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- AGOSTO, ASADO MIO TI CONOSCO
Estate vuol dire sagra. In Liguria Sagra vuol dire Asado. Punto. Può chiamarsi Sagra di come vuoi, ma un piatto di Asado c'è sempre. Una moda degli ultimi trenta - quarant'anni, mi sono chiesta anche dove e come sia iniziata ma non sono riuscita a trovarne il bandolo. Ho pensato di mio, ma è proprio una mia deduzione fantasiosa, che l'emigrazione di ritorno degli Italiani del Sudamerica, tra i quali molti liguri, a causa della crisi politica ed economica degli anni '70/'80, abbia importato questa usanza diventata ormai un rito estivo immancabile per fare festa con gli amici. Infatti la parola Asado, di fatto arrosto, arrostito, indica una modalità di cottura della carne usata dai gauchos delle Pampas. foto da WebFoodCulture In pratica Asado significa arrostito in verticale, (mentre la tradizionale cottura orizzontale, la grigliata per intenderci, è la Parilla) e spesso si trattava di grossi pezzi di animale cotti con la pelle, l'Asado con cuero e contemplava davvero tante ma tante ore di cottura. Da noi è stato riadattato alla carne che abbiamo e alle condizioni che abbiamo. Anche per questa, che sembra una ricetta semplice, con pochi ingredienti, è possibile scatenare polemiche su polemiche per cosa mettere nella bagna, per come appenderlo, per come cuocerlo, per quanto cuocerlo ecc. ecc. Quindi, vi racconto del mio, anzi quello di mio figlio e altro non so. La cosa più importante resta sempre la scelta della carne, se la carne è buona pochi saranno i problemi. Avere un referente di fiducia che vi vende della ottima carne è il primo più importante passo. Rigorosamente carne di bife, vitellone, la porchetta è un'altra cosa, altri animali non sono contemplati nella tradizione dell' Asado, da noi quasi esclusivamente vitello. Tutto sommato non si tratta di un pezzo particolarmente pregiato, di costo molto elevato e questo forse ne ha propagato l'uso. Essenzialmente si tratta della punta di vitello, intera, dal fiocco alla pancia, privata delle ossa e del grasso più evidente. Di media può pesare tra i 14 e i 20 kg. con l'osso, che diventano 9/10 o poco più disossato. Viene trattato la sera prima della cottura con erbe e spezie e vino. E qui scatta la ricetta segreta dell'Asador... ognuno ha la sua. Chi ci mette il limone, chi no, chi usa il vino bianco chi rosso, chi ci mette i pinoli ... Con la pratica uno impara a conciarlo come preferisce, con i gusti che più piacciono. Indispensabili Rosmarino, Timo, Salvia, Cipolla tritati e mescolati a sale grosso marino, non meno di 35gr. di sale a chilo di carne, e qualunque altra erba aromatica voluta, ginepro, mirto, origano, prezzemolo, con i quali massaggiare per bene la carne, per poi lasciarla a bagno in vino bianco secco, almeno 5 litri per 10 kg di carne, con il succo di qualche limone, senza esagerare, peperoncino se piace, ma almeno un pochino ci vuole, pepe in grani, foglie di Alloro spezzate e segreto dei segreti qualche pinolo. La carne va conciata la sera prima, conservata in un luogo fresco, coperta, contando che la cottura inizierà molto presto, essendo una "slow cooking", una cottura lenta, come va di moda per tante altre cose adesso. Per cuocerlo infatti occorre preparare l'ambiente opportuno, all'aperto, fatto di lamiere, che impedendo il disperdersi del calore del fuoco e riflettendolo, permetteranno una cottura graduale della carne che inizialmente va posizionata a circa un metro dalla fonte di calore. Dunque il mattino dopo, le cinque supponiamo, si inizia preparando questo fuoco di legna forte, che bruci molto lentamente con un ottimo potere calorico, a grossi pezzi, tipo olivo, faggio, ecc., non legna resinosa o che rilasci odori e gusti forti. quando resteranno belle e sostanziose braci accese, si mette la carne opportunatamente legata con fil di ferro ad un apposito "ferro da Asado" che può essere in croce, "a la cruz", (come l'originale) o a griglia larga, dotato di un meccanismo che permetta di girarlo al momento giusto per ottenere una cottura perfetta ma lenta, in modo che i succhi della carne rimangano il più possibile all'interno mantenendola morbida. Ogni tanto una spennellata con la bagna, devo dire che io non uso quella della marinatura ma ne preparo una uguale fresca. L'Asador non abbandona la sua carne nemmeno per un attimo, perché ne controlla la cottura in ogni particolare, così come mantiene attive le braci senza mai permettere che il fuoco si spenga o sia troppo vivo. Man mano si avvicina la carne per avere una rosolatura perfetta della superficie Dopo le sei - otto ore di cottura, dipende dal peso, dallo spessore della carne, e a questo proposito è opportuno, nel caso si cuociano più pance, che queste siano più o meno uguali, l'Asado è pronto e deve essere tagliato a fette sul posto e portato in tavola il più velocemente possibile perché non raffreddi. L'Asado ben cotto deve essere rosato al punto giusto, la carne morbida all'interno, il grasso ben rosolato, non troppo magro ma nemmeno solo grasso. L'Asado fa festa da solo, è concessa la presenza di taglieri di salumi e formaggi per ingannare l'attesa nella cottura, mentre si beve qualche bicchiere di vino tinto, insalata verde con pomodori e cipolla per accompagnarlo e se proprio si