Search Results
391 risultati trovati con una ricerca vuota
- LA MIA GIARDINIERA DELICATA
Mia per modo di dire, mia perché sono 50 anni che la si fa in casa, solo con questa ricetta. Le verdure che avevo a disposizione in questa urfida giornata di questo freddo e piovoso ottobre erano davvero poche e neanche tanto belle, prese di corsa ieri pomeriggio nell' abbandonorto , prima della pioggia, ma questo avevo e questo ho usato. Tre finocchi che stavano per spigare, il bianco di un porro, tre carote medie, l'ultimo piccolo cavolfiore, il cuore di un sedano, un piccolo pomodoro Camone, una piccola melanzana. Avendolo si può aggiungere un peperone, oltre a non averlo io non ne posso mangiare. Comperandole o avendone sono consigliate: carote, fagiolini, sedano meglio bianco, cavolfiore, finocchi, cipolline, peperoni. Vengono cotte in una soluzione di aceto, olio, zucchero e sale nella quale verranno poi conservate, e per questo resta un agrodolce delicato. La procedura presenta alcuni passaggi obbligati, lavare bene la verdura intera, tagliarla a pezzi regolari, tenendola separata per tipo, rilavarla, prima di metterla a bollire. Le proporzioni della verdura sono a piacere, quello che importa invece sono le proporzioni fra aceto e il resto. Per ogni litro di aceto servono 100 gr. di olio, 100gr. di sale 100 gr. di zucchero. Bisogna però considerare che questa dose serve per circa due chili di verdura pulita, perché poi bollendo rilascerà acqua e alla fine il liquido sarà più che sufficiente per invasare tutto, anche se all'inizio sembrerà che sia poca, ed è anche per questo che non aggiungo ne acqua ne vino. Oggi per la verdura in foto, che ho descritto sopra, ho usato mezzo litro di aceto con le debite proporzioni e mi è avanzato del liquido. Per mio piacere personale ho aggiunto qualche grano di pepe e una foglia di alloro. La cottura avviene scaglionata, prima le verdure più dure: le carote, poi i fagiolini, poi il sedano, poi cavolfiori, finocchi e cipolline. Si aggiunge il peperone all'ultimo e senza farlo bollire si spegne il fuoco. Fra una verdura e l'altra non deve passare molto, e soprattutto in totale non devono passare più di 15 minuti, perché le verdure rimangano bene al dente, croccanti, lasciandole raffreddare nel liquido continueranno a cuocere un pochino. Si preparano delle " arbanelle ", vasi pulitissimi e sterilizzati (per sterilizzare: lavati e vuoti un passaggio in microonde per 5 minuti o in forno a 110°), si sistemano le verdure, si aggiunge il liquido a coprire e si chiude. In alternativa, se le volete particolarmente croccanti o se vi è sfuggita la cottura, si tolgono dal liquido e si mettono le verdure a raffreddare su uno strofinaccio pulito, conservando il liquido di cottura. Quando tutto sarà freddo si riempiranno i vasi chiudendo bene. Verdure e liquido freddi non faranno sottovuoto, si conserva bene comunque, volendo si pastorizza come sotto. In casa mia non si conserva mai quasi nulla a lungo ma non perché va da male, ma perché lo mangiamo. I conservanti sono l'aceto, lo zucchero e il sale contenuto, bisogna calcolare anche la diluizione dell'acqua di vegetazione. Se si vuole conservare a lungo si possono pastorizzare i vasi come di consueto, coperti di acqua per almeno 20 minuti a secondo della misura del barattolo. Non è agra come un sottaceto, non è scivolosa come un sott'olio. Può essere usata come antipasto o come un contorno. Ci sono diversi modi per confezionare una giardiniera, per esempio le verdure cotte nell'aceto, lasciate asciugare e poi conservate sott'olio, ma io preferisco questa più delicata e per diversificare i sapori, tra funghi sott'olio e verdure sott'aceto. Conosciuta e usata in ogni parte d'Italia per conservare il sovrappiù dell'orto, le sue origini si ricercano in Piemonte, e dell'antipasto piemontese fa parte da sempre. Anche se quello chiamato Antipasto Piemontese è molto diverso, c'è il pomodoro per esempio e i peperoni che starebbero bene anche in questa giardiniera, ma io non li posso mangiare. Al sud gode di aggiunte quali olive, capperi, ecc. Il termine Giardiniera ha diversi usi e significati diversi che poco c'entrano con la pietanza. La Giardiniera, intorno al 1821 era una donna, quasi sempre appartenente all'alta borghesia, affiliata alla Carboneria, che apriva il suo salotto dove far incontrare pensatori e patrioti per parlare di libertà. Si radunava con altre per organizzare l' attività di sostegno alla causa di liberazione e unità nei giardini e per questo esse presero il nome di "Giardiniere", come i compagni Carbonari che si incontravano nelle così dette " vendite carbonare ". Fra di esse Adelaide Cairoli madre dei 4 fratelli Cairoli morti in battaglia, e molte che furono arrestate o uccise in battaglia. Diversi libri narrano la loro storia. Sempre nel XIX secolo viene usata la parola Giardiniera per definire la maestra d'asilo, con la creazione da parte di Friedrich Fröbel dei Giardini d' Infanzia intendendo paragonare i bambini a piante e fiori da accudire nello sviluppo naturale. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- A ZIMINO
Mà se ve l’ho da dî Spozoî me sento Mi ascí vegnî re lagrime in zimin, Mà finimola un pó piggiæ ò mandillo, E metemmo à re lagrime ò sigillo Antonio Pescetto, Rimme Galantinne A Zimin , in Zimin , a Zimino , Aziminu , come sempre chi la sa la dica. La parola si trova in un documento la prima volta nel 1698, i dizionari ne danno l'origine dal termine arabo samīn , grasso da cucina, ma proprio non è pietanza grassa, visto che in tutti i luoghi dove si usa questo termine ci si riferisce a qualcosa di magro o di pesce cucinato a mo' di zuppa con erbe. Nelle rime sopra si usa " lagrime in zimino " proprio perché di magro e quindi si poteva abbondare.. Forse alla maniera corsa Aziminu con la A davanti come a significare privato di grasso, successivamente persa la A per strada rimasto lo Zimino , che contraddistingue in Liguria qualunque fagioli, ceci, seppie, totani, cotti quasi sempre con bietole. A complicare le cose nel Sassarese lo Zimino è un piatto di frattaglie di agnello o di bovino arrostite alla brace , e zimino è sinonimo di pezzi... In Corsica Aziminu è una zuppa di pesce aromatizzata con profumate erbe e Pastis ... In altre parti d'Italia è più o meno come in Liguria, a volte le bietole sostituite dagli spinaci. Certamente un piatto di cucina povera, incredibilmente saporito pur senza l'aggiunta di grassi animali. Chi usa mettere cotenna di maiale, pancetta o simili non è nella stretta tradizione ligure. E tradizionalmente sono i ceci o le seppie i prescelti per questo piatto. Oggi io solo ceci. E storicamente questa zuppa di ceci era d'obbligo per il giorno dei morti, e direi che il tempo umido e nebbioso di questo strano inverno autunnale lo ricorda Occorrono ceci ammollati a bagno e cotti: io pentola a pressione, coperti di acqua fredda, niente sale, perfetti in 15 minuti massimo, anche dieci e semmai finiscono di cuocere nello zimino. Nel frattempo in pentola di terra, con olio evo, rosolo odori tritati, sedano cipolla carota aglio, e aggiungo le bietoline ad appassire, tagliate a listarelle con qualche cucchiaio d'acqua. Se non ho a disposizione gli odori freschi (succede) passo le bietole con un cucchiaio del mio dado vegetale (qui>>>) . C'è da precisare che ne esiste una versione con funghi secchi e una senza, con pomodoro o senza pomodoro. In realtà in casa mia il sapore lo danno proprio i funghi secchi, anche se si tratta di seppie o totani e quindi appassite le bietole unisco qualche fetta di fungo porcino secco, ammollato e un cucchiaio di pinoli tritati, lascio insaporire un poco e unisco i ceci con l'acqua necessaria per formare nel giro di mezz'ora un piatto simile ad una zuppa non troppo liquida. Altrimenti si può aggiungere anche polpa di pomodoro alla verdura e successivamente i ceci o le seppie. Via via si controlla sia il sale, sia la brodosità e si serve con una fetta di pane tostato, meglio la galletta, a lato. Se gradito aromatizzare con origano o rosmarino, raramente maggiorana, di recente peperoncino. Piatto corroborante, adatto a chi era preposto ai lavori di fatica, i camalli del porto, i pescatori, contadini, riempiva, nutriva e non costava. