top of page

Search Results

391 risultati trovati con una ricerca vuota

  • TORTA DI RISO FINITA? e allora rifacciamola 😜

    Prima che la primavera porti in tavola le sue preziose erbe, quando le galline ricominciano a fare le uova, nella cucina povera antica ligure di campagna arriva la torta di riso. Per quello che riguarda il posto dove vivo, potrei asserire con certezza che nella gente di qui, che ho conosciuto, erano rari altri usi culinari del riso. Niente risotti, niente riso all'inglese, niente polpette. Forse semplicemente perché era un ingrediente non coltivato in questa campagna, andava comperato e quindi tenuto da conto per questa pietanza. Come tutte le ricette liguri anche questa si avvale di pochi ingredienti per avere un risultato gustoso. LA RICETTA Questa, come sempre, è la mia versione, insegnatami qui da un'anziana, quando ero ancora una fanciulla. Intanto il riso, non un riso da risotti, ma un riso che rimanga morbido, un originario, meglio un semifino. Inizio con cuocere quest'ultimo, al contrario di come si fa solitamente, mettendo a freddo il riso in proporzione di una tazza di riso in 2 tazze e mezza di acqua fredda. Metto sul fuoco con un pezzetto di lardo, se possibile, o un poco di olio e burro. Salo e cuocio a fuoco basso con il coperchio senza mescolare. Sorveglio la cottura perchè non scuocia, ma non deve essere al dente. Con questo rapporto dovrebbe arrivare a cottura consumando quasi tutta l'acqua. Scolatelo con una schiumarola. In un "grilletto", (traduci dal genovese insalatiera, terrina, ciotola) metto un certa quantità di uova; diciamo che per mezzo chilo di riso almeno almeno sei uova ma anche sette, otto. Intere, tuorlo e albume, sbatto con sale, pepe, "ina bella cascetta de furmaggiu", quando il formaggio si grattugiava con la grattugia a mano, quella di legno con il cassetto sotto, ma insomma vuol dire una bella quantità, perchè a questo punto non c'è altro, nessun altro ingrediente, che una dose generosa di olio. Unica aggiunta quando c'era, qualche fetta di fungo secco, rinvenuta in acqua e tritata, ma poco, giusto per dare sapore, come spesso succede nella cucina ligure. Quando il riso, scolato, è intiepidito lo unisco, per ottenere un composto molto morbido. Nel frattempo avevo fatto una pasta matta con farina, acqua, olio e sale, morbida che ho lasciato riposare per poi tirare con il mattarello una sfoglia sottile. La faccio nel robot, due tazze di farina, due cucchiai di olio, sale e aziono per poco più di un minuto aggiungendo, poco per volta, una tazza scarsa di acqua, fino a che non forma una palla. Sistemo la sfoglia nel tegame basso e dentro stendo con l'aiuto di un cucchiaio l'impasto di riso, uova e formaggio livellando per bene in uno spessore poco più di un dito. Non mi resta che fare sopra un bel giro di olio e qualche fiocchetto di burro. Qualche buco qua è là, anche con la forchetta, per far passare meglio il vapore. A me piace fare l' "oêxìn", il bordino arrotolato, formato arrotolando la pasta in eccedenza sull'indice della mano destra aiutandosi con pollice e indice della sinistra Anche questa sarebbe una ricetta da cuocere sotto il testo sulle foglie di castagno (vedi qui>>>) ma mi accontento del forno elettrico di casa o di quello della stufa a legna. Inforno a 200° e cuocio per 40 minuti circa. È una pietanza buona tiepida, o anche fredda, che si può comodamente fare il giorno prima, utile da mettere in un cestino da picnic. È vero che la torta di riso fa presto a finire da tanto che è buona, ma, poffarbacco, rifacciamola! 😜 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.

  • CROCCANTE ... voglia impellente, pressante, incombente, non rinviabile

    È così, quando ti prende in un pomeriggio piovosissimo d'autunno e hai bisogno di qualcosa di consolatorio veloce veloce e nello stesso tempo ricordi la festa, e anche se non sei sola e da consolare se hai bambini per casa e vuoi divertirli, o se come me vivi a km e km dalla civiltà più vicina, e non hai niente in casa ma per fare il croccante servono al massimo tre cose, anche due: zucchero, miele e a scelta mandorle o pinoli o nocciole o arachidi o sesamo o tutti insieme. Dosi indicative: 350gr. supponiamo di mandorle 150 di zucchero bianco semolato 100 di miele delicatissimo acacia o millefiori Se non piace il miele, che peraltro non si sente nemmeno, è possibile farlo solo con lo zucchero, anzi l'Artusi e tutti i libri di cucina lo danno con solo zucchero, chissà perché ci metto il miele... non so ... è possibile anche aggiungere poche gocce di essenza di vaniglia, bucce di limone. Questo post sarà ad alto tasso di critica da parte dei cultori della cottura dello zucchero, ma di fatto io lo faccio come mi viene e per me va benissimo e un giorno mi comprerò un termometro per fare tutto perfetto... un giorno, quando non avrò più voglia di giocare. Ungo con olio il più possibile neutro nel gusto, il pezzo di marmo che tengo all'uopo, ma io sono antica, voi il foglio di silicone, o carta forno . In una teglia metto nocciole o mandorle o pinoli o tutte insieme a scaldare nel forno, attenta che non brucino. In pentola con fondo spesso metto zucchero e miele con un cucchiaino di acqua, o poche gocce di succo di limone, e a fuoco lento lo faccio sciogliere mescolando, quando bolle e imbiondisce aggiungo la frutta secca calda e giro per qualche minuto. Attenta che non scurisca troppo e lo zucchero prenda l'amaro, nel caso si sente anche dall'odore e allora sarà immangiabile, dopo qualche minuto quando le mandorle o chi per esse si sono amalgamate bene, butto tutto sul piano di marmo e con due coltelli larghi oliati per bene impasto per qualche attimo. A questo proposito consiglio la visione di questo video: (qui>>>), io logicamente non ci assomiglio nemmeno, però dai, giocare è bello... Ora poso sopra alla massa di zucchero e frutta un foglio di carta forno o silicone oliato e con il mattarello spiano e prima che raffreddi completamente taglio, anche se fino a qualche tempo fa lo livellavo con un'arancia o un limone intero bagnato. Fatto e mangiato immediatamente. Una curiosità: al sud spesso è chiamato torrone, le due cose torrone e croccante si cambiano il nome di luogo in luogo. Pare che gli antichi romani già facessero qualcosa di simile, forse con il nome di "Cupedia" e dubito avessero lo zucchero bianco raffinato, in alcune zone del sud esiste "a' cupeta" che appunto ha negli ingredienti zucchero e miele e altri segreti. Si dice che il termine cupedia si riferisca a Cupido come sinonimo di voglia, delizia o desiderio improvviso come quello che è venuto a me ... Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • LA TALEGUA Reichardia picroides 🌱🌱

