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- ESTATE TI CONSERVO -2- LA FRUTTA
Qui, in questa campagna abbandonata, dove gli alberi da frutta sono praticamente lasciati a se stessi, la produzione è discontinua. Un anno quintali di mele, poi due o tre anni senza nemmeno una e così per pere, susine, ciliegie, ecc. In qualche momento storico non bene identificato queste zone furono invase da coltivazioni di prugne di varietà diverse che col tempo hanno dato origine a qualità miste difficili da definire con un nome. Prugne non susine, molti pensano che la susina sia da fresca e da secca diventi prugna, in verità sono due alberi distinti Prunus domestica la prugna e Prunus salicina la susina. Per distinguerle la prugna ha una forma più allungata, una buona conservabilità, facilmente si stacca l'osso. Le susine sono rotonde dal sapore più acidulo e più ricche di acqua. Quindi prugne per avere un'ottima marmellata e ... un'altrettanto ottima acquavite, grappa de brigne, come si chiama qua, e forse questo spiega l'invasione delle piante di prugna, visto che non è terra da uva ... Ovviamente la distillazione dalla macerazione delle prugne, avveniva nelle lunghe sere invernali, quando nevicava abbondantemente così da non essere scoperti, vista l'illegalità della cosa. Tant'è inutile negarlo ... una tradizione contadina, antica, diffusa e fuori legge, al giorno d'oggi caduta completamente in disuso visto che raccogliere le prugne per fare la grappa è lungo e faticoso, tanto più che i terreni non più coltivati danno una produzione discontinua. Non resta che farne marmellata, pardon ... confettura, e se andate qui>>> racconto come e perché si è arrivati a chiamare confettura quello che abbiamo sempre chiamato marmellata. Raccolte, lavate sommariamente, tagliata la base del picciolo, aperte e private dell'osso. Messe sul fuoco con poco zucchero fino a che non è possibile passarle. La mia formula è sempre la stessa, con la poca quantità uso l'estrattore, altrimenti anche per la marmellata uso il passapomodoro. Se non da fastidio la buccia è buonissima anche non passata, anzi... A ogni chilo di polpa ottenuta, pesata, aggiungo tra i 600 e gli 800gr di zucchero, se voglio che la marmellata duri senza problemi, con meno zucchero occorre pastorizzare i vasetti e non si può chiamare marmellata o confettura. A proposito perché si chiama marmellata? o perché si dice confettura? qui>> POUR MARIE MALADE Rimetto sul fuoco e faccio cuocere fino alla prova piattino, non molto, dipende dalla quantità, il tempo necessario perché la pectina incontrando lo zuccheri e gli acidi della frutta diventi un gelificante. Troppo si rischia di caramellizzare lo zucchero ottenendo una cosa che non ha l'odore o il sapore della frutta originale, poco di aver una conserva troppo liquida. Occorre tener presente che calda ha una consistenza diversa da quando poi raffredderà, quindi il vecchio sistema di un cucchiaino posato su un piattino e lasciato raffreddare, inclinato poi per controllare non scivola più. Questa marmellata è ottima per le Crostate o come si chiama qui la Torta in prigione e per i GOBELLETTI qui>> due dolci che contraddistinguono la zona di Varese Ligure. Quest'anno è stato un anno anche di mele, e dopo tanta confettura con troppo zucchero le mele mi piace metterle via in composta. Procedimento sempre uguale, mele lavate, tagliate a pezzi , conservando buccia e torsolo, dove c'è più pectina, ma non tutti i semini, qualcuno fa bene, tanti no, per la presenza di amigdalina. Messe sul fuoco ad ammorbidire e poi passate. Qui aggiungo pochissimo zucchero, quasi niente, invaso e pastorizzo. È in pratica una frutta cotta conservata, versatile, con la quale si può farcire una torta o anche aggiungere dove serve una mela cotta, aggiunta allo yogurt o anche aperta e mangiata con il cucchiaino così Tutto ciò può essere fatto anche con le pere. Per diversificare i modi di conservazione sia pere, che mele, che prugne, anche insieme, cotte in pochissima acqua, possono essere conservate in congelatore anche senza zucchero, in mono porzione. Perché l'inverno è lungo e un po' di frutta cotta nelle serate fredde è un piccolo conforto, specie ad una certa età. Pochi minuti in microonde ed è pronta, anche per essere mescolata a yogurt per colazione o merenda. Si parlava di uva, forse per i lunghi inverni, e estati corte e autunni precoci, o il terreno non adatto, l'uva qua non ha mai avuto vita facile, fatto sta che qui ogni casa aveva sì la sua piccola vigna e la terrazza con la sua "töpia" , il pergolato, ma quasi sempre di uva "merella", uva fragola, scura dolce e profumata, più rustica e resistente. Con questa ho imparato a fare negli anni una buonissima gelatina, con la moda di servirla con i formaggi ho pensato di abbinare in cottura il rosmarino . Una delle migliori cose che ho pensato, da brevettare, almeno per me e gli ospiti che l'hanno assaggiata. Una ricetta base la trovai anni fa sul web, non posso citare la fonte perché non so più chi la scrisse, ricordo era un uomo, ma non posso fare a meno di trascriverla passo passo come la salvai...: "Se volete scalare il Tavor, o attenuare gli effetti devastanti del cambio di stagione, dedicatevi alle conserve .... una gelatina ben fatta possiede impareggiabili qualità consolatorie... specie quella di uva fragola....si fa così: Procuratevi un pergolato di uva fragola. O una vicina con un pergolato di uva fragola che non mangia uva fragola e che si lamenta perché i chicchi si spetasciano sul tettuccio della panda gialla. -Se vuoi te la vendemmio io. -Grazie! -Prego. Con un panchettino, un insalatiera di plastica e un paio di forbici da ufficio tagliate i tralci d’uva cercando di recuperarne il più possibile dai capelli, dalle mutande e dalle ascelle, dove si sono andati a infilare cadendo. Raccoglietene tanta. Svuotando via via l’insalatiera nel lavello. Siccome in cucina la precisione è tutto, fermatevi quando ne avrete precisamente un mucchio. Ora, siccome l’uva fragola ha la spiacevole abitudine di maturare alla cacchio.... dovete selezionare i chicchi buoni da quelli acerbi e da quelli marci. Togliete anche ragni, vespe assassine e tutto ciò che non sia un bellissimo chicco. Ora mettete a bollire l’uva in un pentolone con pochissima acqua per una mezz’ora. Questo affinché la buccia rilasci il suo sapore e il suo colore. Passate il risultato in un passino da pomodori e pesate quello che avete ottenuto. Aggiungete un terzo del peso in zucchero e rimettete sul fuoco. Una volta preso il bollore tenete la fiamma bassa per un ora. Le ricette tradizionali per le gelatine non prevedono l’uso di addensanti. Semmai veniva aggiunta una mela cotogna, ricchissima di pectina. La gelatina ottenuta rimane piuttosto liquida e anch’io non voglio nulla che mi ricordi il Jell’O. Però è importante mantenere integro il sapore dell’uva fragola, che sa, strano a dirsi, di uva con un lungo retrogusto di fragola...." Non faccio precisamente così... ma quasi... 😅 Diversamente dal protagonista di questa storia io metto il risultato della cottura degli acini in un sacchetto che tengo appositamente per lo scopo, (basta una vecchia federa in cotone di una volta) e passo nel torchietto o strizzo con le mani, ottenendo un liquido scuro trasparente, aggiungo zucchero nella proporzione di 600gr. per chilo di succo. Faccio bollire piano dai venti ai quaranta minuti con attenzione che non bolla troppo e caramellizzi lo zucchero perdendo così il profumo e il gusto di frutta fresca. Negli ultimi dieci minuti aggiungo a bollire un bel rametto di rosmarino. Quest'anno ho fatto qualcosa di simile con l'uva merella bianca e a questa ho aggiunto la salvia. Davvero un gusto spettacolare. Ovviamente si può fare anche senza erbe aromatiche. E poi si può sempre pensare già ai regalini di Natale... E poi menzione d'onore alla frutta selvatica... dopo fragoline, lamponi, in attesa di bacche varie di biancospino e rosa canina... era il tempo delle more. Non c'è molto da dire, raccogliere, portare a casa e poi sempre lo stesso procedimento: senza lavare questa volta, togliendo eventuali rametti e foglioline, poi ammollate per poterle passare. In questo caso per togliere i tanti semini delle more occorre un passino fine e l'estrattore potrebbe bloccarsi. Anni fai acquistai questo utilissimo passin-colino che con quel rullo di legno schiaccia e il passino è sufficientemente fine per non lasciar passare i semi Sempre per una buona marmellata occorrono almeno 600gr. di zucchero a chilo di passata, la cottura fino alla prova piattino. Una certa parte la congelo a crudo, allargando le more in un vassoio, per poi insacchettare una volta congelate o imbarattolo al naturale con pochissimissimo zucchero e pastorizzo. ... era il tempo delle more ... il mese che ti amai ... Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.
