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- CHE FICO!
amîgo amîgo ma chinn-a zu da o fîgo* Anche questa estate sta finendo, finiscono le vacanze e si torna alle attività comuni. Chi torna al lavoro, chi a scuola, chi torna a scrivere post. È stata un'estate con qualche intoppo, due cadute ravvicinate con conseguente rallentamento, una specie di riordino della cucina, che ha fatto sì che per il momento abbia ancora disordine ovunque, qualche evento che si è rivelato faticosissimo. Insomma, se non ad altro, questa estate è servita a farmi capire che ormai i tempi di preparazione e di ripresa per il mio fisico sono diventati molto più lunghi, a volte mi sembra vadano per l'eternità. Ritorno al blog per parlare del fico, dei suoi frutti dolcissimi e delle sue foglie delle quali ho scoperto solo tardi le innumerevoli proprietà. Non sono ingorda di questo frutto, me ne basta uno al giorno, possibilmente raccolto dall'albero e mangiato subito, e non amo trasformarlo, se non come fichi secchi, ma qui è difficile riuscire a farli bene. - Fico di Bacoli nato e cresciuto alla rovescia - -foto dal web- È un albero delle zone mediterranee calde, e propri al sud ho imparato a mangiare i Fioroni, i primi fichi, dalla lenta maturazione pronti a giugno. Ne esistono diverse varietà, neri, rossi, verdi, bianchi... Pianta citata più volte nei testi antichi tanto era diffusa ovunque e pare sia la prima coltivata dall'uomo, forse grazie alla sua facilità di adattamento ai terreni aridi e a tutte le situazioni più difficili. Famoso è il Fico di Bacoli, cresciuto alla rovescia. È l'albero della conoscenza, chi non sa di "Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture." Genesi 3,7-8, fino alla maledizione scagliata da Gesù che trovatolo senza frutti lo seccò all'istante., Matteo 21,18-22. Non è certo invece che Giuda si sia davvero impiccato ad un albero di Fico, anzi nemmeno che si sia davvero impiccato, nella tradizione si raccontava questo a noi bambini per ricordarci di non arrampicarsi, perché albero traditore vista la facilità del legno fragile e tenero di spaccarsi di colpo. Se tu vuoi cacciare un amico fai il fuoco con legna di fico, se hai un amico vero fai il fuoco con legno di pero. È l'albero sotto al quale vennero allattati Romolo e Remo, ed è da allora che si regalano fichi secchi a fine anno come bene auguranti portatori di fecondità e ricchezza. È caro ai Greci come dono di Dioniso e Demetra agli uomini, e si racconta che fu Polifemo il primo ad usare il lattice di fico per cagliare il formaggio. Sono talmente tante le leggende attorno a questa pianta che impossibile citarle tutte. Mi preme in ultimo ricordare che è fra i pochi alberi a rimanere maschile nel frutto. Il fico produce il fico. Punto. L'arancio fa l'arancia, il pero la pera, il melo la mela, il banano la banana, il fico no, rimane fico anche nel frutto, è meglio. È davvero necessario scrivere perché? il significato della parola al femminile la conosciamo tutti e pare sia in uso da quando nel 421 a.C. viene messa in scena La pace, commedia di Aristofane che chiude con chiare allusioni al frutto del fico come "frutto saporito della sposa", senza tralasciare altri scritti che legano la pianta a Priapo, simbolo dell’istinto sessuale e della forza generativa maschile, quindi anche di fecondità ... e ancor oggi ci si esprime con termine di "è un fico" senza sapere nemmeno più il perché... Cosa farne quindi dei fichi raccolti ieri? Di facile deperibilità, e non potendo mangiarli tutti ho fatto per la prima volta la marmellata. Non erano tanti e per strada avevo raccolto anche delle piccole pere selvatiche quindi ho fatto un misto. Sbucciati i fichi e tagliati , li ho messi in una ciotola con lo stesso peso di zucchero, mentre le perine tagliate a pezzi ad ammorbidire in una pentola con pochissima acqua, quel tanto da poterle passare con l'estrattore, ottenendo una purea che ho aggiunto ai fichi e ho messo a cuocere per ottenere la marmellata. Per le quantità sono andata un po' ad occhio, la purea di pere era la metà del peso dei frutti puliti e per quello ho calcolato lo zucchero solo sul peso dei fichi che dolcissimi avrebbero da soli avuto bisogno di meno zucchero. La marmellata di fichi è tremenda, tende a cristallizzare in fretta, ad attaccarsi e saltare in gocce ustionanti più di qualunque altra, ci vuole attenzione costante e fuoco basso. Visto che non è tra le mie preferite ho aggiunto alla fine delle scaglie di mandorle pelate e un cucchiaio di rum, assolutamente non necessari se si vuole una confettura pura di fichi, così come non servono le pere. Ho fatto ciò per avere qualcosa di diverso da servire con i formaggi, e se devo essere sincera, per il mio gusto, la prossima volta aggiungerò delle noci al posto delle mandorle. Una delle cose che ho imparato già da adulta e non rientrava negli abitudini di casa mia, è l'uso delle foglie di fico. Per tanto tempo non ho nemmeno creduto fossero commestibili, visto le raccomandazioni di stare attenta al lattice ustionante per la pelle, poi il soggiorno al sud mi ha insegnato tante cose. Non solo sono commestibili e quindi usate, previa leggera sbollentatura, per avvolgere alimenti, tipo involtini da cuocere, o fresche come si usano qui quelle di castagno al posto della carta forno, ma anche fasciare formaggi, o qualsiasi cosa si voglia tenere coperta. Come dimenticare la pampanella servita freschissima nelle foglie di fico sulle spiagge tarantine? Ora pare sia proibita, per l'igiene dicono... pur essendo un gratuito vassoio vegetale, assolutamente naturale e più biodegradabile di così! Esattamente come è proibito avvolgere la burrata nelle foglie di asfodelo, che contribuivano a trasferire al prodotto il particolare gusto pungente. Ora, sempre per igiene, abbiamo inventato delle bellissime foglie finte fatte di tre fogli di polietilene... Potrei continuare con le casse di legno per il pesce sostituite da quelle perfette in polistirolo così igieniche, che però... peccato! non permettono lo sgrondo del sangue, per esempio, delle acciughe... ma divagherei troppo. Chissà se un giorno, giusto un attimo prima dell' estinzione di massa, torneremo furbi. Sempre sull'onda dell'entusiasmo di provare a fare qualcosa di nuovo, ieri dopo averne sentito meraviglie mi sono cimentata anche nella produzione dell'olio di foglie di fico. Una piccolissima quantità, facile da fare, solo per provarlo. Basta sminuzzare delle foglie di fico, eliminando le nervature più grandi. Intiepidire a bagno maria olio extra vergine di oliva, senza scaldare troppo, e poi frullare insieme ai pezzi di foglia in un frullatore. Occorre poi filtrare accuratamente, lasciar raffreddare e usare a piacimento per condire pasta, pesce e verdure. È meglio farne poco alla volta e conservarlo in frigo. Per provare ho usato 50gr. di olio con 10gr. di foglie fresche Ma non tutte le ciambelle escono con il buco e mentre stavo filtrando mi è scappato tutto di mano e patatrac! si è rotta la bottiglietta. Non mi è rimasto che assaggiare qui e là, con il dito, si ottiene un condimento molto aromatico, devo rifarlo per provarlo a dovere. Non solo utilizzi banalmente alimentari, ma pare che le foglie di fico usate in infuso, abbiano importanti proprietà terapeutiche, antinfiammatorie e contro la tosse, come regolatrici di trigliceridi e glucosio. Lo stesso olio di cui sopra può essere assunto, un cucchiaino al mattino a digiuno, senza dimenticare i blandi effetti lassativi. Pur essendo propensa ad approfittare quando la natura mette a disposizione, e quindi se dovessi usare una tisana di foglie di fico a scopo terapeutico, preferirei farla tra giugno e luglio, prima dei frutti, quest'anno ne farò seccare una piccola quantità, fosse mai m'avessero a servire nell'inverno. Lavate accuratamente, asciugate, tolto il picciolo e seccate all'ombra. - Foto: van Noort, S. & Rasplus, JY. 2020 - - da pagina Fb di Biologica - Ci sarebbero ancora tante cose da dire, soprattutto a livello botanico, di difficile comprensione per i profani e ancor più difficili da spiegare per me che botanica non sono. Semplificando davvero molto e vi invito ad approfondire nei testi opportuni, quello che pensiamo essere un frutto è in realtà un fiore. E perché questo fiore si trasformi nella goduria che tutti conosciamo ha bisogno di un piccolissimo insetto erroneamente chiamato vespa del fico, Blastophaga psenes, che depone le uova al suo interno impollinandolo. I nuovi nati, i maschi insemineranno le femmine per poi morire all'interno del frutto, le femmine trasmigreranno alla ricerca di un altro fico dove deporre, trasportando anche il polline, che trasformerà il fico in frutto. La sopravvivenza del fico e di questo insetto è così vicendevole che uno non vive senza l'altro. Le piante chiamano questo particolare insetto, che vive grazie al fico e il fico grazie a lui, tramite un segnale chimico riconosciuto solo a loro. Il fico selvatico, o Caprifico, senza il lavoro di questo insetto, produce solo frutti stopposi e non commestibili. Nessuna paura di mangiare insetti quando si mangiano i fichi, sono piccolissimi, e gli enzimi della pianta li dissolvono rapidamente. Ma l'uomo, che vuol sempre metterci del suo, è riuscito ad ottenere varietà domestiche che producono frutti senza questo tipo di impollinazione. Peccato che detti frutti siano sterili. Attualmente le piante di fico sono attaccate da un altro insetto, il punteruolo nero del fico, che sta sterminando le piante di Liguria, Lazio, Toscana, e con impressionante velocità si sta espandendo, tanto che va segnalato se ritrovato sulle piante. Ci sarà da studiare qualche altro elemento per contrastare. - Adulto di Aclees taiwanensis (foto Crea DC) - *amîgo amîgo ma chinn-a zu da o mæ fîgo Amico o non amico scendi dal mio albero di fichi Proverbio genovese Possiamo essere amici finché vuoi ma se c'è di mezzo l'interesse... Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LA VERGA D'ORO 🌿