    Nell'elenco di piante del Il Mio Prebuggiun (qui>>>) mancava il post dedicato specificatamente alla Reichardia picroides, da noi nel Tigullio chiamata generalmente Talegua o Cialegua ma, come succede con altre piante, conosciuta con un'infinità di altri nomi dialettali. Nello specifico "legua", nel dialetto ligure dei monti significa "lepre", e questa erba è talmente buona che dette bestiole, erbivori dal palato fino, la prediligono, e quindi Ta-legua. È generalmente riconosciuta anche dagli umani, come una fra le più buone erbe selvatiche commestibili, anche coloro che hanno perso l'attitudine a raccogliere, la conoscono, e nelle campagne liguri tanti finiscono per prendere solo questa. È poco amara, delicata, ottima sola lessata, ma ancor di più nella mescolanza con altre erbe a mitigare il sapore più amaro di Tarassaco(qui>>>), Sciscerbua(qui>>>), Bunommo, ecc. Ne scrivo adesso, perché è una di quelle erbe che, passata la calura estiva, alle prime piogge fa la sua ricomparsa, sulle vecchie radici, dove ancora sono gli steli secchi dei fiori, anche se la sua raccolta è più abbondante e migliore nel gusto in primavera. Per l'identificazione, uno dei suoi nomi dialettali, Terracrepolo, richiama il luogo dove prospera, perché cresce unicamente nei muri sassosi, fra le pietre, dove la terra è più arida, nelle frane, lungo sentieri e strade. Non cercatela fra i prati umidi e fertili. La foglia, lunga e stretta, può essere dentellata o meno, è assolutamente senza peli, glabra, di consistenza non sottilissima, colore come si dice glauco, un verde chiaro tendente al grigio, che già di per sé la fa riconoscere. Il fiore, classico di questa famiglia, una specie di margherita gialla su uno stelo lungo, che dal momento che compare non è più possibile trovare la rosetta basale da raccogliere. Si può vedere fiorita tutto l'anno, meno che nei periodi di gelo intenso, quando con il freddo arrossa le foglie, senza però sparire del tutto. Per la raccolta, questa come le altre, muniti di coltellino a punta dentato, si recide alla base, tanto da lasciare intero il colletto della radice, e si procede sul posto ad una pulitura sommaria, per non portare a casa inutilmente foglie e parti secche o terra che sporcherebbero tutto. A casa si provvederà ad un lavaggio in abbondante acqua fredda e poi alla cottura in acqua bollente fino a che la base non sia tenera. Bollite si possono consumare così, condite con buon olio evo, limone, o usate come verdura del ripieno di torte, frittate, ravioli e pansoti. Per il sapore delicato che ha non la prediligo da sola nei ripieni, nel caso è opportuno limitare gli altri ingredienti che ne nasconderebbero il gusto. Si può consumare cruda in insalata, specie le piantine giovani primaverili. Non le sono riconosciute particolari proprietà curative se non quelle depurative, diuretiche, rinfrescanti, comuni a tutte le erbe primaverili anche se ho letto qui e là di alcune qualità analgesiche... pare che tritata fresca e applicata possa attenuare i dolori di mal di denti, mal di testa e simili. Non resta che provare. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • CENTO FOGLIE DI AMARENA sciroppo di foglie

    Sì, avete letto bene, Sciroppo di foglie, non di frutti. Questa è una ricetta antica antica, di quelle da sempre fatte in casa, con poco dispendio di energie e tanto risultato. Servito volentieri agli ospiti in visita da nonna, che lo vantava come quel qualcosa di più di una semplice amarena e negli anni sempre ben accolto anche dai miei ospiti, che di primo acchito non ne indovinano la provenienza. Al gusto assomiglia in tutto e per tutto allo sciroppo di amarena, con un piccolo segreto... Procediamo con ordine. Andando per la campagna in questo periodo, tra funghi e bacche varie, si raccolgono anche le foglie e oltre a quelle di Castagno (qui>>>), sono gli ultimi giorni per recuperarne un po' anche da un albero di amarene. Occorre saper riconoscere l'albero di amarena da quello di ciliegie. Mentre il ciliegio è quasi sempre un albero imponente dai rami frondosi, l'amareno assomiglia di più ad un arbusto, piuttosto basso con rami sottili. Molto comune in questa zona, la varietà dai frutti rosso chiaro molto aspri, come comune è lo sciroppo di amarena che da essi si ottiene, dissetante, che quest'anno non sono riuscita a fare per mancanza della materia prima. Purtroppo l'abbandono della campagna e l' inselvatichimento dei terreni fa sì che piano piano queste piante, oltre ad invecchiare senza il rinnovo di piante nuove, vengano soffocate da vitalbe e rovi e sempre più difficilmente producano tanti frutti. Dunque, ritorno dalla passeggiata con un bottino di foglie di amarena, almeno un centinaio circa, qualcuna in più, raccogliendole con attenzione fra le più belle e senza difetti. Senza fare niente altro le metto nella proporzione di cento foglie a macerare in un litro di vino rosso, buono, non troppo corposo, per almeno 36 ore. Dopo 36 ore scolo dalle foglie, aggiungo 800 gr. di zucchero ogni litro di vino e metto sul fuoco a bollire come un comune sciroppo per circa venti minuti, dopo di che verso ancora caldo in bottiglie pulitissime. Il gusto del vino non si sente più, mentre preponderante diventa gusto e profumo di amarena tanto da non credere che sia fatto solo con le foglie. Come tutti gli sciroppi si diluisce in acqua per dissetare. Aggiungo una deliziosa ricetta, che mi riprometto di provare, di questo sciroppo trasformato in liquore. Lasciare qualche giorno di più in infusione le foglie, sempre circa 100 in un litro di vino rosso, da 15 giorni a un mese. Filtrare, portare ad ebollizione il vino con 300 gr di zucchero, spegnere e lasciar raffreddare. Quando è completamente freddo aggiungere 300 gr di alcol da liquore. La ricetta mi è stata inviata da un'affezionata lettrice del blog, la proviamo? Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • ESTATE, TI CONSERVO - 1- I POMODORI

