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- LA BARDANA
- se la vecchiaia vuoi tener lontana, fatti amiche cicoria e bardana - Nel paese del Galles si chiaman Bardi alcuni girovaghi poeti e cantori, che traducendosi di paese in paese cantano gli elogi di grand'uomini, accompagnando il canto col suono dell'arpa... dal dizionario di erudizione storico ecclesiastica di Gaetano Moroni -1857 - E così pare che foglie e radice di questa pianta bollite nel sidro aumentassero la fantasia e la parlantina di questi antichi cantori celtici e quindi da Bardo = Bardana. In realtà il nome botanico è Arctium lappa per la Bardana maggiore e Arctium minus per la Bardana minore e altre varietà ancora. Non mi perdo in discussioni botaniche che non mi competono per distinguerle, mi limito a evidenziare come la Bardana maggiore è di dimensioni notevoli che arrivano anche a 2 metri di altezza con foglie di 40cm di larghezza e 50 di lunghezza, per il resto sono molto simili. Per questo è facile il suo riconoscimento, foglie enormi ovate a punta, smerlettate, con una fitta ragnatela di nervature nella parete inferiore di colore chiaro, biancastro. Il fusto grosso, rossiccio, cavo in alcune specie. Unica confusione, ma la ritengo improbabile, con il Farfaraccio, per le grandi foglie che anche questo ha. La foglia del Farfaraccio è diversa, arrotondata o come si dice reniforme, dalla forma che ricorda un rene, la pianta non si alza fiorendo, anzi a marzo escono prima i fiori dalle radici sul terreno nudo e dopo ingrandiscono le foglie. Si trova in zone umide in grandi popolazioni. Nel caso al Farfaraccio, è riconosciuta la presenza di alcaloidi dannosi per il fegato, sconsigliato quindi mangiarlo, ma credo che odore e consistenza non invitino al consumo e rendano impossibile sbagliare. Nel caso di dubbio occorre capire la differenza con l'osservazione della fioritura - Farfaraccio - genere Petasites La Bardana è pianta che non appartiene alla mia tradizione culinaria, solo tardi è entrata a far parte delle mie conoscenze alimentari. È presente nei primi erbari medievali, certo per le sue dimensioni non passava inosservata, fatto sta che della Bardana è commestibile tutto, radici, giovani foglie, germogli. Il gusto senza lode e senza infamia, tendente all'amaro, l'ha fatta probabilmente abbandonare per altre colture più appetibili, meno che nella cucina orientale, specie quella giapponese dove è usata in zuppe, in tempura, e semplicemente con il riso. L'unica ricetta che ho provato, a parte mescolarne qualche germoglio alle altre verdure bollite, sono le polpette, e devo dire che se non mi fanno correre a cercarla, quando capita in questa stagione che le altre erbe sono finite e nell'orto c'è ancora poco, e come oggi il vicino sta per tagliarne una bella pianta, ci stanno le polpette. Due patate qualche germoglio tenero di bardana un uovo qualche cucchiaio di formaggio parmigiano pane grattugiato un'erba aromatica a piacere prezzemolo, maggiorana, origano, o anche no Bollito patate a pezzi e bardana a ciuffi per un quarto d'ora, venti minuti, basta schiacciare tutto con una forchetta, unire l'uovo, salare, l'aroma, il formaggio e il pane grattugiato, tanto da formare con le mani delle polpette della forma che si vuole, a piccolo medaglione o allungate. Passate velocemente nel pane grattugiato e fritte in padella in olio di oliva pochi minuti per parte fino a colorarle. Se non si vuole l'uovo, un cucchiaio di farina per amalgamare, se non si vuole friggere si può provare in forno a 180° con un filo di olio sopra. Tornando a lei, la Bardana, pare che anche i fiori prima di aprirsi, possano essere fritti e siano per gusto simili al carciofi, proverò ... Ma i fiori, di cui posto per il momento una foto presa dal web, sono famosi per altro. Di colore violetto - rossiccio, sono avvolti in particolari brattee uncinate flessibili che si attaccano ai vestiti di chi la scontra per caso. Questa particolarità fu notata dall'ingegnere svizzero Georges de Mestral che, negli anni '40, al ritorno dalle sue passeggiate, era costretto a togliere da abiti e dal pelo del suo cane questi strani pappi uncinati. Studiandoli al microscopio, notando soprattutto l'elasticità di ritornare in forma dopo essere stati staccati, gli venne in mente di fabbricare qualcosa di simile che si "aggrappasse" e inventò, brevettandolo, nei primi anni '50, il "Velcro". Il Velcro venne alla ribalta quando fu utilizzato, come ancora oggi è, dalla Nasa per fissare gli oggetti nelle capsule spaziali, nel 1978 finito il brevetto, divenne alla portata di tutti e si impose come veloce metodo di chiusura. Tutto ciò dall'osservazione di una comune pianta. Anche se molti erboristi moderni non le riconoscono proprietà particolari, è usata da sempre per la cura della pelle, specie grassa, per l'acne, e dei capelli, molti shampoo contengono Bardana e Ortica, molte creme naturali contengono Bardana. Utile il semplice infuso, meglio di radice per pulire la pelle struccata per contrastare l'acne e la pelle grassa o per risciacquare i capelli. Se si leggono i testi antichi sono talmente tanti gli usi che si faceva di questa pianta, alcuni sostenuti ancora oggi in diversi studi, che per questo invito ad approfondire. Come succede con tutte le piante che avevano un certo effetto sull'uomo la pianta veniva collocata tra le piante magiche. Della Bardana erano fra gli altri l'uso di bruciare per casa la radice, per eliminare malocchio e influssi negativi, e conservarla secca in sacchettini di tela da portare appresso con lo stesso proposito. A noi, fanciulli di un'altra epoca, bastava la magia di piegare una foglia per fare un specie di bicchiere e bere a una fontana vicina, o per contenere frutti di bosco trovati durante la passeggiata, mettersene una grande foglia fresca in testa se ci si era dimenticati il cappello, ed era spuntato un sole troppo caldo. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- L'ESTATE DI ERBANDO
Estate ed erbe non vanno molto d'accordo, è la primavera la stagione di erbe e fiori. Il ciclo vitale di molte spontanee selvatiche si conclude con la fioritura fra maggio e giugno, la successiva produzione di semi che cadendo a terra, con le piogge di autunno e il riposo invernale, permetterà l'anno prossimo di rinascere e proseguire. Poco da mostrare e pochissimo da raccogliere, finiti a luglio anche iperico ed elicriso, questo per precisare a chi mi chiede quando potrei fare una passeggiata di riconoscimento delle erbe commestibili, non mi sembra davvero adesso il momento migliore. Gli altri anni era l'estate tutto un fiorire di eventi, mostre, fiere alle quali partecipare. Quest'anno ritengo si debba avere ancora molta attenzione e infatti molte cose alle quali partecipavamo come Associazione sono sospese o regolamentate. I progetti dell'Associazione non si fermano comunque, ricordo che il sito e l'Associazione nascono dalla felice esperienza 15 anni fa di una Mostra dedicata al lavoro femminile nelle case di campagna e di come la tecnologia abbia influito sulla vita delle donne e dalla conseguente pubblicazione di un piccolo volume ad essa dedicato, e che il lavoro dell'Associazione non si limita alle erbe commestibili. qui>>> https://www.lellacanepa.com/donne-da-ieri-a-oggi qui>> https://www.lellacanepa.com/donazione-donne-da-ieri-a-oggi qui>>> https://www.facebook.com/DonneDaIeriAOggi/photos/?tab=album&ref=page_internal