui ... Mimmo Locasciulli Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. 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  • IL CINGHIALE A MODO MIO - 🐗 la mia carbonade

    Inizio subito dicendo che ripudio la caccia, ma sono purtroppo stata mio malgrado figlia e moglie di cacciatori, madre no, i miei figli al momento del battesimo hanno ricevuto oltre al "rinunci a Satana" anche il "rinunci alla caccia". Resta il fatto che per anni ho dovuto affrontare il problema di cuocere il cinghiale e quando questi erano ben più selvatici e la loro carne dal sapore più marcato. Avendo gustato in Val d'Aosta una buona carbonade di camoscio, ho adattato la ricetta. LA RICETTA Questa ricetta non prevede marinatura. Avuta la carne di cinghiale dovrò pazientemente sgrassarla completamente (cioè privare con un coltello di tutte le parti grasse visibili), in quanto il grasso del cinghiale non ha buon gusto, se non è già stato fatto, lavo molto bene la carne lasciandola anche in acqua corrente, per togliere tutto il sangue. Poi taglio a pezzi piccoli, più piccoli di uno spezzatino e per capirci che non superino i 2 cm, e li infarino. Nella mia vecchia e fidata casseruola di terracotta avrò fatto appassire in olio, burro e dello scalogno in abbondanza, metto a rosolare la carne infarinata con una buona manciata di pinoli. Giro spesso e sorveglio, perchè tende ad attaccarsi data la farina. Raggiunta una rosolatura uniforme aggiungo, se piacciono, un poco di funghi secchi tritati fini, fumo e stacco ben bene la carne con un ottimo vino rosso corposo tipo Dolcetto, Nebbiolo, Barbaresco, senza arrivare al Barolo che secondo me, per il cinghiale è troppo. Sale poco, pepe e, se piace, uno o due chiodi di garofano; continuo la cottura coprendo con il vino. A questo proposito tengo sempre vicino un pentolino dove scaldo il vino e lo aggiungo sempre caldo perché tale è la carne e non voglio provocare uno sbalzo termico alla pietanza. Incoperchio e, a questo punto, devo aver rosolato bene la carne altrimenti quello che risulterà sarà un lesso. Lascio a sobbollire pazientemente fino a cottura completa. E' un ottimo piatto da accompagnare con la polenta, ma anche con del riso pilaf. Riso pilaf? Si, facile e veloce. Trattasi di riso, meglio un riso esotico tipo basmati, fatto tostare poco, fino a che i chicchi non siano traslucidi, con della cipolla appassita in olio, messo in una teglia con buon brodo vegetale in proporzione di uno riso - due brodo, coperto da un foglio di alluminio o ancora meglio da un coperchio e passato in forno caldo a 200° per circa 18 minuti. A fine cottura, con una forchetta sgrano bene il riso. Per una presentazione più elegante di solito faccio le monoprozioni di riso pilaf nei pirottini di alluminio che poi sformo direttamente nel piatto, vicino alla carbonade di cinghiale. Gli ospiti hanno sempre apprezzato. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti . Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • STRUDEL

    Di Voi, Signore e Signorine, molte sanno suonare bene il pianoforte o cantare con grazia squisita, molte altre hanno ambitissimi titoli di studi superiori, conoscono le lingue moderne, sono piacevoli letterate o fini pittrici, ed altre ancora sono esperte nel tennis o nel golf, o guidano con salda mano il volante di una lussuosa automobile. Ma, ahimè, non certo tutte, facendo un piccolo esame di coscienza, potreste affermare di saper cuocere alla perfezione due uova al guscio. Ada Boni "Il Talismano della Felicità" 1927 Era il tempo delle mele... è il tempo dello strudel. La ricetta della pasta per il mio strudel, lo confesso subito, è tratta paro paro dal Talismano della Felicità, un must dei libri di cucina, che tutte le brave spose di una volta dovevano avere nel corredo, e io, come si dice, lo ebbi e tanto lo usai, come si vede... Un libro utilissimo, completo, dove prendere spunti su tutto, e da parte mia, che difficilmente seguo una ricetta come è scritta, questa invece ha un piccolo segreto ed è talmente facile e scarna di ingredienti con una riuscita superlativa, che non l'ho mai abbandonata. Provare per credere. Per un buon Strudel, occorrono innanzitutto le mele, per quanto mi riguarda cerco di usare quelle che ho, in questi giorni sono sommersa dal raccolto delle mele e scelgo quelle ammaccate, non perfette, che so non si conserveranno e quelle uso, a caso, mescolate. Alcuni preferiscono la Mela Renetta , adatta quando è soda e acidula. Per il resto 250gr. di farina , in questo che ho fatto ieri più di metà era integrale, un uovo , un pizzico di sale, mezzo cucchiaio di zucchero, mezzo bicchiere di acqua, 50gr. di burro, che per questo ho sostituito con pari olio di arachide , sempre perché non riesco a non modificare una ricetta, ma soprattutto perché volevo farlo