- DOLCI GOBELLETTI 🍩
Natale è vicino, si dovrà pensare a qualcosa. La prima cosa che preparo con largo anticipo sono i dolci, quelli di casa, di tradizione. E per primi quelli di pasta frolla, che conservati in una scatola di latta o contenitore con coperchio durano certo più di una settimana. In casa li abbiamo sempre preparati prima, fedeli alla regola che la pasta frolla si chiama così perché deve frollare per diventare morbida e mai l'ho mangiata prima di tre giorni quindi...procedo. Tra questi i Gobelletti o Cobelletti, dolci liguri, piccoli scrigni di pasta frolla con all'interno marmellata. La storia che so io dice che si chiamano così per la gobba che assume il coperchietto cuocendo in forno. Per confezionarli occorrono le particolari formine smerlate in lamiera che non andrebbero lavate mai. Ricette di pasta frolla ne ho imparate tante per usi diversi, ma resto fedele per questo uso alla tradizionale dell' 1-2-3, e cioè una parte di zucchero, due di burro, tre di farina. Per semplificare preparo sempre 300gr. di zucchero, 600gr. di burro e 900gr. di farina doppio zero. Fermo restando che si ottiene un'ottimo impasto anche senza uova (che dura anche di più non essendoci le uova), in questa dose metto tre tuorli. Il burro deve essere tirato fuori dal frigo qualche tempo prima, ma non morbidissimo. Da tempo uso il robot o la planetaria, con l'accortezza di mettere nell'ordine burro a tocchetti e zucchero, poi la farina, un pizzico di sale e per ultimi i tuorli. Se non voglio usare il robot, metto la farina a fontana con il burro a pezzetti e i tuorli e comincio ad impastare, il più velocemente possibile per non scaldare troppo l'impasto. Appena appena gli ingredienti stanno assieme, faccio una palla che metto in frigo per un'oretta. Dopo di che tiro fuori e preso un pezzo di impasto lo lavoro sul tavolo infarinato quel tanto che basta per tirare una sfoglia. Per avere la stessa altezza mi servo di due strisce di legno dell'altezza desiderata in questo caso circa tre millimetri. Taglio una porzione più larga della formina, la posiziono sopra a questa, senza imburrarla e premo con la punta delle dita per far prendere alla pasta la forma. Posiziono all'interno una piccola quantità di marmellata; troppa uscirebbe cuocendo. La tradizione vuole cotogna o albicocca, qui marmellata di prugne. Taglio un dischetto del diametro leggermente più piccolo della formina e per chiudere seguite bene il passaggio sotto e premo con forza il pollice verso l'esterno per far si che insieme chiudo ed elimino l'eccesso di pasta. Poso su una teglia e, quando sono tutti pronti, inforno nel forno caldo a 180°. Controllo la cottura di circa 15 minuti e, appena appena assumono un po' di colore sforno. A questo punto con l'aiuto di uno strofinaccio per non bruciarmi li rovescio sul tavolo uno a uno da caldi e il gobelletto verrà fuori facilmente nonostante la formina non sia stata imburrata. li sistemo nei pirottini e, appena raffreddati, in una scatola di latta o un contenitore chiuso. Domani faccio i canestrelli 👍. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL DADO E' TRATTO... dalle verdure dell'orto
Con tutta la verdura dell'orto sarebbe stato impensabile per me non provare a conservarla in tutte le maniere e, dopo zuppe, minestre, passati, polpettoni e torte pronti in freezer, sottoli e sottaceti, resta da conservarle con il metodo più antico: il sale. A fine estate raccolgo le ultime verdure: carote, sedano, cipolla, aglio, porro, bietoline, zucca, qualche pomodorino, non devono mancare ma in definitiva metto tutto quello che trovo, anche una patata se non ho altro, ma non melanzane o cavoli. Aggiungo rosmarino, alloro, salvia, erba cipollina, maggiorana o quello che mi piace al momento. Nella versione ricca metto anche qualche pezzo di fungo secco, che in Liguria viene spesso usato come insaporitore. Lavati e tagliati a pezzi li metto in un comune robot da cucina e verso la fine aggiungo il sale fino, nella proporzione di almeno un terzo del peso delle verdure. Frullo ancora fino a ottenere una purea minuta, la stendo in uno strato sottilissimo su carta forno in una teglia e passo in forno a fuoco dolcissimo sui 150 gradi e lascio finché non è ben asciutto. Come sempre uso la stufa a legna con lo sportello aperto e lo lascio nel forno anche tutta la notte. Per la presenza importante di sale evito di appoggiare direttamente il composto sulla teglia di alluminio. Una volta sufficientemente secco, lo spezzetto, lo passo di nuovo al robot e, quando è diventato una polvere granulare, lo faccio asciugare ancora un po'. Se ho premura, dopo un' oretta di asciugatura in forno, lo metto nel microonde a 800 watt, ma sto attenta e procedo cinque minuti per volta per non bruciare tutto; per chi possiede l'essiccatore è tutto più facile. La polvere si conserva per un anno, in barattoli di vetro, fuori da frigo e congelatore. Ricordare al momento dell'uso di regolare il sale nella pietanza. Con due cucchiai si ottiene un mezzo litro di buon brodo vegetale. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze appassionanti. E se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LASSANA O SENIE
- Le modeste erbe dell'orto a più mali dan conforto - C'è ancora un'erba di cui voglio parlare, una di quelle poco conosciute, una di quelle che per anni ho visto raccogliere solo da mia madre. Oggi, agli incontri dell'Associazione (qui>>>) quando trovo qualcuno che la conosce e, gaudio, la chiama come me, Senie, esulto. È questo, direi il motivo principale che mi ha convinto a dare origine alla mia Associazione Erbando, scopo della quale è preservare nomi e modi tradizionali, non scientifici (per quello ci sono tanti altri) della raccolta delle erbe spontanee. Nonostante sia quasi dimenticato l'uso nel misto, il Prebuggiun(qui>>>), è un'erba comunissima, tanto il suo nome scientifico lo denota Lapsana communis, e quando è fiorita tutti la conoscono. Più difficile e da farci l'occhio, (l'oomía, come diceva mia nonna) quando è da raccogliere la rosetta basale. E qui conta molto l'esperienza, davvero il colpo d'occhio che si impara con la pratica e gli anni. Per il nome con il quale è chiamata qui in Liguria, Senie, che in genovese vuol dire cenere, mi sono fatta l'idea, provata dai fatti, che crescesse nei posti dell'orto dove casualmente buttavo la cenere, e infatti ho scoperto che comunque predilige terreno siliceo, anche se non disdegna quello calcareo, meglio umido, ma la prova ne è la fotografia sotto, dove è evidente il colore del terreno somigliante alla cenere. La rosetta basale assomiglia per la forma, a tante altre, se non fosse per la leggerezza delle foglie, e i particolari all'occhio accorto, che la distinguono da altre, un grande lobo terminale dentato con diversi lobi più piccoli sotto. La sua rosetta basale va aggiunta alla mescolanza di erbe che si raccoglie in primavera, nella misura giusta, perché il suo nome, Lapsana deriva forse dal greco: scarico, svuoto. Per questo le sono riconosciute proprietà evacuative importanti per l'intestino, senza provocare l'irritazione che tante altre sostanze contenute in famose tisane hanno. Non solo, un tempo era usata in cataplasma per aiutare a risolvere ingorghi di latte e per questo tanti la chiamano "erba delle mammelle". Nel momento della fioritura tutti la conoscono. Alta anche 80cm, con un ombrello di fiorellini gialli che si trasformano poi in piccoli piumini. Margini di strade, orti coltivati, boschi, ovunque. È questa l'occasione per ricordare come è importante per iniziare a identificare un'erba, andarla a cercare quando è fiorita, proprio perché facilmente riconoscibile, e tornare poi la primavera successiva con la certezza di trovarla e individuarla con più facilità. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- DELL'INTRECCIAR DI CESTI ... DELL'IMPAGLIAR DI SEDIE
