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- ERBANDO A LEVANTO 16 E 17 OTTOBRE A LEVANTO
All'interno della bellissima manifestazione Sapori Verticali a Levanto (Sp) ci saremo anche noi di Erbando. Sabato 16 e domenica 17 Ottobre dalle 11 alle 18 in piazza del Popolo nel mercatino delle eccellenze saremo presenti con il più possibile numero di esemplari di erbe selvatiche commestibili di Liguria, ma non solo, per parlarne con voi. qui>>>IL MIO PREBUGGIUN https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/01/20/il-prebuggiun#:~:text=Per%20Prebuggiun%20o%20meglio%20%22prebogi%C3%B3n,e%20bollite%20in%20abbondante%20acqua. Potremo chiacchierare anche di tutte le erbe, sempre selvatiche, per fare i cuscini di Luppolo, di Elicriso, di Tiglio, di Iperico ecc. ecc. qui>>> DEI CUSCINI PROFUMATI E FATATI https://www.lellacanepa.com/single-post/2020/06/27/dei-cuscini-profumati-e-fatati-herbal-sleep-pillows E non dimentichiamo il nostro Progetto Lana, le nostre prove di tintura con le erbe, parleremo anche di queste, sempre erbe selvatiche, comuni. Vi aspettiamo!!! Tutte le informazioni sull'evento nella pagina FB https://www.facebook.com/SaporiVerticali/ Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- FUNGHI, E ANCORA FUNGHI, SÌ .... MA QUALI FUNGHI?
- Tre meravigliosi Porcini di varietà diverse e di diverso habitat - Il primo a sinistra un Porcino classico prevalentemente abitante del bosco di castagno, al centro un Porcino detto del Re perché fra i migliori per gusto, compattezza della carne e profumo, più facilmente rinvenibile fra querce e cerri, a destra meno pregiato per sapore e odore, ma di più lunga durata e resa, carne sana e compatta, il Porcino classico del sottobosco di faggio Avviso: questo NON È un post ad alto interesse scientifico, ma una piccola divagazione personale, come un giro nel bosco con me in questi giorni. È il momento di ammetterlo, questo ottobre 2021 c'è una crescita record di funghi porcini, belli, sani, una vera goduria per i fungaioli. Purtroppo queste giornate eccezionali, che arrivano dopo un prolungato caldo torrido e una abbondante pioggia, favoriscono l'avventura di chi fungaiolo non è e si improvvisa, convinto che sia il momento giusto per raccogliere, visto che ce ne sono tanti. Questo post vuole essere di complemento al precedente Funghi, Funghi, Funghi qui>>> dove già avevo scritto alcune considerazioni e ricette e intende affrontare con semplicità alcuni errori di valutazione da parte di chi è meno pratico. Sulla commestibilità è sempre meglio non scherzare, anche i più esperti possono sempre sbagliare. Di seguito metterò alcuni casi che mi sono capitati e avendo sempre avuto a che fare con boschi e funghi non mi hanno tratto in inganno, ma a volte è davvero difficile. Il primo eclatante è quello della foto sotto, una probabile Amanita pantherina vicina e simile ad un porcino buonissimo. Il colpo d'occhio iniziale è davvero notevole, però anche senza raccoglierlo si individua la differenza nel cappello, la viscosità dell'Amanita confronto alla cuticola liscia del porcino a destra. In questo caso era appena piovuto e la pioggia aveva contribuito a eliminare le verruche classiche dell'Amanita che altrimenti si sarebbe presentata più o meno così: A un occhio non attentissimo, anche dopo averlo raccolto, si sarebbe potuto incorrere in un errore fatale. Nelle foto successive anche la sezione del gambo può ingannare, ma ad osservando meglio si individuano i resti di alcune verruche e si indovina un futuro anello. Tolgono ogni dubbio le lamelle sotto e una forse punta che il porcino non ha mai. Per complicare non si vede per nulla il bulbo ad uovo in fondo al gambo, caratteristico delle Amanite, e questo è un altro motivo per sconsigliare la raccolta di funghi molto piccoli. L'odore non conta, l'Amanita non puzza e dopo aver toccato tanti porcini non è certo la differenza di profumo che serve per l'identificazione. Potrebbe chissà anche non essere la terribile Amanita pantherina, ma scoprirlo dopo averla mangiata non sarebbe per niente piacevole, visto che è fra i funghi più velenosi. Certo non è nemmeno parente del suo vicino. L' Amanita pantherina condivide l'habitat del porcino, al punto che spuntando spesso qualche giorno prima dei funghi buoni viene definita "spia". Una confusione che può davvero essere mortale la si può fare fra l'Amanita vaginata, commestibile, e la terribile Amanita phalloides. Non potrò mai dire quale delle due è quella della foto sopra, in quanto mi sono sempre rifiutata di correre dei rischi per un fungo e disinteressata a distinguerle per mangiarle. Pare che le striature sul bordo del cappello, la mancanza di anello e bulbo grosso alla base le faccia distinguere. Personalmente sono andata per funghi con chi le raccoglieva con certezza, ma allo stesso tempo mi è toccata la conoscenza di un esperto fungaiolo che certissimo l'ha cotte, sbagliando e provocando la morte di un convitato. Anche questa è una "spia" della prossima nascita dei porcini. Un altro scambio meno pericoloso si può avere con il Porcino del fiele, il Tylopilus felleus, praticamente se non velenoso, impossibile da mangiare per via del sapore disgustoso. L' errore di mettere un esemplare in cottura con funghi buoni inquina il gusto degli altri rendendo il piatto immangiabile. La somiglianza è davvero tanta, lo si riconosce per le striature scure sul gambo sempre lungo e cilindrico, e per l'imenoforo, cioè la parte in questo caso sotto, che è sempre tendente al biancastro poi rosata e infine grigia. A questo proposito, l'imenoforo è una delle parti più importanti per il riconoscimento del fungo. Posto quasi sempre sotto al cappello è la struttura dove risiedono le future spore e l'osservazione di forma, colore e come è più o meno attaccato al gambo è utilissima per l'identificazione del genere e della specie. Una delle prime nozioni da imparare. A guardar bene anche il cappello è un po' troppo a punta. L'odore quasi nullo tendente all'acido, ma come dicevo inattendibile quando si è maneggiato diversi funghi. Se si mettono i due funghi a confronto si vedono meglio le differenze, spesso dividono il territorio. Nel caso della foto sopra non avrei dubbi sulla possibilità di sbagliare, ma non è detto che chi si approccia per le prime volte non possa confondersi, visto che sembrano due bei porcini, non fosse per il colore di cappello e gambo. Per quanto mi riguarda sono convinta che si tratti di un fungo da non raccogliere. Devo aggiungere che in queste zone, dove si possono trovare tranquillamente molte varietà di ottimi funghi porcini e non, poco mi curo di riconoscere con l'esatto nome scientifico quelli che ottimi non sono e che pur sembrando però porcini non sono. La micologia è una disciplina delle scienze biologiche che per l'identificazione esatta dei funghi passa attraverso microscopi e strumenti precisi, misurazioni e conteggi esatti, non dall'occhiata e basta. Occorre la sezione del fungo, osservarne l'eventuale viraggio di colore toccandolo, individuarne l'odore con certezza. Sfogliando vari libri di funghi ho scoperto essercene tanti che vengono raccolti e mangiati pur non rientrano negli "ottimi", alcuni sono buoni solo dopo cottura ma la mia opinione resta perché mai prenderli se ho a disposizione quelli che voglio di buonissimi? Questi sopra, che non so identificare con il nome preciso, ma potrei azzardare la vecchia terminologia di qualcosa tipo Boletus luridus, è chiamato qui Ferun ed essendo non raccolto prospera in abbondanza e se ne trovano esemplari molto grandi. È uno dei funghi che cambia colore toccandolo e questo ne determina già la non appartenenza ai Porcini. Se fosse quello che penso è uno dei funghi che contiene delle tossine termolabili e quindi per diventare commestibile, non buono, necessita di lunghe cotture, e mi chiedo perché prenderlo? Per la serie "non so cosa è ma non è un Porcino" anche questo rimane per quanto mi riguarda nel bosco. Il gambo troppo giallo, il cappello troppo convesso, il colore troppo rosso nemmeno mi ha fatto venire voglia di andare oltre. Anche questo toccandolo vira