Attualmente abbiamo in programma: DOMENICA 11 luglio : Partecipazione all'International Lace Day: Le merlettaie di tutto il mondo si uniscono in un giorno per dimostrare che la lavorazione del merletto è ancora viva. Nello stesso giorno in diversi paesi del mondo gruppi o persone sole lavoreranno al merletto in una piazza o strada per mostrare quanti ancora sono interessati a queste preziose lavorazioni. Personalmente sarò in Piazza Pieve a Varese Ligure, con il banchetto del macramè, prezioso merletto a nodi, caratteristico quasi esclusivo della zona di Chiavari, perlomeno inteso come frangia di asciugamano. Nel tempo il nodo del macramè, di derivazione araba, è stato ripreso e usato recentemente per arredi diversi, oggettistica o gioielli. Avrò con me preziosi asciugamani antichi e lavorazioni moderne da mostrare a chi interessato, o a chi vorrà provare a intrecciare. La mia esperienza di macramè risale agli anni '70 quando a Chiavari la maestra Maria Chiappe, la mia insegnante, caparbiamente lo riportò alla giusta considerazione. Orario: 11 - 17,30 https://www.eventbrite.nl/e/international-lace-day-2021-registration-157652780711 SABATO 17 luglio All'interno della manifestazione ViviVarese, nel Borgo Rotondo, un progetto a lungo accarezzato: "Un'erba per Tingere" in collaborazione con Pecora Nostrana e Federica Figone, la rivalutazione della lana delle nostre pecore, con la quale le donne di una volta confezionavano quello che necessitava alle famiglie. Mentre Federica illustrerà le varie fasi della lavorazione dalla pulitura alla filatura e al suo metodo di tintura naturale, Associazione Erbando presenterà le erbe per tingere. Sarà possibile provare a filare a mano con il fuso primordiale antico. Si potrà portare a casa, con una donazione, un corredo contenente tutto l'occorrente per provare a filare e a tingere con l'erba. La cassetta in legno contiene: Un fuso, un poco di lana pronta per la filatura, un sacchetto, di tessuto antico, con due erbe tintorie. Per preparare questo approccio alla filatura e alla tintura c'è stato molto lavoro, oltre alla cura degli animali, ci sono state domeniche piovose a sradicare erbe, pomeriggi assolati a graffiarsi per raccogliere radici, risate fra amiche di età diverse a pulire, cardare, a scambiare consigli e informazioni, a confrontare colori diversi ottenuti con la stessa erba, a provare fusi e arcolai ... proprio come le comari di una volta. Crediamo molto in questo progetto, credeteci anche voi. Per qualunque domanda su lavorazione anche per quanto riguarda feltro, uncinetto, aghi a due, a quattro, ecc. saremo a disposizione. Insieme a noi altre amiche, con il telaio, a intrecciar cestini, a dipingere ... Orario dalle 10 alle 18,30 Domenica 25 luglio e Giovedì 29 Luglio Lella Canepa sarà presente a Rapallo presso la bancarella di Guido Porrati a ParlaComeMangi nel progetto di una visita dell'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo in relazione sempre alle erbe e fiori commestibili, specie quelli usati in Liguria. Pur restando nell'ambito di un evento dedicato, saremo a disposizione per eventuali richieste. Saranno presenti insieme a noi le sorelle Picetti, intagliatrici degli stampi per croxetti di Varese Ligure, se qualcuno volesse acquistare o ordinare da loro. https://www.lellacanepa.com/single-post/alessandra-mani-d-oro?fbclid=IwAR3V7vbJhNo889PnnXe0VMtc_Vq05xyXO8LqftNcQKzxh3OAkLvhQ-XwGIc Venerdì 13 Agosto Evento ancora da perfezionare nei dettagli, nella meravigliosa cornice della piazza della Basilica dei Fieschi a San Salvatore di Cogorno. Anche quest'anno non sarà possibile la realizzazione dell' "Addio do Fantin" nella formula conosciuta degli anni passati. È comunque in programma un mercatino medioevale, come l'anno scorso, dove sarà presente l'Associazione Erbando con le erbe definite un tempo "magiche". Fra scienza e credenza ma con coscienza. https://www.primocanale.it/video/addio-do-fantin-2020-a-cogorno-lo-spettacolo-della-rievocazione-storica-1--119500.html Altre cose bollono in pentola, gli aggiornamenti sulla pagina Facebook dell' Associazione o nei prossimi post qui sul blog. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- AMARANTO COMUNE DEI CAMPI
Tutto intorno a me è ormai arido e secco, la fienagione è avanti, con questo sole caldo degli ultimi giorni di giugno, gran parte delle erbe sono tagliate, imballate, pronte per essere servite alla mensa di mucche, pecore e altri animali, il prossimo inverno. Quello che non è tagliato è comunque secco, difficile trovare qualcosa di selvatico che resista, l'orto innaffiato regolarmente dà invece, se pur faticosamente, i suoi prodotti. Ed è proprio lì fra una zucchina e un pomodoro, fra le patate già sarchiate, i fagioli e le cipolle, che spunta adesso l'Amaranto. Tra le infestanti più odiate per i contadini di qui, non mi risulta nessuno l'abbia mai mangiata. Io stessa non la conoscevo come pianta commestibile o perlomeno non pensavo fosse anche questa Amaranto, fino a non molti anni fa. L' Amaranto che conoscevo una volta io, era quello con il pennacchio rosso che si vedeva e si vede in molti giardini, credevo una specie ornamentale, poi l'innata curiosità di capire che piante avevo intorno, mi ha impegnata a cercare il nome anche di questa selvatica. Inoltre molte spontanee dimenticate sono state riscoperte dalle nuove tendenze dell'alimentazione, vedi vegetariani e vegani, molte ricercate per proprietà indispensabili a certi regimi e riconosciute con nomi nuovi. Un po' come è successo per la Quinoa, improvvisamente si è sentito parlare della farina di Amaranto per ricette senza glutine, facendolo arrivare da lontano ignorando che sia più o meno la stessa infestante dei nostri orti. Ne parlo adesso sollecitata da un post di qualche giorno fa su fb, dove ho scoperto che in Grecia è molto usata e si chiama βλίτα. È davvero buona, per quanto mi riguarda, la rosetta appena nata o la cima prima della fioritura, anche solo bollita e condita con olio e limone. Il gusto assomiglia agli spinaci, più delicato, senza la sensazione di ferro che danno gli questi ultimi in bocca. Come altre verdure del genere, spinaci, bietole ecc. è ricco di ossalati e quindi sconsigliato a chi soffre di reni. Per questo è necessaria la bollitura in abbondante acqua, essendo una verdura ricca di nitrati, che vengono dispersi nell'acqua di cottura, che non va riutilizzata. Le innumerevoli altre proprietà, alto contenuto di fibre, vitamina A e K, contrasto del colesterolo cattivo, ne fanno una verdura da prediligere rispetto ad altre. Si può mangiare tutta, radice nel momento giusto, fusti giovani come fossero asparagi, foglie tenere. Bollita quindi, può essere utilizzata come altre verdure, nel post di cui dico sopra sono stati fatti dei ravioli usando ricotta e formaggio di capra e mi riprometto di provare a farli. Per il riconoscimento, forse le prime volte è meglio aspettare che cresca per osservarla meglio con la fioritura, il fusto diventa quasi legnoso con spesso striature rosse, la lunga pannocchia di fiori, che in questo selvatico è quasi sempre verde, a volte tendente al rossiccio o giallastra, che spesso si curva, dando il nome in questo caso di Amaranthus retroflexus L. Le foglie con il picciolo lungo, con nervature, ovali, nell'orto fra patate, galinsoga, farinello, simili, bisogna farci un pochino attenzione inizialmente. La farina