    ... In dicembre senza pausa il pomodoro, invade le cucine, entra per i pranzi, si siede riposato nelle credenze, tra i bicchieri, le matequilleras la saliere azzurre. Emana una luce propria, maestà benigna... Pablo Neruda "Ode al Pomodoro" Tanta la tristezza con la quale lascio andare via l'estate che non mi resta ogni anno che provare a imbottigliarla, invasarla, essiccarla, per poterla così ritrovare mesi dopo nelle giornate buie e fredde dell'inverno. Vivere in campagna significa, per fortuna, avere a disposizione sempre in qualunque stagione qualcosa di fresco a portata di mano, ma è settembre il mese più adatto per mettere via l'estate ... ancora qualcosa nell'orto, quando si è ormai stufi di zucchini, melanzane ecc., tanta frutta, mele, pere, fichi, quando già si era fatto scorpacciata di ciliegie, albicocche, fragole,... il mese giusto per le ultime conserve È certamente periodo di salsa. Finiti per me i tempi di quintali di pomodori fatti davvero in tutte le salse, le ho provate e fatte tutte, anche la conserva concentrata, dura, che si seccava al sole e che si comperava a fette nei negozi di alimentari di una volta ... ma chi la ricorda più e il dado fiordagosto venuto dopo? Ora mi limito ad un tipo, semplice, versatile, che può essere usato così o con aggiunte dell'ultimo minuto. Pomodori, fortunatamente dell'orto, come sono sono, per prima cosa lavati. Tolgo la parte apicale (cavità peduncolare) dove il pomodoro è attaccato, qualcuno un giorno mi disse che proprio lì si annidano più tenacemente microrganismi e nel caso di frutta e verdura comperata, residui di anticrittogamici e altri veleni. In una pentola con un pugno di sale grosso, con il coperchio, finché non si sfaldano, stando attenta che non attacchino al fondo. Appena ammorbiditi li passo. Essendo dell'orto mi capita di farne pochi vasetti per volta e allora mi avvalgo dell'aiuto dell'estrattore, altrimenti se capita una quantità più rilevante uso la macchina apposita passapomodoro, in mancanza d'altro un comune passaverdura a mano. Non sono abituata a eliminare l'acqua di vegetazione che fanno i pomodori, mi sembra che così rimangano con un gusto di pomodoro più fresco, altrimenti acquistano un sapore di conserva, un po' come se di un minestrone tenessimo solo la verdura... Finito di passare, rimetto sul fuoco fino a raggiungere la consistenza che mi piace. Una volta ottenuta invaso in bottigliette o vasi sterilizzati in forno o in microonde (qui>>>) , con tappi nuovi e procedo alla pastorizzazione. Molto utile per riempire conserve e marmellate varie, questo imbuto particolare, con il buco largo. Ho già parlato a lungo della mia idea di pastorizzazione casalinga qui>>> se volete dare un'occhiata, comunque per vasetti più o meno da mezzo chilo non vado oltre i venti minuti di bollitura in pentola con acqua che supera i tappi. Con questo semplice procedimento ottengo una passata fresca, che non ha per niente il gusto di concentrato o di conserva, come avrebbe togliendo tutta l'acqua di vegetazione. A questa base, buona così com'è per la pizza, è possibile aggiungere anche solo aglio, o cipolla, per avere una salsa pronta per la pasta, solo da scaldare o aggiungerla ad ogni ricetta che serve. Una variante può essere zucchini e melanzane o peperoni a pezzetti, stufati in aglio e cipolla, da aggiungere alla passata a finire di cuocere insieme, poi invasata e pastorizzata così da avere una salsa pronta per la pasta asciutta. Se invece si vuole un concentrato per il sugo, per il ragù, basta aggiungere all'inizio, ai pomodori, verdura tipo aglio, carota, sedano, cipolla, prezzemolo tagliata grossolanamente. Mentre si passa si può togliere un po' di liquido, non tutto. Una volta passata, si fa cuocere a lungo fino ad avere un buon concentrato da invasare i vasetti più piccoli, che può essere usato a cucchiai e conservato in frigo coperto di olio. O per far prima in contenitori per il ghiaccio e messo in congelatore per avere una piccola quantità pronta da aggiungere al bisogno. Il concentrato non è un tipo di conserva economica da fare se non si possiede un fuoco a legna, per la lunga cottura che comporta. Un accorgimento è quello di dosare bene il sale per evitare che concentrando divenga troppo salato. La cosa più importante è fare barattoli della misura che serve in modo che una volta aperti non debbano essere conservati più di qualche giorno in frigorifero. Un'altra buona conserva imparata dai vicini di casa salernitani, è quella di riempire il vasetto di pomodorini interi, appena sbollentati, ricoperti a riempire di salsa passata. Una bontà. Se l'annata nell'orto è stata particolarmente abbondante, posso fare qualche pelato. Praticato un taglio a croce, messi in acqua bollente pochi minuti, e subito in acqua fredda, così da poterli facilmente spellare, privati dei semi e tagliati a fettine, invasati e pastorizzati. Se ho posto nel congelatore e tanta produzione e poco tempo, non faccio altro che lavare, specie i pomodorini, e interi così come sono sistemarli a congelare. Basterà passarli sotto l'acqua calda per togliere la pelle e avere quasi dei pomodori freschi. Attenzione, perché in cottura daranno molta più acqua. Finito di fare la salsa vi ritroverete le mani morbidissime, e se vi avanzano due cucchiai di succo di pomodoro fatevi una maschera sui capelli prima dello shampoo. Dieci minuti in posa per avere capelli lucenti e brillanti. Un'altra cosa buona da farsi in casa è una sorta di Ketchup. Il Ketchup arriva da lontano ed è completamente cambiato dalla sua ricetta originale che comprendeva fermentato di pesce e salsa di soia, vista la sua provenienza orientale. In Europa cominciarono a metterci di tutto, in America all'inizio del 1800, qualcuno decise di aggiungere il pomodoro chiamandola Tomato Ketchup, fino a quando il sig.Heinz perfezionò la ricetta che è quella di oggi. Durante il periodo fascista si cercò un nome e una ricetta italiana, ecco allora la Cirio inventare la Salsa Rubra, di diretta derivazione dal Bagnet ross, tipica salsa piemontese per il bollito. Le tre ricette si differenziano per pochi particolari, ma da questo ho dedotto che posso farmi il Ketchup come piace a me, in generale quello che metto sono: su circa mezzo chili di pomodori belli maturi una bella cipolla rossa una mela non proprio matura uno spicchio d'aglio una costa di sedano tagliati grossolanamente e fatti stufare assieme Nel frattempo in un'altra pentola faccio sobbollire per circa un quarto d'ora un bicchiere e mezzo di aceto bianco due bicchieri di aceto balsamico un chiodo di garofano, un pizzico di cannella e un cucchiaino di paprika. Quando le verdure sono cotte le passo con l'estrattore o con un passaverdura, rimetto sul fuoco a concentrare e aggiungo l'aceto filtrato e un bel cucchiaio di zucchero. Controllo il sale, un pizzico di pepe e quando raggiunge la consistenza giusta, imbottiglio in bottiglie piccole che pastorizzo per venti minuti. Una volta aperto si conserva in frigorifero per qualche giorno. È possibile cambiare la ricetta a piacimento, per esempio togliere l'aglio o il sedano, o l'aceto balsamico, o aumentare la cipolla... Per quanto riguarda altre ricette comuni, combatto una personale battaglia contro i pomodori verdi, che molti usano conservare come sottaceti, o a fare la marmellata. Molti non sanno che i pomodori che si possono consumare verdi e sempre dopo cottura, sono di varietà particolari, per esempio la “Emerald Evergreen”, che mantengono la colorazione verde anche a maturazione completata. Il pomodoro è una solanacea come patate, melanzane e simili e come tale le parti verdi contengono solanina, un sostanza potenzialmente pericolosa, che non viene eliminata completamente con la cottura. Pur non essendo così facile intossicarsi con pomodori o patate o melanzane, si possono avere disturbi gastrointestinali che non imputiamo nemmeno al consumo delle parti verdi di questi frutti, pomodoro Emerald Evergreen visto che poi è nella quantità che se ne mangia. Certo un consumo costante e in quantità non è consigliabile, sta di fatto che conserve in commercio di pomodoro verde o i famosi Pomodori Verdi Fritti americani saranno alla fermata del treno ma non sono fatti con i pomodori dell'orto rimasti verdi a inizio autunno. ...e sopra il tavolo, nel mezzo dell'estate, il pomodoro, astro della terra, stella ricorrente e feconda, ci mostra le sue circonvoluzioni, i suoi canali, l'insigne pienezza e l'abbondanza senza ossa, senza corazza, senza squame né spine, ci offre il dono del suo colore focoso e la totalità della sua freschezza. Pablo Neruda "Ode al Pomodoro" Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.