di colore e quindi non è di mio interesse. Certo sono tutti che al primo sguardo non attento possono farti venire un coccolone da aspettativa disillusa. Più o meno questi somiglianti al porcino ma con gambo più sottile fibroso e cambio di colore vengo chiamati qui "stinguafamiggia" e questo dovrebbe già dirla lunga sul possibile evento dal quale ha avuto il nome, anche se non lo penso così pericoloso da "estinguere una famiglia" Sotto un altro simile. Ci sono poi funghi che mangiavo e non mangio più, anche se non ne ho mai mangiato in quantità. Le Manine, o Ramarie, sono ormai state incluse fra i funghi con tossicità da crudi, che necessitano di bollitura e che in grande quantità provocano comunque disturbi gastrointestinali, salvo il rischio poi di confondere le varie specie di Ramaria o Ditola fra loro visto che ce ne sono alcune davvero tossiche anche da cotte. Un altro che non consumo più è lo Steccherino, genere Hydnum, anche per questo fungo il valore commestibile viene messo in dubbio per l'amarognolo che rilascia, specie se l'esemplare è vecchio e comunque va consumato sempre ben cotto. Alcuni suggeriscono di eliminare gli aculei sotto, proprio per togliere un poco l'amaro. Spesso confuso con l'ottimo Galletto o Finferlo, Chantarellus cibarius, con il quale non c'è paragone in termini di gusto, si distingue proprio osservandolo sotto per gli "aculei" al posto delle lamelle classiche. Ripeto ho la fortuna di poter accedere ai migliori funghi che un bosco può offrire perché rovinarmi il gusto con la mediocrità? Altro fungo che in casa non si è mai mangiato, ma che ricordo in vendita dal verduraio, così come ricordo di aver accompagnato a raccoglierlo un'amica che ne era ghiotta, è il chiamato qui in zona Pevèn, o Clitocybe nebularis, perché esce un po' più tardi a fine ottobre. Sono ormai state riconosciute le tossine che contiene, che potrebbero essere eliminate con una lunga cottura, durante la quale però dette tossine pare vengano emesse con il vapore, fino a provocare disturbi e mal di testa in chi occasionalmente le inala. Ne è stata quindi proibita la vendita e sconsigliato il consumo. Niente da spartire con il parente stretto Clitocybe geotropa ora Infundibulicybe geotropa meglio conosciuto come Cimballo, o Fungo di San Martino, che ahimè non riconosco più, non e che da alcuni esperti viene quasi assomigliato per il sapore al tartufo. Non ho fatto in tempo ad impararli per bene con chi li conosceva e le somiglianze sono davvero troppe con altri funghi. foto dal sito di Funghi in Italia qui >>>https://www.funghiitaliani.it/topic/15436-infundibulicybe-geotropa-bull-fr-harmaja-2003/ Le foto seguenti sono rubate (si evince la differenza con le mie) dall'amico Antonio Andreatta, solo per mostrare alcuni funghi che spero nessuno raccolga mai, senza bisogno di tante spiegazioni. La riconoscibilissima Amanita muscaria, molto pericolosa, chiamata così per le sue proprietà moschicide. Ricordo i primissimi anni delle mie vacanze qui in una casa nel bosco, non andavo ancora a scuola, il piatto nel centro del tavolo con una bella grossa Amanita cosparsa di zucchero e le mosche attirate che vi morivano sopra in pochi minuti ... Pericolosa perché? A parte i gravi disturbi che provoca l'ingestione, a volte curabili solo con trapianto di fegato, se nessuno si può ingannare quando si presenta come nella foto, esiste la possibilità di confonderla con l' Amanita caesarea dopo una pioggia che le ha fatto scivolare via le verruche bianche, non prestando attenzione al fatto che l'Ovolo buono ha l'imenoforo a lamelle di un bel giallo carico, al confronto di questo velenoso che lo ha bianco. Occorre sapere che esistono anche Amanite velenose di colore giallo aranciato SENZA le verruche bianche, ma sempre completamente bianca sotto e nel gambo Spesso sono assieme e mi è capitato di trovare una famiglia di Ovuli buoni con nel mezzo una o due di queste tossiche. Ovolo buono - foto dal web - Ovolo velenoso Ancora di più rimane difficile distinguerli quando l'ovolo è chiuso, ragione per cui è sempre meglio diffidare e non raccogliere, in Italia è comunque proibita la raccolta di ovoli chiusi. Per due motivi: raccogliendo il fungo in quello stato se ne impedisce la propagazione delle spore e perché il consumo errato di ovuli chiusi rappresenta ancora la prima causa di morte per avvelenamento da funghi. -Possibile Ovolo velenoso mortale- -Ovolo buono- In questo stadio può essere confuso con le mortali Amanita phalloides e Amanita verna. Mi duole dover raccontare comunque come l'Amanita muscaria sia stata usata dai tempi antichi come droga per i suoi effetti allucinogeni date le proprietà psicotrope, fino ad arrivare a bere l'urina per cinque o sei volte di chi la consumava... Ancora oggi, anche in Italia, c'è chi mangia questo fungo dopo averlo sottoposto a trattamenti particolari. Se si va in Giappone è possibile che lo servano, specie in salamoia senza che lo si sappia. Leggende narrano che è grazie a questa Amanita che le renne di Babbo Natale volano. Personalmente ho conosciuto due persone trapiantate di fegato per averla assaggiata e tanto mi basta. Altra bellissima foto di Antonio, la posto solo perché mi fa venire in mente un Cortinarius e forse lo è. Dubito che a qualcuno potrebbe venire voglia di raccogliere e assaggiare questo fungo, ma chissà ... anche perché alcuni odorano di pane appena sfornato. Mi da l'occasione di parlare del genere Cortinarius, che non sono solo blu, ma soprattutto comunemente marroni, aranciati, ocra ecc. e potrebbero essere confusi con altri commestibili. Anche qui la famiglia dei Cortinarius, un mondo a parte, che la paura di sbagliare mi ha impedito di riconoscere i pochi commestibili da quelli che non lo sono e passata la voglia di provarci. Sì, perché oltre a essere quasi tutti velenosi, pochi con scarso interesse culinario, molti con conseguenze mortali, sono anche infidi. I sintomi, spesso legati ad un insufficienza renale, che portano quasi sempre al coma e alla successiva morte, avvengono giorni e giorni dopo, anche due settimane, quando non si riconducono più alla consumazione eventuale del fungo, con conseguenze spesso tragiche. Con questo esistono anche funghi di colore blu o violaceo commestibili, ma perché rischiare se non si ha la conoscenza esatta? Altre foto di miei bellissimi ma sconosciuti incontri, che non mi fan venire voglia di provarne la più o meno commestibilità, e tanto meno raccoglierli o distruggerli come vedo troppo spesso fare. Il fungo ha un'importante funzione ecologica nel bosco di vitale importanza per l'albero con il quale vive in simbiosi e distruggere esemplari con il bastone solo perché non sono commestibili o non li si conoscono è un comportamento cretino e pericoloso. Mancano all'appello Colombine e Galletti, cioè Russule e Chantarellus e le inconfondibili Trombette da morto, Prataioli e Tiulli la buonissima Mazza di Tamburo dei quali ho accennato nell'articolo precedente qui>> Aggiornerò il post appena e se cominceranno a nascere ... Ma c'è qualcosa meglio di un cesto così? Non ci si improvvisa fungaioli, un po' ci si nasce, e come per tante altre cose servono passione, sensibilità, intesa ed equilibrio con la natura. Gli spettacoli ai quali ho assistito in questi giorni osservando le orde che entravano nei boschi, senza nemmeno parcheggiare la macchina decentemente, urlando e schiamazzando, pestando e raspando posti dei quali si disinteressano per il resto dell'anno, mi fa amare sempre di più il mio isolamento dal genere umano. Pensare di essere un amante della natura attraversando un bosco rombando con una moto da Trial, approfittando del fatto che in queste zone i pochi abitanti sono troppo anziani per tener conto delle loro proteste, per credere di arrivare prima, raccogliendo o meglio distruggendo qualsiasi cosa si incontri sul proprio cammino, mi fa rimpiangere i tempi quando esisteva ancora "la temanza" un misto di terrore reverenziale e di rispetto se ti fossi permesso di raccogliere un fungo troppo piccolo, avessi raspato nel terreno o in qualsiasi modo alterato l'ambiente incantato del bosco. Molto