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- ZUPPA FUNGHI, ZUCCA E CASTAGNE
Questa è la mia cena preferita quando torno dal bosco tardi, con poche cose raccolte, qualche galletto, qualche trombetta da morto, se c'è un piccolo porcino, le prime castagne cadute. È sicuramente così buona perché passa talmente poco dal bosco al mio stomaco che tutti i sapori sono intatti, saziante e per me a costo zero. Sui funghi non mi dilungo ne ho già parlato qui>>> e qui>>> anche per riconoscere quelli che raccolgo e mangio. Dunque oggi sono uscita tra un'allerta meteo e l'altra, uno squarcio tra le nuvole ha fatto spazio a un raggio di sole caldissimo, di corsa sono scesa nel bosco e ho trovato qualche galletto e due trombette da morto e un bel porcino, che conserverò per fare con dei taglierini verdi. Per prima cosa metto a cuocere in acqua fredda una decina di belle castagne sbucciate dalla buccia marrone. Scelgo per questa zuppa i galletti e le trombette per il sapore più deciso. Tolto il fondo del gambo e lavo. Piccola parentesi, vanno dimenticate le dicerie sul non lavare i funghi, è necessario passarli velocemente sotto l'acqua, nel caso dei galletti sotto la doccetta perché, sempre molto velocemente, l'acqua passi tra le lamelle sotto e si porti via la terra e eventuali animaletti. Pochi per volta tra le mani e poi messi in un colapasta. Su di un tagliere, quelli che si vedono in foto servono per due porzioni, taglio grossolanamente. Nella pentola di terra, sul fuoco, poco olio e uno spicchio di aglio. Sono della scuola che non leva l'anima all'aglio a meno che non sia talmente vecchio e il germe già verde e spuntato, ma anche lì... dipende. Anche l'aglio intero non fa parte delle mie abitudini e men che meno lo tolgo a un certo punto, ricordare che l'allicina, la responsabile dell'odore pungente ma anche delle immense proprietà dell'aglio si libera solo quando è tagliato o pestato e nell'olio dà il suo massimo e probabilmente è in maggior quantità nel germe. E tra l'altro togliere il germe non lo rende più digeribile, solo meno pungente, se non si digerisce non si digerisce a prescindere. Torno alla zuppa. Nell'olio caldo metto i funghi tagliuzzati e li faccio passare, aggiungo una manciata di zucca tagliata a quadretti, meglio se una zucca pastosa, tipo Delica. Do qualche giro con il cucchiaio, faccio insaporire qualche secondo e copro con acqua calda e finisco con un cucchiaio del mio dado vegetale qui>>> Aggiungo una bella patata bianca sempre a tocchetti ( si può anche non mettere) Lascio cuocere per 15-20 minuti con il coperchio a fuoco basso, dopo passo o schiaccio solo una parte della zuppa, magari anche solo con due giri con il minipimer per renderla più cremosa, ma non completamente tutto. Nel frattempo le castagne saranno quasi cotte, le sbuccio della pellicina e le aggiungo negli ultimi minuti, aggiusto di sale ed è pronta per essere servita, se si vuole con crostini di pane o anche no se è abbastanza cremosa. Per come fare i crostini qui>>> Per decorare e perché dà sapore, un rametto di timo. C'è voluto sicuramente di più a scrivere questo articolo che a fare la zuppa... a mangiarla poi... e come diceva mia madre: - A m'è arriva fin-na inte ongæ di pê - E domani taglierini verdi all'ortica con il porcino di cui sopra. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- PISAREI E FAŚÖ
Tempo di zuppe e piatti caldi, corposi, sazianti e riscaldanti. Fra questi i Pisarei e fagioli, non proprio una zuppa, non proprio una pasta asciutta, un piatto che ho imparato da sola, da un'enciclopedia comperata anni fa e mai mangiata nella zona di origine: il Piacentino. Quindi trattasi di esperienza personale, mi perdonerà chi li sa fare veramente. Piatto povero, si racconta che i monaci lo servissero ai viandanti che passavano sulla via Francigena, nutriente e appagante oltre che poco costoso. Ricetta antica , Fasò si capisce sono i fagioli, che con gli arrivi dalle Americhe nel tempo sono cambiati, da quelli piccoli con l'occhio ai borlotti (qualcuno mette i cannellini), all'aggiunta del pomodoro, Pisarei sono dei piccoli gnocchetti di pane grattato e farina che cotti in acqua bollente vengono poi conditi in un sugo di fagioli. Spesso li faccio quando mi avanzano dei fagioli bolliti per qualche altra pietanza, si conservano nell'acqua di cottura, ben chiusi in un contenitore in frigo, anche 4 o 5 giorni. Prima faccio l'impasto (con queste dosi vengono tre piatti abbondanti) 50gr. di pane grattugiato 130 di farina, spesso la metto integrale, anche se è un po più difficile da lavorare sale acqua tiepida quanto basta per un impasto compatto che metto a riposare sotto una ciotola mentre preparo il sugo. Nella casseruola, se possibile di terra, (la mia si è rotta!!! dopo tanti anni di onorato servizio e un numero di traslochi incredibile), metto i classici odori cipolla, sedano carota, ma anche solo cipolla e poco lardo pestato con un niente di aglio, i piacentini doc usano la pestata di lardo , cioè lardo tritato a lungo con un coltello grosso e pesante, al quale si aggiungono aglio e prezzemolo tritati finemente fino a ottenere una pasta morbida. Spesso si scalda il coltello per arrivare a un risultato pastoso. Faccio imbiondire questo trito, poi butto i fagioli con parte dell'acqua di cottura e faccio passare, insaporire, dopo qualche minuto aggiungo il pomodoro passato e cuocio a fuoco basso mentre formo i pisarei dall'impasto che ha riposato. . Dall'impasto prendo una piccola parte che allungo in un rotolino e da questo stacco delle porzioni di pasta grosse più o meno come i fagioli, che finisco incavandole con la pressione del pollice . Sulla bravura nel formare i pisarei, pare che le suocere valutassero l'affidabilità delle future nuore, probabilmente io sarei rimasta nubile, ma non li ho mai fatti con una piacentina doc e come li faccio li faccio piacciono molto. Sull'etimologia della parola " pisarei " ci sono diverse versioni, la più verosimile sembra derivare dallo spagnolo " pisar " nel senso di schiacciare, l'azione che si fa con il pollice per dare al pezzetto di pasta per dare la forma. Altre alludono a spiegazioni più terra terra, ma lasciamo perdere. Quando il sugo è pronto cuocio i pisarei in abbondante acqua salata come qualsiasi gnocco, pochi minuti e appena venuti a galla, dopo qualche bollore, li raccolgo con la schiumarola e li metto a insaporire nel sugo di fagioli per qualche altro minuto. Il risultato è a mezza strada fra una zuppa non troppo brodosa e una pasta non troppo asciutta. Per chi è vegetariano, tolto il lardo, è una valida alternativa al sugo di carne, come era nell'intenzione dei monaci che lo servivano ai pellegrini di passaggio, bisognosi di nutrimento, per proseguire il viaggio a piedi per raggiungere Roma Viandante non c'è via, la via si fa con l'andare Antonio Machado Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- DELL'ERICA E DEL BRUGO