si ottiene delle tre varietà idonee a produrre i semi da macinare o usare così Amaranthus cruenus, Amaranthus hypochondriacus, Amarantus caudatus di cui mi risulta esistano alcune coltivazioni in Veneto. Gli stessi semi possono essere scoppiati come il pop corn, così come facevano già 8000 anni fa. Per gli Atzechi era il grano degli Dei, usato nelle loro cerimonie religiose tanto era importante come cibo. Una statua di Huitzilopochtli, una delle più importanti divinità Mexica, fatta impastando semi di amaranto e miele nero, veniva portata in processione e poi mangiata nella festività dedicate al dio. Ancora oggi in Messico il dolce tipico della ricorrenza dei morti, chiamato Alegria, ricorda nella ricetta l'antico Tzoalli con il quale si componeva la statua, una specie di croccante di semi di amaranto, zucca e miele. In queste cerimonie venivano effettuati anche sacrifici umani, di conseguenza all'arrivo degli Spagnoli la pianta non fu subito apprezzata e conosciuta in Europa come avvenne per altre. Con il Mais e la Quinoa servì a sfamare intere popolazioni, per la sua facilità e velocità di crescita anche con climi siccitosi e la sua produttività, visto che una pianta produce minimo 200.000 semi e che questi possono rimanere nel terreno 20 anni e poi germinare. "Nelle cronache spagnole dei primi anni della conquista, la pianta di amaranto è descritta come maialino, santoreggia o armuelle, poiché gli europei le trovarono simili ad alcune piante selvatiche del Vecchio Mondo. Il seme di amaranto era anche paragonato al seme di senape e al seme di lenticchia, e nel Codice Fiorentino sono chiamati cenere. a, b) "Bledos". Codice Fiorentino , lib. XI, f. 134r. c, d) Stoccaggio, processo di raccolta e selezione dell'amaranto. Codice Fiorentino , libs. IV e VII, ff. 72v e 16r. " https://arqueologiamexicana.mx/mexico-antiguo/los-cuerpos-divinos-el-amaranto-comida-ritual-y-cotidiana È tra i vegetali con il maggior contenuto di proteine che assomigliano a quelle della carne ed è per questo che la sua riscoperta si deve in gran parte a chi pratica il veganesimo. Non essendo un vero cereale è privo di glutine, in commercio è possibile reperire farine e paste alimentari di questa pianta adatte a celiaci Il colore dei suoi "pennacchi fioriti" ha dato il nome alla tonalità di rosso che lo ricorda, tanto che è stata usata da noi per molto tempo solo come ornamentale, fino ad ottenere varietà apposta per decorazione dei giardini. In realtà il nome "amaranto" datole molto tempo dopo il suo arrivo in Europa, significa "che non appassisce! In alcune specie anche le foglie a volte hanno colorazione amaranto o macchie Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- FIOR DI GELSOMINO E DI NON GELSOMINO
Quando nascesti tu nacque un giardino di tutte qualità c'erano fiori l'odore si sentiva di lontano e specialmente quel del gelsomino... Stornello Toscano Una volta le notti d'estate era tutto un profumo di gelsomini e caprifogli. Poi negli ultimi anni non sono più riuscita a trovare un vero gelsomino, il caprifoglio quasi sconosciuto ai più, almeno qui dalle mie parti. Prima che potessi accorgermene sono spariti dai giardini. Al loro posto una pianta più robusta, resistente ai freddi, che non perde le foglie in inverno, che imita il profumo del gelsomino. Ovunque, sui muri abbarbicati, sui pergolati di tutta la Riviera un tripudiare di Trachelospermum jasminoides o Rincospermo, ma ormai da tutti chiamato gelsomino. Non sarebbe niente di che, se non mentre il vero Gelsomino, Jasminum officinale,(infinite le specie) dal delicato profumo quasi mai offensivo, ricco di proprietà calmanti e forse afrodisiache, è anche edule, l'altro, il falso, è tossico. Il primo uso del vero gelsomino, conosciuto da tutti, che mi viene in mente, è nel famoso Jasmine tea, un te verde aromatizzato al gelsomino. Al sud dove il vero gelsomino facilmente sopravvive agli inverni, viene largamente usato nei dolci, nei sorbetti, in infuso. Nella zona del trapanese è utilizzato per una delicata granita, ottenuta dall'infuso o meglio dal macerato del fiore ancora socchiuso, in acqua per circa 12 ore, dopodiché con l'aggiunta di uno sciroppo di zucchero e succo di limone messo nel congelatore, ogni mezz'ora mescolato il composto fino ad avere la consistenza della granita, oppure nella gelatiera per avere un profumatissimo sorbetto. È possibile che venga anche aggiunta della cannella sia nello sciroppo di zucchero che poi sopra. Piccolo intermezzo storico divertente: questa granita è conosciuta con il nome di "Scursunera", è evidente come il termine per me ligure, abbia fatto venire in mente la nostra "scorzonera"! qui >>> La Scorzonera di Codivara Ebbene sì, un tempo la granita siciliana in oggetto veniva fatta proprio con la radice di una scorzonera, se non proprio il nostro ligure Tragopogon con una pianta molto simile, forse una Scorzonera hispanica, alla quale si assegnavano proprietà medicamentose e per far meglio accettare l'intruglio curativo, leggermente amaro, lo si gelava in granita con l'aggiunta dei fiori di gelsomino. Col tempo l'uso della radice è andato perduto, è rimasto il nome e il gelsomino, e a me, capitata per caso nel trapanese, come tanti per vedere la bella Selinunte, è toccato sentire la parola "scursunera" per indicare una dolcissima granita. Uno degli olii più costoso e usato in profumeria è l'olio di gelsomino, chiamato il Re degli olii, tra i profumieri vige il detto "Non esistono profumi senza gelsomino". In Calabria e in Sicilia vi erano piantagioni di gelsomini la cui raccolta era poi affidata alle giovani donne, spesso bambine, per le mani piccole e delicate nel tocco per raccogliere i fiori senza rovinarli. Si alzavano ancora notte per raccogliere prima che il sole alto rovinasse le corolle. In un documento salvato da Raiplay intorno alla metà degli anni 60 raccontano la dura vita che non vogliono più fare le Gelsominaie, mettendo in atto la così detta Rivoluzione profumata. Potete vederlo a questo link, dura poco più di 4 minuti https://www.raiplay.it/video/2017/03/Le-donne-dei-gelsomini-49da2a8d-e2aa-4c49-9996-8a407c8ce9c6.html?fbclid=IwAR0u7L32b7PARw5NxQykyIViUuQcTtHtuNHGPXVuIU4PdcI4A5aBYsdUcwY Come per tutte le piante sono presenti diverse specie, proprie per l'uso ornamentale o erboristico Nella foto sotto il Jasmimum grandiflorum o Gelsomino siciliano o Gelsomino di Spagna, quello delle raccoglitrici Non resta che capire la differenza fra gelsomino vero e gelsomino falso. Al di là della leggerezza del portamento del Gelsomino vero, rampicante e ricoprente ma con il rametto di cinque foglie sottili, allungate e appuntite e sopratutto decidue (in autunno cadono), dal fiore con l'elegante calice allungato, a volte sfumato di rosa, la differenza più visibile è sopratutto nella disposizione dei petali. Nel vero gelsomino, quale sia la specie, i petali sono ben distinti intorno agli stami, mentre nel falso gelsomino girano intorno come una girandola. Il profumo delicato e intenso e curativo del vero gelsomino mentre dolciastro e invadente fino ad essere insopportabile quello falso. Le foglie rustiche e coriacee del falso gelsomino che non cadono in inverno e una sola fioritura, mentre il vero gelsomino fiorisce continuamente fino all'inverno quando poi perde le foglie. - vero gelsomino - - falso gelsomino - Mentre con il vero gelsomino ci si può divertire a decorare cibi, usarlo