interessanti sono alcuni video su You tube che possono avvicinare chi proprio non ne sa niente del magico mondo dei funghi perché se magia esiste quella dei funghi senz'altro lo è. Seduta nel bosco penso ai funghi e alla loro magia. I funghi, si sa, sono cugini in prima delle fate e come diceva mia madre hanno i loro segreti. Quando vieni scelto da loro non devi tradirli andando a spantegare in giro dove decidono di farsi vedere da te e nemmeno darti delle arie accompagnando altri, non toccati dalla stessa malìa, per vantarti di come tu invece sei in segreta intesa con loro. Sono suscettibili, gelosi, si offendono e non ti parlano più o meglio non si faranno più vedere nemmeno da te. Insomma per un po’ ti tengono il muso. Concessa invece la condivisione con altre persone da loro prescelte, persone che in giorni particolari dell’anno gli arriva addosso "il morbin" di andare a vedere in quel posto, fossero pure le sette di sera e fossi già in pigiama, perché il fungo quando ti chiama ... Ordunque in questi giorni più volte mi sono recata qui, io ho trovato i miei, mio figlio i suoi e abbiamo avuto orde di barbari ieri e oggi. Questo bosco è frequentatissimo, sulla strada, anche stamattina c’erano altre persone, ma appena entrata sul solito sentiero, ecco ... volevano farsi trovare da me. E non mi venite a raccontare quella che sono nati stanotte perché non è vera, e nemmeno che voi trovate i funghi, perché sappievatevelo sono loro che scelgono chi gli pare per farsi trovare. p.s. Ahahahahahah ... (risata) Sono appena venuta a conoscenza di una App per il riconoscimento funghi .... Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- ERBE D'AUTUNNO
ERBE D'AUTUNNO Ho fatto un giro per erbe. Dopo le prime piogge qualcosa è spuntato. Ho perciò deciso di organizzare per SABATO 2 una passeggiata di riconoscimento. Certamente non è come a primavera e il terreno è provato dalla grande arsura, ma qualcosa si può trovare. Comprendo che il tempo di preavviso è poco ma ormai si deve programmare così di giorno in giorno. Per sabato si prevede ancora una bella giornata di sole. Per chi è interessato la modalità è quella dell'anno scorso. Ai partecipanti, previo contributo all'Associazione, verrà consegnato un taccuino per raccogliere qualche foglia delle erbe che incontreremo durante la passeggiata e costruire così un erbario personale che potrà essere portato a casa per approfondire le annotazioni che ognuno vorrà fare. Luogo d'incontro: presso la sede dell'Associazione località Ghiggeri, Varese Ligure orario: dalle 15 - 15,30 in poi L'intero incontro avverrà all'esterno nei sentieri circostanti, si prega di intervenire con calzature e abbigliamento adatti. Si raccomanda il rispetto delle norme anticovid Non saranno superate le 15 presenze, è consigliato quindi prenotarsi al più presto al 3486930662. Date le difficoltà di linea (siamo tra i monti) si consiglia di usare wsapp. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- DEL SALE, DEL SÂA E DELLA SAÖA, E ALTRO DALLE CUCINE ANTICHE CHE NON CI SONO PIÙ
Al giorno d'oggi per conoscere un uomo bisogna mangiare sette salme di sale I Malavoglia - G.Verga Scrivere del sale e della sua importanza per l'uomo, nelle poche righe di un post sarebbe stato quasi ridicolo, studiosi autorevoli hanno scritto libri su libri, tante sono le cose che si dovrebbero dire, ma le prime giornate autunnali portano dei ricordi e questo non sarà altro che un post nostalgico sull'uso nella vita contadina di alcune cose ormai dimenticate nelle cucine di una volta, soprattutto qui sull'Appennino, prendendo spunto da due recipienti che qui, dal sale hanno preso il nome. L'oggetto nella prima foto, in queste zone, è chiamato Saä-oa (chissà se si scrive così), più semplicemente cassetta del sale e l'idea mi è venuta scoprendo che è appesa nella mia cucina ma sono pochi che entrando sanno cos'è e persino il nome dialettale rischia di scomparire con le poche persone che ancora lo conoscono. Eppure ancora non molti anni fa la sua funzione era talmente importante che dalle dimensioni si poteva intuire il benessere della famiglia, tanto che una volta le giovani donne prima di sposare andavano a curiosarne le condizioni, prima di accettare le galanterie di un giovanotto. La mia, ereditata, grande, mostra con la sua generosa misura la condizione piuttosto benestante, per quell'epoca, della famiglia. Non a caso la paga, il salario, proprio da sale deriva, tanto era prezioso, in quanto i soldati romani erano pagati anche con il sale, e ancora oggi si dice: " pagare un conto salato" Prezioso perché l'unico che poteva conservare gli alimenti, e chi viveva lontano dal mare ne soffriva la mancanza, e per averlo doveva pagare dazi e gabelle. Numerose le strade del sale che si trovano a cavallo degli Appennini, la più importante la Salaria Nova, fondata dai Sabini per raggiungere l' Adriatico e approvvigionarsi di sale, visto che quello del Tirreno non bastava. Della nostra via del sale, quella da Liguria a Piemonte, ho già parlato qui>>> , con l'incredibile storia che ha portato la Bagna Cauda, a base di pesce , ad essere un piatto piemontese. Tornando all'oggetto di cui sopra, tra gli scarni arredi che si trovavano nelle grae , il seccatoio, unico locale dove si cucinava, qui nelle case sull'Appennino, fino a poco più di 50 anni fa, la Saä-oa aveva il posto d'onore appesa al suo chiodo, fra l'incavo nel muro che custodiva i preziosissimi fiammiferi, i bricchetti , direttamente dalla parola francese briquet = accendino, e l'angolo rotondo scavato per riporre la campana, u testu . Nel mezzo del locale un quadrato di pietra refrattaria, il seau, dove si accendeva il fuoco, una catena appesa, la chenn-a, dove si attaccava il paiolo, o il testo , la campana, intorno massimo due banche, le panche, niente tavolo. Delle ricette dei cibi sotto il testo ho già scritto diverse volte. Questa cosa della mancanza del tavolo mi stupì non poco, appena arrivata qui, sapevo che si mangiava sulla panca, con il piatto in mano, ma dove si preparava, dove si ammanniva? Niente acqua in casa, quindi niente lavandino, in un altro locale più fresco una ramai-nna, un secchio con l'acqua fresca e il coppo, il mestolo, pronto, e il sa-ä , il mortaio, almeno così qui in dialetto, si chiama. Sa-ä perché usato per pestare il sale, che veniva acquistato solo grosso e integrale. E poco usato per fare il pesto, che sull'Appennino il basilico soffre il freddo e si riusciva a coltivare pochissimi giorni all'anno. - Sa-ä, ramai-nna, coppo, vascelle-a, tagiòe e mêzalùnn-a - Nello stesso locale la màstra , l'unico vero mobile, quasi sempre in castagno, con cassetti e antine per conservare farina e altro, sopra il piano dove impastare la pasta giornaliera senza uova e con il brénno, la crusca, la famosa pasta a vantaggio di cui già raccontai qui ricetta e altro>>> . In un angolo u levau , il crescente, il pezzetto di lievito madre tenuto in serbo per impastare ,due, massimo tre volte, la settimana il pane. Il modello di madia sotto in foto è il classico ligure genovese, dell'Appennino. Tutto ben chiuso al riparo dai topi dall'anta a ribalta che non bisognava mai dimenticare di chiudere. Gesti e profumi che non esistono più. - foto dal web - https://www.facebook.com/marketplace/item/409493697102844/?ref=search&referral_code=marketplace_search&referral_story_type=post&tracking=browse_serp%3A61549f24-c075-478d-9e18-9095a3ce587f Se il locale era sufficientemente al fresco e si aveva qualcosa da mettere via in un angolo la moschea , l'armadio di telai di griglia finissima, dove riporre salami, formaggio, piatti di latte a fare la panna, uova, sempre al riparo di mosche e topi. E forse questo scritto nasce dall'ingenua battuta di mio figlio, che mentre tanti anni fa, gliene mostravo una, spiegando a cosa servisse, semplicemente dicendo: - Era per le mosche - mi rispose: - Allevavano le mosche? - Da qui si comprende il baratro generazionale che c'è stato in pochissimi anni tanto che chi è nato dopo la guerra l'ha ancora usata e chi è nato vent'anni dopo non sa cosa sia, ammesso che ne abbia mai visto