Calluna vulgaris o Brugo L’ha mai osservata l'erica, Isabella? E’ tormentata dai venti, dalle tempeste, dai ghiacci dell’inverno, eppure l’erica resiste, rimane attaccata alla sua terra e alle rocce sempre e comunque, non tradisce mai, non le abbandona per rifiorire in posti più tranquilli, le sue radici non muoiono, sanno che il loro destino è legato alla brughiera, anche se aspra e ostile, ma l’amano così com’è, senza riserve. Brugo o Calluna vulgaris Molti ma molti anni fa ebbi una discussione con un amico apicoltore che in questo periodo trasportava le sue api più in alto su queste colline perché producessero un buon miele di Erica. Il mio pensiero era che quella che fiorisce adesso non è Erica ma Brugo, mentre lui insisteva dire fossero la stessa pianta con due fioriture annuali e finì con io che a suo dire non capivo niente e che l'apicoltore era lui. Dopo tanti anni quando a fine estate rivedo l'amato P asso del Biscia ricoprirsi di un manto roseo, al di là del desiderio smodato di mettermi a urlare Heaaaaaathcliffffff! fra la nebbia, ogni tanto mi viene in mente che non sono mai riuscita a convincere l'amico apicoltore, ma, mentre lui non fa più miele, io sono ancora qui a parlare di erbe. Il peccato non era gravissimo, in quanto molti pensano davvero che sia la stessa pianta, quando invece, oltre a evidenti differenze se si osservano bene, basta il periodo di fioritura per definirli: l' Erica carnea fiorisce a fine inverno, il Brugo a fine estate. Ovviamente la famiglia è la stessa, ma per questo anche i mirtilli sono della famiglia delle Ericaceae. Una l' Erica carnea , o specie simile, da "frangere", il Brugo, la Calluna vulgaris , da "scopare" per l'uso che se ne faceva nel fabbricare scope. Più o meno lo stesso habitat, spesso vicine, il portamento quasi uguale, piccoli arbusti, a volte striscianti, il colore simile, ma le foglioline nell' Erica assomigliano di più ad aghi, sempreverdi, i fiori leggermente più grandi, più rigonfi e più chiusi di quelli del Brugo e dal colore roseo più intenso, che ricorda la carne appunto. Le differenze evidenti nelle foto sotto. L'Erica in questo periodo presenta i fiori in formazione, quindi non ancora completamente definiti e senza il colore che li contraddistingue, il Brugo è un trionfo di rosa. Si notano le foglie completamente diverse, successivamente aggiornerò il post con il fiore dell'Erica sbocciato, per il momento nelle foto sotto il fiore chiuso e una foto di Actaplantarum di erica fiorita, così per vedere la differenza. Erica carnea a fine inverno - foto di Actaplantarum - La fioritura appunto in due epoche diverse, da adesso fino a novembre il rosa delicato del Brugo mentre a fine inverno, quando ancora qui e là sprazzi di neve dai quali spunta il rosa carico dell'Erica. Due piante officinali entrambe, usate nella farmacia del contadino per le vie urinarie, cistiti, più potente l'Erica, la specie " cinerea ", per il colore tendente al grigio della corteccia e presente solo in Liguria e Piemonte, inserita insieme alla Calluna nella lista di piante medicinali ammesse dal Ministero della Salute. Entrambe mellifere, il miele ottenuto ottimo ugualmente, quindi la discussione di cui all'inizio post aveva poco senso per l'amico apicoltore, mentre per un appassionato di piante è diverso. Se si vuole essiccarne un po' per le composizioni di fiori secchi con l' Erica è praticamente impossibile, mentre il Brugo è più resistente. A questo link parlo dell'altra Erica, l'Erica erborea e dell'uso per fare le scope https://www.lellacanepa.com/single-post/di-scope-e-di-streghe Come in Italiano Erica anche la traduzione inglese Heather è usata come nome femminile, ma la traduzione esatta è brugo. Il brugo è uno dei fiori nazionali di Scozia e Norvegia, la brughiera più famosa è quella delle sorelle Brontë, la brughiera di Haworth, dove ambientarono i loro romanzi, Cime Tempestose e Jane Eyre, e le traduzioni confondono, come molti, brugo con erica e pensano siano la stessa pianta che fiorisce due volte, visto che le due piante vivono praticamente assieme come si vede nella foto sopra. stessa località, sopra: fine inverno cespuglio fiorito di erica carnea, si capisce dalla vegetazione intorno che siamo a fine inverno sotto: fine estate cespugli di Callunna vulgaris o brugo, fiorito In questi anni ho visto diminuire tantissimo le piante, su al passo, una volta davvero due volte l'anno era ricoperto di un manto rosa, forse per le stagioni sempre più diverse e per l'avanzare di vegetazione che prima non viveva lì. Questo non impedisce a me di sognare ancora e alle prime nebbie udire nel vento che sferza fischiando, anche stasera, al tramonto, mentre facevo le fotografie, Catherine che chiama il suo Heathcliff ... «Helen, tra quanto tempo potrò salire sulla cima di quelle colline? Che cosa c’è al di là? Il mare?» «No, signorina Cathy,» rispondevo io, «ci sono altre colline, proprio come queste.» «E che aspetto hanno quelle rocce dorate a guardarle da sotto?» mi chiese una volta. Lo strapiombo della Rupe di Penistone la attirava in modo particolare, specialmente quando era illuminato dal sole al tramonto, e tutto il paesaggio intorno era in ombra. Io le spiegavo che erano soltanto una massa di nude rocce, con così poca terra nelle fenditure da non lasciar crescere neppure l’albero più stento. Emily Brontë, Cime Tempestose, Capitolo 18 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- FUNGHI, FUNGHI, FUNGHI