Quando l'autunno incombe, il sole diventa meno infuocato, i prati qui intorno si riempiono di colore quasi a voler sostituire la luce violenta dell'estate che ci abbandona, è il giallo del Solidago che mi circonda, chiamato Verga d'oro proprio per la tinta dei suoi fiori. Ho pensato a lungo se parlare di questa pianta, per la prima volta una che non ho mai usato. Da qualche anno mi incuriosiva, dopo il taglio del fieno, rivedere queste pannocchie gialle che rallegrano. Mi sono impegnata di buzzo buono e dopo le mie ricerche ho chiesto a un amico che ne sa più di me e mi ha confermato si tratti di Solidago, probabilmente virgaurea. Scrivo così perché pianta molto variabile che molto impegna anche i botanici. Per dirla facile Solidago è anche quel bel fiore, sempre giallo, la canadensis, che si usa nelle composizioni e che messi i suoi tuberi in giardino diventa infestante. Lo vedete in questa foto, tra gerbere e rose, quando mi dilettavo a sistemare i fiori per le cerimonie. Identificata sarebbe finita lì, se non avessi scoperto che è importante pianta dalle mille proprietà. Il suo nome Solidago deriverebbe da solidare rendere sano, rinforzare. Usata dagli antichi erboristi per curare l'apparato urinario, le affezioni della bocca, le diaree dei bambini dovute alla dentizione. Nel Medioevo era molto richiesta per curare le ferite, fino a pagare esorbitanti somme per averla. È pianta tintoria. Sarà questo il primo anno che ne farò un bel mazzo per far seccare le sommità fiorite e vedrò se alla bisogna provarla in tisana. Quindi non sono in grado di dare altre informazioni sugli usi, ma se per caso non sapete dove raccoglierla qui ce n'è molta. È terribilmente somigliante alla Dittrichia viscosa, per fortuna quest'ultima ha un odore penetrante, oltre ad avere le foglie appiccicaticce e nel caso è pianta officinale anche la Dittrichia, una volta chiamata Inula viscosa. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LATTEDOLCE e LATTEBRUSCO
Finalmente in qualche modo ripristinato l'amato computer, vecchio come me, riesco a scrivere il post promesso sul Lattedolce e il Lattebrusco fritto che con gli Stecchi (qui>>>) e i Crocchini (qui>>>) va a rifinire il Fritto misto alla genovese (qui>>>) che oltre a questi tre elementi basilari presenta verdura varia impannata in farina, uovo e pane grattugiato tipo: carciofi (qui>>>) scorzonera(qui>>>), zucchine, una piccola cotoletta di vitello o di petto di pollo o anche maiale. Per quanto mi riguarda e ho visto fare in casa mia non si aggiungono elementi fritti in pastella come fette di mela o altro che ricordano di più il fritto alla piemontese, ma come tutti i misti ognuno ha la ricetta sua. Tornando al Lattedolce, è insieme al Lattebrusco, elemento necessario per definire il piatto tradizionale del fritto in Liguria, di tradizione sia a Natale che a Pasqua. Si tratta di una crema dolce, addensata con farina, tagliata a rombi, impannata e fritta, mentre per Lattebrusco si intende una simil besciamella arricchita di prezzemolo, meno usata ma necessaria per completare il piatto. Occorrono: 80gr. di farina, 50gr. di zucchero, mezzo litro di latte, 3 uova, la scorza di un limone bio. Separare i tuorli dall'albume, dopo aver battuto ben bene i tuorli con lo zucchero con una frustina, incorporo la farina a poco a poco, il latte senza formare grumi, una bella fetta di buccia di limone da togliere poi, o se si preferisce grattugiata. Mettere sul fuoco come una normale crema e mescolare continuamente perché non attacchi, meglio con un cucchiaio di legno (quello tenuto da parte solo per le creme) e lasciar cuocere fino ad addensare per bene. Se questo passaggio risulta difficile si può optare per la cottura a bagnomaria. Ricordare che raffreddando si addensa ulteriormente. Stendere in una pirofila unta, o su un piano di marmo, livellare a circa 2 cm di spessore e far raffreddare. Una volta fredda e rassodata per bene, dopo qualche ora o anche il giorno dopo, tagliare a losanghe passare nell'albume avanzato, leggermente battuto e nel pane grattugiato Non resta che friggere in abbondante olio di arachide. Il procedimento è identico per il Lattebrusco ma con questi ingredienti: latte, farina e uova in uguale proporzione, ma al posto dello zucchero mezza cipolla e qualche gambo di prezzemolo tritati, più 50gr. di burro. Sciolgo il burro con la cipolla e il prezzemolo, senza assolutamente farlo friggere, aggiungo la farina mescolando e il latte e procedo come per una besciamella fino a rassodare per bene. Stendo come per il Lattedolce e raffreddata, questa volta taglio a quadrati per evitare confusione nel piatto, passo nell'albume e nel pane grattugiato e friggo. È possibile se piace, profumare con un poco di noce moscata, ma bisogna fare attenzione a non esagerare, così come alcuni aggiungono aglio o maggiorana. Il delicato equilibrio che si forma nel piatto fra dolce e salato può essere facilmente alterato creando gusti non così piacevoli. Importante ricordarsi di cambiare la forma fra le due creme una a quadrato e una a rombi in modo da potersi riconoscere anche dopo la cottura. Pur se la preparazione può avvenire con due giorni di anticipo e sia creme che stecchi e crocchini possono essere conservati in congelatore per uno o due mesi, la frittura implica il sacrificio di una persona che frigge all'ultimo minuto perché questa risulti calda e croccante. Non salare nulla fino all'ultimo minuto prima di servire perché non ammosci e buon appetito. tra il gatto e la frittura metti una serratura Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- AGOSTO ERBANDO MIO NON TI CONOSCO
Come tutti gli anni mi sono presa un po' di vacanza dal blog. D'altra parte questa è una pagina di erbe e cucina di campagna e con queste estati calde l'erba è secca e in cucina raramente vado oltre frisella e pomodori, pomodori e insalata, potrei eventualmente parlare di Spritz, che non mi faccio mancare mai d'estate 😜😂. Per giunta per qualche tempo non sono riuscita ad accedere alla piattaforma (misteri informatici) . Voglio però aggiornarvi sui prossimi eventi ai quali riuscirò a partecipare, se qualcuno fosse in zona e volesse fare un salto a chiacchierare con me. SABATO 12 AGOSTO 2023 SAN SALVATORE DEI FIESCHI Si rinnovano nella splendida cornice del sagrato della Basilica dei Fieschi le celebrazioni che collegano San Salvatore a Lavagna, entrambe città fliscane. Se a Lavagna il 14 agosto si celebrano tutti gli anni le nozze di Opizzo Fieschi, già nei giorni precedenti a San Salvatore iniziano i festeggiamenti. Sabato 12 a Medioevo nel Borgo una rievocazione storica con arti e mestieri antichi, spettacoli di Falconeria, danze medievali, giullari e sputafuoco, alla sera Sagra e spettacolo teatrale. Ci sarò in veste di Herbaria, quasi strega, con erbe e unguenti e chissà filtri d'amore... DOMENICA 20 AGOSTO SAN PIETRO VARA https://www.facebook.com/profile.php?id=100095296817337 Come tutti gli anni non posso mancare alla fiera di San Pietro Vara, una manifestazione sempre ricca di novità e personaggi. Ci sarò con il gazebo per parlare di erbe e di Corzetti>>> in collaborazione con Alessandra Picetti, per chi vuole vedere gli stampi o provare a fare questa pasta unica. DOMENICA 10 SETTEMBRE 2023 VARESE LIGURE https://www.facebook.com/biodistrettovaldivara Ritorna il VALLE BIO FESTIVAL, evento dedicato alle produzioni bio della Valle e non Saremo lì a parlare come sempre di erbe, il programma è in aggiornamento è possibile qualche novità Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- ALBICOCCHE
... con questo cavalier garbati siate ...d'albicocche e lamponi lui cibiate ... - Sogno di una notte di mezz'estate. W.Shakespeare - È davvero l'anno delle albicocche quest'anno e non resta che approfittarne a piene mani, conservarle come piccoli soli dorati quando l'inverno sarà più buio. Il sapore abbastanza neutro, leggermente acidulo e la versatilità di questo frutto per le conserve ne fa una delle più usate, tanto da aver coniato il termine "Apricottatura" in pasticceria . Precoce, chiamarono i Romani questo dorato frutto, portato da Alessandro Magno dalla Cina, perché già dal secondo anno dà i suoi dorati frutti. Dimenticato poi fino al medioevo quando gli Arabi, traducendo Precoce con Al-berquq, lo diffusero per tutta Europa diventando albaricoque, abricot, aprikose albicocca. Tornando alla pasticceria vale davvero la pena di procurarsene quando ci sono annate abbondanti come questa per fare da sé una preziosa gelatina da usare in tanti modi nei dolci. Per apricottatura si intende lo spalmare gelatina di albicocca su di un dolce prima di passare alla glassa, per rendere la superficie omogenea e liscia. La torta Sacher è l'esempio più eclatante: sotto la glassa di cioccolato c'è uno spessore di gelatina di albicocche e pure nella farcitura . In realtà si può fare con qualsiasi gelatina ma il gusto dell'albicocca è quello che meglio si adegua agli altri. Un altro uso è nella lucidatura delle crostate di frutta, e resta la più usata per farciture di ogni genere. Dunque avuti i frutti, si passa a un veloce lavaggio per eliminare la polvere, poi si dividono in due a togliere il nocciolo. Un breve accenno al nocciolo dell'albicocca, una volta si facevano seccare un po', poi si rompevano e si toglieva l'armellina interna, con retrogusto amaro, utile anche questa per tanti dolci, gli amaretti, e l'amaretto, con la dovuta parsimonia perché contengono, come quasi tutti i semi di frutta, mela, pesca, ecc. amigdalina un composto cianogenico, cioè che produce acido cianidrico, cianuro per dirla semplicemente, e come diceva mia nonna non se ne devono mangiare più di tre. Scrivo questo inciso perché ultimamente proprio i semi della frutta vengono venduti su internet liberamente con molta facilità, perché considerati anti cancro, senza controllo né nella distribuzione né nella somministrazione, pur essendo considerati tossici e pericolosi. Non sono io e non è il mio sito la sede giusta per discutere se sono o non sono utili, di certo