una. Anche la moschea, definiva il benessere della casa, perché più grande era, evidentemente più cose si avevano da riporre. Un modello più piccolo era usato anche in città, per essere appeso fuori alla finestra, in inverno, come frigorifero naturale. In casa, quasi sempre un coltello solo, grande, squadrato, usato al posto della mezzaluna per fare il battuto di lardo, di prezzemolo e aglio o simili. L'altro coltello lo aveva in tasca l'uomo di casa, a serramanico, l'unico legittimato ad usarlo, anche se poi erano le donne di casa a tirare il collo alle galline ... Pochissime forchette, più cucchiai, di ottone spesso, perché se non era zuppa era stufato e minestra, pochissime stoviglie, qualche piatto nella vascelle-a , qualche tazza, di terracotta o ceramiche poco pregiate. Le pentole una, forse due, ad esser ricchi una padella. Certamente uno o più paieu, paioli di rame o ghisa con il manico per essere appesi sopra al fuoco. Come teglia ho già raccontato di come si usassero le foglie di castagno, qui>>> Il castagno albero sovrano... L'olio, preziosissimo qui fra i monti, avuto solo in cambio delle giornate a raccogliere le olive, da parte delle giovani donne e i ragazzi che passavano il monte a piedi per fermarsi nelle case in riviera tutto il tempo della battitura e raccolta, veniva conservato nelle giâre di terracotta, anche queste liguri riconoscibili nella forma, con il mestolino appeso per l'uso. Con il fondo dell'olio che si formava si faceva il sapone. Immancabile il macinino per il caffè, mia suocera non avrebbe mai bevuto del caffè che non fosse stato macinato in giornata, penso che adesso molti non ricordino che il caffè è in semi tostati, anche se ho visto che le più recenti e costose macchine per il caffè da casa prevedono l'uso del caffè in chicchi. Ho pure fatto in tempo a imparare a tostarlo con le conseguenti sgridate se non si stava attenti e si faceva appena appena bruciare. Manualità e sensibilità scomparse, piccoli gesti che però insegnavano attenzione e cura. In un angolo del fuoco u brìccu , smaltato blu o bianco, con il caffè preparato una volta al giorno semplicemente facendo un decotto di polvere di caffè e acqua, dove poi si formava il deposito sul fondo e lentamente si faceva scendere il liquido aromatico nella tazzina. Se certi gesti sono scomparsi di alcuni odori non abbiamo nemmeno memoria, ricordo il giorno che entrata nella casa di famiglia, almeno vent'anni dopo la morte del suo ultimo abitante, ho trovato nella stalla, malamente buttato, il bricco del caffè, ho sollevato il coperchio e l'aroma che è uscito non lo scorderò più. - Chi non sa stare in cucina non sa stare nemmeno in chiesa - Potrei aggiungere altro, chissà forse dimentico tante cose, ho scritto di getto, ma il post nasce proprio dal desiderio di ricordare e se forse mi verrà in mente qualcosa di altro farò un aggiornamento. Voglio solo dire che non ho 200 anni, nonostante tutto, quello che descrivo l'ho visto e gli oggetti fotografati li conservo e molti li ho usati, e non me ne vergogno, come chi invece ha scambiato una vita semplice, certamente faticosa, come sinonimo di povertà e chissà perché, da non ricordare se non con disagio e imbarazzo. Potendo scegliere, senza rinnegare nulla e senza falsi ideologismi io ho scelto la ricchezza della semplicità e sono ancora qui. Cucino nel fuoco a legna e qualche volta, poche, nel microonde, vado a lavare alla fontana ma tutti i giorni uso la lavatrice e comunico con internet, mentre passeggio nel bosco per erbe e fiori. Vivo il futuro dentro al mio meraviglioso passato. https://www.lellacanepa.com/single-post/del-rumf%C3%B2-ronf%C3%B2-rumford https://www.lellacanepa.com/single-post/2017/11/28/paneprofumo-di-pane https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/01/21/torta-di-riso-finita-e-allora-rifacciamola https://www.lellacanepa.com/single-post/2017/12/16/sua-maest%C3%A0-re-pesto https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/07/06/fiori-antichi-dei-miei-giardini-spariti Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- TORTA DI PORRO
Ti ritrovi tuo figlio a cena, hai poche cose in frigo e l'unica cosa che trionfa nell'orto sono i porri. Si fa un torta di porro quindi. Nel caso ne basta uno, visto che è quasi un chilo. Della pianta avevo più o meno già parlato qui>>Fior d'aglio, visto che si trova anche selvatico, anche se non delle dimensioni delle varietà selezionate per coltivare. Il periodo migliore è durante l'inverno, dopo i primi freddi, ma nel mio orto sono diventati già molto grandi e quindi non ho resistito ad usarne almeno uno per questa ricetta. Ortaggio dalle incredibili proprietà salutari, ricco di vitamine e minerali preziosi. Utile per l'intestino e problemi urinari, consigliato nelle diete. Citato nella Bibbia e amato dall'imperatore Nerone, convinto che il porro lo aiutasse a mantenere una voce limpida La torta di cipolle o di porro è nella tradizione ligure da sempre credo, può essere un antipasto o come ho fatto io un piatto unico, gustoso ed economico. Il porro ha sapore più delicato, ma nulla vieta di usare le cipolle. Per questa torta preferisco unire la prescinsêua più che la ricotta, fa davvero la differenza, e stasera non mi sono fatta fermare dal fatto che non avevo comunque né una né l'altra in frigo perché ho sempre in dispensa il caglio per farmela e quindi la prima cosa che ho preparato è questa, la ricetta è qui >>La mia prescinsêua Tagliata a rondelle sottili la parte bianca del porro, basta farla stufare per una decina di minuti in padella con olio e poca acqua e coperchio. Nel mentre si prepara la solita pasta matta che ho già descritto diverse volte, >>qui e si lascia da parte coperta. Una volta appassito il porro, andrà mescolato a due- tre uova, due o tre cucchiai di formaggio parmigiano, la prescinsèua e qualche fogliolina di timo o maggiorana. Controllo il sale. Tirata la sfoglia e messa sulla teglia, in questo caso da 30cm, riempio con il ripieno preparato. Copro con un altra sfoglia e metto in forno caldo a 180° per circa 40 minuti. Se si vuole si può mettere più di una sfoglia, tirata sottilissima, per fare un simil effetto sfogliato. Meglio lasciarle perdere un pò' di calore appena tirata fuori dal forno, si assesta il sapore. Pur essendo note le virtù del porro nelle diete dimagranti, dubito che funzionino in questo caso, in due ce la siamo mangiata tutta! Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL SIGNOR MINESTRONE ALLA GENOVESE
La ricetta mancava sul blog e più volte mi era stata richiesta. Latitavo a scriverla, sempre perché è una di quelle cose che di casa in casa si fa un po' come si vuole, uno di quei post che avrebbero occupato le mie mattine seguenti alla pubblicazione, con infinite risposte ai conseguenti messaggi tipo: - No! le carote no! - No, il pomodoro no - No, il soffritto no! - No, il cavolo no! - L'acqua chissà ... quella ce la metteremo tutti? Dimenticando che proprio la parola minestrone è finita nella parlata volgare con il significato di mescolanza di tante cose, in pratica quel che c'è, e al gusto di ognuno il suo. In realtà si fa arrivare dal latino e significa "servire", servire a una mensa, e quindi letteralmente "pasto servito", e qual'è da sempre, insieme al pane, la cosa più servita al mondo, fino a pochi decenni fa, soprattutto ogni sera, in tutte le case? La minestra, nel caso di tante cose fatte bollire assieme, minestrone. Cosa differenzia il Minestrone alla Genovese da altri simili? Essenzialmente due cose: lo spessore, la consistenza misurabile dal famoso cucchiaio che rimane in piedi e la cucchiaiata di pesto a fine cottura. Pesto fatto apposta, basilico, aglio, olio, formaggi e niente pinoli. Tralascerei volentieri di mettere giù gli ingredienti, impossibili da quantificare, la stagione giusta del vero minestrone è da fine primavera a tarda estate quando l'orto dà il meglio, quindi patate, zucchini, fagioli, fagiolini, cipolla, sedano, carote, bietole, foglie di cavolo, porro, ecc. Per darvi un'idea della quantità dico solo che la parola preferita quando lo preparavo insieme ad altre donne e imparavo