- Aspetta, aspetta un attimo che ci devo prendere l'oomia - Se qua vivo, la colpa va tutta ai funghi. La grande passione di mia mamma nel cercarli sperando di trovarli, ci ha portato in questa vallata tanti anni fa quando ero piccola piccola. Erano anni quelli che in Alta Val di Vara il fungo porcino secco era una risorsa importante nella vita di contadini, che non avevano grandi coltivazioni redditizie a disposizione. Erano anche anni che i funghi nascevano i grandi quantità per via dei boschi tenuti bene per un'altra risorsa, la castagna, e funghi di un'ottima qualità, facendo del fungo porcino della Val di Vara quello che era già ai tempi di Gioacchino Rossini , musicista, grande gourmet e gourmand, che solo i Porcini secchi delle suore Agostiniane di Varese Ligure voleva per i suoi piatti prelibati. Quindi tramite amici comuni, mio padre e mia madre con me di tre anni, lasciata la moto ad Arzeno , si passò il Monte Biscia a piedi, per venire a trascorrere un fantastico mese di settembre in una casa isolata ai piedi del Monte Chiappozzo , senza luce elettrica, acqua corrente, ma circondati da boschi di castagno dove i funghi si vedevano dalla finestra. Quell'anno, ho ancora le immagini in mente, oltre ai funghi del bosco di castagno vicini alla casa, il marito della nostra ospite, un b&b ante litteram quando non esisteva nemmeno la parola, andava e veniva dalla faggeta del Monte Zatta con la còrba in spalla piena di funghi. Momenti indimenticabili, che abbiamo quasi rivissuto nell'ottobre del 1999, quando i funghi nascevano ovunque, anche uno sopra l'altro, e che mia madre per fortuna è riuscita ancora a godersi . Non divenne mai una vera fungaiola, di quelli che ho imparato a conoscere dopo, quelli che i funghi li hanno nel sangue, che li fanno nascere mentre camminano, che intuiscono il momento giusto per andare nel posto giusto... ma si divertì sempre molto e ogni fungo trovato era un racconto. Poi un giorno mio figlio, il primo, mentre eravamo a pascolare la mucca, a tre anni, allontanatosi di pochi metri vicino a un castagno, tornò con un porcino di quelli biondi con il gambo lungo, dicendo: - Mamma, cog'è quetto ?- Ecco, era nato il fungaiolo di famiglia. Non mi dilungo a raccontare altro, ma da allora è stato tutto un crescendo. Gli altri bambini a scuola facevano la settimana bianca, lui la settimana dei funghi. Il vicino, Silvano, di La Spezia, (un nome una garanzia) fungaiolo vero ed esperto, che per scherzo lo portava con sé nei boschi, un giorno mi disse: - Non lo porto, più. Mi trova tutti i funghi lui. O quando, a nove anni, mi telefonò dal ritiro spirituale per la prima comunione, dicendomi -vai nel tal posto, vicino alla tale capanna che stamattina dovrebbe esserci un fungo-. Basta. Se pensavate fosse un post per aiutarvi a riconoscere i funghi o a cuocere i funghi non sapevate che il fungo è come il pesce per il pescatore, mentre lo racconta diventa sempre più lungo. Comunque per la mia tavola esistono poche specie di funghi e tutte riconoscibili con certezza. Porcini, colombine, galletti, tiulli, prataioli, ovuli, qualche trombetta da morto. So che per chi non li riconosce è difficile anche capire un porcino, ma è esattamente come per le erbe del Prebuggiun . Intanto prima si impara, meglio si impara. Poi dimmi con chi vai e ti dirò cosa impari. Infine al qualunque minimo sospetto di non commestibilità eliminare senza rimpianti. Come dicevo la metodica è la stessa delle erbe. Abbigliamento comodo, scarponi, bastone e cestino, MAI ma proprio MAI sacchetto di plastica. La pratica e la conoscenza di luoghi che devono esserci familiari, non solo quando nascono i funghi. Capire i posti dove nascono perché ci si imbatte per caso o per intuizione, la zona del bosco che rimane umida ma è baciata dal sole, per esempio, il particolare albero ben strutturato che con il porcino è simbionte, il giorno giusto dopo le piogge, il vento no, troppo sole no, la luna nuova ... Insomma non è solo fortuna o studio ma passione e voglia di camminare. E poi bisognerebbe che nascessero come una volta, che i boschi fossero puliti come una volta e che le persone che li frequentano fossero più rispettose della natura, senza predare inutilmente tutto quello che vedono, buono o cattivo, con la voglia di distruggere o di raccogliere anche l'inutile. - È tacito, è grigio il mattino; la terra ha un odore di funghi; di gocciole è pieno il giardino - Giovanni Pascoli - Myricae Per la commestibilità dei funghi non c'è da scherzare, ogni anno qualcuno ci rimette la pelle o il fegato rovinandosi per sempre, per aver raccolto e cotto con leggerezza. Qualunque consiglio scritto a mio parere è inutile, qualunque fotografia non serve, non serve sentire il profumo, non serve descrivere l'habitat, serve la pratica. Serve imparare sul posto con persone esperte. Servono i corsi istituiti dai gruppi micologici, serve portare i funghi raccolti, se non si è sicuri, presso lo sportello della propria Asl, rintracciabile su web alla voce Controllo funghi epigei. La stessa Asl, normalmente, si occupa dei corsi o fornisce gli attestati per la commercializzazione o l' abilitazione alla vendita. Qualche foto di confronto dei funghi che raccolgo io a questo post dell'ottobre 2021, altra grande annata di funghi https://www.lellacanepa.com/single-post/funghi-e-ancora-funghi-s%C3%AC-ma-quali-funghi Anche se avevo già scritto del TÓCCO DE CÀRNE E FÓNZI NÉIGRI ( qui>>> ) non posso terminare senza almeno qualche accenno di ricetta... FUNGHI RIPIENI AL FORNO : Facili, preferibilmente colombine, da lasciarci anche i porcini. Su un letto di patate crude, salate e oliate dispongo a testa in su le migliori cappelle di colombine. Copro con un trito di funghi, le cappelle quelle non proprio belle, i gambi sani, galletti, mescolate con pane bagnato nel latte, aglio e origano o se si preferisce prezzemolo, uovo, olio, e poco formaggio parmigiano. In forno a 180°. TAGLIERINI ALLA BOSCAIOLA Appronto i taglierini Con la nostra (del vicino e mia😂) farina integrale a fontana metto le uova, diciamo quattro per mezzo chilo di farina, impasto con vino bianco secco fino a formare una palla omogenea. Lascio riposare un pochino sotto una ciotola, poi stendo una prima passata con il matterello, finisco con la macchina della pasta non troppo sottili, perché mi piacciono così, per le tagliatelle preferisco una tiratura più sottile. Mentre riposa la pasta preparo i funghi Puliti e tagliati a pezzi non troppo piccoli spadello velocemente in padella in olio e aglio, un attimo con il coperchio perché tirino fuori l'acqua, finisco la cottura con con un cucchiaio di formaggio molle fresco light e poco latte. Meglio la panna forse, ma meno pesante e in casa non se n'è mai accorto nessuno, e garantisco il risultato. Spolverata di prezzemolo. Potrei narrarvi ancora di risotti e funghi fritti , polenta e sughi e funghi crudi ... e scriverò, spero... se nascessero due funghi... Vi lascio con il meraviglioso ritrovamento d ieri dell'amico Fabietto, due griffi Grifos frondosus (Dicks.) Gray, 1821 Grifola frondosa , al prezzo di uno ... meraviglia ... Dimenticavo, la frase iniziale " Aspetta che ci devo prendere l'oomia ..." era la frase che pronunciava ogni volta mia madre entrando in un bosco. La parola " Oomia " , non so nemmeno se si scrive così, è un termine, dialettale intraducibile, che ho scoperto dopo essere di origine marinaresca, che si riferisce al "prenderci le misure" al bosco o meglio farci l'occhio. Si definisce meglio con l'esempio di quando si va in un bosco con uno del posto che trova i funghi e noi no. Proprio perché il nostro cervello "si abitua" a riconoscere la tale pietra, il tal cespuglio, il tale albero e vede subito il nuovo, il fungo che prima non c'era, anche noi entrando dobbiamo dare il tempo al nostro cervello di adattarsi a quello che c'è intorno, così che girando intorno lo sguardo dopo un po' vede il fungo. Provate anche in casa quando cercate una cosa che avete perso. Distogliete lo sguardo e ritornando la troverete. Chissà se mi sono spiegata... vabbè, ditelo ... questa non la sapevate. Vi porto un minuto nel bosco con me. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LA NEPETELLA, anzi ... LE NEPETELLE!