sono tossici e quindi io mi affido all'esperienza di una volta, che consigliava di mangiare ogni tanto anche qualche seme di mela e di usare con la dovuta cautela quelli di albicocca nei dolci. La tendenza di oggi di avere tutto a poco costo e nelle quantità desiderate fa purtroppo dimenticare rischi e pericoli. Tornando alla gelatina, tolti i noccioli si mette la frutta in una capace pentola, con poca acqua, quel tanto che la frutta non attacchi e si lascia a bollire a fuoco dolce finché non sia per bene spappolata. Si prende un sacchetto di cotone o lino, tenuto da parte e usato solo per questi scopi, dopo l'uso sciacquato a mano senza detersivi, nel caso solo sapone di marsiglia. Si mettono dentro al sacchetto le albicocche, si appende e si lascia colare per diverse ore, io tutta la notte. Passato il tempo si può premere a mano o con l'uso di un torchio per avere più liquido possibile, si pesa questo liquido ottenuto e si rimette sul fuoco con pari quantità di zucchero, si porta ad ebollizione e si fa cuocere per un'oretta, o meno a secondo della quantità, stando attenti a non far bollire troppo forte per evitare la caramellizzazione dello zucchero, pena la perdita di gusto e profumo della frutta. Un passaggio importante è la schiumatura, appena accenna a scaldarsi e fino a che non bolle è necessario più volte schiumare per avere una gelatina trasparente. Non schiaccio più di tante le albicocche con il torchietto perché le recupero, rimettendole al fuoco con 800gr. di zucchero per chilo di frutta e ottengo una marmellata che pur se non perfetta è sempre utile. Altrimenti aggiungo solo una spolverata di zucchero e le sistemo o in contenitori nel congelatore o in vasetti che faccio poi pastorizzare, per avere una composta da usare come frutta cotta. Questo metodo è solo un recupero, schiacciare la frutta fino a un certo punto serve, altrimenti la gelatina non solidificherà. Un metodo più veloce per conservarle è sciroppate, o meglio al naturale come faccio ormai tutta la frutta, pere, pesche, more, lamponi, ecc. perché più versatili e con meno zucchero. Si tratta semplicemente di sistemare più frutta possibile, sempre senza nocciolo, in arbanelle pulite, con poco zucchero sopra, o se si vuole con uno sciroppo di acqua e zucchero in proporzione 100gr di acqua - 50 di zucchero, chiudere e pastorizzare. Sulla mia idea di pastorizzazione dissi già nel caso delle Pesche Sciroppate (qui>>>) potete leggere come la penso. Per una vera marmellata, dopo averle denocciolate, le taglio a fettine e le metto con 600-800 gr. di zucchero a chilo di frutta tagliata e lascio un'ora o due a macerare. Metto sul fuoco e faccio cuocere fino al quasi totale spappolamento della frutta e fino a che con la prova piattino non ritengo abbia la consistenza giusta. Si possono anche seccare se si possiede un essiccatore, lo dico solo per ricordare che saranno color marrone alla fine, e non come quelle comperate, orribilmente trattate per dar loro il color albicocca. Ancora qualche notizia utile sulla Albicocca: se c'è un frutto che fa bene alla pelle è lei. Ricca di vitamina A, e quindi betacarotene, licopene, utilissimi non fosse altro, per una buona abbronzatura. Spappolarsene qualcuna matura in faccia, massaggiando viso e collo, magari con un po' di yogurt o di argilla bianca, è una maschera meravigliosa per pelli grasse e miste, aggiungerne qualcuna alle Acque Detox (le mie qui >>>) che ora son così di moda, una albicocca frullata con mezza pesca e una nespola tutti i giorni, per avere la pelle liscia, la vista buona e occhi belli. L'Albicocca, tra i frutti, è fra i più attenti alla linea, circa 50 calorie per 100 grammi, è tra quelli permessi per l'iperglicemia e che dire ancora? In una buona erboristeria cercate l'olio di semi di Albicocca, impossibile da riprodurre in casa, per scoprirne tutti gli usi e le proprietà Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- DON SANDRO LAGOMARSINI
Belle sono le cose che si vedono più belle le cose che si sanno ma più belle di tutte sono le cose che non si sanno ancora Niccolò Stenone Don Sandro non è il mio parroco, ma quello di una parrocchia confinante con la mia. Impossibile non averne sentito parlare, nel bene e nel male. Per quanto mi riguarda, come già ebbi a dire, non c'è stata volta che anche pochi minuti insieme a lui, non siano bastati a imparare qualcosa, non fosse che per andare contro. Da lui vado quando voglio diradare le nebbie della mia mente, quando il pensiero comune sta per possedermi, quando mezza parola sua mi aiuta a tirarmi su dall'appiattimento. Definirlo perennemente "in direzione ostinata e contraria" sarebbe ancora un eufemismo, sono ormai famose le sue diatribe, al primo posto quella che porta avanti ormai da 25 anni, anche fisicamente, raggiungendo a piedi le sue chiese per le funzioni, per protestare contro l'amministrazione comunale con la quale contesta la proprietà del sagrato della chiesa di Cassego. La protesta è annunciata a gran voce da striscioni bianchi scritti a mano con il colore rosso, che tutti possono vedere, salendo per la strada provinciale che da Sestri Levante porta a Varese Ligure e su per Cento Croci. https://www.gazzettadiparma.it/home/2022/04/12/news/don-sandro-migliaia-di-chilometri-a-piedi-per-rivendicare-la-proprieta-del-sagrato-638765/ Classe 1940, è arrivato a quasi 25.000 km tutti a piedi e non dimostra davvero la sua età. La sua vita è passata tutta nella frazione di Cassego e la parrocchia di Valletti in Val di Vara da quando, giovane appena ordinato, fu mandato su per farsi le ossa come sacerdote e vi rimase poi per le sue posizioni sempre contrarie. Studente all'Università di Pisa fu il primo nelle contestazioni, organizzatore di un Cineforum dove si proiettavano e si discuteva però di Fellini, Bergman, Pasolini, conversazioni sull'educazione sessuale, e poi contro la Guerra in Vietnam, ed erano gli anni '60. Infine seguace di Don Milani, tanto da fondare nel 1968 lui stesso un doposcuola, sul modello di Barbiana, per i ragazzi, figli di contadini, che non era costume far continuare la scuola, tanto in agricoltura servono le braccia, portandoli a ragguardevoli risultati e facendo conoscere loro "altro". Sempre dalla parte dei considerati diversi, degli emarginati, dei lasciati indietro perché intanto dove vuoi che arrivino. https://www.youtube.com/watch?v=tDfqDi-GOak&t=22s&ab_channel=ScuoladiBarbiana Ancora negli ultimi anni contro la cultura del biologico, contro il pensiero dilagante falso naturalistico che non serve a preservare la montagna e le genti che ci abitano. Don Sandro mi ha insegnato che la natura non ha bisogno dell'uomo, che se l'uomo ci vuole abitare deve vivere in equilibrio con essa e che qualcosa va sacrificato. Che questa nostra poca terra abbarbicata sui monti va tenuta con tanto lavoro fisico manuale, con le strategie semplici dei nostri anziani, che non può dare quello che non ha, ma con rispetto reciproco può restituire molto in pace, serenità, soprattutto pensando a una Liguria più a valle, in riviera, dove l'abbandono di questi monti, l'incuria nelle nostre valli, la trascuratezza dei nostri rivi, arriverà un giorno, e già lo sta dimostrando con i disastri conseguenti alle piogge, alle sempre più frequenti alluvioni, alle calamità che pochi comprendono come partano da più in alto. Senza pensare a grandi progetti di grandi coltivazioni o di grandi allevamenti basterebbe che si aiutassero le poche persone ancora presenti sul territorio a mantenere bene quello che c'è. Organizzatore di cortei di protesta per qualunque bisogno, l'ultimo per la riapertura di una strada franata che per due anni ha aspettato i lavori, con i disagi che ne conseguivano per la popolazione di Valletti. Grande conoscitore di erbe, scrittore di numerosi libri, collaboratore di vari giornali, custodisce un piccolo museo contadino visitabile su prenotazione, dove è un piacere incredibile sentirlo raccontare la storia e l'uso di ogni oggetto. Anni fa mi rese disponibile un locale a Valletti per permettermi l'esposizione della mia piccola mostra sulla vita delle donne, che ha dato poi origine a tutto il progetto del sito e del blog e che ha girato negli anni successivi tutto il Tigullio, con una serie di presenze incredibili, dandomi fiducia, senza voler sapere niente di quello che facevo, liquidandomi con tre parole:- Fai quello che vuoi, basta che non ti serva il mio aiuto, che non c'ho tempo.- Salvo poi supportarmi ogni volta che ce n'è stato bisogno. Negli anni l'ho sentito discutere di qualsiasi argomento, compreso cantare in giapponese una volta che arrivò un gruppo a visitare il museo. Non è facile essere sempre d'accordo con lui, già non è facile riuscire a parlare con lui, nicchia sempre un po', non ha tempo, poche parole, quelle necessarie e poi esci con due libri in mano, un vaso con una pianta importante e un'idea. E nel caso la conversazione si fa più lunga conviene proseguire mentre si va a piedi da qualche parte, così per non perdere tempo. Indelebile nella mia memoria un ricordo personale. Nell' arrovellamento che porta la decisione di separarsi dopo trent'anni di matrimonio, decisi di andare anche da lui per "capirmi", cosa volessi davvero fare. Dopo una sgridata megagalattica su noi ragazze di città che ci innamoravamo degli uomini di campagna senza sapere a cosa andavamo incontro, ancora molto confusa, mi congedai dicendogli :- Vabbè Don Sandro, preghi per noi. - e lui serafico sulla porta: - Sai come si dice? quando chiami il prete ... è per l'estrema unzione ...- Come sempre aveva ragione, e la nebbia si diradò ... - S.Anna - Valletti 2008 Al link per l'approfondimento su di lui, ma in rete si trova di tutto e di più, video, articoli, e i suoi libri. https://www.amegliainforma.it/2021/11/30/don-sandro-lagomarsini-un-saggio-scomodo/ Per il museo contattare la parrocchia di Cassego: 0187 843053 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- DEL TASSO BARBASSO E DEL FUMARE ANTICO