a farlo, è: - meno, meno, poche, poca - perché quello che importa è la varietà. Poco di tutto. Nessuna minestra ha gusto senza sedano, anzi solo un po' d'acqua con una costa di sedano è già minestra, ma non è minestra senza sedano. Patate il giusto, che si disfino in cottura, non quelle dure da stufato, Fagioli, qui anche qualche fagiolana, meglio secchi e ammollati, ma finché ci sono perché non una bella manciata di freschi. Una cipolla, qualche bel zucchino, anche di quelli che scappano nell'orto e vengono un po' più grossi, poca carota, pochissima bietola (mia madre diceva: - che ci dà il selvatico, ?!?! obiettavo io: - come? se è coltivata ...) qualche foglia, pochissime, di altra verdura, quelle esterne dure dell'insalata, indivia scarola lattuga, foglie tenere ributtate del cavolo cappuccio, un mazzetto di fagiolini, una piccola melanzana, un pezzo di zucca se c'è già, un piccolo pomodoro, un pezzo di porro che ci fa buono... Una bella lavata veloce e tutto si butta in un pentola di acqua che bolle e dove a freddo si era messa una crosta di Parmigiano Reggiano, che a cottura ultimata, diventata morbida, sarà divisa fra i commensali. Apro una parentesi sulla crosta di formaggio. Parmigiano Reggiano deve essere, non formaggio o grana qualsiasi. L'unico formaggio del quali si è certi la crosta non abbia subito trattamenti di nessun genere è il Parmigiano. Si lava, si gratta un po' e si mette nell'acqua con il sale grosso necessario. L'acqua deve coprire di poco le verdure senza essere troppo abbondante. Il fuoco all'inizio quasi violento, forte, in pentola scoperta, per far sì che la verdura si spappoli velocemente, certo il fuoco su legna è l'ottimo, per poi proseguire con una cottura più moderata fino a raggiungere la cremosità classica. Se qualche pezzo rimane ancora troppo grosso, quasi alla fine, basta schiacciare con una forchetta, qui e là. È il momento della pasta. Se si mangia immediatamente caldo, vanno bene, come qui in campagna, anche delle specie di taglierini impastati di corsa con sola farina e acqua e spezzati, qui quasi sempre con farina integrale, la famosa Pasta a Vantaggio (qui >>> https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/05/12/pasta-a-vantaggio) o al limite dei ditalini rigati o no. Ma la vera pasta tradizionale in Liguria sono i Brichetti, brichetto da fiammifero in genovese, (dal francese briquet = accendino) una sorta di spaghetto corto circa due cm, un po' storto, ruvido, di buona semola che regge alla cottura, o ancora meglio per gustare un piatto di minestrone freddo, sempre come usanza vuole, gli Scurcusun o Scucuzzu o Scucuzzun, cilindretti di più o meno quattro millimetri, più grandi del cuscus e più piccoli della fregola sarda, sempre di semola, molto resistenti in cottura che non scuociono assolutamente, adattissimi per gustare il famoso piatto di minestrone freddo, il giorno dopo, quello dove sta il cucchiaio ben ritto in piedi. Quello che si mangiava al mattino, a colazione e giuro ... l'ho gustato anche io così. Per cuocerli, nel minestrone diventato bello cremoso, non resta che farli bollire pochi minuti e poi a fuoco spento, chiudere con il coperchio e aspettare, altrimenti si attaccherà tutto alla pentola. Ed ora il pesto. Solitamente si pesta all'ultimo minuto una manciata di basilico fresco, uno spicchio d'aglio e parmigiano, se c'è poco pecorino, olio, e si aggiunge quando la pasta è cotta, tolto dal fuoco, ancora meglio ognuno nel piatto si mette quel che vuole. Quanto? Nel pezzo di filmato sotto, estrapolato da "Colpi di Timone" Gilberto Govi spiega la quantità esatta di pesto che serve per un buon Minestrone alla Genovese. 😂😜😂 La diatriba su lardo sì lardo no, battuto d'aglio lardo e prezzemolo o meno, va avanti senza soluzione da anni. La verità è che nell'entroterra ligure, appena si sale sui monti, non è che il basilico viva benissimo, ai primi freddi non c'è più e una volta niente si conosceva di congelatori. L'olio, nelle terre dell' Appennino, era prezioso e recuperato solo attraverso le giovani donne che scendevano in riviera per aiutare nella raccolta delle olive e se ne tornavano a casa con quel poco oro liquido con quale venivano pagate. Quindi in inverno il battuto di lardo sostituiva il pesto, così come non era infrequente la fetta di fungo secco, l' insaporitore nascosto di tutte le ricette liguri. Non mi resta che scrivere un aneddoto personale, quello dove mi si è svelato l'ultimo particolare per un buon minestrone alla genovese, che non è poi così tanto che ho scoperto. In casa il minestrone si è sempre fatto, possibilmente sul fuoco della stufa a legna, o da mia nonna nel rumfò. (qui cosa è il rumfò >>> https://www.lellacanepa.com/single-post/del-rumf%C3%B2-ronf%C3%B2-rumford ) Potrei dire quasi tutte le sere in estate, in campagna, senza stufarsi di mangiarne mai, anzi a fine estate ne facevo quantità importanti, senza pasta, suddiviso in contenitori, veniva conservato in congelatore, per essere tirato fuori e finito con pasta e pesto durante le sere d'inverno. Improvvisamente non mi è più riuscito di farlo bene, cremoso, spesso, tutt'al più mi veniva una buona minestra di verdura. La stufa era la stessa, stessa la pentola, la verdura del mio orto, ho persino cambiato fontana da dove prendevo l'acqua ... niente... Lo sgomento mi prendeva ogni volta che mi accingevo a farlo. Poi una sera mi fermo a cena da un'amica, la cui mamma è una vera cuciniera genovese, la Angiuletta di Borzone, 87 anni, di quel tempo dove nella famiglie di otto figli era minestra tutte le sere, della quale ho pubblicato già un breve video su I Ripieni https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/06/27/i-ripieni e finalmente riassaporo il minestrone che facevo anche io una volta. Urge un ripasso con l'Angela, perché da qualche parte qualcosa di sbagliato facevo, e inconsapevolmente. Così prendo appuntamento per un martedì pomeriggio e con qualche verdura mia e qualche verdura sua ci accingiamo a farlo assieme, ma soprattutto per spiare ogni sua mossa. Intanto di tutta la verdura che avevamo, ribadisco come dicevo sopra, ne ha usato la metà, continuava con: -mênu, mênu, ghe n'emmu za missu basta - Poi, la svolta. Io, come mi ero messa a fare negli ultimi anni, in preda forse a una esaltazione da pseudocuoca esperta, ho iniziato a tagliare tutto a quadretti precisi, il più possibile uguali, addirittura a casa usavo la quadrettatrice, la Angiuletta mi ha guardato con sdegno e mi ha detto: - Ma nuu, se ti fé coscì, i nu se desfan mai ciù, lasciali pure a tocchi grossi - Ecco fatto, ecco il segreto, la mia mania di fare tutti i pezzettini uguali a quadratini, faceva sì che la verdura non si sfaldasse nell'acqua mai più, non permettendo al minestrone di diventare spesso e cremoso. I tagli invece grossi approssimati, veloci, d'altra parte le donne avevano altro da fare che tutti i giorni i quadretti nella verdura, permettono che questa si sciolga quasi subito, con il bollore forte, e che tutto divenga più digeribile poi con la cottura lunga e moderata . Alla "sbritte sbra-ita" avrebbe detto mia nonna, locuzione dialettale per significare velocemente, come viene. Ancora un ricordo, le sere di fine estate, al Maggiolo, sotto la teppia di uva fragola, sul tavolo rotondo che ho io adesso sul terrazzino, i miei zii alzavano una mano, raccoglievano un grappolo maturo e lo spappolavano nel piatto di minestrone, usanze che nessuno fa più ... Anche questo post, rileggendo, mi sembra un minestrone di parole, di solito cerco di semplificare e scrivere meno possibile. Mi dilungo ancora un attimo per ricordare a chi lo sa o informare chi non lo sa, che nella mia collezione di Ricette In(F)avolate una delle più carine (a detta di chi le ha ascoltate) è quella della FESTA MINESTRA, appunto dove si narra del minestrone. Da qualche tempo potete scaricarne e ascoltarne alcune, lette da me, con una piccolissima donazione all'Associazione, a questo link: https://www.lellacanepa.com/ricette-infavolate Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- PANE...profumo di pane...😋