Da sempre mi sono interessata a questo tipo di manualità, ma non sono molti anni che sono riuscita in un vero approccio di intreccio cestini o impagliatura sedie. Poi la mia strada si è incrociata con Rossana Sciascia dell'Agriturismo Ca'Marcantonio che con semplicità mi ha fatto tornare a casa con il mio primo tentativo di cestino, da lei ho conosciuto Claudio Mariani e tutto è diventato ancora più chiaro, e in seguito Fortunato Caruso e altri. Scoprire poi che per tutto o quasi, cestini, sedie, fabbricare funi ci sia ancora una volta la presenza costante e indispensabile delle erbe fa si che in questi tempi conoscerle e provarle sia stato sempre più pressante. Avrei voluto fare e forse un giorno ci riuscirò, un post più dettagliato con più informazioni, ma in questo periodo si concentrano molte cose, dalla raccolta del prebuggiun a quella delle erbe da intrecciare, alle prime semine e io ho davvero, purtroppo, una vita sola e le giornate troppo corte per fare tutto quello che vorrei. Così ho deciso per queste brevi note per un'informazione di base. Come succede con le erbe commestibili, che sono molte di più di quelle tossiche o velenose, l'uomo ha provato ad intrecciare di tutto con risultati diversi, e sono sempre le più comuni quelle più usate. La prima volta che ho incontrato Rossana stava intrecciando foglie di canna comune, secche e poi inumidite, per rifare una sedia. Arundo donax è il nome botanico di questa semplice canna che possiamo trovare tutti lungo qualsiasi argine di fiume o palude o dove il terreno è semplicemente umido e alla quale dedicherò prossimamente un post visti i suoi numerosi utilizzi. Le foglie lunghe raccolte a inizio estate, essiccate all'ombra e poi reidratate e mantenute umide mentre si lavorano permettono di ottenere dei buoni sedili. Questo non è l'unico uso della canna comune, è una specie officinale, ha proprietà curative, con le dovute attenzioni per la presenza di un alcaloide che agisce nei confronti di febbre, raffreddori e altri malanni invernali. Gli Egizi usavano le foglie per fasciare i morti. È largamente usata per fare graticci, le arelle, per sostegno alle piante negli orti, bastoni, e strumenti musicali. Si stanno studiando le possibilità di produrre biomassa con questa pianta, da molti invece considerata ormai un'infestante. C'è da dire anche che non va confusa con il bambù come molti pensano, con il quale condivide solo la famiglia botanica. Un'altra pianta usata per impagliatura delle sedie e ancora più resistente sono alcune del genere Carex, devo ancora studiare un po' prima di poter dedicare un post, visto che ne ho trovato nelle zone umide dei boschi qui intorno e vicino al fiume, e ho riconosciuto uguale a quella che ho usato con Fortunato lo scorso settembre per impagliare la mia sedia. A guardarmi sembro brava, ma è tutto merito del maestro, la strada per imparare è ancora lunga e spero di poter avere ancora altre esperienze con Rossana e Fortunato. Fra le erbe di palude adatte c'è anche la Tifa della quale avevo già parlato qui>>> La Tifa I SALICI Ma se di intrecci si parla non si può dimenticare le tante qualità di Salice che da sempre vengono impiegate per costruire ceste, cavagni, borse, arredi ecc. e aver conosciuto prima Rossana che me ne ha insegnato con semplicità i rudimenti e poi poter anche solo ammirare Claudio mentre con passione e una precisione non umana incrocia, accavalla, tira, spinge flessuosi rami per far uscire dalle sue mani incredibili manufatti è per davvero una fortuna. Claudio non compera nulla, tutto il materiale che usa è preso in natura, negli ultimi anni per averne a sufficienza ha impiantato nei propri terreni un saliceto, con molte varietà dei salici che usa, semplicemente con delle talee e la sua generosità innata lo ha portato a insegnarci anche questo, e giusto questo è il momento migliore. Questa la borsa che ha fatto per me l'anno scorso prendendo spunto da una vecchia sporta per la spesa usata dagli anni 30-40 in poi e che solo lui poteva rifarmi identica. Al momento mi accontento di raccogliere lungo il fiume, a fine inverno, così come mi hanno insegnato loro, i giovani rami lunghi sottili e flessibili, prima che escano i nuovi germogli, e adesso con questa luna nuova è già quasi tardi e così sono andata ieri. I giovani rami, se non sono usati subito, da secchi devono essere lasciati a bagno per farli tornare flessibili prima di usarli. Sulle varietà di salice Salix purpurea, Salix alba, ecc. è necessario davvero parlarne in un altro post dedicato, anche per le innegabili proprietà che sono derivate da queste piante. Per chi ancora non lo sapesse proprio da una varietà di salice fu isolato l'acido acetilsalicilicilico e poi riprodotto sinteticamente con il nome di Aspirina, visto che da millenni gli uomini usavano la corteccia del salice o pure le foglie di mirto per curare dolori e febbri Intanto se qualcuno vuole provare può passeggiare lungo un qualsiasi corso d'acqua e approfittare di quello che trova. I miei sono solo piccoli tentativi ma mi rendono così felice di esserci riuscita. Sulle erbe da intreccio, per esempio su quello di fare funi con le erbe, o sulla lavorazione dei giovani polloni di castagno ridotti a strisce sottili per la lavorazione delle corbe, c'è ancora molto da dire ma piano piano ci riuscirò, conosco persone che intrecciano qualsiasi essenza vegetale sia duttile e flessibile, anche se sta sparendo questa arte. Ho scritto adesso questo post perché domenica 27 non potrò essere presente a una delle riunioni annuali di intreccio che fa Rossana nel suo agriturismo visti i miei impegni con le erbe, spero di riuscire il prossimo. Il suo casale è completamente immerso nei boschi in Alta Val di Vara, a pochi km da Sestri Levante e dalle Cinque Terre, e da Varese Ligure e Rossana non si ferma all'intrecciare, ma fila la lana, lavora l'argilla, coltiva la terra, scrive libri ... e tutto condivide con piacere con chi lo desidera. Potete contattarla al suo Agriturismo Ca' di Marcantonio per vedere e comperare i suoi manufatti, per chiederle dei corsi, per farvi impagliare le sedie, per filare la lana e molto altro. Alberto Anzi e Rossana Sciascia Loc. Marcantonio - Fraz. Chiama 19010 Maissana - La Spezia P.IVA 01225020112 Tel. Fax. 0039 0187 845 720 Cell. 0039 329 392 4199 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- L'ARTEMISIA DEI CAMPI