Il tema è talmente delicato e scottante che ho aspettato davvero tanto prima di scriverne. Ma del Tasso Barbasso volevo parlare e far finta di niente ignorando l'argomento non è da me. Questa pianta è stata la prima che ho trovato e riconosciuto da sola, senza che me la mostrasse qualcuno. Ricordo perfettamente la prima volta che l'ho vista, e dove l'ho vista, a me poco più che ragazzina sembrava un albero tanto era alta e con foglie enormi, impossibile non notarla. Tornata e cercata su un libro, incuriosita dal nome dissi in casa: - Ho trovato un Tasso Barbasso! - la prima risposta fu: - sì, sì, bella, si fuma -. Ma tutto rimase lì, senza prosieguo, in casa mia nessuno aveva il vizio del fumo, se non per brevi periodi mio padre la pipa, più come atteggiamento, qualche sigaretta con gli amici anche mia madre, ma la parola "vizio" non era contemplata. Ormai la pianta, con le sue grandi foglie morbide, mi aveva catturato e qualcosa di più negli anni ho cercato di capire. Quest'anno è l'anno giusto per parlarne, ce n'è un'invasione ovunque, chissà perché, forse anche questo è una conseguenza della siccità. Intanto occorre dire che del genere Verbascum esistono diverse piante, più o meno simili, ma sicuramente il Tasso Barbasso, Verbascum thapsus L., è il più appariscente e riconoscibile. Il primo anno, a fine estate, è impossibile non notare la rosetta basale di foglie, che possono diventare enormi, fino a 45 cm, morbide, vellutate, di un verde chiaro simile alla salvia, nei prati incolti, al margine delle strade, anche in terreni poveri. Durerà tutto l'inverno, la prossima primavera, verso aprile, uscirà il lungo stelo del fiore, quasi una colonna, che si riempirà di fiori gialli uno dietro l'altro, della durata di un giorno, sostituiti continuamente da fiori nuovi per tutta l'estate. Nel Tasso barbasso vero e proprio il fiore alto anche più di un metro ha ramificazioni solo verso l'altro, non ha molta importanza per i profani, perché le proprietà e gli usi sono più o meno gli stessi per tutte le varietà, anche se alcune presentano qualche tossicità. I semi sono sempre tossici e la pianta può far male ad alcuni animali. Tanti gli usi e noti da tempi antichi, le grandi foglie per la loro morbidezza hanno rappresentato la carta igienica dei contadini e dei pastori e vale la pena ricordarsene per ogni evenienza improvvisa durante una passeggiata, anche se per l'effetto rubefacente ci si può ritrovare la pelle leggermente arrossata. Le donne di alcuni popoli alle quali era proibito per motivi religiosi il trucco, sfruttavano questo stratagemma sfregando le foglie sulle guance per avere un effetto blush. Così come la piantaggine, sempre le foglie, vengono messe nelle scarpe per alleviare la fatica delle lunghe passeggiate, o per la morbidezza simile a lana per tenere in caldo i piedi. Grazie a proprietà antinfiammatori, l'infuso di fiori e foglie piccole meglio, filtrato benissimo per evitare di ingerire la lanugine che potrebbe essere irritante, serve per il catarro e le malattie respiratorie, e come clistere per risolvere infiammazioni intestinali. Sempre le foglie con un uso esterno, in cataplasma, per la pelle, sia acne che foruncoli o infiammazioni di vario genere, pure emorroidi. I fiori hanno capacità tintorie che vanno dal giallo al verde, l'infuso serviva per ravvivare il colore biondo dei capelli Proprio per la forma lo stelo floreale ha preso il nome di "Candela del Re", a fine fioritura unto con il sego serviva come torcia già ai tempi dei Romani e le foglie seccate per fare gli stoppini delle lampade a olio, Ed ecco qui dal fuoco al fumo. Come espettorante, fluidificante del catarro e antinfiammatorio è una delle erbe fumate, anche per la facilità con la quale si trova. Non potevo passare oltre e ne approfitto per parlare dell'argomento. Ormai erroneamente si ci riferisce al fumo parlando quasi esclusivamente di tabacco e scarse sono le nozioni che si possono trovare su libri di erbe, o anche in internet per i profani come me, su cosa e perché sia stato fumato prima della conoscenza del tabacco in Europa, visto che anche questa pianta l'ha portata Colombo e non certamente perché gli indigeni del continente scoperto ne facevano l'uso che ne facciamo adesso. Senza neppure accennare alla Cannabis, argomento che non desidero affrontare, bisogna sapere che l'uomo in tutto il mondo ha sempre fumato erbe di tutti i tipi. Il fumo veniva usato come medicina per alleviare dolori e fatiche, conciliare il sonno, rilassarsi, o per raggiungere stati di allucinazione varia in cerimonie e quindi spesso riservato ai ricchi o agli officianti delle varie religioni. Celti, Greci, Romani, pare che tutti fumassero qualcosa. Senza arrivare a loro, dei quali non ho esperienza diretta 😜, ho però conosciuto persone non molto più grandi di me che hanno fumato Vitalba, Tasso Barbasso, Lampone, ecc., anche perché il tabacco era caro e in certi periodi, come la guerra, difficile da reperire. - Vecchio ricordo di famiglia di un mio prozio, ritrovato in un cassetto qualche anno fa - - Scatolina portatabacco con tabacco, cartine e tre sigarette Alfa - fine anni '40 - Se il fumo è forse antico come l'uomo pochi sanno che le sigarette hanno meno di 200 anni, la prima pare sia stata fatta con la carta delle munizioni durante un assedio in medio oriente, il successo portò a vere e proprie "fabbriche" di sigarette fatte a mano, con le evidenti contaminazioni di mani e saliva di chi le faceva. Intorno al 1880 venne inventata la macchina per l'arrotolamento e la produzione di sigarette subì un balzo, anche per il minor costo e da lì fu tutto un crescendo, diffondendo a macchia d'olio la dipendenza da tabacco in tutto il mondo. Devo fare una doverosa premessa. FUMARE NON È MAI UNA PRATICA SANA Il fumo aspirato derivante dalla combustione di qualsiasi cosa è sempre dannoso in qualche maniera, ma c'è da aggiungere che per chi fuma è meno dannoso quello di una sigaretta costruita con erbe che non contengono nicotina o altri veleni riconosciuti e che soprattutto non creano dipendenza. Un consumo intelligente suggerisce di usare erbe con qualche proprietà curativa, come il Tasso barbasso, e non con componenti pericolosi come nel caso della Vitalba, fumata ahimè, da tanti contadini fino a dopo la guerra e dannosissima per gli alcaloidi tossici che contiene. Un conoscente, di poco più vecchio di me, qualche anno fa, mi raccontò di come fumando la Vitalba ogni volta stava male ma che quando sei giovane e sei in compagnia fai anche cose senza senso. Uno dei motivi più interessanti del fumare erbe, oltre al valore terapeutico, di disabituare al fumo di tabacco. Attualmente vengono vendute sigarette di erbe varie, con quel preciso scopo, facilmente reperibili su farmacia e internet, con miscele di piante varie, ma ho avuto difficoltà a capire cosa ci sia dentro, o se c'è scritto spesso sono erbe che vengono da lontano. Potevo quindi astenermi dal provare volendo scrivere il post? Il "per sentito dire" non mi piace, così con la complicità di un amico fumatore e le scarse nozioni apprese qui e là ho provato. Pare che per soddisfare le esigenze sia necessario preparare una mistura, come si dice oggi un blend, almeno di tre erbe, dove una funga da vettore, una da aroma e una abbia qualche proprietà più specifica. La mia prova si è indirizzata verso una buona parte di foglie di Lampone, che mi ha confermato un amico erborista aiutino a eliminare l'effetto della nicotina, e sembra strano ma una delle foglie più fumate anche per l'aroma, una di Tasso barbasso per le proprietà antinfiammatorie, un pizzico di Iperico e uno di Artemisia per quelle rilassanti, ma avrei potuto usare Lavanda, Menta, Finocchio, Timo o Rosmarino, Petali di Rosa , Camomilla, non la Salvia che è sempre un'erba che non si sa mai. Le erbe vanno seccate, ma non devono essere troppo secche, nel caso una volta sminuzzate basta una spruzzata di acqua appena appena e poi sistemate dentro una cartina come una normale sigaretta, preferibilmente usando un filtro. Non sarò certo io ad incoraggiarvi ed evitate di chiedermi consigli, non ne ho, oltre a quello che ho scritto. Ripeto, pochissime sono le nozioni che si trovano sull'uso, anche terapeutico, delle sigarette di erbe. Come sempre l'unico vero suggerimento è quello di rivolgersi ad un erborista esperto che certamente avrà nel corso degli studi appreso nozioni scientifiche che io non ho sull'argomento e di non cominciare a fumare per provare, ma solo se questo può essere il mezzo per smettere di fumare tabacco. Sempre è possibile con le stesse erbe creare dei bellissimi Smudge o mazzetti da fumigazione, dei quali avevo già scritto qui: DEL FUMIGARE E DEI MAZZETTI ODOROSI https://www.lellacanepa.com/single-post/2020/07/05/del-fumigare-e-dei-mazzetti-odorosi Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- SAMBUCO