Post difficilissimo, che non volevo nemmeno scrivere, ma tant'è mi piace il rischio, perché in questo caso la strada per arrivare è tortuosa e piena di insidie, nelle quali da semplice appassionata quale sono potrei cadere. La storia: C'era una volta, ma tanto tanto tempo fa, mia madre che tornò da una vacanza alle terme di S.Carlo, tutta presa dai saporiti piatti che aveva gustato mentre "passava le acque", specie a base di funghi aromatizzati con la Nepetella o Nepitella che fosse. Tornata a casa si mise in cerca di questa nella nostra campagna e grazie ai millemila libri che possedeva pensò di averla individuata, anche se l'odore non era proprio uguale e tanto meno il gusto, a quella assaggiata. Finì col decidere che terra diversa profumo diverso e non usò quasi mai la Nepetella trovata, preferendole l' Origano ( qui>>> ) e soprattutto la Maggiorana ( qui>>> ). Ma tant'è ogni anno tornava dalle terme con quel gusto che non riusciva a ritrovare. Dopo tanti anni passati in diatribe, abbiamo poi scoperto che esistono almeno due Nepetelle distinte. Come al solito il nome volgare, a volte diffuso ovunque, a volte solo locale, dà luogo a fraintendimenti. Non sono mai riuscita a trovare l' "altra" e quindi non so che profumo possa avere, sono in grado di mostrarvi solo la mia, la più comune, quella che mi circonda qui nei prati, con un odore simile a una menta, molto più canforato. Clinopodium nepeta o Calamintha nepeta Questa, quella che trovo facilmente qui, è la Clinopodium nepeta, conosciuta con tanti altri sinonimi anche a livello botanico che non provo neanche a scrivere per intero, con il rischio di perdermi fra infinite sottospecie che non sarei in grado di identificare. Un po' come succede con le varietà di mente che fra loro si ibridano rendendo difficile collocarle (per classificarle io uso un sistema semplicissimo: menta che mi piace - menta che non mi piace). La mia Nepetella ha le foglie arrotondate, pelosette e i fiori lilla-azzurrini sulla parte finale di tralci lunghi tra i 30 e i 60-70cm che formano piccoli cespugli su poggi, nei prati incolti, alla luce del sole che ama, circondata da api e comunissima ovunque. Il profumo gradevole, come già detto assomiglia vagamente a una menta canforata. L'uso in cucina è il solito di un'erba aromatica, carne, pesce, verdura e i funghi specie i porcini. Uno dei piatti più incredibili con la Nepetella è la frittata di Pasqua, tradizionale in tante parti dell'Italia centro-meridionale, dalle Marche, Abruzzo fino a Campania e Basilicata. Pietanza della mattina di Pasqua dove vengono impiegate tutte insieme in un'unica frittata dalle 30 alle 60 uova fino ad arrivare a 100. Cotta pazientemente a fuoco basso in una padella con i bordi alti (tale padella una volta rappresentava il regalo classico per la sposa che non poteva andare all'altare senza), l'abilità sta proprio nel saperla cuocere con più uova possibile. Tra un paese e l'altro cambiano gli ingredienti aggiunti ma è sempre presente la Nepetella in abbondanza. frittata di 66 uova foto da you tube E l'altra? È la Nepeta nepetella , che poi sarebbe la vera Nepetella , proprio un genere a sé, per fare un confronto ed evidenziare le differenze mi è stato necessario cercarla sul web. foto di Actaplantarum Le foglie di questa se pur piccole, spesso sono dentate, lanceolate più che rotonde e i fiori sono più riuniti, di colore dal bianco all'azzurrino passando per le diverse varietà. Chi vuole approfondire può andare al link cliccando sulla foto o digitando Nepeta nepetella su internet. Appena avrò il piacere di trovarla aggiungerò dettagli. Se la prima si trova ovunque in Italia, molto comune, questa seconda è limitata a poche zone, per esempio dell'Italia Centrale, forse anche in Liguria e Piemonte. Da quello che ho letto anche l'aroma è più penetrante, per i suoi particolari olii essenziali, dal singolare effetto sui gatti, e per questo è chiamata erba gattaia . Entrambe sono specie commestibile e officinale, con proprietà simili, da sempre usate nella tradizione casalinga, spesso arrivando a dar loro fantasiose proprietà curative, tipo applicare foglie fritte nell'olio di oliva in caso di orecchioni ... mi limiterò a dire che una tisana di Nepetella, sia una che l'altra, sono utili nella digestione e nel meteorismo, aiutando ad eliminare i gas intestinali. Il nome le venne dato come " pianta che viene da Nep i", ossia la città delle acque, dall'etrusco " nepa " cioè acqua. Che vi devo dire ... a ognuno la Nepetella sua, l'importante è capire che ne esiste più di una, e credetemi non ci sono solo queste due. Il fiore si nasconde nell'erba, ma il vento sparge il suo profumo. Tagore Per finire la storia di mia madre alle terme, un giorno, sperando di trovare la suddetta erba, mentre arrancava sulla strada per arrivare allo stabilimento termale, l'affiancò una macchina di lusso con autista, e un gentile signore si offrì di darle una passaggio dicendole che anche lui andava da quella parte. Mia madre, donna integra di assoluta onestà e probità, rifiutò decisamente la profferta dello sconosciuto, con la scusa di star cercando erbe, nonostante volto e voce le fossero familiari. Arrivata, scoprì chi era: Alberto Sordi ... e insieme, ridendo, si bevettero due bei bicchieri di acqua di San Carlo, parlando di Nepetella . Tornò senza una foto insieme, tantomeno un autografo, io giovane donna già mentalmente proiettata in un futuro di selfie, le dissi: - Ma come! Mamma ... !!! - mi rispose: - Non mi sarei mai permessa -. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- I MIEI RABATON DI ORTICA
Poco resta nella mia memoria della nonna paterna nata e cresciuta a Molare, se non questo piatto che mia madre ricordava fatto da lei, più che altro perché anche questo è realizzato con le sue amate erbe selvatiche commestibili. Questa è una di quelle preparazioni che con pochi ingredienti di base e pochissime varianti gira per l'Italia con nomi diversi. Se fossimo a Brescia li chiameremmo Malfatti , in Toscana Gnudi , in Romagna Topini , senza contare anche il semplice Gnocchi , pur non contenendo patate. Gli ingredienti sono erbe di campo, tipo il misto del Prebuggiun ( qui>>> ) ricotta, cambiando paese cambia la ricotta usata, formaggio grattugiato, uovo, farina e poche spezie. Stasera me li sono fatti semplici semplici, con quello che avevo e non avendo uova non ne ho messo ed erano buonissimi. Nel pomeriggio avevo raccolto delle belle punte di Ortica ( qui>>> ) e bollite in abbondante acqua e spremute per bene. Tritate finissime, anche con il robot e aggiunte alla ricotta, uso quella buonissima del Caseificio Val di Vara. Per dare un'idea della quantità, la ricotta metà peso delle erbe cotte e spremute. Le mie erano più o meno 200 gr. di ortica, 100 di ricotta ho aggiunto ancora due cucchiai di farina, due di pane grattugiato, due di parmigiano, un pizzico di sale. A questo punto ci andrebbe l'uovo, ma devo dire che sono venuti benissimo senza. La ricetta prevede un pizzico di noce moscata. Amalgamo il tutto e con l'aiuto di due cucchiai formo delle quenelles che passo nella farina facendole diventare dei cilindri della misura di