  • SUOR CORAGGIO, la suora dagli speroni dalla FONTANABUONA all'AMERICA

    In occasione della manifestazione EXPO FONTANABUONA 2018, alla quale inaugurazione ho partecipato ieri, dedico un post ad una donna forte che in quella valle nacque. A Cicagna, in Val Fontanabuona, qui dietro ai miei monti, c’è una piazza intitolata al suo nome, in libreria potete trovare due libri che parlano di lei ...... oggi la mia donna speciale è Rosa Maria Segale. Nel 1854 a 4 anni emigrò con la famiglia, appunto da Cicagna e arrivò a Cincinnati nell’Ohio. A sedici anni consacrò la sua vita a Dio e divenne Suor Blandina. Dal carattere vivace, indomito, certamente si può dire che non ebbe paura di nulla. A 22 anni fu inviata a Trinidad, sperduta cittadina dell’ Ovest, dove allora non arrivava ancora la ferrovia e che raggiunse in diligenza con un viaggio più che periglioso per una suora e sola per giunta. Lì con una volontà e una solerzia che tutti avrebbero imparato a conoscere ben presto, avrebbe voluto fondare una nuova scuola pubblica, ed entrò burrascosamente in rapporti con le personalità della cittadina, che al contrario non ne sentivano l’urgenza. Così un giorno salì sul tetto della piccola scuola esistente e con un piccone cominciò a distruggerne il tetto, allo sceriffo accorso dichiarò: "In ogni ora, dentro tutti i saloons di questa città, si spende più denaro di quanto non costerebbe una grande scuola, il che vuol dire che questa città non ha bisogno di scuole!”. Due mesi dopo Trinidad ebbe un nuovo e grande edificio scolastico... Si fece promotrice dell'abolizione del linciaggio, salvando anche degli innocenti, frapponendosi fra loro e la folla recitando i dieci comandamenti. Strinse grande amicizia con il capo indiano Rafael della tribù degli Utes e, nonostante questi avesse dissotterrato l’ascia di guerra e combattesse giornalmente contro la popolazione, riuscì a farlo uscire dalla città miracolosamente illeso quando questi venne ad accompagnare un giovane indiano moribondo; lei così raccontava a chi le chiedesse perché: - Prima della rivolta il giovane indiano era stato mio scolaro. Un uomo tranquillo e gentile. “Sei stata tu a battezzarlo – mi ha detto il capo-tribù – Lui dice che non vuole morire come un cane. Tu sai che i bianchi ci chiamano cani”. Il mio allievo è morto in pace e suo padre ha potuto ugualmente lasciare la città, indisturbato. A questo ho provveduto io”- da quel giorno lei fu soprannominata Suor Coraggio. Ebbe occasione di conoscere Billy The Kid, già bandito famoso, unica ad avvicinarsi alla baracca fuori città dove un compagno della banda ferito stava per morire, salvò lui e i quattro medici che si rifiutavano di curarlo. Trasferitasi a Santa Fè con la stessa tenacia si apprestò alla costruzione dell’ospedale raccogliendo offerte da chiunque attraversasse quei sperduti territori. Accettò anche un lavoro manuale presso un impresa di pompe funebri, ma non solo riuscì a costruirlo ma ebbe anche la soddisfazione di vedere le stanze dell’ospedale rischiarate dalla prime illuminazioni a gas. Rincontrò e confortò nuovamente Billy the kid nella prigione dalla quale poi lui riuscì a fuggire. Ritenendo terminata la sua missione lì, si trasferì ad Albuquerque e fu proprio durante il viaggio verso la nuova destinazione che tra i banditi avvicinatisi per rapinare la diligenza riconobbe Billy The Kid il quale riconosciutala a sua volta si allontanò senza colpo ferire. Fu tra le prime donne a prendere la patente Anche negli ultimi anni, la tempra della donna di frontiera non l’ abbandonò. A Albuquerque pensava necessaria una scuola superiore femminile, senza lasciarsi minimamente scoraggiare dalle difficoltà e dai rifiuti, andò di casa in casa ad elemosinare, disegnò ella stessa il progetto, iniziò i lavori con le proprie mani e sei mesi dopo sorgeva la “St. Vincent’s Academy”, costruita da una donna e da un indiano Navaho di nome Jose Apodaca. Tale scuola esiste ancora ora nello stesso edificio. Morì nel 1941 a Cincinnati all'età di novantuno anni, dopo che aveva dedicato le sue ultime forze agli immigrati italiani che arrivavano in America in cerca di un futuro migliore. Nel 1932 fu pubblicato per la prima volta un suo diario epistolare della sua vita, "At the End of the Santa Fe Trail" tratto dalle lettere che lei scriveva alla sorella Giustina. Condividi il post! e poi torna, troverai storie appassionanti. E se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> clicca qui sotto e vai al libro >>

  • CENERE, LISCIVA, SODA, SAPONE e altre amenità

    La tradizione non consiste nel conservare le ceneri ma nel mantenere viva una fiamma. (Jean Jaurès) È oramai nota la mia voglia di conoscenza, a livello pratico soprattutto, su tutto quello che concerne un modo di vivere al massimo dell'autoproduzione con il minimo di spesa. Sono nella generazione di quelli nati ancora tanto vicino alla fine della seconda guerra mondiale, quando lo spreco non esisteva e ho visto tutto lo sviluppo e i cambiamenti dovuti al boom economico, al '68 e all'emancipazione femminile. In casa mia non era contemplato né spreco, né'68, né emancipazione femminile, o forse semplicemente mio padre aveva il terrore che certi tempi tornassero e io potessi non essere preparata ad affrontarli, cosi a sette anni mi insegnò a lavare i piatti con l'acqua di cottura della pasta, ma soprattutto le pentole con le cenere... Arrivata in campagna scoprii la bugâ, il bucato con la cenere, che ancora qualcuna faceva... ricordo la frase di una anziana che, avvallandosi del diritto di ritenersi la donna più pulita del paese, stupiva tutti facendo la bugâ due volte al mese. Non voglio qui dilungarmi nello spiegare cosa sia esattamente il "bucato" che si intendeva una volta, non certo quello che facciamo oggi con un carico della lavatrice. Vi rimando quindi alla pagina del sito qui>>> dove troverete tutto descritto per benino nella ricetta originale del 1879. Voglio invece tornare alla cenere, al giorno d'oggi a qualcuno può non parer vero, ma era il detersivo principe per tutte le pulizie di casa oltre che per il bucato. Dalla cenere, con un procedimento semplicissimo si ottiene la lisciva e come me molti, specie se hanno la stufa a legna o un caminetto, continuano a farla ed ad usarla. Una delle cose importanti per una buona lisciva è la qualità della legna usata per produrre la cenere. Un fuoco fatto con legna di faggio o ulivo o quercia farà una cenere che darà una lisciva superiore ad una fatta con cenere di legna di castagno, tanto per dirne una, evitate di farla con cenere di carta o cartone o simili. Poi l'acqua, dovrebbe essere piovana o di fonte, il più possibile leggera. I metodi per avere la lisciva sono due a freddo e a caldo. La reazione avviene ugualmente solo che a caldo si ha un potere detergente maggiore. È possibile abbandonare la cenere con l'acqua in un bidone di plastica, per due mesi e avere poi la lisciva pronta. Esiste anche un metodo per caduta, tipo quello usato per il bucato, per quel che mi riguarda preferisco il metodo a caldo. RICORDARE CHE SI STA FACENDO UN DETERSIVO Procedo: Setacciata per bene la cenere occorre un recipiente per misurare, con il quale vado a fare una proporzione di un misurino di cenere / cinque misurini di acqua. Non con il peso ma con il volume. Metto in una pentola di acciaio, mai di alluminio, e faccio bollire, o meglio sobbollire, mescolando all'inizio, poi lasciando stare, per almeno due ore, fino a che non sembri separarsi. È possibile assaggiarla, mettendone una goccia sulla punta della lingua, se è pronta pizzica appena. NON BEVETELA. Non esagerare con il tempo di bollitura altrimenti diventa troppo forte. Spengo, lascio decantare completamente, qualche ora o tutta la notte, poi prelevo lentamente con un mestolo il liquido chiaro in superficie, che è la vera lisciva o chiamato anche ranno, trasferendolo in un contenitore in plastica (recuperato da un detersivo, mi raccomando non una bottiglia), attraverso un colino coperto di un panno. CONSERVARE INSIEME AGLI ALTRI DETERSIVI. Chiusa con un tappo, dura anche anni, è un ottimo detergente, disinfettante, sbiancante, è possibile usarla pura per le pulizie pesanti tipo pavimenti ecc., diluita a piacere per quelle più leggere tipo piatti e simili. È sempre meglio usarla con i guanti, pur non essendo come la soda, è sempre corrosiva e alle mani bene non fa, nonostante questo è un prodotto completamente biodegradabile che non lascia tracce. Si può usare in lavatrice, non in combinazione con l'aceto. È in commercio una lisciva in polvere, dal costo contenuto, (non so esattamente cosa sia, forse quella che una volta veniva chiamata potassa e corrispondeva alla pasta che rimane fatta asciugare) e che è sconsigliata dai produttori di lavatrici... conosco chi usa da anni quella mia liquida, prodotta in casa con il metodo descritto sopra, e non è mai successo niente, tanto meno la biancheria diventi grigia, anzi. Tornando alla produzione la pasta di cenere rimasta sul fondo della pentola, la conservo in una contenitore di plastica, per la pulizia della stufa, delle pentole, non graffia e non sporca come accadrebbe con la cenere. Con questa lisciva, quasi in tutte le case, una volta si usava fare anche il sapone, unita ad un grasso che un tempo era lo strutto, o i fondi dell'olio, o l'olio usato, tipo quello fritto. - Aleppo, sapone steso a terra a solidificare per poi essere tagliato a pezzi quadri e messo a maturare nelle pile - La storia della saponificazione è antica, il primo sapone arriva da Aleppo, la ricetta originale contempla l'uso della lisciva di cenere di legna, olio di oliva e olio di alloro, più alta la percentuale di olio di alloro più è pregiato. Anche se la testimonianza più antica di un pezzo di sapone di Aleppo ritrovata risale a 2500 anni fa, in Europa lo portarono gli Arabi, durante le dominazioni intorno all' 800d.C.. A Marsiglia se ne appropriarono, ormai già con la soda, togliendo l'olio di alloro usando solo olio di oliva e diventò il conosciutissimo sapone di Marsiglia. Oggi pare che nessuno lo sappia fare più senza soda, le diatribe sul sapone fatto con la lisciva sono infinite e tanti che ci hanno provato dicono che non si riesce, quanto altri che pare ci riescano. Le mie sincere considerazioni personali sono queste: se volete un buon sapone da bucato in pezzo, con l'olio usato o con lo strutto vi verrà un sapone con un odore forte che resterà nella biancheria e tutti gli oli essenziali di questo mondo non lo toglieranno. Una volta forse era assimilabile all'odore di pulito, e la stoffa della quale era fatta la biancheria più resistente, o semplicemente non si aveva altro, ora non è più accettabile. Se volete un sapone da bucato in pezzi duri, con la lisciva sarà difficile ottenerlo senza conoscere personalmente qualcuno di Aleppo, e purtroppo là ora hanno problemi più grossi ... pare che l'indurimento del sapone derivi direttamente dalla varietà di legna bruciata, quindi anche a me una volta è venuto bene, un'altra volta non è venuto... troppo difficile da gestire, forse sono andati persi (o comunque io non li ho avuti) i segreti pratici per una buona saponificazione con la lisciva. Se li conoscete vi aspetto a braccia aperte. Se invece conoscete il sumero, qua sotto la ricetta originale. ​ Tavoletta di epoca sumera che riporta la ricetta per la preparazione del sapone. Soap Manufacturing Technology - Luis Spitz, 2009 AOCS Press, Urbana, IL 61802 Non resta quindi se volete divertirvi a fare un buon sapone casalingo che affidarvi all'olio di oliva, magari anche un fondo di olio, alla soda e a varie erbe ed essenze rintracciabili in campagna. Questo sempre se avete a disposizione olio di oliva o fondi di frantoio praticamente gratis che non sapete di cosa farne, altrimenti nel caso si sia fortemente interessati e si proceda all'acquisto di oli vari, essenze raffinate, si voglia appassionarsi agli sconti di soda, ai calcolatori per calcolarla, metodi a caldo e altri ammennicoli dei saponificatori casalinghi che spopolano come tanti altri hobby, allora questo non è il blog giusto. Ce ne sono diversi e diversi libri sull'argomento. Se come me vi avanzano gli oleoliti non usati (quello di lavanda qui>>>, quello di iperico qui>>>, quello di elicriso qui>>>) e il contadino vi dà il fondo dell'olio o se volete semplicemente fare una prova, scrivo il procedimento di una base per un sapone all'olio di oliva, buono un po' per tutto. Per il procedimento non bisogna usare niente di alluminio o simili Occorre in ciotole divise: 500 gr. di olio suddiviso in olio evo e oleolito di alloro, o di bacche di alloro A questo proposito uso di solito, come dicevo, per questi scopi, l'oleolito avanzato dell'anno prima, ovviamente in ottimo stato di conservazione. Se volete potete usare qualsiasi oleolito avanzato, di lavanda, di elicriso, ecc. Si parla di oleoliti fatti con olio di oliva altrimenti cambiando tipo di olio cambia la proporzione della soda. Può essere solo olio di oliva, solo oleolito o entrambi nella proporzione che volete 200 gr. di decotto di alloro, o di altra erba, ottenuto facendo bollire una decina di foglie di alloro in acqua per qualche minuto e lasciato poi riposare per dieci minuti. 64 gr. di soda caustica in scaglie (no Soda Solvay), la trovate in tutti i supermercati Un frullatore a immersione, un vaso di vetro o di plastica alto. Accorgimento importante: indossare guanti e occhiali, e lasciate i bambini lontani. La soda è molto più caustica della lisciva e potreste ferirvi. Questo è un metodo a freddo e quindi ... A freddo sciolgo, in un contenitore alto, la soda nel decotto di foglie di alloro , con attenzione perché farà reazione. Unisco il composto agli olii nel vaso grande e inizio a frullare finché non monta e forma un nastro, la consistenza di una crema diciamo. Frullo ancora un poco e il mio sapone è fatto. Trasferisco velocemente in stampi in plastica che possono essere recuperati da confezione di formaggi o simili, o degli stampi di silicone, l'importante che non siano rigidi o di metallo. Batto sul tavolo per eliminare l'aria e compattare. Copro con la carta forno e un panno. Dopo 48 ore è pronto per essere sformato e tagliato se è il caso. Conservato a maturare all'aria, non al sole, per almeno due mesi prima di usarlo. Più invecchia e più è buono, una volta pronto va fasciato pezzo per pezzo, perché non irrancidisca. i saponi all'alloro di Valeria della quale collaborazione mi sono avvalsa -pezzo di sapone ottenuto da me tanti anni fa con la lisciva- Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • PASTA, POMODORINI E ... ESTATE