Sono davvero pochi anni che ho scoperto che quella che infestava il mio orto e che chiamavo con disprezzo "crisantemo selvatico" era in realtà la preziosissima Artemisia o Assenzio selvatico e mi si è aperto un mondo incredibile intorno a questa pianta facendomela amare e adesso guai chi me la tocca, anche se i vicini, piccoli coltivatori, contadini di ritorno, mi guardano ammirarla pensando che sono impazzita. Non mi resta che condividere quello che ho letto qui e là e cercato di imparare su questa erba e invito ad approfondire, perché sicuramente le mie informazioni sono lacunose. È dunque una infestate, in orti, prati e bordi di strade e si trova con estrema facilità. Il riconoscimento, non fosse per la forma particolare delle sue foglie, profondamente incise, quasi come dita di una mano, lunghe e a punta, verde brillante prima e crescendo più scure sopra, biancastre sotto nella pagina inferiore, lo stelo rossastro e rigato, rigido, quello che colpisce è l'intenso odore che si sprigiona appena appena sfiorata, un profumo amaricante che ricorda qualcosa. L' Artemisia è infatti adoperata per molte bibite analcoliche ed è uno degli ingredienti del vermouth. Di Artemisia ne esistono diverse specie, questa comune di solito è l'Artemisia vulgaris o a volte, con piccole differenze nella foglia Artemisia verlotiorum. Altre specie molto conosciute sono Artemisia umbelliformis, Artemisia genipi, Artemisia glacialis, presente specialmente sulle Alpi, protette e usate per fare con un infuso di alcool e erba il liquore Genepy, o l'Artemisia absinthium, l'Assenzio maggiore, distillando la quale si ottiene l'Assenzio e usata anche questa per aperitivi e bevande analcoliche. L'aspetto di queste è completamente diverso da questa del post che si trova ovunque. Il suo nome locale qui è erba megu, intesa come erba dottore, viene largamente usata per le sue proprietà digestive, e nella medicina popolare orientale per curare tanti altri disturbi. Nel corso della guerra in Vietnam i soldati erano decimati dalla malaria. Americani e cinesi facevano a gara per trovare un nuovo farmaco, perché quello usato fino ad allora cominciava ad essere inefficace. Ci riuscì una piccola ricercatrice donna, cinese, YouYou tu, che analizzando 2000 preparati della medicina popolare, scoprì il principio attivo che agiva nella pianta di Artemisia annua e che fu chiamato artemisinina. A lei, per la scoperta, fu dato il Nobel per la medicina solo nel 2015 e il preparato ancora cura la malaria. Di recente anche l'Istituto dei Tumori di Milano sta svolgendo studi che sembrano incoraggianti sulle incredibili proprietà di questa pianta. In questa tribolata primavera è uscito un link effetto che dava la notizia di come in Africa si usasse l'Artemisia per sconfiggere il Covid-19, è ovvio che quello che fa riferimento sono le pubblicazioni scientifiche dopo anni di studi che comprovano l'efficacia, certo è che l'Artemisia ha ancora tanto da darci. Si può quindi usare, con la solita oculatezza, questa dei nostri campi, in infuso per digerire, ed è anche un blando sedativo, un vermifugo, insomma da saper usare. È erba femminile, le donne ne legavano qualche ramo in cintura per essere protette, usata per favorire il parto e aiutare nel ciclo mestruale, non adatta a chi allatta per il gusto amaro che può passare al latte. In cucina qualche foglia, specie per accompagnare le carni grasse, pare (non ho ancora provato) che i boccioli dei suoi fiori non ancora aperti, seccati, servano per massaggiare le carni molto grasse prima della cottura, per favorirne la digeribilità e conferire un particolare aroma. Nell'orto, in giusta misura, funziona come antiparassitario, allontana afidi, cavolaia e formiche e altri ospiti indesiderati. Purtroppo il suo polline è altamente allergizzante per i soggetti sensibili. Come tutte le piante che avevano visibili effetti sull'uomo è da sempre considerata erba magica, immancabile nell'Acqua di San Giovanni (qui>>>), anzi in alcune parti chiamata essa stessa Erba di San Giovanni, per via che il Santo aveva una cintura fatta di questa pianta, per allontanare il demonio, favorendo la confusione con il ben conosciuto Iperico (qui>>>). Essendo pianta che tiene lontano il male proteggeva le donne, forse il suo nome viene dalla dea Artemide, o forse dal greco artemes ,“sano”. Era usata come talismano per i viaggi, da mettere nelle scarpe per proteggere i piedi nei lunghi cammini (ma poi si scoprì il suo potere antifungino contro le micosi del piede), tanto che fu in uso dipingere foglie di Artemisia sulle porte delle carrozze e delle prime automobili . È una delle piante più usate per le fumigazioni, i miei smudge qui >>> DEL FUMIGARE E DEI MAZZETTI ODOROSI per disinfettare, per allontanare le zanzare, specie quando è fiorita. È preziosa nei CUSCINI PROFUMATI qui>>> dove nel sonno, ci aiuta a capire, a sapere e a vedere più chiaro molte cose. Unica confusione possibile con Ambrosia artemisiifolia, molto simile, ma con le foglie più frastagliate, ma soprattutto senza l'odore intenso e la foglia con la pagina inferiore dello stesso colore della superiore. Tutto dipende dallo scopo; neanche un filo d’erba deve essere tagliata senza uno scopo degno. (Kulàrnava Tantra) Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- FIOR DI CICLAMINO
Sta sbocciando sotto le foglie lo chiamano autunno. Hilde Domin È una giornata di allerta meteo, di temporali organizzati, come si dice adesso. Qui è una giornata di qualche minuto di pioggia forte e ampi sprazzi di sole, di quelle che dici -vado per funghi- e appena hai messo le scarpe torna a diluviare improvvisamente. La gatta, sagace, che di mestiere fa la meteorologa, non sbaglia una previsione, non si è mossa dal suo posto al calduccio. Così, tra una sguazzata e l'altra, mi accorgo che nel solito vaso dimenticato tutta l'estate, fra fili d'erba secca, sono spuntati come sempre i primi ciclamini selvatici. Lo confesso, avevo rubato due bulbi fioriti anni fa per portarli a mia madre in ospedale, visto che quell'anno non potevamo andare a fare la solita escursione per "prendercene una vista" come diceva lei e io sapevo che sarebbero stati gli ultimi che avrebbe guardato. Messi poi in un vaso, ogni anno, senza nessuna cura da parte mia, mi regalano fiori e io so allora che sta per finire l'estate. Non sarebbe certo una pianta che rientra nelle mie erbe commestibili, e nemmeno per essere usati come medicamento, ma sono stata sollecitata a scriverne, dal ricordo di una trasmissione dove una gentile signora, proprietaria di un agriturismo, li usava in una pasta con i funghi. La trasmissione, popolarissima, su rete nazionale, l'ho ritrovata, sempre per essere