un grosso dito. Le nonne li facevano direttamente con le mani e da questo movimento prendono il nome, da " arrabattare ". A questo proposito occorre basare la farina, il pane e il formaggio, se la verdura ha trattenuto più o meno acqua, per ottenere un impasto sostenuto ma non troppo duro. La tradizione piemontese li vuole molto più grandi, ma a me stanno bene così. Nel frattempo ho messo sul fuoco una pentola di acqua, salo, e a bollore butto tutti i Rabaton a cuocere per pochi minuti, come per altri gnocchi simili fino a che non salgono a galla. È possibile cuocerli in brodo vegetale o di carne leggero. Disposti in una pirofila imburrata, conditi con burro e parmigiano, salvia, gratinati minuto in forno. È possibile porzionarli e pronti da infornare, conservarli in congelatore. Da qualche parte in provincia di Alessandria c'è la sagra del Rabaton. Da questo tipo di piatto, sarà solo una leggenda, sono poi derivate le varie paste ripiene e in special modo i ravioli. Si narra che tal Ravioli, cuoco in quel di Gavi Ligure, allora roccaforte della Repubblica di Genova, confezionasse degli "Gnudi", più piccoli dei Rabaton, ma con gli stessi ingredienti, talmente buoni che non si riusciva a soddisfare tutti coloro che ne volevano mangiare. Fu necessario inventare un modo perché fossero facilmente trasportabili per poterli cuocere anche a casa, non erano i tempi della plastica, e fu così che l'impasto fini in mezzo a due sfoglie di pasta all'uovo, ma questa è tutta un'altra storia ... pitost che niente...le mei pitost - proverbio Alessandrino - Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- SETTEMBRE EVENTI
L'estate sta finendo... in realtà al momento sta finendo solo agosto, perché di fine estate non se ne vedono i segni. Caldo torrido, serate più che tiepide, brontolii pomeridiani di temporali lontani e così nessun cenno di rinascita di erbe. Ma il calendario degli eventi non si ferma e non aspetta, così parteciperò portando tutto quello che potrò. Certamente i manuali delle erbe, qualche cuscino e il più possibile erbe fresca da far vedere. DOMENICA 8 SETTEMBRE VALLE BIO FESTIVAL VARESE LIGURE La presenza di Erbando al Valle Bio Festival è imprescindibile, è la nostra valle, e questo festival ne è lo specchio. Una giornata ricca di laboratori, presenze di produttori e artigiani, conferenze e spettacoli, è possibile leggere il programma completo qui: https://www.facebook.com/events/1291102565201927?acontext=%7B%22event_action_history%22%3A[]%7D VENERDÌ 13 SABATO 14 DOMENICA 15 SETTEMBRE MYTILIADE LERICI Quest'anno Erbando sarà presente a Lerici all'importante evento dedicato ai nostri "muscoli" sempre per presentare le erbe del prebuggiun e una ricetta dove mare e campagna si incontrano. In postazione fissa lungo il Gourmed e sabato alle 10,30 un intervento per la presentazione, in Largo Tarabotto Sotto la direzione artistica di Vittorio Castellani aka Chef Kumalè quest'anno ci saranno interazioni con altre cucine del Mediterraneo nello specifico Tunisia e Sicilia. Tre giorni di spettacoli e performance, conferenze e dibattiti sui Mitili, un mercato Mediterraneo di prodotti tipici, visite in barca, laboratori creativi, degustazioni di vini e cibo Il programma completo qui https://mytiliadelerici.com/programma/ SABATO 28 SETTEMBRE SPETIALIS MUSEO ETNOGRAFICO LA SPEZIA Giornata europea del Patrimonio con un ricco programma dalle 15 in poi. Esposizioni, Dimostrazioni, Laboratori si intersecheranno per tutto il pomeriggio. Laboratori di acquarello, cucito creativo, colori tinture e unguenti vegetali, filatura manuale, scultura in pietra arenaria, lavorazione ceramica, pizzo chiacchierino e macramè, lavorazione della pelle, lavorazione del ferro, presentazione delle erbe, costruzione di un erbario, cucinare una torta d'erbi, danze popolari della Val di Vara e della Lunigiana. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL RAPERONZOLO -🌱🌱🌱
Presto presto che altrimenti non le troviamo più... le radici di Raperonzolo ! Una delle erbe più buone che conosco, la radice dolce e la sua foglia fanno parte della composizione del Mio Prebuggiun (qui>>>) quello che vado mostrando agli incontri dell' Associazione Erbando (qui>>>) Il Raperonzolo o raponzolo ( Campanula rapunculus L .) è un poco più difficile da riconoscere delle altre mostrate fino ad ora. Difficile per le caratteristiche della rosetta basale che ama stare nascosta fra le altre erbe del prato, e facilmente confondibile. Le foglie sono ovali, lisce, oblunghe di un bel verde, quasi lucide. Bisogna armarsi di pazienza e provare ogni volta che si pensa di averlo trovato ad estrarre la piantina, scavando intorno con la punta del coltello, per scoprire se sotto c'è la radice, bianca, carnosa, questa sì differente dalle radici di altre piante e riconoscibile, come una piccola rapa, dalla quale prende appunto il nome. A volte la radice è piccola, anche biforcata, ma sempre con il suo colore bianco quasi trasparente. È dall'autunno che si deve cogliere fino a inizio primavera, cioè quando la radice si ingrossa e prima che escano i fiori che assorbiranno tutti i nutrienti, lasciando la radice dura e legnosa. Ed è proprio grazie ai fiori che si può effettuare il riconoscimento sicuro, sono ovunque nelle campagne, in grandi quantità, visibilissimi, graziosi con i loro steli di campanelle azzurro-lilla. Non resta che ricordarsi dove si sono visti durante l'estate per tornare a raccogliere più tardi la rosetta basale con la radice, che spunta dopo le prime piogge d'autunno. In quanto ai metodi per cucinarlo, radice e foglia, si può spaziare dal cotto al crudo. Ottimo nelle misticanze in insalata, e qui si possono usare anche solo i fiori azzurri durante l'estate, ottimo bollito, solo o insieme alle altre. Nel Prebuggiun è la nota dolce che non deve mancare per bilanciare l'amaro di altre. È una radice ricca di inulina, come il topinambur e la cicoria e questo basterebbe per farne una pianta preziosa. Dovendo, nota dolente, raccoglierne anche la radice, conviene, oltre ad una raccolta oculate, seminarli quando e dove è possibile. I semi si trovano facilmente, se non nel garden più vicino, su internet. Il magico momento del ritrovamento. Per il Raperonzolo, non ci si accontenta di una leggenda, ma si arriva addirittura alla fiaba. Chi non conosce Raperonzolo e la sua prigionia nella torre? Talmente buoni i raperonzoli in insalata che sua mamma, incinta di lei, si nutriva solo di quelli e avendone gran voglia, ne fece fare incetta dal marito persino nel giardino della maga. Questa, sorpresolo sul fatto, volle in cambio delle piante raccolte, la bambina appena nata, e le diede il nome di Raperonzolo, tenendola poi confinata in una torre altissima irraggiungibile, perché diventata una incantevole giovane dai lunghi capelli di oro filato. Sarò stato l'effetto dei raperonzoli mangiati dalla madre? Chi può dirlo? Di certo è che sono proprio questi, quelli che vi invito a trovare. "Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli che per salir mi servirò di quelli." Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti . Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.