    "La sua polpa vivente, è una rossa viscera, un sole fresco, profondo, inesauribile" (Pablo Neruda) Le giornate si accorciano. Ti alzi una mattina è cambiata l'aria, il cielo grigio, cerchi frettolosamente qualcosa da mettere sulle spalle ... Non te la vuoi fare una velocissima pasta con il sole dentro, che ti tenga attaccata all'estate che se ne va? Occorrono pomodorini maturi, capperi, olive meglio nere, aglio e origano. Svelta, il tempo che cuociono gli spaghetti, il segreto è il fuoco alto e ci si rassegna se schizza un po'. Dunque una padella larga che poi ci stiano gli spaghetti, mentre l'acqua bolle e gli spaghetti cuociono, mettere a freddo in olio evo i pomodorini ai quali per mia mania personale tolgo la sede del picciolo, tagliati a metà per il lungo, abbondante aglio sommariamente schiacciato, capperi se piacciono, olive nere e accendere una fiamma alta, condire con origano e sale, fare andare pochi minuti senza coperchio in modo che presto appassiscano e friggano quasi, solo allora abbassare il gas . Fatto. Aggiungere gli spaghetti cotti al dente, io integrali che gli danno quel gusto rustico in più, saltare e buon appetito.. Gustosa, semplice, veloce e appetitosa, se appartenete alla categoria no-bucce no- semi lasciate perdere, sono quelli che danno il gusto d'estate, il resto è salsa. "La conoscenza è sapere che il pomodoro è un frutto. La saggezza è non metterlo in una macedonia di frutta" (Brian O’Driscoll) Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.