"Verso la fine della cruda stagione quando nel ramo sale la linfa per cui rivive ginestra ed erica e fioriscono i peschi e la rana canta nello stagno e germogliano il salice e il Sambuco, contro la stagione che è secca mi propongo di fare un verso" (Marcabru, trovatore del XII sec.) Non sembra primavera, non sembra maggio, fino a eri pioggia e freddo, rose e sambuco tardano a sbocciare qui da me a 800m, ma bisogna parlarne. Con l'arrivo prossimo del caldo sono sicura che tutto esploderà in un un giorno e allora di corsa a raccogliere... non voglio farmi trovare impreparata. Cominciamo con il Sambuco, il Sambuco nigra L. perché ne esiste un'altra varietà il Sambucus ebulus L., e occorre distinguere le due specie, in quanto tutti e due potenzialmente tossici, ma il Sambucus ebulus, conosciuto con il nome di Ebbio, davvero ha possibilità di avvelenamento severo e da sconsigliare vivamente qualsiasi manipolazione casalinga di questo ultimo di frutti, foglie e fiori. Per quanto riguarda il Sambuco nigra L., è quello che va raccolto e per quello che mi hanno insegnato lascio perdere foglie, corteccia e parti verdi pure di questo, non sapendo bene come trattarlo. Di questo raccolgo i fiori, conosciuti per fare tisane, sciroppi e un particolare vino spumante e i frutti, le bacche nere, ma solo quando sono molto molto mature, così da non avere più presenza di glicosidi cianogenetici che potrebbero far male. sambuco buono ad arbusto con parti legnose Per distinguere la specie più tossica tra le due basta un poco di attenta osservazione: l'Ebbio è una pianta erbacea, che tutti gli anni spunta con fusti verdi diritti alti fino a un metro e mezzo, e dall'odore sgradevole, sambuco ebbio tossico poi, secondo la mia esperienza, fiorisce un poco dopo il Sambuco nigra, quindi quasi impossibile trovarlo insieme, cioè se nello stesso posto ho trovato del Sambuco fiorito a maggio, se ne vedo a luglio non sarà sicuramente Sambuco ma Ebbio. In questa foto alcune piante di Ebbio alla base di una pianta di Sambuco e si riesce a vedere come mentre in basso l'Ebbio è fiorito, il Sambuco più in alto sta già formando le bacche. Le infiorescenze dell' Ebbio sono alla fine dello stelo erbaceo diritto, una o due o tre, e non molto grandi mentre nel Sambuco sono presenti molte infiorescenze grandi fino a 25 - 30 cm di diametro lungo tutto il ramo legnoso. fiori di Sambuco buono lungo lo stelo legnoso l'Ebbio infatti come pianta erbacea, non presenta i fusti legnosi del Sambuco solo parti verdi, inoltre non si innalza alle dimensioni di arbusto e di albero come il Sambuco I fiori presentano delle differenze di colore oltre che nel profumo. Nell'Ebbio, hanno un odore che ricorda le mandorle amare, e sempre del colore rosso purpureo nei fiorellini mentre nel Sambuco sono bianchi e gialli Più facile confondersi con le le bacche nere che si formano caduti i fiori, nel Sambuco ricadono come per il peso, mentre nell'Ebbio stanno ben diritte. Aggiornerò con le foto a fine estate appena matureranno le bacche di entrambi. Fra tutti gli usi che si possono fare con i Fiori, preferisco farli seccare per la Tisana, molto utile in inverno come antinfiammatorio e sudorifero, sono ricchi di bioflavonoidi, e utili persino per il sistema immunitario. Li raccolgo, cerco di eliminare delicatamente eventuali ospiti indesiderati, e li secco all'ombra allargati su un paniere di vimini. Una volta secchi facilmente elimino i tralci verdi e li conservo in un sacchetto di carta, in luogo asciutto, e al presentarsi dei primi freddi li uso nella tisana della sera. Se invece ho tempo e voglia elimino subito le parti verdi tagliando con le forbici, favorendo un essiccamento più veloce. Per chi non ama la tisana e vuol contrastare le malattie influenzali dell'inverno con i fiori freschi preparo queste Caramelle, da conservare in caso di tosse e mal di gola. Dopo aver raccolto una decina di bei grappoli fioriti, li ripulisco dei tralci verdi più grandi e in una ciotola aggiungo due tazze di acqua bollente. Aggiungo pure due cucchiai di semi di lino. Trascorse due ore, filtro, e unisco il doppio di peso di zucchero di canna, più 200gr. circa di miele di eucalipto. Metto sul fuoco basso e lascio cuocere a lungo, con attenzione perché tende a fare schiuma e ad uscire dalla pentola, mescolando e controllando fino a che addensandosi non ottengo una specie di zucchero quasi caramellato. Nel frattempo preparo una sorta di stampo casalingo, ricoprendo il fondo di una teglia di zucchero, in uno spessore di almeno due cm. Con il fondo arrotondato di un qualunque attrezzino formo delle buche dove piano piano faccio scendere con l'auto di un cucchiaio il contenuto caldo della pentola. Trascorsa qualche ora, una volta indurite per bene, le rigiro nello zucchero tolgo l'eccesso di zucchero con l'aiuto di un colino e le sistemo pronte da usare in una scatola al coperto. Si può usare anche il tappetino per i macarons per avere cialde pronte da sciogliere in acqua calda per una buona tazza dolce e emolliente in caso di mal di gola, tosse e influenza. Lo zucchero dove si sono rigirate le caramelle è ovviamente recuperabile, sono comunque caramelle fatte in casa con cottura dello zucchero a istinto, se si fa cuocere troppo poco si scioglieranno e se si fa cuocere troppo sapranno di bruciato e amaro. A ogni buon conto, visto che mi servono per il prossimo inverno le tengo in un sacchetto in congelatore lontano dal caldo estivo e dalle formiche che, abitando in campagna riuscirebbero a trovarle sicuramente. Personalmente non amo le Frittelle con questo fiore, come nemmeno quelle di acacia, mi sembra che il fritto uccida il sapore, più che esaltarlo, ma se voglio aggiungerle a una merenda improvvisata divido il fiore appena raccolto in ombrellini più piccoli, non li lavo, li guardo bene e li scuoto per togliere eventuali ospiti. Uso la mia pastella di sempre, e cioè acqua fredda frizzante e farina autolievitante, o anche no, e albume d'uovo montato a neve. Più è leggera la pastella e meglio è, per non soverchiare il sapore del fiore, basta anche acqua e farina. In questo caso lascio un poco più liquida e appoggio il fiore nella pastella da dietro e mi aiuto con una forchetta, per tirarlo su e scolarlo per bene dato che con la pastella si appesantisce e così lo poso nell'olio caldo. Ripeto non sono la passione di nessuno in casa e se fritto voglio mangiare preferisco altri fritti (qui>>>) SCIROPPO DI FIORI Con i Fiori è possibile fare anche un buon Sciroppo e fra l'incredibile sequela di ricette che si possono trovare, con l'acido citrico, facendo bollire o non facendo bollire, qualche anno fa, ho scelto di fare come faccio con gli altri sciroppi di fiori e foglie. Prendo un dieci-quindici ombrelli belli grandi di fiori freschi di Sambuco e li sgrano dal rametto verde. Metto a bollire un litro d'acqua, lascio intiepidire e la verso sui fiori, aggiungo 3 limoni grandi o 5 piccoli tagliati a fettine, copro e lascio riposare 24 ore. Trascorso il tempo filtro con un canovaccio, strizzo bene i fiori e i limoni. Aggiungo al liquido filtrato un chilo di zucchero e due cucchiai di aceto, meglio se di mele e faccio bollire per un quarto d'ora, venti minuti fino ad avere la consistenza sciropposa. Si può usare con 2 parti di Prosecco 1 parte di sciroppo e soda, per fare il cocktail Hugo decorando con foglie di menta SCIROPPO DI BACCHE Come dicevo in precedenza preferisco conservare i Fiori Secchi per le tisane che trovo più utili e salutari, visto che dopo due tre mesi posso approfittare delle Bacche ben mature per fare un ottimo sciroppo. La regola da seguire è che le bacche siano ben mature per evitare qualche spiacevole conseguenza dovuta alla sostanza contenuta nelle parti verdi. È un lavoro che necessita di un po' di pazienza, le bacche tingono molto, per niente il succo era usato per tingere i tessuti e la lana e anche come rudimentale inchiostro. Raccolta una certa quantità di ombrelli carichi di bacche mature, le sgrano, le lavo velocemente, e le schiaccio grossolanamente con le mani, meglio con i guanti, in una pentola di acciaio, aggiungo un poco di zucchero e copro lasciando fermentare per 24/36 ore. Trascorso questo tempo metto tutto in un sacchetto di tela e spremo per ottenere il succo, mi aiuto anche con il mio torchietto, evitando però di strizzare troppo per impedire di schiacciare i semini che contengono un poco di sostanza tossica. Peso e metto sul fuoco aggiungendo lo zucchero in proporzione di 800gr. a chilo e faccio bollire venti minuti per avere lo sciroppo. Sempre nelle sere d'inverno, in caso di necessità, anche per aiutare un intestino un po' pigro, per dar sollievo al mal di gola, allungato con acqua, scaldato con buccia di limone e servito in tazza come un analcolico grog. Il succo puro ha proprietà dimagranti, proverò a conservarlo facendo bollire le bottiglie, come si fa con la salsa.... vi saprò dire - Ciò detto, agì da gran cialtrone con balzo da leone in sella si lanciò frustando il cavallo come un ciuco tra i glicini e il sambuco il re si dileguò.- (De Andrè - Villaggio ) E dal Sambuco prende il nome la Sambuca famoso liquore che in origine prevedeva distillato di fiori di sambuco, anice, acqua di sorgente, alcool e zucchero. Non posso terminare il post senza parlare delle innumerevoli leggende che circondano la pianta di Sambuco. È pianta magica. Nei tempi antichi gli uomini passando, si toglievano il cappello passando davanti a un albero di questa pianta, per ringraziarla delle sue innumerevoli proprietà. Allontana gli spiriti maligni dalle case e basta tenerne un pezzetto in tasca per non incontrare il diavolo. Ancora oggi si usa mettere un ramo con le foglie davanti alle finestre aperte per tenere lontane le mosche. Da tempo immemorabile il legno, cavo all'interno, tolto il midollo leggero bianco, viene usato per costruire rudimentali cerbottane ma anche soffietti per attizzare il fuoco, e pure flauti. E di Sambuco era il flauto magico del pifferaio di Hammelin e di Sambuco sono le bacchette magiche dei Maghi Druidi, erboristi celti. Rifugio di fate e folletti, si può sperare di vederne qualcuno addormentandosi sotto ad un Sambuco, perché proprio in questo arbusto vive Frau Holle o Holda la fata dai lunghi capelli d'oro della tradizione germanica. E non posso dimenticare che in Arsenico e Vecchi Merletti, delizioso film che non mi stancherò mai di vedere, le due arzille vecchiette, proprio con un vino casalingo di fiori di Sambuco corretto con sostanze velenose, facevano passare a miglior vita le loro vittime... 😂 Sarà forse per questo che non ho mai avuto voglia di provare a fare il famoso Spumante di fiori di Sambuco? Vi lascio con la ricetta trovata in un vecchio libro di John Seymor, che con i suoi scritti influenzò le mie scelte di vita, fin dai lontani anni '70. Non posso fare a meno di ricordare la spiritosa commedia "Arsenico e vecchi merletti", dove la ricetta del vino di sambuco delle zie Abby e Martha Brewster era quanto meno particolare 😂😂🤣 mi raccomando NON SEGUITELA, ma se capita riguardate il bellissimo film di Frank Capra Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.