Il fuoco in terra fra quattro pietre è certamente il più antico metodo di cottura; è arrivato quasi ai tempi nostri, qui nelle campagne dell’Appennino, grazie al modello di cucina con il fuoco a terra al centro della stanza. Questa era una costruzione a parte, con delle aperture in alto che costituivano il tiraggio quasi come un enorme camino, dove all'interno sopra il fuoco su di un soffitto a mo' di grigliato si permetteva alle castagne ed al granoturco di seccare; questi ultimi hanno rappresentato fino a poche decine di anni fa il principale sostentamento della gente di queste campagne. Al soffitto veniva attaccata una catena che reggeva un paiolo per cucinare alla bisogna o anche il forno a campana (chiamato qui da noi "u testo"); originariamente di terracotta e più recentemente di ghisa, quando caldo al punto giusto e spazzate le ceneri, si metteva il pane o qualsiasi pietanza si dovesse cuocere, come in un forno. LA RICETTA La ricetta del pane è semplice, la quantità di farina elevata perché si faceva una volta la settimana, ma anche in proporzione con il diametro della campana, sotto la quale sarebbe stato più difficile cuocere un pane di dimensioni inferiori. Facili e banali gli ingredienti : 2 kg di farina, possibilmente integrale, impastata con 50 gr. di lievito di birra sciolto in acqua tiepida. La quantità di acqua varia tantissimo secondo il tipo di farina, ma anche in base all’umidità della giornata. Una volta si usava "u levau", la pasta madre che tutti conservavano tra un impasto e l'altro, e per fortuna oggi si riscoprono le qualità di questo antico lievito. E’ preferibile non mettere subito il sale ma iniziare ad impastare un pochino prima di aggiungerlo. Con questo metodo è necessario possedere "la livea”, un grande tagliere di legno leggero, rotondo e con il manico. dove, disposte ordinatamente le foglie di castagno che assolvono alla stessa funzione di una "teglia", viene posata la pagnotta a lievitare. Per mantenere la forma di questa occorre un anello di legno, “la sgarbia” dentro alla quale viene infilata, con l’accortezza di tirare su le foglie quasi a coprirla. Lasciata a lievitare fino a che non sembra raddoppiata, si prepara il fuoco, qui sta la vera maestria nel sapere a tempo dovuto accendere il fuoco perché la campana si riscaldi a dovere. Questa è una cosa che si impara solo con la pratica. Basta un fascio di stecchi ben secchi e in genere la campana di ghisa si comporta come la volta di un forno classico da pizzeria; prima con il calore diventa rossa e poi bianca e a questo punto si spazzano le ceneri e con un movimento secco e preciso, si fa scivolare dalla livea il pane lievitato nel centro del focolare si toglie la sgarbia e si copre con il testo caldo e si ricopre questo con le braci calde. Aspettata circa un’oretta, quando si sente sprigionare un profumo intenso di pane si spazzano le ceneri, si tira fuori la pagnotta cotta, si ripulisce bene dalle foglie ormai bruciate. La vista e il profumo di un pane appena cotto, ha un fascino romantico che trascende qualsiasi altra riuscita culinaria. (Elisabeth Luard) Nella mia felice permanenza nel Tarantino ho scoperto che in Puglia, è ancora in uso una versione simile, data la presenza in quasi tutte le case di un camino. E’ un tipo molto più leggero, di lamiera, di costo contenuto e di facile acquisto nei mercati settimanali del Salento e qui chiamato “u tempagnu”. Più veloce da utilizzare perché non serve scaldarlo prima ma basta ricoprirlo di braci ardenti e si scalda subito; anche per questo serve la pratica e non la grammatica… ma appena si sprigiona un intenso profumo... A questo link i consigli per la raccolta delle foglie di castagno da usare tutto l'inverno https://www.lellacanepa.com/single-post/2017/12/03/sua-maest%C3%A0-il-castagno-non-si-butta-via-niente-tantomeno-le-foglie Qui un'altra ricetta sotto il testo https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/01/21/torta-di-riso-finita-e-allora-rifacciamola Un'altra ricetta con le foglie https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/01/09/castagnaccio-dolce-o-salato Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze appassionanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LA TIFA
Da anni non mi riusciva di trovarne, da quando nata spontanea in una pozza acquitrinosa, qualcuno pensò bene di riempire di terra, facendo sparire questa pianta così bella. Conosciuta come pianta ornamentale dagli anni '60-70 con i suoi cilindri marrone scuro che facevano bella mostra in composizioni secche insieme a lunaria, erbe della pampas ed altro, in "sala" fra divano e televisione, in molte se non tutte le case italiana. Poi le mode cambiano. Ma che ci fa un articolo su di lei qui? perché anche questa è un'erba commestibile! Quante cose dimenticate o mai sapute! Il nome Typha latifolia, la più comune in tutta Italia, più o meno significa giunco di palude, perché dell'acqua ha bisogno per vivere, e come giunco veniva usata la sua larga foglia per intrecciare, specialmente le vesti di fiaschi e damigiane, famosi i fiaschi toscani e le fiascaie, le donne alle quali era affidata la lavorazione della così detta in Toscana, stiancia. storia del fiasco qui>>>https://www.florencecity.it/storia-del-fiasco/ museo del vino qui>>>https://www.comune.rufina.fi.it/museo-della-vite-e-del-vino Ma anche corde e ceste, e fibra tessile, interessante documento sulla lavorazione della pavira, così invece è chiamata in Romagna, qui >>>, dove potete vedere i manufatti di Villanova di Bagnacavallo che arrivarono all' Esposizione di Parigi del 1900 con scarpe, borse, e anche abiti. Le sue infiorescenze femminili marroni fatte bruciare pare tengano lontane le zanzare, senza contare che cosparse di grasso venivano usate come torce, o secche come accendifuoco e per così dire "spiumate" come imbottitura di basti, selle e oggetti di mascalcia, ma pure le ferrovie dello Stato imbottivano i sedili di prima classe, e quindi materassi, cuscini, ecc. Pianta importantissima per l'ecosistema, usate come fitodepurante delle acque. In Africa per produrre un carbone vegetale, su You tube si trovano decine di video. In Sud America per intrecciare canoe, con l'usatissima totora, Schoenoplectus californicus, come le imbarcazioni in papiro degli antichi Egizi. https://cultura.ilfilo.net/13712/ E poi appunto, pianta edule, tutte le sue parti sono commestibili. Tracce di farina di rizoma di Typha datate più di 30000 anni fa sono state trovate a Bilancino in Toscana e ripresentate all'Expo 2015 come la prima farina prodotta dall'uomo (articolo qui>>>) I germogli vengono consumati come asparagi, le giovani foglie crude in insalata e cotte come verdura, addirittura il polline dorato dei fiori maschili, prima delle spighe marroni, dal sapore dolce, può essere usato insieme ad altre farine per fare dolci, i pasticceri di una volta lo usavano come zucchero a velo. Come altre erbe esistono diverse varietà di Typha, alcune sono protette a livello regionale o nazionale, questa che ho trovato, forse Typha angustifolia, troppo sulla strada per provare ad usarla in cucina, ma mi faceva piacere lo stesso dedicarle un articolo nella speranza di ritrovarla altrove e provare a consumarla. Al di là dell'uso strettamente commestibile, che ritengo sempre legato al posto dove si viveva, "quello ho, quello mangio", penso sempre a come questo nostro progresso e questa pretesa evoluzione ci abbia fatto perdere tanta manualità in un mondo dove tutto aveva un senso e tutto quello che veniva usato ritornava tranquillamente alla natura, certamente con una fatica fisica superiore, ma non mi sembra che abbiamo guadagnato in serenità e tranquillità... ... l'ini sto, Poggio mio, 'n una casaccia, non è però maggior che si bisogni : e Cristo me la tien pinza di sogni d'arcolai ceppi fìaschi sporte e stiaccia. Messer Matteo a Iacopo Poggi 1884 Aggiornamento 30 luglio 2021 Per fortuna qualcuno ci sta ripensando e quest'anno è stato organizzato un corso per il recupero dell'intreccio della Tifa, purtroppo troppo lontano da me, ma non si sa mai... Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- "IN SCIÂ CIÀPPA ..."