e non avevo burro. Nella farina a fontana metto l'uovo e zucchero e sale, poi l'acqua intiepidita quel tanto o anzi, quel poco per far sciogliere il burro, o appena intiepidita con l'olio, impasto velocemente, sbattendo con forza sul tavolo, poi formo una palla. E qui il passaggio importante. Nel frattempo ho messo sul fuoco una pentola più grande della palla di pasta, e più alta, vuota , con il coperchio e la faccio scaldare. Una volta calda, tolgo il coperchio e la giro sulla palla di pasta, che non tocchi ne alle pareti ne in altezza e lascio così per un quarto d'ora. Passato questo tempo la palla di pasta sotto la pentola è diventata estremamente elastica e facile da tirare, perché la pasta dello strudel deve essere così sottile " da poter leggere una lettera d'amore" messa sotto ... Tiro la sfoglia su di un canovaccio da cucina pulito, o anche sul tappetino di silicone, bene infarinato, per poterla più agevolmente arrotolare una volta farcita. Ungo appena appena con un poco di burro liquefatto, sempre se ce l'ho. A questo punto posso mettere sopra tutto quello che voglio: tradizionalmente mele a fettine, qualche cucchiaio di marmellata qualsiasi (meglio albicocca, prugna, mela) qua e là pinoli , mandorle a fettine (le preferisco con la buccia), uvetta sultanina appena ammollata in acqua tiepida (ma se piace rum), ma anche noci spezzettate, buccia di limone, un pizzichino di cannella se piace, e sopra a tutto due cucchiai di pane grattato finissimo fatti rosolare in poco burro e una spolverata di zucchero Lascio liberi i bordi perché arrotolando il ripieno tende ad uscire e riempie. Quando ho messo tutto quello che voglio, o quello che ho, delicatamente prendendo i lembi del canovaccio ( o quelli del tappetino di silicone) sollevo e lentamente arrotolo facendo scivolare poi direttamente nella teglia. Chiudo bene ai lati e spolvero la superficie di zucchero e qualche pinolo per decorazione Un milione di anni fa, la prima volta che lo feci, pensando la ricetta un po' misera, raddoppiai le dosi, ottenendo un rotolo lungo un metro che non sapevo in che teglia mettere e dovetti piegare per poterlo infornare... 😂😂😂 Cottura dolce, forno medio, per un'oretta. Cotto, spolverizzo con zucchero a velo. Toglietevi l'illusione che sia un dolce trentino, tirolese o austriaco... se ne ha notizia già in Mesopotamia nell'VIII se. a.c., e poi in Grecia, in seguito lo portarono i Turchi con 200 anni di dominazione in Ungheria , dove all'originale dolce ottomano, la Baclava , vennero aggiunte le mele così facili da trovare in quella zona. Con la conquista dell'Ungheria da parte dell'Austria arrivò a Vienna che lo nominò Strudel, dalla traduzione letterale della parola vortice o gorgo o mulinello, proprio perché la pasta va arrotolata intorno alle mele e non come tanti fanno, semplicemente chiusa intorno al ripieno. Se si vuole fare i goduriosi è possibile servirlo con crema pasticcera, crema inglese, zabaione o con una pallina di gelato alla crema... SLURP...​ Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • FIORI ANTICHI DEI MIEI GIARDINI SPARITI

    Questo è un post nostalgico come succede solo a chi ha una certa età. Al giorno d'oggi a fine inverno si va in un garden si spende due soldi e si torna con i fiori, già pronti, praticamente destinati a vivere quel tot. Una volta no, una volta nei giardini delle case e se possibile anche di città non potevano mancare alcune piante, che venivano scambiate tra vicine, chi riusciva meglio a coltivare una cosa, chi l'altra, e ogni fiore aveva spesso un motivo per esserci. Oggi ve ne presento qualcuna di quelle che sono riuscita a salvare dai ruderi abbandonati, qui dove vivo io e perché non dovevano mancare nei giardini fino a qualche anno fa. Certamente la Rosa , ovviamente quella da sciroppo qui>>> di cui ho già parlato diffusamente sia di colore rosa che quella rossa. L' Erba della Madonna , il Sedum telephium, qui ho sempre visto quello a fiori rosa, ma so che esiste anche bianco. Su questa pianta, nelle sue diverse varietà, è stato fatto uno studio dalle Università di Firenze e Pisa, a seguito di alcune esperienze di un certo dott. Balatri dell'Ospedale San Giovanni di Dio di Firenze che ne hanno confermato le eccezionali proprietà nei casi di ulcere, giraditi, ascessi, dermatiti, ustioni e anche nel favorire la fuoriuscita di corpi estranei sottocutanei, come già la tradizione popolare sapeva. L'uso delle foglie fresche, spellate della pagina inferiore applicate direttamente o tritate è da sempre usato, per esempio, per curare giraditi. L'articolo dedicato a questa pianta dove troverete il pdf del dott. Balatri: qui Un altro sedum, il Sedum sieboldii , l' Erba Teresina , così chiamata perché fiorisce a ottobre, nella ricorrenza di Santa Teresa d'Avila La Bergenia, Bergenia