- FIOR DI PRATO... FIOR DI FIENO ... PARTE SECONDA
In questo secondo articolo che segue a FIOR DI PRATO... parte prima >>> cerco di dare un nome alla parte verde del prato da fieno. Impresa quanto mai complicata per me che non sono botanica e manco delle basi tecniche scientifiche per riconoscere una pianta, e in questo caso, gli anziani, di cui farei parte anche io oramai, poco mi hanno saputo aiutare, liquidandomi con un "U l'è fén!" è fieno, semplicemente, o al massimo "A l'è gramigna". Per "verde" intendo quelle piante che non hanno fioriture dai colori vivi ma spighette o pannocchie e in gran parte appartengono a quelle una volta dette Graminacee, responsabili delle allergie così dette da fieno. Famiglia alla quale appartengono i cereali come grano, orzo, segale, riso, ecc.. una volta selvatici e "addomesticati" dall'uomo migliaia di anni fa. Si riconoscono dallo stelo cilindrico intervallato da nodi dai quali esce la foglia e non hanno bisogno di fiori sgargianti e profumi inebrianti per attirare gli insetti perché la loro impollinazione avviene per lo più con l'azione del vento, inoltre nel prato polifita, cioè composto da più di 5 specie vegetali, hanno anche il compito di sorreggere alcune leguminose semi rampicanti. Nell'alimentazione animale apportano le vitamine, gli amidi e le fibre necessarie alla digestione. Piante di questa famiglia formano le savane, le praterie, le steppe, le pampas, costituendo l'alimentazione di molti animali selvatici. Citerò solo il genere al quale appartengono queste erbe foraggere, essendo impossibile per me definirne la varietà con esattezza, per non incorrere in errori la maggior parte delle fotografie sono del sito ACTAPLANTARUM>>>, in quanto difficilissimo davvero distinguere una dall'altra, visto quanto cambiano anche durante la fioritura, e non semplici da fotografare. Tutto pare sia cominciato con lui, l'Orzo selvatico, coltivato da circa 10000 anni, ha dato inizio all'agricoltura come attività umana, e ancora oggi lo si trova nei prati. Temuto dai proprietari di cani perché può infilarsi nelle orecchie e anche sotto pelle creando non pochi fastidi. Contiene moltissime vitamine, magnesio, fosforo e potassio, minerali come zinco, ferro e calcio, antiossidanti, aminoacidi essenziali ed enzimi benefici e una volta se ne faceva una bevanda disintossicante, ma ancora si fa! Pochi sanno come sia ancora usato al giorno d'oggi per la produzione di orzo solubile. Ricerche recenti hanno portato a creare una bevanda fatta con foglia verde di orzo selvatico che pare sia un segreto di eterna giovinezza, per il contenuto di antiossidante SOD E anche qui mi sovvengono certe abitudini che mi sono state regalate, è tutta la vita che faccio colazione con una tazza d'orzo e non sapevo il perché. - Cappellini comuni - Erbe comuni nei prati che producono un buon foraggio per l'alimentazione animale, sono quelle appartenenti al genere Agrostis, volgarmente dette cappellini. Estremamente resistenti, con radici importanti, sono utilizzate per i tappeti erbosi, specie come tappabuchi, spesso nei campi da golf. il genere Dactylis, l'erba mazzolina, è tra i più apprezzati dal bestiame ed è fra quelle ancora marginalmente coltivate, in quanto altamente produttiva e longeva Un altro ottimo foraggio è il genere Alopecurus le così dette code di volpe o anche code di topo. Pianta, resistente agli inverni rigidi, sopravvive sotto una coltre di neve, adatta ai prati qui a 800mt dove una volta faceva freddo davvero. - codolina comune - Simile ma appartenente al genere Phleum, la codolina comune, sempre per la somiglianza con una coda. Anche questa presente nei miscugli da prato e da pascolo, adatta alle zone fredde e montane ed è per quello che la ritrovo qui. Pare sia una delle erbe principali causa di allergia alle graminacee - fienarola dei prati - Del genere Poa, che dal greco significa proprio pastura, l'erba fienarola, molto produttiva e pregiata per le sue qualità foraggere, è una delle cinque piante più diffuse al mondo. Viene coltivata anche per i tappeti erbosi soprattutto quelli da golf, per le sue capacità di contrastare le malerbe con le sue radici importanti. - poa annua - Tutti quelli che hanno voluto un prato all'inglese hanno prima o poi sentito la parola loietto, in realtà il genere Lolium, è da sempre considerato uno dei foraggi più importanti per l'alimentazione degli animali da latte, bovine, ovine, e anche bufale, dove si è notato oltre ad una migliore produzione, anche un latte che acquisisce maggiori attitudini alla coagulazione e alla trasformazione in formaggio. Buono come foraggio fresco, adatto anche da affienare. Negli scorsi anni un progetto al sud ne ha favorito la semina per foraggio - Avena fatua - Anche con erbe del genere Avena si ha un ottimo foraggio, gradito specialmente ai cavalli, ricco di vitamina A e silice, e poi chi di noi non ha giocato da bambini a tirarsi le spighe per vedere quante ne rimanevano attaccate? noi le chiamavamo "rondini" e credevamo di farle volare. Altre piante comuni nei prati ma meno pregiate per il foraggio appartengono ai generi Arrhenatherum, Briza, Bromus, Festuca, Holcus, Glyceria ecc. Davvero troppo complicato parlare di tutte, qualcuna è nelle foto sotto, sempre prese dal sito di Actaplantarum, dove raccomando di guardare se si vuole sapere qualcosa in più. Per mio conto, visto che ancora tagliamo il fieno e lo imballiamo, sono contenta di averci capito qualcosa, poco, rispetto a tutto quello che c'è da sapere, almeno ora le guardo meglio. Certamente non sono tutte qui le erbe del prato, visto che di ogni genere sono poi presenti diverse specie, è solo per dare un'idea di quanto è vasto un mondo che a volte non ci fermiamo nemmeno ad osservare attentamente, nonostante le differenze proprie di una pianta che le proprietà alimentari per la produzione di fieno. L'incuria dei prati, l'abbandono della campagna, soprattutto dell'Appenino dove piccoli appezzamenti si dovevano falciare a mano, per poi poter mantenere qualche mucca, conigli, poche pecore e capre a famiglia, ha portato piano piano all' inselvatichimento delle erbe, favorendo la diffusione di varietà più resistenti, anche ai cambiamenti climatici. Queste varietà spesso sono di scarso valore per gli animali, o poco appetibili, frequentemente con componenti tossici e ne scriverò prossimamente. Mi sorprende sempre come abbiamo abbandonato, dopo migliaia di anni dall'addomesticamento di animali e erbe, la buona consuetudine di conservare le specie migliori per gli animali e noi stessi, salvo stare attenti ad avere un prato perfetto, tutto tagliato alto uguale per giocare a golf o avere un'immagine da cartolina finta intorno a casa. Ricordo come ho già scritto l'altra volta che nessun contadino avrebbe mai tagliato il fieno prima che questo fosse andato a seme per favorirne la propagazione. Adesso se qualcuno ancora lo taglia, almeno qui, lo fa quando ha tempo, se c'è il sole per farlo seccare velocemente. Non esiste più il taglio del fieno "maggengo" o "agostano" e meno che meno quello di poco prima dell'inverno, quando si tenevano fuori le bestie il più possibile e si lasciavano prati e poggi puliti pronti per la nascita delle nuove erbe a primavera. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- FIOR DI MAGGIO! AGGIORNAMENTO EVENTO
FIOR DI MAGGIO DIVENTA FIOR DI GIUGNO Nel programmare gli eventi della tarda primavera ho parlato di quello dedicato ai fiori. Decidere la data implica aspettare con pazienza quando la natura ha deciso lei di mostrarsi. Questo mese di maggio è stato fino ad oggi una specie di marzo. Tanta pioggia, freddo. L'erba è cresciuta tantissimo ma i fiori non ci sono. L'evento si terrà a Ghiggeri, alla sede di Erbando a 800mt , dove ieri sera ho ancora acceso la stufa, ogni giorno un temporale, intorno tanto verde ma poche corolle. L'iperico non si vede nemmeno, l'achillea ha qualche corolla chiusa, l'acqua ha solo contribuito a rovinare le rose e il biancospino. A questo punto ho deciso di postdatare a sabato 3 GIUGNO. SABATO 3 GIUGNO ORE 15 ALLE 18,30 - 19 LOCALITÀ GHIGGERI- VARESE LIGURE googlemaps https://www.google.com/maps/dir/44.3867152,9.5120359//@44.3850589,9.5110113,177a,35y,13.52h,45t/data=!3m1!1e3!4m2!4m1!3e0!5m1!1e4 Il pomeriggio inizierà con una breve passeggiata di riconoscimento e raccolta dei fiori eduli o di erbe usate nella piccola farmacopea casalinga contadina per poi tornare ed assistere ad una dimostrazione della trasformazione in maniera semplice, empirica come le nostre nonne. Consigli di base come seccare opportunatamente le corolle, come procedere per uno sciroppo di fiori o foglie, produrre un oleolito, comporre un mazzolino per profumare o fumigare, come conservare il tutto. Suggerimenti e consigli non avranno nessuna valenza medica, solo quella di trasmettere gesti antichi e ricette di un tempo che una volta erano consuetudine in tutte le case. Ogni persona tornerà a casa con il suo piccolo raccolto da trasformare in sciroppo o seccare per tisana, un vasetto con un olio da completare, un mazzolino da fumigare, le dispense cartacee. L'evento è aperto solo a un massimo di 10 persone, per riuscire ad avere risultati soddisfacenti per tutti. È indispensabile un abbigliamento adatto, pantaloni lunghi e scarpe idonee e un piccolo cestino per la raccolta. Contributo necessario all'Associazione Erbando 25€ Prenotazione su wsapp al 3486930662, con versamento di un anticipo di 15€ all' Iban dell'Associazione Erbando Intestato a: Associazione Culturale Erbando SWIFT: BAPPIT21R95 IBAN: IT06J0503449860000000001053 Causale: Evento Fior di Giugno È possibile effettuare il versamento dell'anticipo tramite Pay Pal inquadrando direttamente il Qrcode Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- FIOR DI PRATO... PARTE PRIMA