in sciroppi e gelati, fare una tisana calmante, confezionare oleoliti per la pelle, con il Rincospermo non è proprio consigliato. Anche un semplice oleolito fatto con i suoi fiori potrebbe trasmettere alla pelle i pericolosi alcaloidi che TUTTA la pianta contiene. Attenzione quindi all'olio essenziale che si può comperare a volte per profumare casa, carissimo nel caso del vero gelsomino, e resto sempre allibita aprendo siti dove accanto alla foto dell'olio o della granita o della tisana c'è la foto del falso gelsomino. Tutte le piante hanno proprietà e forse anche gli alcaloidi del Rincospermo sapientemente usati ne hanno, ma non certamente l'uso casalingo che si è fatto con il Gelsomino, considerato da sempre come calmante e antidepressivo naturale, sia in infuso sia l'olio sia il profumo, cosa che non è affatto con quello falso. "L'essenza di Gelsomino è un chiaro esempio di come l'aromaterapia possa produrre un effetto globale: per contatto diretto con la pelle e tramite il profumo, raggiunge i centri delle emozioni nel cervello e vi disattiva le predisposizioni negative come il pessimismo, la tristezza e la paura ..." Susanne Fischer-Rizzi, Profumi celestiali, 1995 Se poi si vuole imparare proprio bene bene come è fatto un fiore di gelsomino vero non resta che fare come me, quando anni fa ho tentato vagamente di imparare qualcosa dalla bravissima Susanna Righetti e dai fiori di zucchero del suo The Sugar Garden. Ebbene sì, questi della foto sotto sono in pasta di zucchero e sono davvero di grande effetto nella decorazione di un dolce. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- RICETTE INFAVOLATE
CI SIAMO! A GRANDE RICHIESTA DA OGGI POTRETE SCARICARE OTTO DELLE MIE RICETTE IN FAVOLA Anni fa, ai primissimi esordi del progetto Erbando, per un incontro che si sarebbe svolto l'indomani, scrissi una prima "Ricetta in Favola" che racconta di un impossibile amore fra Prebuggiun e Orchidea. Di come Prebuggiun usasse tutte le erbe del prato per conquistarla, ma lei nobile e altera lo rifiutasse perché lui di troppo umili origini. Da lì, con puro divertimento, ne scrissi altre fino ad arrivare ad una quindicina. Tutte raccontano in forma di favola una piatto prettamente ligure e riferimenti alla ricetta sono realistici. Da allora, vari tentativi sono stati fatti per pubblicarle, ma un po' per pigrizia, un po' per scarse conoscenze del procedimento, tutto è rimasto più o meno circoscritto a leggerle alle riunioni di amici compiacenti e soprattutto pazienti. Chi sa di questi miei scritti mi ha più volte consigliato di metterli in qualche modo a disposizione, molti me li hanno richiesti, qualcuno è stato usato per un qualche evento, nelle scuole o in qualche spettacolo. Come è noto nella primavera del 2020 e del 2021 a causa delle restrizioni Covid19, è stato impossibile svolgere gli incontri dell'Associazione, che sono poi l'unico mezzo, insieme alle donazioni per i manuali, di sostenerla. Per sostenerla intendo pagare questo sito dove non c'è pubblicità, acquistare il materiale che serve per le uscite a fiere ed eventi, stampare cartacei, la divulgazione completamente gratuita nelle scuole, insomma tutto quello che serve. Nessun socio percepisce nessuna somma per nessun tipo di ricompensa. Allo stesso modo mi viene spesso richiesto quando pubblicherò un libro cartaceo sulle erbe o sulle ricette del blog, operazione che comporta una spesa non indifferente e che quanto necessario può essere raccolto solo tramite donazioni. Con la speranza di riuscire prima o poi, è venuto in mente di proporre l'ascolto di alcune delle mie favole tramite un piccolo contributo. Al contempo si potrà scaricare la favola per riascoltarla. Tutto è stato prodotto in maniera molto casalinga, con la collaborazione di un amico che si è prestato con microfoni e mixer, quella che si ascolta è la mia voce, così com' è. Cliccando questo link troverete queste diverse soluzioni Ascoltare gratuitamente 30 secondi di ognuna favola Scegliere con il contributo di Un Euro di ascoltarla tutta Con il contributo di Cinque Euro avere la compilation di tutte e otto https://www.lellacanepa.com/ricette-infavolate 1 - LA FESTA MINESTRA Narra della magnifica festa organizzata da tutte le verdure per produrre il minestrone alla genovese 2 - DI COME E PERCHÈ SOLO IN LIGURIA IL GAGLIARDO BASILICO SI TRASFORMÒ IN RE PESTO La storia di Basilico che in Liguria ha incontrato la bella Pra' 3 - DEL CAPPONE E DI COME FU CHE DIVENNE MAGRO In mancanza di un cappone vero fu necessario inventarne uno finto 4 - DI ELLA E DELLA SUA VOGLIA DI SCAPPARE La nascita di un dolce tipico ligure da un amore solo immaginato 5 - FUNGO E CASTAGNA Uniti per sempre 6 - L'AMMIRAGLIO STOCCO Un tipo con un bel caratterino! 7 - OVE SI NARRA DELL'IMPOSSIBILE AMORE FRA MESSER PREBUGGIUN E MADAMIGELLA ORCHIDEA Tutte le erbe del prebuggiun con le loro doti per far innamorare la schizzinosa orchidea. 8 - MAGGIORANA DETTA PERSA Tanto distratta che si perdeva sempre! Scrivetemi per dirmi se vi sono piaciute, ce ne sono altre! E perdonate le imperfezioni. Grazie. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL CAPELVENERE
E se gli occhi tuoi cesii han neri cigli, ha neri gambi il verde capelvenere Il Fanciullo - G.D'Annunzio - Da tempo volevo parlare del Capelvenere, nella top ten delle piante più amate da mia madre. Lo so, sono monotona, finisco sempre lì, ma è pur da lei che mi viene questo amore, quando da bambina me lo fece vedere nello stesso posto dove vado a raccoglierlo ancora adesso più di mezzo secolo dopo. Per innamorarsene bisogna guardarlo con calma da vicino, vedere come la natura crea l'elegante trina effimera delle sue foglie e il sottile ma resistente stelo nerissimo che vorrebbe ricordare i capelli della dea Venere. Non posso che essere riconoscente a chi mi ha insegnato a osservare e capire questa bellezza che si riproduce da infiniti secoli essendo il Capelvenere appartenente ad una specie di felce. Adiantum capillus-veneris è il suo nome botanico, dal greco adiantos che ho letto da qualche parte significa " non si bagna" e questa è la particolarità delle sue foglie: non si imbibiscono d'acqua. Il suo regno sono le cascate ombrose, le grotte umide, le pareti calcaree dove scorre tutto l'anno acqua pulita, i pozzi. Difficilissimo coltivarlo per mantenere questa costante umidità nel modo giusto. In casa mia madre ci riusciva tenendolo nel bagno di casa, nebulizzandolo ogni mattina con acqua a temperatura ambiente che teneva in uno spruzzino, io non ci provo, vado direttamente a guardarmelo sul posto. Una pianta con una bellezza così particolare non poteva non avere leggende, e diverse sono per tutta Italia le grotte, le cascate o le fonti che da lei prendono il nome e dove si narra che questa o quell'altra ninfa o addirittura Venere si bagnassero nude e un temerario pastore le guardasse e nel caso di Venere si innamorasse dei suoi lunghi e setosi cappelli tentando di rubarne una ciocca mentre la dea dormiva. Accortasene, non rimase a quest'ultima che trasformarlo nella bella pianta del Capelvenere. Nella medicina popolare gli si attribuiscono proprietà per impedire la caduta dei capelli ma anche incredibili capacità di sedare la tosse, di alleviare la bronchite, sia in tisana che con uno sciroppo ottenuto con le foglie, nonostante si sospetti una leggera tossicità, come potrebbero avere per esempio anche il prezzemolo