sicura di quello che scrivo, ed è ancora in rete. Diciamocelo subito, il ciclamino è tossico, ma proprio tossico tossico. Specialmente nel bulbo, ma in tutta la pianta, è contenuta la ciclamina, che può dare seri disturbi all'apparato gastrointestinale umano, e mentre ascoltavo la signora che lo chiamava "pan porcino" e in base a questa definizione si era ritenuta autorizzata a metterlo nel cibo, mi sembrava impossibile come non sapesse che il nome volgare del ciclamino è proprio perché il suo bulbo è appetito dai cinghiali e maiali ai quali la ciclamina non fa danni. Nulla so di questa sostanza, che sono poi andata a leggere è un glicoside, una saponina, e forse usata un tempo anche a scopo medicamentoso, ma istintivamente da sempre so che i ciclamini sono tossici, senza nulla togliere all'incanto di fiore che sono. Escono così, nel sottobosco umido dalle prime piogge della tarda estate, dal nulla, senza che la pianta abbia emesso una sola foglia, quelle verranno dopo, si intravede solo appena sotto la superficie del terreno, il bulbo piatto, rotondo e scuro. La corolla di cinque petali come pettinati all'indietro, di un rosa tenue, in qualche specie meno diffusa rossi e solo in Sardegna, credo, rarissimi, quelli bianchi. Un fiore così bello ma con pochissimo profumo, ci sarebbe da svenire altrimenti, quando il tutto si copre di migliaia di fiori. Più tardi, nella sfioritura curiosamente attorcigliati su se stessi, spunteranno le foglie, a forma di cuore, spesso variegate, con i margini finemente dentellati nella specie più comune. Qualche volta si possono osservare foglie e fiori contemporaneamente. Protetto in tutto il territorio nazionale, in Liguria a protezione totale. - foto di actaplantarum - https://www.actaplantarum.org/galleria_flora/galleria1.php?view=1&id=862 Non sono così frequenti qui in alto, devo scendere, sulla strada che porta a La Spezia, lungo la strada c'è un bosco al margine dove a volte vado solo per guardarmeli un po'. Esistono almeno 20 varietà selvatiche, una il Cyclamen repandum Sm, che fiorisce in primavera e il Cyclamen persicum Mill la varietà che ha dato origine alla produzione di quelli ibridi coltivati e venduti a migliaia, per non dire milioni, con il fiore più grande e di diverse sfumature di colore e presenti per gran parte dell'anno nei garden. Chi di noi non ha mai comperato un ciclamino? Elisabetta I li volle nei suoi giardini anche se già i Romani e Greci ne parlano, pianta ritenuta capace di proteggere la casa da influssi maligni, un amuleto per chi la semina e la fa crescere, legata a Ecate la dea della magia, signora della notte e dell'oscurità, con il potere di realizzare o vietare i sogni degli uomini, ma anche dea della fertilità e del ciclo della vita, invocata da chi applica le arti magiche. Proprio per questo nel medioevo ne fu cambiato il simbolismo troppo legato alla figura di una simil strega e divenne fiore poco ambito, per ritornare di moda nel XIX secolo. Oh! È tornato il sole, stavolta vado, quello che avevo da dire l'ho detto, "altro non vi saprei narrare", se non di non guarnire l'insalata con i ciclamini, per piacere. A quale terra antica mi riporti, a quale ora fuori dei millenni, acceso ciclamino d’un giorno d’acqua? Umberto Piersanti Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LA GINESTRA ACCENDIFUOCO, IL BRUXINE
Da tempo volevo parlare di questa pianta, che pur non essendo commestibile o terapeutica, ha fatto parte della vita degli abitanti di questi posti. Proprio per l'uso e l'abuso da parte dell'uomo e anche per l'abbandono di queste terre una volta pascoli per bovini e ovini e il rinselvatichimento che ne favorisce incendi, è diventata quasi rara. Anche io ne ho abbandonato l'uso ormai da tanti anni, anche se ho sempre cercato di raccoglierla in maniera più oculata di quanto vedevo fare con leggerezza. Il termine volgare per identificarla, "bruxine", ne denuncia l'utilizzo, e nello specifico è il miglior accendifuoco che si possa trovare. Un rametto secco, qualche "sticco" e anche la legna più difficile si accendeva con facilità. Non veniva usato solo per accendere il fuoco, quando ancora non c'era la corrente elettrica qui nelle case e il buio arrivava presto, le donne alla sera filavano al lampo di luce che poteva fare un ramo di bruxine tenuto in mano da qualcun'altra donna o ragazza o spesso bambini, uno dopo l'altro, accesi uno con l'altro per fare una luce forte e continua. La donna che me lo raccontò, non c'è più da tanti anni, mi disse anche di come le dita di questi "portatori di luce" erano sempre marroni dalle bruciature. Anche le candele costavano troppo per filare. Nella fine dell'estate, passata la fioritura e caduti i semi, ci si recava sui monti con le corbe, per riportarle piene di questa particolare ginestra, tranciata nel gambo con un colpo netto di zappa, e messe a seccare per riporle poi nella legnaia, pronte per l'inverno. C'è da dire che l'oculatezza di una volta faceva sì che raramente si spegnesse il fuoco, tenuto in vita da braci, tanto che nella mia vita antica la frase che più mi pesava e mi sembrava assurda è sempre stata: - Ti sei lasciata spegnere il fuoco! - Niente, la frase è rimasta nel DNA ... mi tocca sentirla dire pure da mio figlio, adesso che fiammiferi e diavolina facilitano l'opera e Vestali non ne esistono più. Non mi intendo molto di Ginestre, credo che il nome botanico di questa che forma cespugli bassi e compatti mescolati a ERICA E BRUGO (qui>>>) sia Genista salzmannii DC. , una varietà che si trova solo fra Liguria e Toscana e in Sardegna e se pur non soggetta a protezione è considerata specie a rischio. - Erica, Brugo e Ginestra di Salzmann insieme - Nessuno qui va più per "Bruxine", sostituito da Diavolina e Stecchi già pronti e venduti confezionati in sacchi o cassette ed è bene così visto quanto è diventato difficile trovarne, ma i discorsi di questi giorni su bollette in aumento e privazioni alle quali dovremo andare incontro, mi hanno fatto ripensare a come si faceva una volta, a mia nonna che sventolava il ventaglio di piume per ravvivare il fuoco a carbone nel ronfò (qui>>>), a quelle bambine che si bruciavano le dita perché qualcun'altra appena più grande di loro potesse filare o tessere, a mio padre che mi faceva riusare i fiammiferi spenti per accendere gli altri fuochi della cucina a gas, e a quando, piccolissima, mi fece una lunga spiegazione scientifica sulla combustione e sull'importanza dell'ossigeno perché questa avvenga, perché sapessi come accenderlo e come spegnerlo, perché la conoscenza della gestione del fuoco è un potere che gli uomini hanno e che li fa credere di essere superiori agli altri esseri e più vicini a un dio. IL DONO DEL FUOCO qui>>> - infuocato tramonto al Passo del Biscia fra eriche e ginestre - Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- I TESTAIÖ in Val di Vara e altrove