- PESCHE SCIROPPATE e ... divagazioni sulla conservazione domestica
Un post breve e semplice per una conserva, ora che abbondano le pesche. Una ricetta diversa dalla solita marmellata, che trattenga tutto il profumo e il gusto intatto di questo frutto, con un procedimento che magari non tutti conoscono, scoperto casualmente tanti anni fa, non l'ho mai più abbandonato. Pesche sciroppate dunque, quando l'albero decide di maturarle tutte esattamente lo stesso giorno e il giorno dopo sarebbero marce. Velocemente, con le immagini si capirà meglio, Primo: getto le pesche in acqua bollente , se le ho raccolte dal mio albero non serve nemmeno lavarle, spengo immediatamente il fuoco, incoperchio , lascio pochi minuti, meno di cinque, estraggo e metto in una bacinella con acqua fredda a questo punto potrò facilmente eliminare la buccia, ottenendo delle pesche perfettamente lisce con la stessa facilità apro a metà e tolgo l'osso Perché questo sistema funzioni le pesche devono essere al giusto tempo di maturazione, e perfettamente sane, troppo acerbe non riuscirebbe. sistemo in vasi di vetro, magari prima " sterilizzati " al microonde come spiego qui https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/01/14/POUR-MARIE-MALADE-DINVERNO aggiungo qualche cucchiaio di zucchero e il succo formato mentre le lavoro chiudo e procedo alla pastorizzazione dei barattoli per venti minuti. Si può aggiungere uno sciroppo di acqua e zucchero se si vogliono molto sciroppose, se si vuol stare tranquillissimi sulla conservazione. Il post sarebbe bello che finito ma mi preme dire ancora ciò che segue ... L'alcol è un liquido prezioso: conserva tutto, tranne i segreti. Tolto la conservazione sotto spirito o alcol, certamente una delle più sicure, apro una postilla sul perché uso la parola pastorizzazione invece di sterilizzazione e su come mi comporto in generale per le conserve. Da tempo ho perso l'illusione che in casa si possa effettuare una sterilizzazione perfetta o meno, tutt'al più potremmo eseguire una pastorizzazione così detta bassa e nemmeno perfetta questa. Intanto la sterilizzazione, processo effettuato ad alta temperatura, circa 120°, in ambiente sterile, con strumenti sterili, impossibile da ottenere in casa, distrugge tutte le forme vegetative, ma proprio tutte, quindi non solo quelle che potrebbero far andare a male il nostro prodotto ma anche quelle che potrebbero far bene a noi. La pastorizzazione, a più bassa temperatura, e si chiama pastorizzazione già a 60°, per un tempo idoneo alla misura dei nostri barattoli, coperti di acqua, si distrugge solo alcuni microorganismi e non garantisce da sola la conservazione. Il problema della misura dei barattoli in rapporto al tempo di pastorizzazione è per far sì che la temperatura di pastorizzazione, arrivi al cuore del prodotto, perché quando l'acqua bolle e lo fa intorno ai 100°, non è detto che in quel momento ci siano 100° anche al centro della nostra conserva. Esiste infatti anche una pastorizzazione detta alta, cioè quella che raggiunge in 2 o 3 minuti gli 85°, più efficace, ma anche questa impossibile da raggiungere in ambito domestico. Un po' come se ci mettessero nel forno a 50°, l'effetto su di noi sarebbe diverso se la temperatura fosse da subito sui 100°. Detto questo, in tanti anni, posso dire che quasi mai mi è andato da male qualcosa e meno che meno è mai stato male qualcuno. Preparo barattoli non troppo grandi, puliti, asciutti, li sistemo in una pentola dove stiano giusti, con degli strofinacci perché non sbattano e non si rompano, coperti da almeno qualche cm di acqua, della stessa temperatura di quello che ho messo dentro al barattolo, per non provocare uno sbalzo termico, su un fuoco che sia adeguato alla misura della pentola in modo da raggiungere velocemente la bollitura, che mantengo costante. Data la misura dei miei barattoli faccio bollire venti-venticinque minuti controllando che non si abbassi il livello dell'acqua. Spengo e lascio raffreddare, tolgo dall'acqua, sistemo in dispensa e controllo nei giorni immediatamente successivi che tutto sia a posto. Col tempo ho imparato a usare sempre meno zucchero e a pastorizzare di più, cosa che non faccio con quello che contiene una proporzione di almeno 800gr di zucchero a chilo di estratto come per esempio sciroppi e marmellate. Non pastorizzo i sott'olii, mi fa impressione... Ricordo comunque che il botulino è anaerobico, inodore, incolore, insapore. Quindi si sviluppa in assenza di ossigeno, vedi sott'olio, l'olio è un isolante non un conservante! Quello che conserva i sott'olii è l'aceto, il botulino difficilmente sviluppa la tossina in ambienti acidi, tipo la salsa di pomodoro o l'aceto o il sale. Anche se un cattivo odore, un tappo gonfio, una muffa sono indici di qualcosa che non va, non è detto che se non ci sono, non possano contenere il batterio del botulino. Per assurdo anche una cosa conservata nel frigorifero, il freddo addormenta il batterio, può successivamente sviluppare la tossina. Quindi? Fermo restando che la tossina botulinica predilige gli ambienti proteici, e quindi non farò mai conserve casalinghe di carne o pesce, quasi tutto quello che pastorizzo, e che non contiene ne zucchero, ne sale, ne aceto, che supportano la pastorizzazione, lo vado una volta aperto, a ricuocere, ad almeno 80° per un tempo sufficiente che la temperatura arrivi al cuore del prodotto, come per esempio la salsa di pomodoro, anche se questa sarebbe di per sé già sufficientemente acida. Per quello che riguarda i sott'olii, non cuocio mai in metà acqua e metà aceto ma tutto aceto, e sale, le varie salamoie devono essere almeno al 15%, anche se da quando l'anno scorso ho conosciuto Carlo Nesler ho capito cose che non avevo mai saputo, ma è troppo presto per parlare di fermentazione, non sono ancora abbastanza brava. Come dicevo anche lo zucchero è antipatico al botulino e aiuta la conservazione, sommato alla pastorizzazione mi dà una certa sicurezza, come nel caso delle pesche di cui sopra, e comunque al primo sospetto butto via tutto. Per la vostra tranquillità vi informo che il batterio del Clostridium botulinum è ovunque ... nel suolo, nei vegetali, ecc. ecc... sono le condizioni favorevoli che procurano lo sviluppo della tossina pericolosa. Questo è quello che so io, come, dove, quando, ho saputo queste cose non lo ricordo e se siano scientificamente esattissime non lo so, certamente dalle chiacchierate con un amico chimico che non c'è più, discorsi con vari cuochi, letture qua e là, mi ci attengo da sempre e penso pure che anche in questo caso, in assenza di strumenti e utensili scientifici, l'esperienza di mamme e nonne faccia la sua parte. Non avrei voluto, per due pesche dire tutto questo, ma prima o poi se ne doveva pur parlare... Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti . Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.