  • ACCIUGHE SOTTO SALE

    "Le acciughe fanno il pallone che sotto c'è l'alalunga se non butti la rete non te ne lascia una..." - F.De Andrè - Avevo circa 15 anni quando la pescivendola del quartiere, di cui non ricordo il nome, quella che stava in piazza con il carretto a due ruote, solo le mattine che suo marito pescava qualcosa, e solo quel qualcosa vendeva, mi insegnò a fare le acciughe sotto sale. Così le faccio ancora. Oltre a questo, di lei ricordo solo i suoi due gatti siamesi che vivevano a pesce fresco, le incommensurabili mangiate di mostelle fritte che potevamo fare le sere d'estate, grazie a suo marito che le pescava e lei che ce le faceva trovare pulite... e che non ho mai più mangiato... Dopo, negli anni, ho scoperto che in Liguria le Acciughe passano dalla notte di San Pietro in poi, nella zona di mare davanti a Monterosso nella loro forma e misura migliore per essere pescate e messe sotto sale. Si dice pure che il mare delle Cinque Terre abbia la giusta salinità per renderle dolci, e sode e saporite al punto giusto, con un particolare gusto di mare. dimostrazione pesca alla lampara nella Baia del Silenzio - Sestri Levante - La pesca avviene di notte, con il metodo "alla lampara", in pratica una potente luce posizionata sulla barca, illumina la superficie dell'acqua attirando il pesce. In realtà le acciughe vengono pescate e salate in tutta la Liguria da quando entrate dallo Stretto di Gibilterra e passate dalle coste francesi, arrivano all'inizio dell'estate qui. L' Acciuga o alice, (è la stessa cosa), è un pesce povero, di costo contenuto, uno dei più pescati, anche se in questi ultimi anni si è ridotto molto il quantitativo che si riesce a pescare . È un pesce facente parte del cosiddetto "pesce azzurro", quell'insieme di qualità di pesci che hanno in comune diverse proprietà utili alla salute umana. Ricco di omega 3, di vitamine del gruppo B e E, di selenio, fosforo, ferro e calcio, da consumare almeno due volte alla settimana. Dedicherò un altro post alle varie ricette liguri che mi piace fare con questo pesce, in questi giorni vorrei concentrarmi sulla salatura. È assolutamente adesso, tra giugno e luglio, in queste zone, il momento giusto per la salatura casalinga delle acciughe, quando la temperatura giusta permette loro di "maturare" adeguatamente. Al sud dove le temperature sono più alte, la salatura avviene verso settembre. Ne prendo più o meno una cassetta, tenendo presente che in una arbanella classica ce ne stanno dai due chili e mezzo ai tre, sempre da un pescatore di fiducia, appena raggiungono la misura, che non deve essere sotto i 12 cm, di quelle come si dice qua, "che son da salare quando di 50 ci fai un chilo", Arrivata a casa, provvedo innanzi tutto a pulirle in un modo diverso da quando le pulisco per cucinarle. Cioè mettendo l'unghia del pollice vicino all'osso della mascella, stacco la testa con un movimento verso il basso che mi permette di eviscerarla e nel contempo lasciare l'osso, o meglio la cartilagine della gola, così che l'acciuga resti intera. Mano a mano le butto in un contenitore messo in posizione obliqua, con un po' di sale, in modo che il sangue esca per bene e le lascio cosi per almeno otto ore, senza paura, in quanto il sale le protegge dalle mosche e non devono nemmeno essere messe al fresco, anzi. dopo otto ore Passato questo tempo prendo le arbanelle di vetro classiche da salatura pulite e asciutte e inizio spargendo un po' di sale sul fondo. Il sale deve essere rigorosamente marino integrale. Comincio con il primo strato di pesci, una alla volta testa contro coda, pancia contro schiena, ben sistemate, premendole, uno strato di sale e un'altro di acciughe incrociando gli strati fino a riempire, alternando acciughe e sale. Riempita all'orlo, copro con la tradizionale ciappetta rotonda di ardesia, di una misura appena più piccola dell'imboccatura, e sopra sistemo una bella pietra o spesso il mortaio del pesto, per un peso che sarebbe meglio fosse tra i cinque e i sei chili, per un'arbanella da tre chili di pesce. Dopo all'incirca quattro giorni controllo la quantità di salamoia che si è formata con il residuo di sangue e acqua che avevano le acciughe e tolgo il peso sostituendolo con uno più leggero, meno della metà. Tanti pescatori usano un bottiglione pieno di sabbia, a me è caduto una volta e ho combinato un disastro. Non devono stare al fresco, anzi il segreto per farle maturare bene, è la temperatura giusta, intorno ai 25°, più o meno. C'è chi ha la teoria di togliere quel residuo di sangue che si è formato, pulire bene e rimboccare con salamoia nuova pulita, fredda, preparata con 300 gr di sale sciolto a caldo in un litro di acqua. Sono sincera, a volte lo faccio a volte no. Certamente controllo via via che passano i giorni lo stato del tutto, pulendo e aggiungendo salamoia nuova se serve e non assaggio prima della metà di settembre, contando 50 giorni da quando le ho messe via. Mi sono sempre venute buone, sempre durate anche due anni. Questo è il metodo di qui, se ci si sposta verso la Francia , per esempio, le salano senza pulirle delle interiora, e via via ogni paese ha il suo modo. Infiniti gli usi che se ne possono fare. Di solito le sbatto dal sale, le lavo in vino bianco da battaglia, le apro, le dilisco, e le metto in un piatto coperte d'olio, con poco aglio, origano e una goccia di aceto balsamico, come antipasto. Con poche acciughe salate, pulite e diliscate, sciolte in olio in padella, con uno spicchio d'aglio, si prepara una salsina con la quale condire degli spaghetti. Nella cucina ligure si aggiunge un'acciuga salata un po' dovunque per insaporire, quasi come i funghi. Nel san crau, l'originale nome dato in Liguria al cavolo verza stufato, pietanza che forse voleva somigliare ai crauti e che molti fanno con la salsiccia. Per quanto mi riguarda invece, al cavolo cappuccio o verza, stufato in olio e uno spicchio d'aglio, spruzzato d' aceto verso, la fine della cottura ho sempre aggiunto un poco di olio dove a caldo aveva fatto sciogliere un'acciuga salata diliscata. In tanti altri intingoli che accompagnano tante altre pietanze, non solo di pesce come lo stoccafisso accomodato, ma anche nel coniglio alla ligure o nella carne alla pizzaiola, sopra la pizza, nella salsina del vitello tonnato, nella salsa verde, (qui>>>) dove è immancabile nell'elenco dei dieci ingredienti che la compongono, fino ad alla bagna càoda... ma senza accorgercene tra vitel tonnè e bagnèt verd siamo arrivati in Piemonte ... già ma come hanno fatto ad arrivare fino a qui le acciughe? Pare impossibile, ma una volta il sale era tra le merci più preziose, unico modo di conservazione di pesci, carni, insaccati, formaggi. Era gravato da dazi esosi, rendendosi necessario il trasporto, attraverso vari confini, per raggiungere le terre prive di questo bene così importante. Nacquero le Vie del Sale, una delle più suggestive, quella che va dalla Liguria al Piemonte attraversando sentieri impervi con panorami mozzafiato. Un astuto mercante per evitare le alte gabelle imposte, pensò bene di coprire il sale con qualche strato di acciughe, che molto meno pagavano in tassa, così che al controllo sfuggisse il vero contenuto del barile. Arrivate in Piemonte le acciughe salate, di qualcosa dovevano pur farne, e oltre a metterle un po' dappertutto, inventarono la bagna càoda o càuda. Questo pietanza è un piatto tosto, da uomini duri, di condivisione pura, quando il vino nuovo è pronto da assaggiare, infatti era uso farlo in cantina spillando il vino nuovo, rosso. Dicevo piatto tosto perché l'altro ingrediente in grande quantità è l'aglio, magari di Caraglio, l'Aj d Caraj, già che siamo in Piemonte, . Se pur come tante altre ricette, anche della bagna cauda ne esistono mille varianti, io, di nonni piemontesi, scrivo quella che so, diciamo per quattro persone: Pulisco almeno 12 bei spicchi di aglio e li metto in una ciotola con acqua fredda. In un tegame di coccio metto solo un mestolino di olio evo, buono, ligure, con un pezzo di burro e faccio scaldare dentro a fuoco basso l'aglio asciugato e fatto a fettine sottili, fino a che non diventa una crema. Intanto ho pulito lavandole in acqua e vino, diliscate e asciugate almeno 12 acciughe belle grosse, stagionate un anno se possibile, e le metto nella pentola insieme all'aglio, con circa 400gr di olio, sempre evo, sempre a fuoco basso quel tanto che basta perché si sciolgano e formino una salsa dal bel colore marrone chiaro. Non deve soffriggere e tantomeno bruciare niente, pena il gusto completamente rovinato del tutto. Questo intingolo viene distribuito nelle "sciufette o fojot" che ogni commensale ha davanti, con un cero sotto per tenere calda la salsa, mentre si intinge ogni sorta di verdura cruda, cardo, peperoni, cavolo cappuccio, cipollotti, cuori di indivia e di scarola, ma anche mele, fette di polenta, patate e scorzonera bollite. Per quello che riguarda finocchio, ravanello e sedano, che a me invece piacciono tanto, la tradizione li ritiene troppo aromatici. Ne esiste una variante famosa, buona, che vuole l'aglio cotto nel latte, ma forse è quella per le trattorie dove gli avventori non apprezzano il gusto puro dell'aglio. D'obbligo il bicchiere di Barbera (ma a me, sempre per via dei nonni della zona di Ovada, nel sangue scorre quella parte di Dolcetto o Grignolino e non mi offendo se non è Barbera) rigorosamente nuovo, spillato dalla botte. Per la polenta, la tradizione viene dal generale Alessandro della Marmora che fece servire la bagna càoda con la polenta, nel 1855 in Crimea, per tenere alto il morale delle truppe, e a giudicare da come corrono strombettando i suoi bersaglieri... Le Signorine Acciughe Ricette infavolate di Lella Canepa qui Napo canta "Le acciughe fanno il pallone" qui Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.