Qui, nell'alta val di Vara, tutte le casa di campagna hanno vicino al camino o sul sö (pavimento) della cucina della græ (seccatoio) la pila di testéti per cuocere i Testaiö, i testaroli, ma anche il Castagnaccio (qui>>>) o le chizzoe di farina di granoturco. L'uso è comune anche alla Val Graveglia qui dietro. Proprio nella frazione di Iscioli, nel comune di Ne, si costruivano i testetti di terracotta con l'argilla del posto, che venivano venduti in tutte le valli attorno. Il testetto è una specie di piccola teglia di terracotta con i bordi rialzati che viene scaldato nel fuoco rovente di una brace fino a farlo diventare rosso, nel momento che vengono tirati fuori dal fuoco uno a uno con un paio di molle da camino, viene versato dentro al testetto caldo, con l'uso delle foglie di castagno (qui>>>) o no a secondo di quello che si prepara, circa due cucchiai di impasto. Nel caso dei testaroli è più che mai semplice, acqua e farina integrale, sale. Si prepara una pastella semi densa, diciamo della consistenza a nastro, si mette circa due grandi cucchiai, direttamente nel testetto caldo, in questo caso senza le foglie, si copre questi con un altro testetto caldo per pochi istanti quel tanto che serve per formare la crosticina, perché non si attacchi, quando girato e posato sopra si versa altra pastella e così via fino a formare una pila di una decina, dodici testetti. Si controlla la cottura, e si tolgono uno a uno e si condiscono con olio, burro, formaggio parmigiano e pesto se si vuole. Si taglia a spicchi e si serve. Se vi spostate in Lunigiana questi sono chiamati panigacci . Se non avete i testetti di terracotta e volete provare a fare qualcosa di simile, non uguale ma buona, (ha sempre un discreto successo con i miei ospiti) basta avere una padellina da crepes antiaderente e sistemare la pastella nella padella calda. Calcolo uno spessore maggiore di una crespella, diciamo più di 5mm, faccio cuocere pochi istanti, giro cuocio anche da questa parte e poso su un piatto avendo pronti vicino olio, burro e formaggio per condirli uno a uno. È indispensabile usare una buona farina integrale. Formare man mano la pila di Testaiö pronti conditi e portare in tavola. Preferisco non mettere il pesto tra uno e l'altro, ma servirlo a parte. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.
- ERBANDO D'AUTUNNO
PASSEGGIANDO, RICONOSCENDO, RACCOGLIENDO ... Breve comunicazione per informare sui prossimi eventi, con pochi giorni di anticipo per colpa delle mutevoli condizioni di questa prolungata estate che sta diventando primavera. Dopo la tragica siccità di questi lunghi mesi passati, pochi minuti di tregenda 20 giorni fa avevano finito per distruggere la campagna. Pur confidando nella natura non pensavo che in meno di un mese, con temperature ancora da piena estate, tutto si sarebbe ripreso così velocemente. Spariti frutti autunnali e foglie, i campi battuti dalla grandine, assisto a un risveglio di carattere prettamente primaverile, i rami sbocciano di gemme e nuove foglie fino ad arrivare agli alberi da frutto fioriti, ciliegi, prugne, meli come fosse aprile. I prati sono coperti di erba verde e quindi la decisione di provare a fare qualche incontro, dopo che ieri ho raccolto tutto il giorno Prebuggiun. - ciliegio sotto casa mia completamente fiorito da una settimana- A CASA DI ERBANDO DOMENICA 18 SETTEMBRE Come tutti gli anni si rinnova l'appuntamento "A Casa di Erbando" . Quest'anno tra piogge e sole caldo, durante la solita passeggiata intorno a casa con Lella Canepa, alla ricerca delle erbe del Prebuggiun e di quanto ci mette a disposizione la natura, potremo vedere due o tre stagioni insieme, gli effetti disastrosi della grandine, quelli della siccità e un inconsueto risveglio primaverile della natura. Di alcune erbe sarà possibile osservare il germoglio e il fiore passando da primavera a estate in uno sguardo. È davvero un'occasione da non perdere non fosse che per avere l'occasione di ammirare l'insolita fioritura settembrina di ciliegi e prugne. Insieme potremo costruire un erbario da portare a casa delle più comuni "erbacce" . Posti disponibili solo 10 Contributo di 15 € per l'Associazione Erbando per prenotare al 3486930662 RITORNO AL CUCCO DOMENICA 2 OTTOBRE Erbando torna in Piemonte! Dopo il successo della prima esperienza come non ripetere l'evento nella magnifica atmosfera incontaminata creata da Sara e Fabio di Cascina Il Cucco ne il Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo . Una passeggiata nei dintorni con Lella Canepa per il riconoscimento delle erbe più comuni, selvatiche, spontanee, commestibili usate da sempre nella cucina ligure e piemontese. Un pomeriggio davvero a contatto con la natura fra racconti, aneddoti, confronti, dove sarà possibile volendo costruire un erbario personale da portare a casa. Disponibili anche i sette manuali cartacei di Erbando sulle erbe del Prebuggiun. Al termine aperitivo agricolo a base di formaggi, salumi, prodotti e vino locali. Per informazioni e per l'indispensabile prenotazione occorre telefonare al 327 854 8388 ERBE D'AUTUNNO CON MARCO E LELLA DOMENICA 9 OTTOBRE Un evento speciale studiato da tempo e rimandato per le ben note restrizioni. Ci riproviamo quest'anno nella cornice dei boschi di castagno dell' Agriturismo Risveglio Naturale di Valletti >>> con una passeggiata al mattino con Lella Canepa per il riconoscimento delle erbe che questo speciale autunno simil primavera ci offre, con la possibilità di costruire un erbario da portarsi a casa. Pranzo con gli assaggi delle erbe, antipasti, tortelli ripieni di erbe, arrosto alle erbe e dolce. Al pomeriggio una chiacchierata con Marco Fossati, erborista, sulle proprietà curative e le pratiche della piccola farmacopea casalinga delle stesse erbe. A concludere un piccolo laboratorio per portare a casa un ricordo della giornata Costo 50€ a persona per l'intera giornata posti limitati È possibile arrivare al sabato e pernottare in Agriturismo. Informazioni al Tel. : 01871854393 Cell.: 3493386861 Mob. : 3922195962 Volutamente non ho preso impegni per il 24 e il 25 settembre causa elezioni. Se un piccolo gruppo di persone fosse comunque interessato a fare una passeggiata in altre date, anche in settimana, mi contatti al 3486930662. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LA LUNGA ESTATE CALDA