- A ÇIMMA - LA CIMA ALLA GENOVESE
Bell'oueggè strapunta de tùttu bun... Bel cuscino, trapunta di tutto buono ... Fare un post sulla Cima alla genovese è correre qualche rischio, vista la serietà con la quale i genovesi veri affrontano la preparazione di questa pietanza, e le innumerevoli rime, novelle, canzoni che le sono state, da persone ben più autorevoli di me, dedicate. Avevo già in mente di prepararla, ma con ciò che è successo ieri a Genova, non potevo aspettare, volevo sentirmi in qualche modo ligure, genovese, ... Sulle origini i pareri sono discordi, chi dice che sia un piatto di recupero degli avanzi, io sono più propensa a credere la versione che racconta di come una volta, vista la difficoltà di procurare carne in Liguria, scarsa di pascoli e allevamenti, portasse le massaie a utilizzare tutti i tagli anche i più poveri e trasformarli in una preparazione ricca adatta alle tavole della festa. Appunto il pezzo di carne usato... lo sa il macellaio, e solo il macellaio ligure... hai voglia a spiegarlo lontano da Genova cosa vuoi fare... non riusciranno mai a capirti, almeno per mia esperienza. A quanto so le possibilità sono due: la vera Cima , quella che il bravo macellaio con il coltello affilato crea facendo una tasca all'interno di un pezzo di carne o quella fatta con fetta sottile piegata e cucita su tre lati. La posizione è forse nella cima o punta di petto, nella pancia, chiamata " lampo " o nella parte superiore del collo detta " cappuccina ". Ma pare che l'unica cosa che deve interessare alla cuoca che si vuole avventurare, è dichiarare al macellaio da quante uova vuole la sua cima e questi la servirà di conseguenza. Per il ripieno non mi resta che regolarmi come per gli altri post, scrivere quello che so o meglio quello che si è sempre fatto in casa mia, dove le Cime non erano di certo da 30 uova come leggo spesso nelle ricette. Dunque questo è quello che serve per una famiglia normale e per non avere avanzi che durino giorni e giorni: Una Cima di vitello di circa un chilo che il nostro solerte amico macellaio avrà già cucito da due parti, e se non si riesce a convincerlo con un sorriso tocca cucirla a casa lasciando un lato aperto un pugno di erbette del Prebuggiun ( qui>>> ) , se non è possibile qualche foglia di bietola parmigiano grattuggiato un po' di carne, va bene anche un avanzo di bollito, animelle, cervella ecc. ( qui>>> ) passate in burro e tritate uova poco aglio, molta maggiorana, oudù de pèrsa lègia, e pinoli e una fetta di fungo porcino secco un pugnetto di pane bagnato nel latte o nel brodo odori per il brodo, carota, cipolla steccata con chiodo di garofano e pepe, sedano foglia di alloro Ma la Cima non necessita solo di ingredienti materiali, fare questo piatto è una lotta con le streghe, con la magia, con il malocchio per impedire che nella cottura esploda perdendo nell'acqua tutta la bontà del ripieno e resti solo uno strato di carne poco pregiata, e quindi scusate se, sul filo della famosa canzone " a Çimma ", di De Andrè e Fossati, nella descrizione sono compresi i gesti scaramantici. Ti t'adesciàe ‘nsce l'èndegu du matin ch'à luxe a l'à ‘n pè ‘n tera e l'àtru in mà ti t'ammiàe a ou spègiu de 'n tiànnin ou cè s'amia a ou spègiu da ruzà ti mettiàe ou brùgu rèdennu'nte 'n cantùn che se d'à cappa a sgùggia ‘n cuxin-a stria a xeùa de cuntà ‘e pàgge che ghe sùn ‘a cimma a l'è za pinn-a a l'è za cùxia È quindi fondamentale alzarsi presto il mattino al sorgere del sole, senza perdere tempo in inutili cure di bellezza, basterà specchiarsi in cucina nel fondo di un tegamino. Di corsa a mettere la scopa a testa in su sotto la cappa, che se la strega volesse entrare dovrebbe perder tempo a contare di quante paglie è fatta e nel frattempo la Cima sarà già cucita, pronta da cuocere. Per cucirla con facilità è necessario un ago robusto, il famoso ago da materassaio, e un filo alimentare tipo da legare l'arrosto. Per primo taglio a striscioline sottili la verdura e la metto su un tagliere cosparsa di sale e la lascio cosi per una mezz'oretta, dopo la strizzo per bene. In un contenitore sbatto le uova, comincio con metterne quattro, con il formaggio, la verdura strizzata. Trito finemente con la mezzaluna aglio, maggiorana, una fetta di fungo secco, un cucchiaio di pinoli e aggiungo alle uova e formaggio. Aggiungo pure la carne, se non ho le animelle solo la carne passata nel burro e tritata e un poco di prosciutto cotto tagliato a listerelle e il pane ammollato e strizzato. Calcolo ad occhio se può bastare e se è abbastanza molle come ripieno, in questo caso ho aggiunto ancora un uovo. A questo punto scuole di pensiero diverse aggiungono altre cose, piselli quasi sempre, carote a listerelle, e in primavera sostituiscono la verdura con i carciofi. In casa quella con i piselli, i pezzetti di carota, il giallo delle tante uova ha sempre ricordato quella di rosticceria, e quindi ci si limitava a quanto sopra. Semmai spesso mia madre la faceva senza carne di nessun tipo ma con un ripieno di sola verdura, allora sì mettendo pezzetti di zucchini o carote o altro. Con l'aiuto di un mestolino, dal lato rimasto da cucire, riempio la tasca di carne, facendo attenzione a non arrivare all'orlo, ma lasciandone vuota una metà. Le uova cuocendo aumenteranno di volume e nel caso fosse piena da cruda esploderebbe in cottura perdendo nell'acqua il prezioso ripieno e lasciando solo una sottile striscia di carne. La chiudo con un punto festone. Cè serèn tèra scùa carne tènia nu fàte nèigra nu turnà dùa e ‘nt'ou nùme de Maria tùtti diài da sta pùgnatta anène via Nel frattempo avevo messo sul fuoco una capace pentola con acqua, sedano, cipolla steccata, carota, foglia di alloro, e a bollore immergo riverente la Cima pronunciando la formula di rito dopo aver fatto un segno di croce sopra: "Cielo sereno, terra scura, carne tenera non venire nera, non tornare dura e nel nome di Maria tutti i diavoli da questa pentola andate via" Mantenuta in un bollore impercettibile, appena accenna a gonfiarsi la pungo più volte con l'ago per far uscire la pressione. Alla mia Cima di un chilo basterà una cottura di un ora e mezzo, massimo due. Sempre sorvegliata attentamente, sarà cotta quando la carne cederà morbidamente toccandola con l'ago. Non mi resta che tirarla fuori dal brodo, leggero e buono, posarla su di un piatto e dopo qualche minuto metterla in caregòia e cioè caricata di un peso, in modo da perdere il liquido assorbito e assumere la caratteristica forma. Il solito peso delle case liguri... il mortaio. Nel delicato equilibrio che cerco sempre di creare, fra piatti, taglieri o coperchi, se mai mi è scoppiata una cima, invece mi è caduto il mortaio... Dopo qualche ora è pronta per essere affettata e servita tradizionalmente fredda con insalata, qualcuno la gradisce tiepida. Fette di cima fredda avanzata, oppure fatta apposta, andranno nel panino del picnic. Qualcuno le frigge, impannate come cotolette, io mai provato. ... Bell'oueggè strapunta de tùttu bun prima de battezàlu ‘ntou prebuggiun cun dui aguggiuìn dritu ‘n pùnta de pè da sùrvia ‘n zù fitu ti ‘a punziggè àia de lùn-a vègia de ciaèu de nègia ch'ou cègu ou pèrde ‘a tèsta l'àse ou sentè oudù de mà misciòu de pèrsa lègia cos'àtru fa cos'àtru dàghe a ou cè ... Fabrizio de Andrè - Ivano Fossati "A Çimma" Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti . Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.