  • SAPONARIA

    È scritto tutto qui, nel mio prezioso libro "Per Le Scuole Femminili di Campagna" anno 1879, ritrovato 45 anni fa, e che è una vera Bibbia per la perfetta massaia di campagna, dove si sprecano istruzioni e consigli originali di una volta. Dopo il grande bucato settimanale con la cenere, del quale parlerò un'altra volta, c'era il lavare delle cose delicate quelle che non si potevano passare nella bugâ con la lisciva. Per quelle serviva la Saponaria, un'erba comune lungo i fossi, i ruscelli, proprio per essere pronta da usare dalle lavandaie. Il riconoscimento è abbastanza facile, la Saponaria officinalis, è una pianta alta fino a 70 cm, dai bei fiori a cinque o a volte sei petali riuniti in una specie di grappolo, che vanno dal bianco al rosa carico, a secondo dell'esposizione al sole e con un delicato profumo. Frequente anche lungo le strade, coltivata fino dagli Assiri per le sue proprietà detergenti, anche per il corpo, usata dai Romani nelle terme, ha un contenuto di saponine notevole in tutte le parti ma specialmente nella radice. Fiorisce adesso, da giugno a ottobre, la radice sarebbe meglio raccoglierla a fine autunno, anche se tutta la pianta, steli foglie e fiori, contiene fino al 20% di saponine quando è in fiore. Identificata, adesso con i fiori è più semplice, non mi resta che raccoglierla, pulirla sommariamente, e se voglio seguire la ricetta del mio libro, metterla in acqua di fonte o distillata, a mollo per una notte, dopo averla sminuzzata il più possibile con un buon paio di cesoie da potare, più o meno nella proporzione di una bella manciata di erba in un litro di acqua. L'indomani mattina faccio bollire per una decina di minuti. Devo dire che ho provato a farla bollire anche senza aspettare la notte in ammollo e l'effetto detergente si nota immediatamente agitando con la mano la schiuma che si forma. Filtro e ho pronto un buon sapone liquido per lavare lana e indumenti delicati, che ravviva i colori, e che può essere conservato in frigo per una settimana, dieci giorni, ma con una bella etichetta grande, perché la Saponaria e tutte le saponarie sono tossiche, quindi molto pericolose se ingerite, come per altro i detersivi chimici. A questo proposito in primavera, quando rispunta, la rosetta basale potrebbe essere confusa con la Silene alba, pianta commestibile, se pure anche di questa non si deve esagerare, avendo anch'essa un certo contenuto in saponine. Questo è uno dei motivi per il quale raccolgo solo la Silene vulgaris (qui>>>), per il mio Prebuggiun (qui>>>), più facilmente riconoscibile e perché consiglio sempre di guardare in questa stagione le piante fiorite in modo da sapere poi la primavera successiva se in un posto si è vista la Silene o la Saponaria. Tornando al sapone, con la Saponaria si può fare anche un ottimo shampoo per i capelli, con una soluzione più leggera, tenendo presente che non è adatto per i bambini perché brucia gli occhi e per gli animali che potrebbero leccarsi. Allo shampoo si può aggiungere sia semi di lino, che altre erbe che possono essere utili per i capelli come l'Ortica (qui>>>) o il rosmarino, come si può aggiungere pure qualche cucchiaio di aceto. Come per i capelli, la si può usare su tutto il corpo sempre ricordandosi le proporzioni più leggere, quindi una manciata in due litri di acqua. Si fa seccare per produrre il detergente che ci serve anche durante l'inverno. Anche la sua cugina prossima, la Saponaria ocymoides, che forma meravigliosi tappeti rosa intenso, ha le proprietà detergenti. Pur avendo le caratteristiche di pianta tossica, ha anche proprietà curative, resta il consiglio di non fare da sé, non inventarsi tisane e fare esperimenti. Nonostante questo la Saponaria officinalis è fra gli ingredienti di un dolce arabo, la Halva, a base di sesamo e zucchero, mandorle e pistacchi! Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.

  • ZUCCHINI SOTT'OLIO

    Se non ora quando? Gli zucchini, anzi permettetemelo, le zucchine, a casa mia... sono così, quando le semini, palpiti a ogni temporale, a ogni raffreddamento notturno, quando sembrano non crescere, poi appena scoppia il caldo ... l'incubo... anche se ne hai messo solo tre piante, stamattina ne raccogli un chilo e magari prima di sera un altro. Superato l'entusiasmo delle prime, tenere, mangiate appena raccolte, scottate e condite con olio evo, i ripieni (qui>>>) con la pasta, trifolate, fritte, alla piastra... il passato alla sera... quando comincia l'emarginazione da parte di amici e parenti attorno alla tua tavola, conviene pensare di metterne via due per l'inverno. Ricordo che stiamo sempre parlando delle zucchine chiare genovesi, quelle scure non vengono prese nemmeno in considerazione. Credo siano una delle verdure più versatili da conservare, nel congelatore sì, sott'olio sì, perfino secche... Oggi farò qualche vasetto di quelle sott'olio a fiammifero. Dopo aver provato rotonde, a cubetti ecc. ho stabilito che queste sono le migliori in assoluto tanto da non essere nemmeno riconosciute come zucchine quando le servo negli antipasti, il che non è poco... Zucchine giovani appena raccolte, lavate e spuntate, tagliate a pezzi lunghi 4-5cm. Poi tagliate a fette per il lungo, e successivamente a fiammifero, sempre che casualmente non abbiate anche voi il mio meraviglioso coltellino per tagliare a julienne che avrà 50 anni... Per quello che riguarda i vari ammennicoli elettrici o a mano che pretenderebbero di tagliare a fiammifero non ne ho ancora trovato uno con il quale si ottenga un quadrato più o meno perfetto, tagliano tutti a strisce che è un'altra cosa. Ottenuta una bella quantità di fiammiferi di zucchina, li butto in una pentola dove bolle dell'aceto, non molto, molto meno della quantità di zucchine, circa metà del volume di queste, le quali tireranno fuori tanta acqua, diminuiranno di volume e cuoceranno alla perfezione. Nell'aceto, chiaro, ho messo qualche grano di pepe, due chiodi di garofano, una foglia di alloro, uno spicchio di aglio a fettine, sale grosso. Sembrerà strano, vista l'opinione comune che le zucchine debbano cuocere poco, ma in verità questi bastoncini di zucchina bollendo nell'aceto non si rammolliscono, anzi, ed è per questo che li lascio bollire anche un quarto d'ora. Se non piace troppo il gusto dell'aceto, si può sostituirne una piccola parte con vino bianco. A fine bollitura, li scolo con la schiumarola, li metto in un colapasta, li schiaccio come si usa qui "in càregoia", cioè sotto un carico. Dopo qualche ora, l'indomani mattina se li faccio alla sera, pomeriggio se li ho fatti al mattino, li allargo su una picagétta, strofinaccio,per farli ulteriormente asciugare. Fatto ciò, in una ciotola, condisco abbondantemente con origano, se posso peperoncino, olio e mescolo con le mani. Per le conserve sott'olio non uso l'olio extra vergine di oliva, perchè si conserva meglio senza irrancidire, e più a lungo, un olio buono, di oliva semplicemente. A questo punto riempio delle arbanèlle di vetro, senza premere troppo, copro di olio, stando attenta che vada ovunque. Per questo infilo un manico di posata e quando l'olio si è assestato lo ribocco. Fatte a puntino e conservate a d'uopo durano anche due anni, e molti assaggiandole chiederanno, ma cosa è questa bontà? Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.