Maggio è sempre stato per me il mese più atteso, il più bello per il tripudiare di prati fioriti prima della fienagione. Son almeno due anni che preparo questo articolo e mi sono resa conto come con il passare degli anni, i fiori sono sempre meno e diversi. Fra le tante ragioni c'è anche quello dell'abbandono di queste campagne. Errore di molti è pensare che i nostri meravigliosi prati fioriti fossero opera della natura e basta. In un ambiente antropizzato è difficile che sia così. Da tempi immemori l'uomo ha selezionato erbe che meglio servivano all'alimentazione animale e umana seminando e tagliando quando la pianta era andata in seme. Così da tempo cerco di chiedere ai pochi anziani e rintracciare fisicamente tutte le erbe da fieno che vedo perdersi in mezzo a selvatiche mai viste prima, quasi tutte contenenti qualcosa di tossico, colonizzatrici, veramente infestanti, che rendono i prati spogli della bella fioritura multicolore di un tempo. In Trentino, per esempio, hanno una cura diversa delle erbe, in specie di quelle usate anche nell'alimentazione umana e per i bagni di fieno, nella foto sotto io che mi godo un bellissimo bagno all'Alpe di Siusi. In pianura padana invece ormai si semina quasi solo erba medica e trifoglio. Un post sicuramente incompleto, tanto che ho deciso di dividerlo in più parti. - Luglio 2018- meraviglioso bagno di fieno all' Alpin Relax Chalet Tianes a Castelrotto - I TRIFOGLI È o è stata una delle piante foraggere più importanti, in Europa è ancora coltivato per centinaia di migliaia di ettari più per l'uso come pianta fresca che per fieno secco. Oltre a essere gradito dagli animali è pianta importantissima per il terreno dove viene seminata. Le radici sono in grado di trasformare l'azoto presente nell'aria, così da rendere il terreno fertile. Ciò avviene tramite colonie di batteri detti simbionti, presenti appunto nelle radici. Studi cercano di trasferire queste colonie ad altre piante per evitare interventi con costosi fertilizzanti chimici. Per questo il Trifoglio viene impiegato nelle colture di rotazione e spesso interrato. Il trifoglio è una delle migliori e più usate erbe da foraggio, una volta i contadini la chiamavano "erba da latte" . Usata preferibilmente fresca, secca tende a sminuzzarsi troppo. È una pianta commestibile, se ne possono mangiare i germogli teneri e i fiori e se ne può fare un tè. Una volta, le corolle seccate venivano macinate e unite alla farina per renderla più nutriente, specie durante le carestie. Ricco di proprietà curative, è un'estrogeno naturale raccomandato per prevenire l'osteoporosi in menopausa. Esistono come sempre diverse varietà di trifoglio. Il più comune, è il Trifoglio rosso, Trifolium pratense, delicatamente profumato, gradito anche a bombi e farfalle, oltre che alle api che non lo disdegnano per il miele millefiori, anche se alcuni pensano che non riescano a succhiare il nettare per i capolini troppo lunghi. Bellissimo e non mi stancherei mai di guardare, il Trifolium incarnatum, dai capolini allungati dalle delicate sfumature di rosa fino ad arrivare al rosso e il Trifolium repens, bianco e pure il Trifolium campestre giallo. Ma ce ne sono infiniti altri, divisi in ulteriori sottospecie L'ERBA MEDICA Ma non basta aver tre foglioline per credersi trifoglio, un'altra pianta da foraggio importante è l'Erba medica, Medicago sativa, forse più importante, perché più adatta di questo ad essere essiccata e insilata, anzi è preferibile servirla secca per evitare gonfiori negli animali. È ricca di vitamine e minerali e proteine vegetali, viene usata anche per estrarre carotene, clorofilla e vitamina k. È un altro ottimo fertilizzante del terreno, e usata come sovescio nei terreni impoveriti dalle precedenti coltivazioni. È specie officinale oltre che commestibile, anche se non conosco nessuno che la mangia. Una volta si usavano i germogli e i semi per insaporire le insalate, le foglie tenere crude o cotte e per fare pane e tisane. Studi scientifici confermano la sua capacità di ridurre il colesterolo nel sangue, e come il compagno trifoglio è utile nel periodo della menopausa e nelle convalescenze. Nonostante le sue proprietà non si chiama "medica" perché cura, si crede provenga da Media, regione della Persia, molti la conoscono come Erba Spagna, perché reintrodotta in Italia dalle dominazioni Spagnole del 1500. Anche di questa sono molte varietà, in foto quelle che ho trovato residue nei campi intorno. Negli anni qui praticamente nessuno l'ha più seminata ed è andata quasi sparendo. - Medicago sativa - - Medicago arabica - o Trifoglio del Calvario, dai fiorellini gialli, chiamato così per le macchie sulle foglie che si dice siano gocce di sangue cadute visto che la pianta si trovava ai piedi della Croce LA LUPINELLA Quanto mi è sempre piaciuto il fiore della Lupinella, del genere Onobrychis Mill., ce ne sono talmente tante e simili che davvero non riesco a definirne la varietà precisa. Una volta i prati e i poggi erano un tripudiare di rosa ed è una pianta foraggera seminata fin dal 1400, sconosciuta ai romani, importata forse dall'Asia più vicina per le sue grandi qualità, anche se adesso si trova spontanea, sempre meno, residuo delle semine di una volta. Resistente al freddo, alla neve, alla siccità, vive in terreni poveri, è uno dei fiori più bottinati dalle api, sia per il nettare che per il polline, una volta forniva un miele particolare ora rarissimo e adesso si spera ce ne sia nel millefiori. Come fieno è adatto sia verde che secco con davvero importanti proprietà nutritive e gli animali che lo sanno, la gradiscono. Non conosco se i suoi usi sono anche alimentari per l'uomo, se ho letto di lei non ho trovato si parlasse di tossicità, anzi. - genere Onobrychis Mill - LA SULLA Altra importante pianta foraggera e pure commestibile è la Sulla, che in fatto di coltivazioni se la batte con Trifoglio e Erba medica. L' Italia è il paese in Europa che ha più grandi coltivazioni di Sulla anche per la produzione di un miele uniflorale speciale ricco di proprietà e il rinvenimento di polline di Sulla viene considerato indice di provenienza italiana del miele. Oltre ad essere un ottimo foraggio per gli animali sia da pascolo che per essere tagliato e seccato, è un buon alimento per noi, si usano foglie e fiori cotti o crudi. La Sulla coronaria ha diverse proprietà usate in erboristeria sia per l'uomo che per gli animali. Contrasta efficacemente le infezioni gastro intestinali di ovini, bovini e pollame e nell'uomo riduce il colesterolo e ha proprietà astringenti. Qui non fiorisce prima di giugno e per forza ho dovuto scegliere una foto dal sito Actaplantarum - Sulla coronaria - LA VECCIA Al genere Vicia L. appartengono piante somiglianti al pisello e spesso sento chiamarle "pisello selvatico" e di fatto il nome botanico per esempio della fava è Vicia faba. Con i piselli condivide la famiglia, Fabaceae, ma non il genere Vicia, e occorre fare attenzione perché come tutte le leguminose va a seme con un baccello, ma non è detto che tutte le piante così siano completamente commestibili. Spesso si chiama pisello selvatico la Roveja, la Cicerchia, e appunto la Veccia, ma è necessario imparare a distinguere. Nel caso di una Cicerchia selvatica, Lathyrus hirsutus, comunissima, l'uso dei semi è stato abbandonato perché provocava un disturbo chiamato "latirismo" per la presenza di un amminoacido tossico, ed è proprio questa che spesso vedo confusa con il pisello selvatico e con la Veccia. Sono molto simili sia nel fiore che nella pianta le foto sono del sito Actaplantarum https://www.actaplantarum.org/galleria_flora/galleria1.php?view=1&id=1579 https://www.actaplantarum.org/galleria_flora/galleria1.php?view=1&id=1536 https://www.actaplantarum.org/forum/viewtopic.php?t=133841 La Vicia cracca, quella di monte che nasce qui, o anche la Vicia sativa, sono commestibili e venivano consumate foglie e fiori insieme ad altre erbe selvatiche. I semi non hanno molto gusto e nessuna proprietà di rilievo, quindi il suo uso in alimentazione è stato abbandonato, se non in una zuppa di origine francese. Anche questa è una importante foraggera e mellifera attira le api. varietà di Veccia - Vicia cracca - Tutte le piante presentate appartengono alla famiglia delle Fabaceae e sono state usate da sempre oltre che per alimentazione animale e umana per sovescio essendo, come scrivevo per il trifoglio, in grado di fissare attraverso le radici, l'azoto e rendere il terreno fertile per altre colture che ne hanno bisogno. CONSIDERAZIONI MIE Per concludere questa prima parte, alla quale seguirà una con le erbe meno appariscenti per i fiori e poi una dedicata alle varietà tossiche infestanti che hanno preso piede dopo l'abbandono dell'uomo nelle campagne, mi viene da dire che tutte queste erbe, che presto in gran parte dell'Appennino spopolato non esisteranno più, non servivano solo agli animali, ma anche all'uomo che le usava così o le dava appunto come foraggio, ottenendo