o i fiori di borragine. In Piemonte, e ricordo anche qui i miei avi piemontesi, era normale farsi il capilèr, il tè di Capelvenere, quando forse non era così semplice avere tè e caffè nelle case. Il termine si trova ancora oggi nei discorsi degli anziani per definire qualsiasi tipo di tisana fatta con erbe. Se si vuole provare, visto anche la capacità di aiutare il fegato, si fa un infuso con acqua bollente, al massimo si fa prendere il bollore a uno o due cucchiai di foglie, si fa riposare coperto e si beve dolcificato con miele. Il decotto può essere un ottimo risciacquo per i capelli. Ogni tanto, dal mio anfratto preferito dove vado a goderne la bellezza, non resisto e ne porto qualche ramo a casa con la radice, specie in questo periodo prima dell'inverno quando poi con i geli secca per rispuntare a primavera. Oggi con qualche stelo ho preparato, per regalare ad un'amica, una specie di Kokedama, una palla di erba o meglio una perla di muschio . Non ho seguito i canoni classici perché è necessità del Capelvenere avere una terra calcarea e quindi ho asportato con delicatezza un piccolo ciuffo con le radici e la sua terra e l'ho chiuso in un poco di muschio. Un altro uso che ne ho fatto spesso è come decorazione. Quando mi dilettavo negli allestimenti delle chiese non poteva mancare sugli altari ma soprattutto nel mazzolino della sposa e nonostante l'aspetto fragile è resistentissimo nelle composizioni. A questo proposito desidero ricordare che il Capelvenere non è protetto, anche se non è poi così facile trovarlo, nonostante mi permetto di raccogliere quello che mi serve e non di più, nel posto dove lo raccolgo, a bordo strada, come dicevo da più di 50 anni, lo vedo prosperare e aumentare. Non è lo stesso discorso per il muschio che è spesso protetto, raccogliendolo si distrugge un intero ecosistema utile a tutto il bosco, e comperarlo al garden non elimina il problema. Per questo cerco sempre di tenere quello che casualmente si trova sui tronchi che mio figlio taglia per la provvista di legna di casa o quello che viene rovinato in lavori di manutenzione dei nostri boschi. Nei tufi sopra le vigne vidi il primo grottino, una di quelle cavernette dove si tengono le zappe, oppure, se fanno sorgente, c’è nell’ombra, sull’acqua, il capelvenere. La luna e i falò - C.Pavese - Chiome al vento - Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- FIOR DI CAROTA
Si va dove che l'erba è più verde e ci crescon carote e lattuga e un coniglio di libera stirpe si conosce dai graffi sul muso Richard Adams La collina dei conigli Ora, dopo le prime piogge d'Agosto, sui prati falciati rispunta e fiorisce la Carota Selvatica, Daucus carota, quest'anno particolarmente abbondante. Ed è per quello che ne parlo, proprio perché adesso si vedono ovunque le sue corolle bianche, e questo dovrebbe servire a renderne più facile il riconoscimento, visto che per la stretta somiglianza, potrebbe essere confusa con la pericolosa Cicuta. Una delle regole più severe delle vecchie raccoglitrici è proprio quella di non raccogliere nulla che assomigli alla cicuta, e quindi erbe che potremmo credere prezzemolo, cerfoglio e appunto la carota selvatica, le più comuni, ma ce ne sono altre, tutte della stessa famiglia, le Apiaceae, una volta chiamate Umbelliferae, per il fiore a ombrella formato da piccolissimi fiori bianchi, e anche per le foglie molto molto simili. Resta quindi per me ferrea la regola di cui sopra, ai miei incontri raccomando di non scegliere proprio questa fra le prime erbe da riconoscere, lasciandola a quando si avrà preso più confidenza con il mondo delle selvatiche. Il riconoscimento si fa più difficile quando in primavera c'è solo la rosetta basale. Le foglie piccole, incise, sullo stelo presentano tante varianti da poter essere confuse. Io stessa non ne faccio molto uso, pur essendo nell'elenco delle piante del misto ligure del Prebuggiun, in quello della mia famiglia non c'è, anche per il gusto prettamente aromatico che la distingue. Una delle cose immediate che la fa riconoscere è l'intenso profumo di carota leggermente piccante, che si sente strofinando le foglie e lo stelo, anche senza la presenza del fiore, ma mi sono purtroppo resa conto che non tutti abbiamo la stessa affinità di olfatto, quello che per me profuma evidentemente di carota per un'altra persona ha un altro odore. Il secondo importante segno di riconoscimento certo è che nel centro del fiore, nella quasi totalità dei casi, è presente un fiorellino scuro, rosso scuro, mentre tutti gli altri che formano la corolla sono piccolissimi con i petali arrotondati bianchi, spesso con sfumature rosa. Ci sono tantissime corolle di carota che non lo hanno o lo hanno talmente piccolo o si deve ancora formare, ma quando c'è, è innegabilmente Carota selvatica. La corolla bianca, paragonata ad un delicato pizzo, è infatti chiamata nei paesi anglossassoni Queen Anne’s Lace, dalla leggenda che racconta come la regina Anna si punse un dito ricamando un pizzo e dalla ferita sgorgò una goccia di sangue, appunto il fiorellino scuro al centro. Questo era usato dai miniaturisti per colorare, chissà come, non l'ho ancora capito. Sotto la corolla, le evidenti ed eleganti brattee verdi distese, quando sfiorisce per produrre i semi, altra caratteristica della carota, si chiude come una mano, formando un altrettanto gradevole insieme che può essere usato anche secco come decorazione. Talmente fine ed elegante e decorativa che intorno al 1600 in Inghilterra le donne solevano adornarsi i capelli con ghirlande di fiori di carota e fu fra le pianta molto usate nei giardini dei cottage e ancora oggi molto rappresentativa del genere Shabby. Era considerata una pianta curativa, sembrava favorire il concepimento e la scienza ha confermato tali proprietà specie per quanto riguarda la fertilità maschile. Dai semi si estrae un olio profumato usato in cosmetica. La radice è bianca e sottile e anch'essa molto aromatica. È sicuramente una pianta commestibile, stesso nome quella coltivata, l'usatissimo ortaggio, arriva sulle tavole nel color arancione, solo intorno al XVI secolo, per una selezione fra le selvatiche dovuta più al colore che al sapore. Ancora oggi esistono carote di tutti i colori, dal nero al bianco al rosso e ognuna ha proprietà diverse secondo la tinta. Sì, perché la carota di oggi, al di là del colore allegro che dona ai piatti, è fonte di vitamine, il beta-carotene prende il nome proprio da lei, flavonoidi e altri antiossidanti, proprietà utili per la pelle, il cuore, gli occhi, intestino. La cottura non altera le proprietà del beta-carotene, anzi viene liberato dalle fibre, per la vitamina C invece meglio crude e condite con limone. Vengono vendute senza foglie perché la foglia continuerebbe ad assorbire il nutrimento dalla radice, privandola delle proprietà, e se pur la foglia è commestibile non ha la dolcezza della radice. Nella carota selvatica la radice è piccola e spesso legnosa all'interno. Da non confondere con la Pastinaca, Pastinaca sativa, anche se in molte regioni la Carota selvatica viene chiamata così. In realtà la Pastinaca è simile ma con i fiori gialli, sempre commestibile e officinale, non avendo foto mie ne pubblico al momento una dal sito Actaplantarum. Una varietà di Pastinaca, per difendersi da un bruco, ha la capacità di produrre una sostanza irritante per la pelle che può provocare una dermatite da contatto