Ho sempre preferito la primavera a tutte le altre stagioni, quella vita che si rinnova sembra ogni volta rinnovi anche me. Con gli anni, i dolori, il freddo percepito diversamente, l'odiata umidità, ho imparato ad amare l'estate. Questa di estate è stato impossibile amarla, ma proprio neanche volerle bene. Dopo due anni di chiusure e virus quest'anno ho dovuto rinchiudermi nell'unica stanza di casa dove ogni tanto aleggiava un filo di tiepida brezza, per sopravvivere. Oltre al caldo ho combattuto con ogni sorta di insetti, eserciti di mosche, battaglioni di pappataci e farfalline, dorifore, cimici e formiche, con le finestre spalancate tutta la notte persino le lucciole sbagliavano strada. Zanzare no, le zanzare non mi sopportano, per fortuna. Ogni sera un'ecatombe prima di riuscire a dormire. Dormire... si fa per dire, per la prima volta, qui, a 800mt, con l'aria degli Appennini alle spalle, all'una di notte c'erano 26 gradi e la casa non si rinfrescava. E pensare che in questa camera d'inverno si toccano i sei gradi, e dieci gradi in cucina a volte sono un'utopia. Con due stufe accese mai visti 16 gradi. Ho dormito, lo dico adesso, con tutte le finestre spalancate e anche la porta, diverse notti, poi ho pensato che poteva farmi visita un cinghiale, visto che sotto casa passano abitualmente anche i lupi. Il sole mi ha ferito gli occhi, pur con gli occhiali, il caldo bollito il cervello, uscivo a sera dopo le otto per andare furtiva nell'orto a rubare, a cimici di ogni ordine e grado, qualche zucchina e pomodori malandati, tornando a casa sudata e spesso con due o tre zecche addosso, mai successo prima. Per almeno due mesi buoni, non è mai arrivata acqua al rubinetto che non fosse tiepida, ma potrei dire calda, qualcuno mi ha poi detto che non è bello perché favorisce il formarsi di batteri non proprio graditi. Con la penuria di acqua che c'era non era possibile farla scorrere per farla venire fresca. Le fontane al lumicino, ed era comunque fatica arrivarci. Per questo o perché non lo so ho avuto disturbi di ogni tipo, che non mi passavano neppure quando mi sono arresa a medicinali vari. Nel tentativo di stare meglio ho persino comperato il mio primo tubo di crema con del cortisone dentro. Non mi sono avvicinata ai fornelli per cucinare, ho vissuto di friselle e pomodori, sono riuscita a malapena a mettere insieme un aperitivo per gli amici una sola volta, e sì che non si vedeva l'ora di stare assieme. Ho cercato di essere presente ad alcuni eventi inderogabili e che mi rendono sempre felice, come gli incontri al centro estivo con i ragazzi, ma tornavo a casa che non sapevo "quantu fî me restava in sciâ rocca" quanto filo mi rimaneva sulla rocca, frase usata una volta per definire quanto tempo restava da vivere. ... Strepitando vien giù candida e bella, batte il suol, tronca i rami, il cielo oscura, e nelle grigie vie sonante e dura picchia, rimbalza, rotola, saltella; squassa le gronde, i tetti alti flagella, sbriciola sibilando la verzura, ricasca dai terrazzi e nelle mura s’infrange, e vasi e vetri urta e sfracella. E per tutto s’ammonta e tutto imbianca; ma lentamente l’ira sua declina e solca l’aria diradata e stanca; poi di repente più maligna stride, poi tutto tace, e sulla gran ruina perfidamente il ciel limpido ride. De Amicis Dopo un inverno secco e tiepido, ogni giorno in attesa di una pioggia che non arrivava, con la certezza ormai dell'esperienza che un simile caldo non può che provocare disastri, con la prima aria un poco più fresca che si scontra con un mare caldo arrivato a 30° . É vero questi eventi sono sempre più frequenti, ormai passiamo troppo e solo da un estremo all'altro, ma mi preme dire che qualcosa è sempre successo. Nell'estate del 1903, qui raccontato da chi ho conosciuto che c'era, una tempesta di vento e grandine, distrusse gran parte dei castagneti e il legno fu usato per costruire tutte le capanne col tetto di paglia, di sapore vagamente celtico, che c'erano una volta qui nei boschi per conservare fieno e foglie per lo strame. Quest'anno la mattina del 18 agosto mi sono svegliata con il rumore di una grandinata eccezionale che in cinque minuti ha fatto qui e nella zona fra Lavagna e Sestri Levante disastri che tutti avranno potuto vedere nei vari telegiornali. Dieci o poco più minuti di follia intensa che hanno distrutto coltivazioni di uva e olive, castagne, orti, mais, ma anche danni a case e cose. Arrivata in maniera orizzontale, lo chiamano downburst, pochi hanno salvato l'auto, fari e cruscotti e carrozzerie ammaccate, la mia, vecchia, ma andava, ora è senza fari oltre alla graziosa decorazione nella carrozzeria. Sestri Levante sembra una città mitragliata, tapparelle, intonaci, tetti, alberi, è passata una settimana e stiamo ancora tutti pulendo e contando i danni. Gli stabilimenti balneari di Lavagna sono volati sui binari, dopo una stagione finalmente positiva, tutti devono ricominciare. È ancora e di nuovo troppo caldo, quindi non finirà qui. Questo mi premeva raccontare a chi mi ha scritto e mi ha detto incontrandomi come mai non riceveva più articoli dal mio blog... non ce l'ho fatta fisicamente e mentalmente. I miei post, come ho detto più volte, sono frutto di passeggiate dalle quali prendo ispirazione scoprendo un'erba o con la voglia di cucinare qualcosa. Sono riuscita ad uscire pochissimo, ma fra la desolazione della siccità quest'anno non ci sono stati fiori, pochissima raccolta di erbe stroncate dall'arsura. Non c'è fieno nemmeno per gli animali, non sono riuscita a fare una conserva di nulla, se non qualche barattolo di marmellata definita "Granizada" perché ottenuta con frutti misti raccolti dopo la tempesta. Intorno sembra arrivato improvvisamente l'inverno, non una foglia sugli alberi, solo l'edera rimasta intatta prepara premurosa i suoi fiori, gli ultimi fiori dell'anno per le api golose. La natura magnanima quanto implacabile, si sta già riprendendo, spuntano i sciguelli nemmeno aspettassimo una nuova primavera, e mi ha regalato stamattina un fiore sull'ultimo ramo rimasto di uno dei miei gerani nel mio giardino distrutto. La natura non si domina, se non ubbidendole. Alcune foto mie e della riviera Naturae enim non imperatur, nisi parendo Francis Bacon, Novum Organum, 1620 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL LUPPOLO E LA BIRRA DI TORZA
De' Lupoli ... E perché questo simplice è sovrano a rinfrescare e purificare il sangue, gli uomini che non vogliono per ogni leggier cagione molestare il medico, né saziar gli 'ngordi speziali, e pur è loro a cuore la salute de' corpi loro, pigliano un piccicotto di questo simplice e altrettanto fumoterra, cicoria, indivia e boraggine, e tutte insieme, ben lavate, in acqua senza sale fan cuocere. Giacomo Castelvetro 1546 - 1616 Avrei potuto non parlare del Luppolo, soprattutto da quando conosco la Elisa? Anzi è proprio lei e la sua avventura luppolosa che mi hanno dato lo spunto per questa categoria di post: La mia Gente. Conoscere giovani motivati e caparbi, che lottano per fare qualcosa per il territorio contro tutto e tutti, che dal nulla e nel nulla inventano un lavoro che gli permette di coltivare in modo non consueto la terra e di non andarsene dal proprio paese, be'... non è poco. È tosta la Eli, oltre che caparbia, lo si capisce subito, sguardo diritto, forza trascinante, decisa senza esitazioni, sa cosa vuole e ci mette tutta se stessa, anche fisicamente, nel progetto che porta avanti. Partendo dall'inizio, il meglio che può succedere ad un giovane qui nell'Alta Val di Vara, se non decide di percorrere tutti i giorni 70-80km per lavorare nelle città vicine, è di mettere su un'azienda agricola, mucche da carne, o pecore, i campi frammentati dell'entroterra ligure non