... «Sovra quella poi t'aggrappa; ma tenta pria s'è tal ch'ella ti reggia». Non era via da vestito di cappa, ché noi a pena, ei lieve e io sospinto, potavam sù montar di chiappa in chiappa. La Divina Commedia, Inferno, canto XXIV. Con un titolo del genere sarà questo uno di quei post introvabili su Google, di quelli che non rispettano nessuna delle regole affinché sia facilmente individuabile in quella ricerca globalizzata che è la ragnatela del web, tanto gli sarà sconosciuta la terminologia "in sciâ ciappa", ma tant'è come mai avrei potuto scrivere altrimenti? "Cottura alla piastra"? no ... "barbecue su lastra di pietra"? ma direi no ... La traduzione letterale "sulla chiappa" induce al fraintendimento...😜 "In sciâ ciàppa" è uno di quei termini che descrive un mondo o forse anche più di uno, un sentimento, un modo di essere che per capirlo bisogna essere liguri dentro. Partendo dalla traduzione di "ciàppa" che già è complicata di suo, letteralmente forse lastra, solitamente di pietra, perché può essere anche di marmo, quella delle pescherie di una volta per esempio, di solito si intende di pietra di Lavagna, un' ardesia storicamente estratta dalle cave nella riviera ligure del Tigullio e nella Val Fontanabuona, resistente agli agenti atmosferici e quindi usata tantissimo per i tetti, ma anche pavimenti e scale o facciate, un "schisto", cioè una pietra che si divide, si sciappa appunto. Muretti, case, chiese, tutto è più o meno fatto in Liguria, con questa pietra, ed inoltre erano le donne "Le Portatrici di Ardesia" che con in testa una lastra di circa 7 rubbi , quasi 60kg, scalze, filando, scendevano un dislivello di circa 500mt. dalle cave al mare, dove c'erano i leudi che aspettavano per portare le ciàppe in tutto il mondo. Più informazioni su questa pietra, foto, ecc. qui>> http://www.rotarygolfodigenova.org/pubblicazioni/ardesia.pdf Un uso antico come l'uomo qui nel Tigullio dove sono state rinvenute in una necropoli, a Chiavari, tombe a cassetta costruite con ardesia datate VIII - VII secolo prima di Cristo. Sì, giusto Gesù Cristo, che disse a Pietro: - tu sei Pietro e su questa pietra ... - no, pare di no, se lo disse, sembra disse: - tu sei chiapas, ... - che forse in aramaico significa pietra. Credibile, visto che la nostra lingua (il genovese non è un dialetto) ha molti termini di provenienza aramaica. Potrei mai dare la fonte di questa notizia? lascio al vostro buon cuore credermi, essendo curiosità che chissà quando e dove ho letto o sentito o chi me l'ha detta, anzi se qualcuno ha riferimenti certi che confermano o meno, gliene sarò grata. Ne fece uso anche Dante, nell'Inferno, ... potavam sù montar di chiappa in chiappa, non sarà poi tutta colpa mia se Google non capisce facilmente in sciâ ciàppa" 😜. Dante è certo. Ma cosa si fa più di tutto qui, in sa ciàppa? si cuoce, l'alimento a diretto contatto . Un metodo di cottura che non è solo cosa ligure, è antichissimo, primordiale, solo che qui è andato avanti nei secoli, senza mutamenti, e il segreto è che la ciappa conferisce un particolare gusto al cibo, una cottura omogenea, un sapore unico. Non preparate a un ligure, specie del Tigullio, un barbecue alla brace, una grigliata sulla carbonella, si metterà a piangere. Tuttavia la lastra di pietra giusta per cuocere non è nemmeno l'ardesia vera e propria, ma quella di qui, dove il monte che ho di fianco a casa si chiama appunto Monte Chiappozzo, Ciàppozzu. Monte dove i Ciàppain andavano a procurarsi, spaccando, le lastre per fare i nostri tetti, le ciàppe, e si vede dalla foto sopra come non fosse difficile trovarne da lavorare. "Si tratta di un "calcare palombino" roccia sedimentaria calcarea con una percentuale di silice che stranamente si spacca a lastre invece che a conca, per il tipo di mutazione a compressione che ha subito" cito testualmente le parole di un amico geologo, al quale mentre me lo spiegava ho annuito come se capissi, mentre "l'ardesia è sempre una roccia sedimentaria metamorfica la quale si spacca a lastre per la trasformazione subita in seguito a forti pressioni" ... fate conto che non so nemmeno se ho scritto giusto, ma è solo per dire che sono due cose diverse. Per chiarire ulteriormente non ha niente a che fare con la pietra Ollare, con la losa valdostana, la pietra Serena, ecc. ecc. Chi non trova questa si accontenta di cuocere sull'ardesia, ma non è cosa giusta, corre il rischio di ritrovarsi in bocca sfaldature della pietra, si spacca con più facilità, ecc. ecc. Ora sono giustamente proibiti fuochi liberi in estate, una volta si faceva il tradizionale picnic nei prati o una qualsiasi riunione di amici, Pasquetta, il primo maggio, 25 aprile, sempre il ferragosto, con una bella ciàppa di carne o pesce. Due grosse pietre, la lastra posta sopra, ben lavata, magari con acqua e aceto, un fuoco di legna acceso sotto, all'inizio moderatamente, fino a portare a calore la pietra, che via via sarà unta, se si intende cuocere carne, con un bel pezzo di grasso, tenuto con uno sticco di rosmarino o di alloro, che rimarrà lì, da parte per essere poi ogni tanto passato ad ingrassare. Altrimenti olio. Una volta calda, basta provare con la mano, la brace sotto tenuta accesa, sopra si mette quello che si vuole. Prima verdura, cipolle, zucchine a fette, melanzane, ma anche pomodori a metà. Poi belle fette di carne, di solito controfiletto, tagliato del giusto spessore, non troppo spesso e non sottile, braciole di maiale, costine, pezzi di pollo messi a marinare qualche ora prima in vino bianco o succo di limone e aromi, spezie varie, le salsicce non possono mancare, ma anche spiedini, arrosticini ... Ora va di moda la "tagliata" o la "picanha"... Altrimenti moscardini, gamberoni, orate, piccoli polpi, tonno, ecc... Il tonno dopo una breve marinatura, viene passato nel pan grattato, prima di essere messo a cuocere. Qui, che il pesce lo vendevano ai ristoranti, quando eravamo ingenui di tutto e forse ci bastava poco per essere felici, ciàppe piene di sarde, pesce economicissimo, che non va assolutamente pulito, eviscerato, per questo tipo di cottura, ma semplicemente posato sopra a cuocere. In riva al mare, in spiaggia, di sera, mentre il sole tramontava, e lo sciabordio era il sottofondo di tante risate e sogni. Ora, proibito tutto ciò, ci si organizza diversamente. Si mette la pietra su una griglia elettrica, su un barbecue a gas, così si controlla anche meglio la temperatura e si può anche fare sul terrazzo, perde un po' di magia, ma il gusto resta. Dove reperire la ciàppa? Non saprei dire dove esista la stessa pietra, quindi necessario venire in Liguria, in questa valle e battere questa campagna, chiedere di qualche tetto andato giù, di qualche ristrutturazione avvenuta da poco, stringere amicizie con qualcuno che sa e che ha. A me le rubano regolarmente. Quando finiranno i vecchi ruderi, i tetti caduti, sarà difficile trovarne, sul monte non va più nessuno a spaccar pietre. Non ne basta una, spesso si rompe per il calore, farci fuoco è cosa da esperti, una griglia sotto è consigliata comunque, con un po' di attenzione si impara a mantenere il giusto calore. Che dire? provare per credere ... venire per assaggiare. Post da condividere tra gli amici, ovviamente, altrimenti chi lo trova? In sciâ ciàppa da töa ... In sciâ ciàppa do barcón ... In sciâ ciàppa do lêugo ... ... vanni a da du cu in sciâ ciàppa ... ...e sótta a ciàppa cómme in picétto ... Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- I RIPIENI
Post veloce di stagione. Finalmente estate. Finalmente ripieni. Ripieni alla ligure, ovviamente. Poche cose come una teglia di ripieni fanno estate, caldo, scampagnate, picnic, ma anche "me ne porto due al mare". Ora si usano tanto come antipasto, o per accompagnare aperitivi sostenuti. Anche se per farli si deve accendere il forno in quello che dovrebbe essere il periodo più torrido dell'anno. Nell'orto le piante di zucchine gridano "raccoglimi", zucchine anche quelle solo della qualità detta genovese o al massimo la zucchina di Sarzana, e cioè chiare, dolci, morbide, dal gusto completamente diverso da quelle scure che io non prendo mai nemmeno in considerazione ( a parte che non credo di aver mai comperato una zucchina in vita mia), le guardo con commiserazione nei banchi di verdura dei supermercati e mi chiedo ma coloro che le comperano hanno mai assaggiato una zucchina verde chiaro ligure? Scusate la divagazione patriottico campanilista, dunque zucchine possibilmente tutte uguali, della misura diciamo più o meno di manico di scopa, perchè si possano tagliare a metà e scavare per essere riempite. Il procedimento che seguo io è quello di spuntarle, tagliarle a metà da crude e metterle in una pentola di acqua bollente e farle cuocere pochi minuti, quel tanto che permetta di scavarle. Insieme alle cipolle, ovviamente, bianche, piccole, anche loro tagliate a metà Una volta cotte le tolgo con la schiumarola e una ad una le scavo con il levatorsoli, raccogliendo l'interno in una terrina. Le cipolle le sfoglio semplicemente. A questo, dopo aver tritato la polpa ottenuta, i pezzi di cipolla avanzati, aggiungo uova, formaggio, parmigiano, l'immancabile maggiorana, per ammorbidire al punto giusto pane ammollato nel latte, se volete un poco di mortadella, ma sono buoni anche senza, sale. Niente carne, non serve. Difficile dare le quantità, i primi tempi o mi avanzava qualche zucchino o mi avanzava un po' di ripieno. Per ovviare ho imparato a riempirli con il sac à poche, con la bocchetta larga rigata, una volta vuotati tutti li sistemo in una teglia, coperto il fondo di patate tagliate a fette, appena spruzzate di olio e di sale, e così riesco meglio a dosare. Per questo il ripieno usato deve essere omogeneo e tritato bene perché nessun pezzetto ostacoli l'uscita dalla bocchetta. Riempiti tutti, un giro d'olio, un poco di origano, una spruzzata di parmigiano sopra e inforno a180° fino a doratura. Felicità. Più in là, nel tempo, verso luglio, le melanzane, anche quelle piccole, genovesi, con il picciolo per poterle prendere fra due dita e passarle in bocca come un finger food ante litteram. Vi saprò dire. Così preparati, possono essere congelati prima della cottura, per essere tirati fuori quando prende prorompente la voglia d'estate, passati in forno direttamente senza scongelare, ci troveremo dentro per un attimo, il profumo, i colori e i sapori dell'estate perduta. Aggiornamento post: Agosto, finalmente riesco a riempire due melanzane stesso procedimento, non ripeto, per svuotarle questa volta lo scavino rotondo stesso ripieno, se negli zucchini ci può stare qualcosa tipo mortadella nelle melanzane, garantisco sono meglio senza, meglio abbondare con pane e latte e formaggio nel caso. Bella e buona la teglia mista... ma anche solo melanzane, tutte uguali é un bel vedere e un buon godere LUGLIO 2021: La Angiuletta: Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. ,Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.