quasi come un'ustione di 2°grado. https://www.actaplantarum.org/galleria_flora/galleria1.php?view=1&id= Tornando al riconoscimento fra carota e Cicuta, nelle foto sotto un fiore di Cicuta, il fusto della pianta intensamente macchiato di rosso, e il prato vicino a casa dove convivono felicemente insieme Cicuta e Carota, perché spesso mi sento chiedere: - Ma da noi la Cicuta c'è? Sì, c'è, e ce ne sono più varietà. Quindi attenzione. Altre piante sono simili, della stessa famiglia, conosciute, alcune molto usate come cerfoglio, cumino, coriandolo, e tanti mi chiedono come fare a riconoscerli, ma davvero non è il caso di provare con qualcosa raccolto a caso. Se qualcuno vuole approfondire, pubblico le belle foto del sito Actaplantarum di alcune delle più consuete che si possono trovare nei nostri prati, e faccio questo solo per far comprendere come e quanto nel caso di queste Apiaceae siano davvero molto simili e rischioso fare confusioni. Le differenze ci sono ma non sono immediatamente visibili ai profani e soprattutto quando se ne vede una per volta, senza il possibile confronto. Alcune di queste sono tossiche altre commestibili. Cliccando su ogni foto c'è il nome scientifico e con quello è possibile approfondire la ricerca e vedere meglio le differenze. Se sai di non sapere, sai già molto. Socrate Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. “A cosa ti servirà?” gli fu chiesto. “A sapere quest’aria prima di morire”. Emil Cioran Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LE PICCOLE ERBE
L'uomo è infinitamente piccolo di fronte alla Natura, ma infinitamente grande se accetta di farne parte. Blaise Pascal Nella valle scavata dal torrente Scagliana, verso Scurtabò, alle pendici del Monte Zatta, presso uno di quei piccoli abitati abbandonati nel tempo, sparsi qui e là nel comune di Varese Ligure, hanno scelto di vivere un po' di anni fa Daniela e Maurizio. Una volta scoperto e acquistato il rustico, non bastava la breve vacanza annuale per poi tornare al lavoro a Bruxelles per altri 11 mesi, sognando la realtà incontaminata e un po' selvaggia del loro rifugio. Il desiderio grande di libertà vera, di vita semplice e autonoma li ha convinti a provare per rimanere. Inventarsi cosa, per non straniare troppo la natura del luogo e viverci con dignità? Una coltivazione completamente naturale e biologica certificata, di erbe semplici, già presenti nel territorio, da trasformare pochissimo e rivendere. Il tutto servito con tanto amore e complicità con le piante, la terra e fra loro due. Nessun progetto faraonico, solo un ettaro circa di terra aspra dell'Appennino, baciata dal sole, anche abbastanza scoscesa, dove, con il solo minimo indispensabile lavoro manuale, far crescere quello che già più o meno c'era. Alloro, lavanda, origano, santoreggia, salvia, timo, elicriso, e altre erbe, qualche piccolo frutto, poco altro e un campo di zafferano, quel tanto da poter gestire da soli, loro due, manualmente senza interventi meccanici. La trasformazione ridotta all'essenziale, la raccolta manuale nel momento balsamico, essiccazione naturale in un locale apposito al riparo dalla luce, preparazione per la vendita solo all'ultimo minuto dopo la conservazione in vasi di vetro al buio, per preservare al massimo le proprietà, i profumi e i sapori. Sacchetti di erbe pronte per tisane, qualche liquore, oleoliti, qualche olio essenziale e acqua aromatica, misti di erbe per la cucina, stimmi di zafferano, quello che vendono, tutto certificato Bio. Prodotti di nicchia per consumatori attenti e consapevoli. Non cercateli su Amazon, e neppure su Google Maps, con il loro gazebo li potete trovare in piazza a Varese Ligure quasi tutte le domeniche, specie in estate, al sabato al mercato dei piccoli produttori agricoli a Sestri Levante ora nei giardini Mariele Ventre, o agli eventi dedicati all'agricoltura soprattutto biologica, fiere e mercati Bio della zona, con quello che in accordo con sole, pioggia, terra e vento hanno raccolto. Se volete acquistare da loro, hanno piacere di conoscere e parlare con chi compera, ai clienti che provano, volentieri poi spediscono i loro prodotti ed è per questo che nel sito non troverete l'e-commerce, e l'alternativa, oltre a fare un giro in valle, è spedire una mail o fare una telefonata chiedendo cosa c'è al momento. In un luogo senza età, ritornati tanto antichi da essere invece oltre nel tempo, più avanti, superata la massificazione, la globalizzazione, il tutto uguale, il tutto perfetto. Una scelta di vita non facile di sicuro, ma Daniela e Maurizio hanno la serenità stampata in fronte, il sorriso sempre smagliante, la tranquillità nel cuore di chi ha scelto di fare solo quello che piace. Maurizio e le sue calendule - foto di Alessandro De Rossi https://www.pleinair.it/meta/come-sana-questa-valle/ Contatti: https://lepiccoleerbe.weebly.com/ lepiccoleerbe@gmail.com Cell. 3339304218 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- FEDERICA DELLA LANA
... al mondo antico, chiuso nel suo cuore, la gente del duemila ormai non crede più! Con le pecore e un cane fedele, gli amici sempre pronti, nei pascoli sui monti, a una spanna dal "regno dei cieli" viveva felice così! Federica è sempre stata Federica, fra gli adolescenti che avevano più o meno l'età dei miei figli, qualche anno in meno, ma li vedi crescere per il paese. Poi un giorno ti siedi sulla sedia del dentista e te la ritrovi lì come assistente e pensi "che bello! questi ragazzi sono diventati grandi, si danno da fare". E se non basta, nei fine settimana, si può anche fare la cameriera. Poi la perdi di vista, ti dicono che è a lavorare in riviera e va e viene. Passano gli anni, i figli crescono e le mamme imbiancano, e un giorno senti parlare di una giovane donna che si occupa della piccola azienda agricola di famiglia, appena sopra Varese Ligure, che lotta per un progetto che mira a salvaguardare una razza autoctona di pecora locale, che si batte per il recupero della lana, che fa parte di un gruppo di altre donne che credono in un sogno "La Pecora Nostrana". Pecore che rimanendo in questa valle e in quelle limitrofe, con nascite scambiando l'ariete tra una famiglia e l'altra per evitare consanguineità, senza una particolare selezione, davano però un animale robusto, resistente e di facile allevamento. Uno di quegli animali per la nostra piccola campagna fatta di piccoli agricoltori, bestie dedicate ai pascoli meno produttivi e più impervi, ti danno un po' di lana, un po' di carne, un po' di latte, niente di specificatamente eccezionale, fatte per questa economia a circolo chiuso, dove nemmeno un filo d'erba deve andare sprecato. In tutte le case qui una volta, si aveva una o due di queste pecore, dalla quale avere quell'agnello da sacrificare una volta all'anno, la lana da filare per gli "scapin" e qualche mariölo, o suera, come dicevano qui, storpiando dall'inglese "sweater", imparato dai bisnonni nelle Americhe e poi diventata parola dialettale, se proprio si era quasi benestanti uno "strapuntin" da posare sul saccone di foglie di granturco, qualche tazza di latte da mescolare a quello di mucca e produrre poche formaggette miste per il consumo familiare. Talmente poco redditizio questo tipo di allevamento di una razza nemmeno tanto riconosciuta, che è stato il primo ad essere abbandonato, trascurando il fatto che questo tipo di animali concorrono a tenere l'equilibrio del