crassifolia , con foglie larghe carnose che a fine inverno nei posti caldi, qui non prima di aprile, formava con i suoi fiori rosa le bordure di questi giardini, ma le donne di una volta tenevano segreto fra di loro quanto questa pianta servisse per le irrigazioni vaginali a curare infiammazioni e irritazioni della cavità vaginale in generale. E chi sapeva preparava un estratto concentrato facendo bollire rizomi e radici ... Il meraviglioso Lillà , Syringa vulgaris , qui che con il suo prepotente profumo è annunciatore della primavera. Ma quanti ricordano ancora che è pianta curativi per i disturbi di cuore, per l'ipertensione? e come il profumatissimo oleolito fatto con i fiori serva per i dolori reumatici e per i gonfiori alle gambe dovuti al caldo estivo? Vicino il prezioso Calicanto , Chimonanthus praecox , perché anche l'inverno vuole il suo fiore e il suo profumo, trovate tutto su di lui qui>>> La Pervinca , Vinca minor , qui il post, tappezzante, che per prima regala i suoi fiori blu, a parte essere usata per i filtri d'amore, seppur tossica, ancora oggi le sono riconosciute grandi proprietà nella cura dell'ipertensione e il meccanismo per il quale agisce ne fa una pianta benefica "per la salute del cervello" La semplice Tagete , Tagetes patula, cui tanti conoscono l'uso nei giardini e negli orti per combattere parassiti e funghi ma che si è dimenticato che lo stesso serviva per noi, il suo olio essenziale è un buon antimicotico, utile nel caso di zanzare e nello shampoo contro i pidocchi e contiene anche piccole quantità di antibiotico... per niente conosciuta anche come Calendula messicana. Non poteva mancare la Calendula , Calendula officinalis , per approfondire qui , le incredibili proprietà lenitive sulla pelle dell'oleolito, fatto con le sue corolle arancioni, specie nei bimbi piccoli per le dermatiti da pannolino, ma anche l'infuso, un casalingo rimedio per regolarizzare il ciclo e da qui il suo nome popolare "oro di Maria", mentre quello di Calendula pare sia dato dal fatto che fiorisce quasi tutto l'anno il primo giorno di ogni mese Fra le annuali, sempre presenti Astri, Zinnie, Cosmee, Gladioli, Dalie, Violaciocche, Bocche di Leone, e Garofani , e Fucsie chiamate qui Orecchini della Madonna , che se non erano famosi per le proprietà curative, con le corolle variopinte, attiravano le api e nel caso della Zinnia pare fosse il fiore della risata, sicuramente per i colori accesi che mettono allegria anche a guardarla Alte e preziose quelle che mia nonna chiamava Bismalva, l' Alcea rosea , in varie sfumature dal bianco al rosso scuro passando per il classico colore rosa, con le stesse proprietà più o meno della cugina malva qui e il Giglio di Sant'Anna , l' Hosta plantaginea a formare bordure con le foglie enormi e il fiore bianco profumato O quello di Sant'Antonio, profumatissimo, che tutte abbiamo portato in processione con l'abito della prima comunione O ancora il giglio turco, arancione, l'Hemerocallis, che pochi ricordano sia commestibile dal gusto di limone, qui per distinguerlo dall'altro, quello protetto dei boschi, il giglio di San Giovanni E a protezione della casa il così detto Guardiatrun , Sempervivum tectorum, non poteva mancare sui nostri tetti, vivendo del nulla, quella poca terra trasportata dal vento che si attaccava alle ciappe (ardesia), l'acqua che pioveva e sfidando gelo e neve proteggeva la casa dai fulmini e da temporali. Dalla casa di mia suocera, negli anni '70, ne tirammo giù uno intero che misurava più di un metro quadrato, ma... serviva anche per i calli, specie quelli fra un dito e l'altro. Una foglia tritata grossolanamente posizionata e tenuta in loco con una fasciatura dava sollievo e favoriva la scomparsa del callo e tanti la conoscono come Erba dei calli. Giardino Italiano - Gustav Klimt - Tutte piante e fiori rustici, semplici, di poche pretese, non bisognosi di particolare accudimento, come poco tempo avevano le donne di un tempo da dedicare al giardino. Spesso le fanciulle li usavano per adornare gli altari delle chiese delle nostre campagne, ricordo ancora, le domeniche sul piazzale, prima di messa le comari a scambiarsi pezzi di rametti, bulbi e semenze: - Maria ti ho portato la semenza di zinnia, ce l'hai le tagete da darmi?...- Cose di un tempo, giardini perduti, informazioni scambiate di bocca in bocca, nomi dati per associazione alla forma o al sollievo che procuravano... niente wikipedia... niente blog ... niente social ... ma tanta condivisione. Nei giardini dei ricchi c'era, magnifica, la Peonia ... qui >> DEL SALE, DEL SÂA E DELLA SAÖA, E ALTRO DALLE CUCINE ANTICHE CHE NON CI SONO PIÙ Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti . Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.

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