permettono grandi culture redditizie, già tanti lo fanno, la Eli no, voleva qualcosa di diverso, e sì che il lavoro lei lo aveva trovato, fisso e ben retribuito, ma non avrebbe dato niente al suo paese e avrebbe fatto vivere lontano lei. Da sempre, il nonno nel paesino di Torza, (maps qui>>>) sulle sponde dell' omonimo torrente, nelle prime colline alle spalle di Sestri Levante, una volta passaggio obbligato sulla statale che porta a salire verso Parma o a scendere verso la Riviera, aveva un laboratorio di produzione di spuma e di rivendita di acque in bottiglia, spume, vini, sosta dei viaggiatori quando le strade non erano asfaltate e si doveva fare il passo. Perché lasciare perdere tutto, anche il ricordo? Un bar era troppo semplice, scontato e ripetitivo e questa terra certo non adatta a produrre grosse quantità di vino, ma è giovane la Eli e le viene in mente la birra ... fare la birra... ma sul serio, partendo da piantare un luppoleto, usare il grano della sua amata valle e rispolverare il laboratorio del nonno, così qualche anno fa nasce Torza una Blonde Ale chiara ad alta fermentazione con note fruttate finali. Per questo colgo l'occasione per parlare, oltre che della sua avventura, del Luppolo, pianta che si trova anche spontanea, spesso lungo i corsi d'acqua, in luoghi umidi, ricercata per i suoi germogli primaverili, chiamati bruscandoli usati e creduti come asparagi e spesso purtroppo confusi con le cime di Tamaro o di Vitalba. Germogli di luppolo foto dal web Ricordo perfettamente la prima volta che mia madre tornando da un giro nella valle sotto casa, mi fece vedere i coni verdi, che lo distinguono in estate, dicendomi - questo è il Luppolo - incredula io, perché non pensavo fosse così facile trovarlo, mi convinsi quando scoprii che chi aveva costruito e abitata la casa tanti anni prima, il medico del paese, una volta faceva la birra. Non me ne sono più interessata fino a qualche anno fa, quando è iniziata l'avventura del Birrificio di Torza, La Taverna del Vara e così sono riaffiorate alla mente le parole di mia madre, di come fosse usato anche come medicamento. Per quanto ho letto, a supporto delle sue parole, ha notevoli proprietà conosciute fin dall'antichità. Tutti i grandi curatori di un tempo ne parlano, dall'arabo Mesuëil Giovane, Ildegarda di Bingen, Albert il Grande fino ad arrivare al XX secolo con Pasteur e Koch che le provarono scientificamente. Usati principalmente i suoi coni, i fiori delle piante femminili, per le proprietà calmanti, spesso si trova in associazione con la Valeriana, è una delle erbe più adatta per gli Herbal Sleep, i famosi Cuscini Profumati qui>>> Re Giorgio III del Regno unito curò la sua insonnia con un cuscino di coni di luppolo. È stata inoltre riscontrata una certa attività pro-estrogenica usato in campo femminile specie in menopausa e per questo sconsigliato l'uso in gravidanza. È uno stimolante del succo gastrico, un antiossidante e un antinfiammatorio. Le più importanti proprietà sono nella sostanza viscosa gialla, normalmente chiamata lupulina, contenuta fra le brattee dei coni dei fiori femminili, una resina ricca di olii essenziali aromatici. Questa, anche secca, ha effetto cicatrizzante, e proprietà elasticizzanti, purificanti e antipruriginose, utili nelle dermatiti. L'uso più conosciuto è quello di aromatizzante per la birra, ma non solo. Le confermate attività antibatteriche ne fanno pure un conservante e uno stabilizzante, specie della schiuma. Le stesse proprietà antibatteriche sono allo studio per curare la Tubercolosi, gli operai delle fabbriche di birra tedesche, oltre ad avere problemi di sonnolenza, avevano una conclamata resistenza a contrarre il morbo. Insomma nel 1984 il Luppolo è stato immesso nell'elenco delle piante fitofarmaceutiche. È fra luglio e agosto il momento di cercare, dove in primavera raccoglievamo i teneri germogli per fare il risotto, i preziosi coni da far seccare e usare cum grano salis, quel minimo di prudenza, sempre informandosi bene e chiedendo pareri più illustri del mio, seccarli velocemente per usarli in tisana o per metterne qualcuno nel miele per sedare la tosse, o meglio farsi un cuscino per dormire sonni beati. Per il riconoscimento, il Luppolo, della famiglia delle Cannabaceae, è una pianta che si arrampica e con i suoi invisibili uncini si aggrappa a quello che trova, fino una decina di metri e vive anche 20 anni. Ci sono diverse varietà, fra quelle coltivate e quelle spontanee. Uno dei più conosciuti l' Humulus lupulus ha le foglie divise in tre-cinque lobi, con il margine dentato, abbastanza ruvida la pagina superiore, mentre quella inferiore piuttosto resinosa, che diventano intere e cuoriformi nella parte alta della pianta. Le piante sono maschili e femminili, quelle maschili hanno fiori diversi, una specie di pannocchia di fiorellini pendente, mentre quelle femminili i famosi coni verdi con le bratte fra le quali c'è la lupulina, quella che conferisce alla birra il caratteristico aroma e che bisogna fare attenzione a conservare seccandoli. Il Birrificio va avanti, con l'aiuto del cognato Simone, il sogno di Elisa sta diventando realtà confermata e conosciuta, in questi anni progetti e collaborazioni con altre giovani aziende hanno portato a realizzare diversi tipi di birra, di castagna, con il farro e altri prodotti, come il ri-uso delle trebbie anche per fare il pane. Volete una birra tutta vostra? con ingredienti che volete voi? Elisa ve la fa su misura con la vostra etichetta personalizzata. E inoltre un susseguirsi di eventi proprio al Birrificio, come quello di sabato 8 e domenica 9 agosto o per un ferragosto diverso. Qui per conoscere i particolari https://www.facebook.com/events/1196252920725204/ https://www.facebook.com/events/601632587390126/ https://www.facebook.com/events/2709684695975500/ Tutte le sue birre le potete trovare bene descritte nel sito Taverna del Vara (qui>>>) e se volete potete riceverle anche a casa. Neanche in questi tempi particolari il Birrificio si è fermato, nel periodo di distanziamento, Eli ha continuato a lavorare e a portare la birra a casa ai suoi clienti e il suo motto era "Torza e coraggio". Se passate da Torza fermatevi allo spaccio, visitate il luppoleto, assaggiate le sue birre, scoprirete una realtà giovane che sa di antico, di lavoro, di fatica fisica, di progetto come in questi tempi è davvero difficile trovare. ... Da sonno a veglia fu Il sogno in un baleno. Giuseppe Ungaretti Due cenni storici importanti. Recenti studi archeologici confermano l'antico popolo dei Liguri come grandi bevitori di birra, la Bryton e si sa che spesso era aromatizzata da un miscuglio di erbe ... devo aggiungere altro? la Eli ed io ci stiamo pensando ... che un giorno magari vi troverete a bere la birra al Prebuggiun? 😀 🌿🍺🌿 io, durante una manifestazione, beccata a far colazione la mattina con un bicchiere di Suvero (qui>>>), la mia preferita ... Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>