territorio, che solo chi ha vissuto in queste terre sa come sia precario e si rompa appena un tassello di questo equilibrio si perde, purtroppo spesso per sempre. - gli scapin, i calzini di lana - la rocca - il mariölo, la maglia della pelle, i fusi antichi - Ancora fino alle generazioni di donne prima di me, quelle nate intorno agli anni '30, '40, erano solite passare la giornata fin da bambine sui monti a pascolare una, due, qualcuna tre, le poche pecore di casa, filando con la rocca appesa in cintura e il fuso, tutto il giorno, perché Heidi non è solo una favola. L'interesse che ho sempre avuto per i lavori manuali delle donne nel mondo contadino, i sempre più frequenti riferimenti a lei quando si parlava fra amiche qualche anno fa, mi convincono a capire chi fosse questa giovane donna. Mentre cercavo nuovi stimoli per parlare in modo diverso delle erbe della mia valle, mentre avevo avuto un ritorno di fiamma improvviso per i lavori ai ferri e uncinetto e cercavo lane del posto, e facevo prove di tintura naturale con le erbe, mi capita una domenica pomeriggio di andare a incontrarla. Era lei la nuova Heidi, la Federica. Non aveva resistito, non faceva per lei avanti e indietro, non poteva esserci nessun'altra vita che quassù "a una spanna dal regno dei cieli" Già esisteva l' azienda agricola dei genitori con qualche capo di bovini, perché non portarla avanti in questo pezzetto di paradiso in terra? A Federica gli animali piacciono tutti, oddio quasi tutti, quelli che le stavano una volta meno simpatici sono proprio le pecore, quelle del vicino che finivano sempre per restare impigliate nel filo del recinto, ma dopo l'esperienza cittadina, vede con occhio diverso anche loro e così decide di mettere su qualche animale della razza locale fortunosamente salvato dall'estinzione, che le servano per tenere puliti i prati meno accessibili, che le diano un po' di lana e qualche volta anche un po' di latte e ristabiliscano il vecchio equilibrio di una volta e perché non farlo proprio con la pecora del posto, proprio le nipoti di quelle del vicino? Non è sola nel progetto, nasce la Pecora Nostrana, in collaborazione con un veterinario Alessio Zanon, specializzato in razze in estinzione, e altre due donne imprenditrici agricole, Elena Gabbi ed Elisa Picasso, giusto per fare le cose per bene. Messe le pecore, bisogna saper fare con la lana, diventata negli ultimi trent'anni "rifiuto speciale" che agli allevatori dava solo problemi di smaltimento. Qui ha il conforto delle abili mani della nonna che ancora sanno correre veloci a filare e ci prova Federica e ci riesce. Poi raccoglie sambuco, iperico, noce, ortica, prova e riprova e riesce a tingere la sua lana dei colori tenui dei prati. Niente curcuma, cocciniglia o alghe, solo quello che ha intorno. Piccoli manufatti, qualche chilo di lana, qualche formaggio ... con costanza e senza arrendersi Federica va avanti, nonostante fatiche e ostacoli. C'è da diventare ricchi? No, non proprio, Federica non deve diventarlo, lo è già di suo, dentro. Porta con sé il valore del lavoro dei suoi genitori e nonni, ha le tasche piene di voglia di fare e il cuore pieno di amore verso i suoi animali, che accudisce personalmente, andando nei pascoli ad aprire ogni mattino e rinchiudere ogni sera, le segue e assiste nei parti, a seminare e tagliare per loro il fieno migliore, con il suo cane e il suo cavallo, "nella casa più grande del mondo che soffitto e pareti non ha". Non tentate di fermarla, non ce la farete, se la incontrate a qualche evento con le sue lane, i suoi manufatti, o se siete così fortunati da poter imparare con lei come lavorare, tingere e filare la lana, seguitela. Da parte mia spero davvero che tutti i progetti di cui si era parlato fra noi e che si sono fermati causa pandemia, possano adesso ripartire, quelli che riusciremo a fare assieme saranno pubblicati presto qui sulle pagine del blog, altrimenti potete trovarla sui social. Tante sono le Federiche fra le mie conoscenze ma solo lei adesso è Federica della lana. ... e libera come l'aria purissima del mattino per vivere sui suoi monti ... Contatti Azienda Agricola Federica Figone Loc. Pian delle Galline Varese Ligure – SP Cell 3498658167 E-mail: fedefi_85@hotmail.it Fb: La Pecora Nostrana account personale: Federica Figone Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. 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- I CÀSSARILEU - chissà chi li sa
Questa è una ricetta per pochi intimi, antica, perfino a poche centinaia di metri da casa mia non sanno cosa sono e non li fanno. L'Italia è così, svolti l'angolo e sembra di stare all'estero... costumi, usanze, rivalità e campanilismi a volte tutti racchiusi in una ricetta che ha solo due ingredienti: farina di castagne e acqua. L'ho imparata cinquant'anni fa e almeno una volta all'anno li faccio. E per farli occorre solo uno strumento indispensabile e da questo prendono il nome: la cassa fuâ o cassarea, anche questa a poche case di distanza cambia nome, ma insomma sarebbe la schiumarola. E proprio questa schiumarola serve, di alluminio o di rame, cioè grande, e con i buchi grandi, che se non l'avete perché l'avete ereditata dalla nonna o dalla suocera la potete trovare solo nei mercatini dell'usato/antiquariato. Sulla mia fortuna di abitare vicino ad un mulino vi ho già detto, se vi arrampicate su per la valle potrete anche voi avere farina macinata sul posto da prodotti locali. La Ricetta La ricetta è delle più semplice. In una ciotola metto farina di castagna e acqua fino ad avere una pastella semiliquida, dove la consistenza di quest'ultima è l'unica cosa che si deve imparare con l'esperienza. Sempre meglio se lascio riposare una mezz'oretta per disfare i grumi, che possono essersi formati. Metto a bollire una pentola larga con abbondante acqua, salo e quando bolle tenendo la schiumarola con una mano appoggiata sopra la pentola, con l'aiuto di un cucchiaio nell'altra, faccio scendere velocemente l'impasto, che cadendo attraverso i fori della schiumarola a contatto dell'acqua calda forma dei gnocchetti La cottura è immediata, quel poco tempo che serve per finire l'impasto, dopo una veloce rimescolata vengono tutti a galla, quindi provvedo a tirarli su con lo stesso o con un altro mestolo forato per metterli in un piatto di portata e condirli con pesto, ricotta, panna e parmigiano a piacere, o anche salsa di noci e porto in tavola caldi caldi. Si, l'Italia è così, fai i cassarileau per anni poi un giorno vai in Trentino e scopri che lassù fanno una cosa simile con farina di grano tenero e spinaci e la chiamano "spatzle" e hanno un attrezzino comodissimo che viene benissimo per fare i tuoi gnocchetti di farina di castagna. Riempito con la pastella, con un veloce movimento avanti e indietro sopra la pentola è più facile e il risultato è identico. Perché la verità è che tutto il mondo è paese. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- TORTELLI DI PATATE CON O SENZA TARTUFO