  • ACHILLEA

    "Cantami, o Diva, del Pelìde Achille..." (Proemio dell'Iliade) Prima ancora dell'Iperico, che qui non è ancora fiorito, voglio raccontare dell'Achillea, meravigliosa pianta che mi accompagna da tanti anni e della quale aspetto con felicità ogni anno la fioritura. Dal nome è facile dedurre che è pianta dedicata ad Achille, eroe mitologico greco e semidio, del quale non mi perdo a raccontar le gesta, mi limiterò a riferire di come egli, imparò dal centauro Chirone, al quale fu affidato dal padre Peleo, fra le altre cose, a curare le ferite con un'erba dalle mille foglie, dall'infiorescenza a piccolo ombrello bianca, a volte rosata, l'Achillea millefolium appunto. Nella foto sopra, presa dal web, la coppa ritrovata a Vulci, risalente al 500 a.C., dove si vede Achille che cura l'amico Patroclo, probabilmente con un cataplasma di foglie di Achillea. Fino a poi con la scoperta dell'America si trovarono i pellerossa che la usavano con gli stessi scopi. Ciò detto ne sono riconosciute anche oggi le infinite proprietà, anche se dimenticate dai più... Al giorno d'oggi se accidentalmente ci si procura una ferita importante, si corre al pronto soccorso, di certo non si invoca Achille e non si fanno impiastri con erbe... come facevano poi nei tornei medievali o ancora nella guerra di secessione americana, ma chissà, meglio saperlo che c'è un'erba così. Anche perché si può per esempio provare a farsi dei semicupi, con un decotto di tutta la pianta, una manciata, lasciata a bagno per dodici ore e poi fatta bollire per dieci minuti, anche secca, per le mestruazioni abbondanti o per le emorroidi sanguinanti, viste le proprietà cicatrizzanti e coagulanti. E' possibile anche berne l'infuso, utile per i dolori di stomaco, favorisce la funzione di fegato e bile, le sue proprietà antibatteriche e antinfiammatorie ne fanno un valido aiuto in caso di cistiti, calma i dolori dovuti a dismenorrea, tanto che qui nella mia valle è chiamata Camamilla sarvæga, camomilla selvatica. È pianta che non va presa alla leggera, interagisce con gli anticoagulanti e con la pressione arteriosa ed è meglio affidarsi, per un uso interno, a un buon medico olistico. Facile invece fare l'oleolito dove la pianta trasferisce all'olio le sue proprietà e diventa utile come olio da massaggio in caso di pelle sciupata, cicatrici, smagliature, capillari deboli, macchie cutanee, per avere effetti importanti si può tenere come un impacco, con particolare attenzione a non esporsi al sole dopo l'uso perché fotosensibile. Prima di dirvi come lo faccio io, ci tengo a fare alcune precisazioni. Il mondo degli oleoliti, ho scoperto essere vasto e discordante. Chi lo fa a freddo, chi a caldo, chi al buio, chi al sole. Chi lo fa con olio d'oliva, chi con olio di mandorle, chi con olio di semi qualsiasi. Chi come me, si avvicina a questo mondo senza studi di erboristica o chimica segue le regole della tradizione e dell'istinto, gesti che ha visto fare senza chiedersi perché e percome. Ho provato a capire il perché e il percome di mia madre che spacciava oleoliti gratis e aveva la folla di avventori fuori casa a chiederglieli, e sono arrivata ad alcune considerazioni mie personali sul suo metodo che è diventato il mio: - uso olio extra vergine di oliva per l'oleolito di Iperico, perché le proprietà lenitive dell'olio si sommano a quelle dell'erba, per i dolori, le scottature ecc. - uso olio di riso, se lo trovassi di sesamo, o di lino, vinacciolo per gli oleoliti per i massaggi per la pelle. L'olio di riso ha un odore più neutro che permette di raccogliere il profumo per esempio del Calicanto (qui>>>) o della Lavanda e una fluidità migliore più adatta a un massaggio. - uso olio di mandorla solo per oleoliti di bellezza, viso e mani, da consumare velocemente. L'olio di mandorle irrancidisce facilmente soprattutto con l'erba fresca che lascia l'umidità. - uso l'erba appena appassita, non proprio secca, per togliere almeno un poco di umidità e per questo metto una garza come coperchio per farla uscire almeno i primi giorni, dopo chiudo ermeticamente il barattolo. - Non peso niente, riempio un barattolo di vetro di erba, senza schiacciare troppo, e la copro di olio. - Metto al sole 40 giorni solo il barattolo con l'olio di Iperico per tirare fuori tutta l'essenza possibile e farlo diventare bello rosso. - gli altri dopo un giorno o due al sole, dipende da che sole, sistemo il barattolo fasciato di carta d'alluminio, in un sacchetto di carta scura, e lo posiziono in un posto caldo anche se non luce solare diretta, e scuoto almeno una volta al giorno. - dopo 40 giorni filtro e spremo, e conservo in bottigliette di vetro scuro, se non le avete si trovano facilmente da acquistare. Li uso per due anni, se non li finisco prima, ma facendomeli tutti gli anni preferisco aggiungere gli oleoliti dell'anno prima all'olio con il quale faccio il sapone. Quindi per farlo di Achillea, riempio un vaso di fiori colti il giorno prima, con poco stelo, copro di olio di riso, sistemo sopra una garza, metto al sole per qualche giorno, poi chiudo e copro di carta alluminio, in un sacchetto di carta, per evitare i raggi diretti del sole, dove lo lascio per 40 giorni solo alla mattina. Tornando all'Achillea, facile la sua identificazione. Gli steli diritti inconfondibili, coriacei, difficili da raccogliere con le mani, le foglie divise i mille foglioline piccole, il fiore a ombrello ma ben strutturato diverso da altri più eterei, bianco a volte con sfumature rosate, il profumo intenso, aromatico e inconfondibile. È una di quelle piante che raccolgo in pieno sole, la mattina tardi, quando la rugiada è asciutta, quando la pianta è ben fiorita, prima che sfiorisca, taglio il fiore insieme a 20-30 cm di gambo. Se voglio farla seccare appendo i mazzi a testa in giù all'ombra, come tutto quello che secco. Seccando resta intatta, utile per composizioni che dureranno anni. Nel mio passato di bomboniere ho sempre sostituito gli orribili fiorellini finti con mazzetti di Achillea legata ai confetti e chi mi conosce lo sa bene, ora la uso per decorare la confezione del cd-libro della mia Associazione (qui>>>), e qualunque altra cosa in casa per la quale mi serva un fiore secco e profumato. Talmente riconosciute le sue proprietà che uno stelo fiorito secco veniva avvolto agli utensili di falegnami e boscaioli, o in generale di chi poteva tagliarsi lavorando, come amuleto contro gli incidenti. Infine in campagna si usava mettere un sacchetto di semi di Achillea nelle botti per la conservazione del vino. Poteva mancare il riferimento amoroso? Al di là dei Cinesi per i quali è sempre stata erba divinatoria, tanto che quando si utilizzano gli steli di Achillea per consultare I Ching, il Libro dei Mutamenti, quest'arte è chiamata Achilleomanzia, anche in occidente ha sempre avuto funzioni magiche profetiche: messo un rametto sotto il guanciale si sarebbe sognato l'amata o l'amato e se ne avrebbe comprovato la fedeltà, dietro recita di opportuna formula prima di addormentarsi... peccato mi siano sconosciute le parole di quest'ultima... se le conoscete inviatemele. Al momento non ho un "amato", ma non si sa mai, fosse quello il motivo per il quale non l'ho mai trovato... Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.

bottom of page