- PASTA DORATA AI FIORI DI ZUCCA
Monotematica in questi giorni, altro non mi ritrovo per casa che zucchine e fiori di zucchine, e se anche voi siete nella mia stessa situazione, ben venga qualsiasi ricetta che serva a mistificarne l'aspetto e il gusto con un risultato eccellente per sapore. Così, dopo dopo i Ripieni (qui>>>) e gli Zucchini sott'olio (qui>>>) questa ricetta non mia, carpita al ristorante dell' Albergo Amici di Varese Ligure, e mai più abbandonata, richiesta da amici e parenti che vengono a trovarmi quasi apposta in questo periodo sperando che io la metta in tavola. Velocissima, il tempo di cuocere la pasta, specie se si cuociono i fiori prima. Dunque servono i fiori di zucchina, vanno bene anche quelli che si sono appena chiusi, per la quantità ci si regola con la quantità di pasta che si deve condire. Lavati, privati del pistillo interno e messi a cuocere a vapore nella pentola a pressione per un cinque minuti. Al fischio, abbasso la fiamma al minimo, passati cinque minuti, chiudo e lascio raffreddare dentro la pentola. Per chi non è pratico di pentole a pressione credo sia lo stesso bollirli in pochissima acqua, sempre a vapore, fino a che non sono teneri, teneri. Una volta cotti li trito sommariamente con la mezzaluna. Nel frattempo avevo messo a scaldare a bagnomaria una quantità di mascarpone che basti a condire la dose di pasta che farò cuocere, poco diluito con poca panna liquida o anche solo latte, per alleggerire. Quando il mascarpone è caldo aggiungo i fiori di zucchina bolliti e tritati, insieme a una bustina o più di zafferano ( la quantità di zafferano cambia a gusto e a quantità del mascarpone) e lascio insaporire dentro, sempre a bagnomaria, il tempo di cottura della pasta, che può essere mezze penne o casarecce, fusilli ecc. Viene bene anche con della pasta fresca, tagliatelle o tagliolini, appena cotta condisco nel piatto di portata e aggiungo parmigiano grattugiato, a piacere. È possibile aggiungere anche qualche pezzetto di zucchino piccolissimo fatto cuocere insieme ai fiori. Con la sovrabbondanza di questi giorni faccio scorta nel congelatore di fiori interi già cotti e porzionati pronti da mettere nel mascarpone caldo. Posso solo aggiungere di provare. Provare per credere. Vorrei poter dire quanto si conserva in frigorifero questa delicato condimento, sicuramente qualche giorno ... ma chi è mai riuscito a conservarlo? Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.
- LA PORTULACA OVUNQUE
Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono, donne, ragazzi, vecchi, fanciulle ... Ho scritto "Portulaca ovunque" perché ovunque se ne sente parlare, appena si nominano erbe selvatiche, subito qualcuno interloquisce: "la portulaca che buona! tu la mangi? la portulaca ha gli omega3 ... ecc. ecc. Alla fine ovunque è anche qui, nel mio blog dove mi sembrava giusto parlarne, a mio modo come sempre, anche se non ho mai capito quando e perché è cominciato il delirio per questa pianta. Al nord nessuno la conosceva fino a qualche tempo fa, un po' come la rucola che ce la siamo ritrovata in tutti i piatti mentre prima la schifavamo quasi. Al centro e al sud invece era conosciuta da tempo e con i nomi più diversi da sempre mangiata, poi con i cambiamenti climatici la stiamo ritrovando come infestante anche al nord, persino nei vasi sul terrazzo. Come per altre erbe, qualcuno ha riscoperto le sue innumerevoli proprietà, spingendo soprattutto su questi famosi Omega3, grassi polinsaturi che così tanto fanno bene, come se fosse l'unico vegetale ad averli. Non ho le competenze per discutere sui riconosciuti benefici di questi grassi, vorrei solo ricordare come le popolazioni lontane dal mare, queste ultime potevano avere il giusto apporto dei detti grassi dai pesci e dalle alghe, hanno sempre mangiato per esempio Semi di lino (qui >>>Del lino dei semi e delle loro virtù) o il tanto invece disprezzato olio di colza. Tutto ciò non per sottovalutare la tanto amata Portulaca, ma per dimostrare come è facile, se non si approfondisce, farci credere un po' quello che ci si vuole far credere. Tanto da omettere quasi sempre che l'erba in questione ha anche qualche controindicazione e cioè la presenza importante di ossalati che la sconsigliano vivamente a chi soffre di calcoli renali ed è scientificamente provato inibiscano l'assorbimento di calcio e magnesio da parte dell'intestino. Sempre perché la verità è quella che tutto, ma proprio tutto va assunto con la giusta dose, e non sull'onda di mode o simili, tipo precipitarsi a mangiare portulaca tutti i giorni "perché ho sentito dire che ha gli omega3". Tanti altri vegetali li hanno. Regolarmente venduta a mazzi sui mercati specie del Nord Europa, dove non è ancora così infestante, quest'erba è conosciuta e mangiata in tutto il mondo da sempre, per il suo sapore acidulino, fresco, fra il dolce e il salato, qualche volta leggermente pungente, che può piacere o meno. Spesso cruda, in insalate miste, ma la moda adesso suggerisce zuppe e cotture che secondo me già tolgono abbastanza delle famose proprietà. Visto che si trova senza difficoltà in abbondanza, l'aggiunta classica a dei pomodorini, con o meno cipollina fresca, su una galletta genovese, se non meglio friselle, specie la volta che non si ha insalata, piace anche a me. Qualcuno ci fa un pesto, per quanto mi riguarda ho sempre pensato che con pinoli, olio e aglio sia facile far diventare appetibile molte cose. Non ho ricette da mettere cotta. So che si può mettere sott'olio con lo stesso procedimento di altri ortaggi e che viene venduta così confezionata anche a prezzo alto. Proverò per capire, bollita in vino bianco e aceto con un chiodo di garofano, lasciata asciugare e poi coperta di olio, chissà che non mi convinca nei duri e freddi inverni. Il riconoscimento è facile, l'aspetto strisciante, incontrollato, tanto che gli Arabi la chiamavano "pianta pazza", spesso in mezzo alle piante di pomodori, nell'orto resistente a qualsiasi forma manuale di diserbo. Le foglioline piccole, grasse, carnose, verde chiaro, ricche di acqua, per questo resistentissima anche alla siccità, una delle poche vegetazioni che si ritrovano verdi anche in pieno solleone, specie nelle regioni mediterranee. Un' erba che proprio per questa sua caratteristica serviva a nutrire uomini e animali nelle lunghe e calde estati del sud, e quindi si ritrova facilmente in piatti greci, nella cucina cretese, nel sud della Francia, ma anche in Argentina, ecc. Il fiorellino di quella selvatica piccolo e insignificante di colore giallo. Una curiosità sul nome Portulaca oleracea, la specie più comune, oleracea significa più o meno ortaggio, invece portulaca sarebbe da "piccola porta", per il curioso aspetto della capsula che contiene i semi, che si apre come un piccolo scrigno. I tanti nomi popolari Porchiacca, Purcacc, ‘Mbrucacchia, Purchiadedda, forse derivano dal fatto che è un'erba grassa, o che era cercata dai maiali, mentre al nord è più facile trovarla con il nome di Porcellana per la sua consistenza e il suo aspetto liscio, verde e rigoglioso, quasi lucido, mentre intorno è tutto secco. Come per altre piante comuni sono state selezionate specie ornamentali resistenti al caldo e alla siccità, per i giardini, con fiori grandi semplici o doppi, di colori diversi, che si possono trovare in tutti i garden. Chissà se anche quella ornamentale è commestibile? non ho trovato notizie al riguardo, certamente gli eventuali trattamenti per piante fiorite da giardino ne sconsigliano l'uso alimentare Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>