In un'era della mia vita che non so nemmeno più collocare, talmente tanti anni sono passati, mi sono trovata gomito a gomito con il mio cuoco preferito, colui che mi ha mostrato cosa è la vera cucina e il saper cucinare. E lo ha fatto come lo fa chi le cose le sa fare davvero, con naturalezza e semplicità, tanto che poi sembrava facile anche a me e mi sentivo una cuoca, perché "Il vero maestro ti mostra la tua grandezza, non la sua". Ero giovane e tante cose non avevo avuto occasione o anche volutamente non le avevo mai assaggiate, ma quando lui diceva - "Assaggia!" perentoriamente, non restava che mangiare e mai me ne sono pentita, anzi ... Fra le tante cose i Tortelli di patate al Tartufo. Già avevo idea che il Tartufo mi facesse schifo, poi riempire dei ravioli con due patate bollite e schiacciate mi sembrava una pessima idea ... Che vergogna! Niente sapevo di Culurgiones sardi, di Tortelli di patate Parmensi, quelli del Mugello, ecc. ecc. Ricordo esattamente le parole : - Guarda che le patate sono neutre, puoi metterle con qualsiasi altra cosa e in mezzo a due sfoglie puoi chiudere quello che vuoi - Superando ogni ritrosia assaggiai e finì che ogni volta che in menù c'erano i Tortelli di patate al Tartufo c'ero anche io. Li ho rifatti per tanto tempo, ne facevo quantità e li surgelavo per averli pronti da cuocere. Poi chissà perché, adesso erano davvero anni che non li facevo. L'altra sera nel supermercato mi trovo davanti in offerta una salsa al tartufi di produzione industriale messa lì come novità. Lo so, non sarà la stessa cosa ma obiettivamente poche volte ho avuto per le mani dei tarturfi, anche se ho partecipato alla cerca e alla raccolta una volta, e comunque vedendola mi sono tornati alla mente i Tortelli di patate, che alla fin fine sono buoni anche con burro e parmigiano, o con un sugo bianco di funghi. Per farli molto semplicemente si prepara il ripieno facendo bollire 500gr di patate, meglio intere con la buccia, perché assorbano meno acqua possibile. Ho usato ovviamente le mie, Monna Lisa, ancora buonissime, e proprio perché dell'anno scorso con pochissime acqua. Si passano con lo schiacciapatate o con il passaverdura, si aggiunge un uovo intero, 100 gr. circa di parmigiano reggiano per ottenere un ripieno sostenuto. Aggiustare il sale, poco pepe. Preparare un impasto con 200 gr. di farina 00 + 200 gr. di semola di grano duro 2 o 3 uova Tirare a mano o con la macchina una sfoglia sottile e distribuire sopra metà il ripieno a mucchietti regolari. Coprire con l'altra metà e tagliare i tortelli. Forma e misura, per me, sono a piacere. Bollire in abbondante acqua salata pochi minuti. Servirli dopo averli conditi con burro e parmigiano, se si vuole qualche foglia di salvia. Se invece si vuol fare qualcosa di più elegante spadellare dei funghi freschi, meglio porcini, in olio e burro. Aggiungere un poco di brodo vegetale e quel tanto di panna per avere una salsa cremosa. Shhhh! non ditelo a nessuno ma alla fine l'ho comperata la tal salsa al tartufo, per una volta ... non era nemmeno male, l'1 per cento di tartufo nero, insomma s'è mangiata. Ma non poteva finire così Memore delle parole dettemi anni fa, con un avanzo di pasta e ripieno ho lì per lì messo insieme i Tortelli di patate Mozzarella-Origano-Pomodoro. In ogni mucchietto di ripieno di patate ho infilato un pezzetto di mozzarella e spolverizzato con origano passato in un colino finissimo. Chiusi e cotti in acqua bollente, conditi con pomodorini appena saltati in padella con un filo d'olio e poco aglio, e qui mi sarei sentita proprio di mettere del cacioricotta, ad avercelo ... Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- MARMELLATA DI LIMONI
Il problema di quando faccio la marmellata è riuscire a metterla nei vasetti prima di mangiarla tutta, un po' perché non ne faccio più grandi quantità ma preferisco variare, e un po' perché .. perché ... perché ... è così Per quella di limoni ho una vera passione, mi piace l'acidulo che rimane, il profumo, tutto. Per farla uso i limoni grandi dell'albero di mia sorella, quelli con lo strato di albedo spesso, meno aspri di quelli con la buccia sottile. Limoni che volendo si mangiano quasi come un'arancia, da preferire in tutte quelle ricette dove c'è esplicitamente limone a fette o a pezzi e non il succo. Lavo e spazzolo bene i limoni e li asciugo. Taglio la quantità di limoni che desidero, a fettine di circa 2-3 mm. ( io con l'affettatrice, o con la mandolina), li metto in una pentola coperti d'acqua, e li lascio così per 24 ore. Passato il tempo, scolo via l'acqua, peso e metto sul fuoco con uguale peso di zucchero e poca acqua, quel tanto da non bruciare, un bicchiere circa. A fuoco moderato, lo zucchero si scioglie e a un certo punto sembrerà che ci sia troppa acqua, niente paura le fette di limone la riassorbiranno È possibile, se piace, e io l'ho già fatto, procedere senza tenere i limoni a bagno, specie con questi limoni, si deve mettere in conto che l'amarognolo che rimane deve piacere. Quando le fette di limone sono tenere, o continuo la cottura così, e lascio le fette intere a spappolarsi un poco, o metto nel mixer e frullo fino ad avere la consistenza che mi aggrada, a me piace si sentano i pezzetti. Rimetto sul fuoco e lascio cuocere con un bollore basso fino a quando sembrerà consumata in gran parte. La marmellata di limoni ha la caratteristica di sembrare sempre liquida per poi solidificarsi tantissimo raffreddando. Questo porta molte persone a farla bollire a lungo ottenendo così niente di più di zucchero caramellato, con solo un vago ricordo del profumo, colore e sapore del limone. Le marmellate, tutte, devono bollire il meno possibile, la lunga bollitura non serve affatto per concentrare, quello che importa è il contenuto di pectina e l'ambiente acido. La quantità di zucchero è per conservare, non è aumentando la dose che la marmellata diventa più soda. Una buona marmellata deve mantenere il più possibile colore, sapore e profumo del frutto, una marmellata di limoni di colore improbabile non la assaggio nemmeno. Ripeto qui come ho già scritto non chiamare marmellata quello che si fa con meno di 600gr. di zucchero a chilo di frutta. Questo è il minimo legale stabilito per le confetture e marmellate da vendere e che garantisce una durabilità nel tempo. Qualsiasi altra cosa si chiama composta o come si vuole e necessita di pastorizzazione del vasetto. Inoltre è marmellata solo quella di agrumi, pare. Se si vuole sapere l'origine della parola marmellata e perché solo di agrumi è chiamata così a questo post>>>Pour Marie Malade, anche se l'etimologia è controversa, ma a me piacciono le storie Non serve tantissimo tempo, per questi limoni, che hanno dato sei vasetti di marmellata forse avrà cotto mezz'ora o poco più, ormai so che anche se non sembra, in realtà appena fredda diventa solida. La prima volta che la feci, innervosita, spensi e stavo per buttarla, la lasciai nella pentola senza invasettare, tornata dopo alcune ore la trovai che non riuscivo a toglierla dalla pentola. Così come per il gusto che da caldo è molto più aspro che quando raffredda. Come marmellata è adatta adesso con il suo gusto acidulo nelle giornate calde, per accompagnare i formaggi. Non la uso sulle crostate perché preferisco la crema al limone nella crostata, una crema senza latte, la ricetta Crostata al limone qui >>> Non concepisco una casa dove non sia un limone, posso rimanere senza qualsiasi altra cosa ma mai senza limoni, impossibile durante la giornata non trovare occasione in cui serva. Alcuni di questi usi e strausi di casa mia sono qui a questo link>>> Altre marmellate qui >>>Estate ti conservo Sciroppi di frutta, di fiori e altro qui>>> Altre conserve nella categoria Conservare, Conservare, Conservare qui>>> Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>