sicuramente carne e latte più preziosi dal punto di vista nutritivo e del gusto. Gli animali oggi non hanno più una biodiversità così di alimento se pur lasciati liberi, perché i pascoli non sono più seminati, mi sono resa conto di questo perché ancora nei miei terreni tagliamo il fieno per venderlo e seppur in valle biologica, ho assistito personalmente al degrado dei prati in questi anni. Tanto da farmi un punto d'onore di seminare più che posso, ricercando semi che ancora sono in vendita per chi vuole, e scrivere queste poche parole per ribadire ancora una volta che la Natura è bella ma che noi a lei non siamo necessari, fa quello che le pare adattandosi. Se l'uomo la trascura e perde l'equilibrio con essa, non sarà lei a rimpiangere l'uomo. Se facciamo i turisti per andare a vedere la fioritura bellissima di Castelluccio di Norcia ricordiamoci che è opera della semina dell'uomo. A proposito c'è un progetto in corso perché i semi delle così dette infestanti che contribuiscono allo spettacolo, papaveri, fiordalisi, trifogli, ecc. che da sempre si cerca di isolare dal seme delle lenticchie, vengano messi in vendita e visto il via vai di turisti chissà se continueranno a seminare lenticchie dal timido fiore bianco. E per fortuna a Castelluccio ora è stato interdetto l'ingresso a auto e camper. Ancora una considerazione che pochi fanno quando amano avere un bel prato all'inglese e tutto tagliato intorno, per pulizia dicono, se non si lascia fiorire l'erba non andrà a seme e si estinguerà favorendo erbe più resistenti. L'erba alta con i fiori è rifugio di molti animali e insetti. Molti nidificano o hanno il loro cuccio protetti dall' "erba alta", nessun contadino avrebbe mai tagliato il fieno prima che questo andasse in seme e sopratutto perché a quel tempo uova e cuccioli sono schiuse e cresciuti. E se capitasse di trovare un nido di fagiano, o un cucciolo di capriolo allontanarsi lentamente e silenziosamente senza toccare nulla. Ricordo un anno che mio figlio interruppe il taglio del fieno quando si accorse di un nido di fagiana con i piccoli non ancora autonomi. E non accenno minimamente ai danni da taglio con i macchinari al posto delle grosse falci a mano usate un tempo. Camminare, saltare, giocare, insensatamente nel fieno alto, oltre ad essere di disturbo, crea un danno al fieno che non si rialzerà più rendendo difficile tagliarlo e sistemarlo, e comunque diventa poco appetibile per gli animali, insomma voi la mangereste un insalata tutta ciancicata? Per quello è così importante il ripristino e la pulizia degli antichi sentieri, dove sarebbe opportuno passare in armonia con la natura circostante, non con moto strombazzanti, per fare un esempio. Ricordo una solenne sgridata di quando ragazzina con gli amici distruggemmo una piana di fieno per andare a raccogliere fragoline e allegramente saltammo per tutto il prato e di quante volte fui accompagnata nei mesi successivi a vedere quei segni che avevamo lasciato e il danno che avevamo procurato. Ora chi oserebbe? ma forse non si salta nemmeno più nei prati... foto dal web Ape! Ti sto aspettando! Proprio ieri dicevo A qualcuno che conosci Che ormai dovevi arrivare- Le rane sono rientrate settimana scorsa- Si sono sistemate, messe all’opera- Gli uccelli, per lo più già qui- Il trifoglio caldo e folto- Riceverai questa mia entro Il diciassette; rispondimi Ö meglio, vieni direttamente- Tua, Mosca. E.Dickinson Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- I CORZETTI DI LIGURIA... O CROZETTI?
... eodem modo fiunt croseti, et de eadem pasta, nisi quod sint formati rotundi et oblungi ad quantitatem ninius pollicis; et cum digito sunt concavati . Est tamen sciendum quod, tam in lasanis quam in crosetis, debet poni magna quantitas casei grattati ... - Liber de coquina - 1285/1304 La ricetta di questa pasta ligure, dimenticata e ritornata in auge da un po' di anni, è talmente semplice ed elementare che per riempire il post non mi resta che parlare dell'origine del nome. Queste notizie da me qui narrate le ho trovate al Museo della Pasta, a Collecchio, una struttura che fa parte dei Musei del Cibo della Provincia di Parma (qui>>>) . Per farla breve la parola di derivazione pare essere Krosu, forse gallica, che significa incavato e che si ritrova in tanti toponimi tra la Francia e la Liguria, vedi Vallecrosia, Cian Creuso, con il significato di avvallamento, o semplicemente le Creuse liguri, stretti sentieri incassati tra muri . Da qui per arrivare ai Corzetti di pasta è necessario passare per la Valpolcevera dove i Corzetti sono fatti con le dita, "tiæ coe dïe", un piccolo pezzo di pasta, della misura di un cece, che girato fra le dita assume la caratteristica forma a otto pieno, et cum digito sunt concavati , premuti i due dischetti incavandoli tra le dita, ma ... udite udite: gli Angiò, allora conti di Provenza, li portarono in Basilicata e in Puglia dove rimasero semplificati con il nome di ...Orecchiette...!!! Al giorno d'oggi, a questi della Valpolcevera, prodotti industrialmente da pochissimi pastifici, non è rimasto l'incavo, ma solo la forma a otto pieno. Ritornando al nome, come succede spesso da creusetto, passando di bocca in bocca è diventato prima crosetto e poi corzetto, e facilmente si trova chi dice a un modo chi all'altro. Arrivando nel Levante ligure ha cambiato anche forma ed è diventato un disco di pasta fresca incavato da tutte e due le parti per mezzo di uno stampo di legno. Gli stampi per Corzetti o Croxetti antichi, hanno preziosi disegni che oggi vengono riproposti da artigiani intagliatori ed essenzialmente da due bellissimi signori che ho la fortuna di conoscere personalmente e mi onorano della loro amicizia: a Chiavari lo scultore Franco Casoni e l'artigiano Pietro Picetti a Varese Ligure. in questi due video trovate entrambi alle prese con gli stampi artigianali Pietro Picetti https://www.youtube.com/watch?v=RtsuVMBLRkI Franco Casoni https://www.youtube.com/watch?v=2-kw4d7RJ98 La leggenda narra che le famiglie antiche genovesi avessero gli stampi con lo stemma di famiglia e al giorno d'oggi ai matrimoni è facile che siano serviti con le iniziali degli sposi, ai quali viene poi regalato lo stampo. Nella foto sopra il mio, gentilmente intagliatomi da Franco Casoni, con lo stemma che si dice fosse della famiglia Ghiggeri, antica famiglia di origini francesi al soldo dei Fieschi, cognome che dà il nome al paesino dove abito ma soprattutto cognome dei miei figli. Detto tutto ciò, la ricetta... Figuriamoci se cambiando nome e forma non aveva cambiato anche modi e ingredienti : chi li fa con le uova, chi senza, chi ci mette il vino bianco, chi no, chi addirittura mescola burro e formaggio grana nell'impasto... Nel video Pietro Picetti vi serve la ricetta dei Croxetti di Varese Ligure, con burro e formaggio, a Varese Ligure si dice preferibilmente croxetti ricordando come nello stampo spesso era presente una croce. Quelli della Valpolcevera hanno tre uova in 500 gr. di farina, una presa di sale e acqua quanto basta per avere un impasto liscio. Per quanto mi riguarda, chissà perché, (forse ho del DNA pugliese a mia insaputa) sono rimasta quasi alla ricetta originale, che era solo farina (una volta grano saraceno) e acqua. Impasto farina di grano duro (non semola rimacinata) con acqua appena tiepida e un poco di vino bianco fino ad avere ad avere un impasto liscio. Unico consiglio, non tirare un impasto troppo morbido, ma con un certo "morso" come dicono oggi gli chef, il disegno potrebbe sparire nella cottura, e infarinare la sfoglia per riuscire a togliere bene il dischetto pressato dallo stampo. Tirata una sfoglia, con la macchina o con il "cannello", che non deve essere sottilissima, dovendo contenere l'intaglio, ma nemmeno troppo spessa, diciamo tra il millimetro e mezzo - due, con la parte tagliente dello stampo formo pochi dischi alla volta, altrimenti la pasta asciuga. Un disco per volta posato sullo stampo, viene premuto con l'altra parte per formare il disegno incavato, simultaneamente da tutte e due le parti . Questo passaggio sembrerebbe essere solo a scopo decorativo, in verità la pressione tra il legno cambia il gusto alla pasta e il disegno serve a raccogliere il sugo. croxetti fatti con stampo di Alessandra>>, figlia di Pietro Picetti Ecco appunto il sugo... E' tradizione polceverasca condire con il sugo di carne e piselli, scendendo in riviera con pinoli tostati nel burro e maggiorana, oggi va di moda la Salsa di pinoli, qui>>> , ma anche con il Pesto (qui>>>), anche per dare valore ad una pasta semplice nel gusto ma che richiede un certo tempo nel prepararla. Di sicuro come si legge all'inizio, nel testo medievale Liber de coquina, dove sono nominati, occorre condire con tanto formaggio grattugiato.😜 Conosciuta la tradizione ci si può sbizzarrire con farine varie, un impasto con metà farina normale e metà farina di castagna, un impasto verde All'ortica (qui>>>), o come meglio suggerisce la fantasia. Di solito vengono preparati e lasciati asciugare. Al momento di consumarli vengono cotti in abbondante acqua salata. AGGIORNAMENTO Il Sig. Pietro Picetti non c'è più, ma ha lasciato il posto alle figlie che proseguono con successo l'opera di intaglio dei meravigliosi stampi. A questo link le informazioni https://www.lellacanepa.com/single-post/alessandra-mani-d-oro Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>