vuole rimanere in tema, qualche empanadas, meglio con il ripieno di verdure, niente primi pesanti, perché arrivare sazi al piatto di Asado è un vero peccato. Se proprio non se ne può fare a meno le immancabili patatine fritte, ma non erano contemplate nel mezzo delle Pampas. Importante ricordare, anche se poco usata qui, la salsa di accompagno, il Chimichurri, questa la ricetta originale rioplatense, per 10 persone: 1/2 bicchiere di olio di oliva 1 tazza di acqua calda 1/2 bicchiere di aceto di vino (rosso) 1/2 bicchiere di vino (rosso) 1 peperoncino tritato 1 pomodoro a dadini 1 cipollotto tritato finissimo 1 cucchiaio di prezzemolo tritato 2 spicchi di aglio schiacciati 2 foglie di alloro tritato 1 cucchiaino di origano 1 cucchiaino di pepe 1 cucchiaino di paprika dolce Mettere tutto insieme dentro a una bottiglia. Macerare due ore agitando ogni tanto. È importante terminare il pasto, da parte degli invitati soddisfatti, con le congratulazioni e "un aplauso para el asador!" E questo è lui, il mio Asador personale, qualche anno fa, che mi abbraccia soddisfatto dal suo Asado cotto perfetto per il mio compleanno. Qualunque tentativo di riprodurre l'Asado nel forno di casa fa sì che il risultato sia tutta un'altra cosa, anche se una buona punta di petto arrosto non è male. L'unica volta che mi è venuto qualcosa di simile è stato nel forno a legna, quello della pizza, dove incrociando due teglie avevo per così dire appeso un pezzo di carne intero, piccolo e l'avevo cotto al calore della brace. Pur non essendo la stessa cosa, ci si avvicinava molto sia per la cottura da appeso che per la presenza del fuoco di legna. Hasta la vista compañeros, te quiero.
- IL VISCHIO
Un'altra fine anno, un altro Capodanno. Questo tempo uggioso, pieno di nebbia e pioggia, oltre a immalinconirmi, mi ha impedito di andare per boschi a cercare il vischio. D'altra parte non avrei nemmeno nessuno da baciare sotto al classico ramo appeso in casa, quindi mi sarei accontentata di trovarlo senza coglierlo. Nonostante siano ormai anni che non lo appendo più per i baci ho sempre cercato di averne un ramo in casa, essendo questa una delle usanze più antiche dell'uomo. La pianta mi ha sempre incuriosito perché qui nella mia valle non si trova, e anche mia madre ha desiderato tutta la vita trovarlo in un bosco, come andavano raccontando fungaioli e cacciatori che sapevano dove Finché un giorno, non tantissimi anni fa, a pochi chilometri, valicando il passo delle Cento Croci ed entrando in Val Taro, proprio lungo la strada, ho visto i primi alberi, nel caso peri, prugne e mele, con il vischio sopra. Essendo in un terreno privato li ho potuti ammirare solo da lontano, ed è diventato un appuntamento ogni volta che mi recavo a Borgotaro. Oggi quegli alberi sono secchi, e non c'è più vischio, in seguito ho saputo che in quelle zone non è difficile trovarne, anche se sta diventando sempre più raro. L'ho ritrovato invece salendo la strada che porta al parco del Pollino, in Basilicata, proprio ai primi di dicembre di qualche anno fa, in un viaggio magico, che forse proprio perché aveva un che di stregato doveva riservarmi, oltre al resto, anche la sorpresa di un albero coperto di decine di grossi ciuffi di vischio, che ho potuto osservare con calma, ma ero tanto emozionata che non ho fatto che due sole foto. Pochi km dopo, in una trattoria del posto, altro incontro magico che conservo nel cuore come uno dei ricordi più belli, direttamente dalla forestale, venni a sapere che, contrariamente a quanto si pensa, non è una pianta protetta dappertutto sul territorio nazionale, ma solo a protezione regionale, più al nord come il Trentino, la Lombardia e forse il Piemonte, anche se lì trattandosi di una zona di Parco, dubito si potesse raccogliere. Il Vischio, di qualsiasi varietà si tratti, se Viscum album, il più comune, con le bacche bianche perlacee, su piante da frutto, tigli, salici ecc, . Loranthus europaeus Jacq dalle bacche giallo oro, che vegeta sulle querce e sui castagni o Phoradendron leucarpum quest'ultimo arriva dall'America del Nord ai nostri fioristi, è una pianta emiparassita. Per emiparassita si intende una pianta che integra il nutrimento che le abbisogna prendendolo da una pianta ospite. Infatti non vivrebbe se le sue radici fossero messe sulla terra, anche se è in grado di crescere attraverso la fotosintesi. Si pensa solitamente che questo farà morire certamente la pianta dove si attacca, non è del tutto vero, anche se spesso dà una mano al deperimento di quest'ultima. Essendo una delle piante più antiche che accompagna l'uomo da secoli, una delle più magiche e sacra, dalle molteplici proprietà, centinaia sono le leggende alle quali è legata. Fra le più note quelle della tradizione del bacio e del perché appenderlo sopra alla porta. Celti e Druidi ritenevano le piante, specie quelle trovate su quercia, talmente sacre, nate da un fulmine scagliato da un dio, che venivano raccolte con un'apposita cerimonia al termine di un banchetto e solo un sacerdote poteva coglierle, con un falcetto d'oro e facendole cadere su di un drappo bianco, o prese al volo, circondato da altri sacerdoti che le riponevano in un bacile d'oro. Creduto il Vischio, in grado di ridare la possibilità di generare a qualsiasi essere sterile e quindi simbolo di fecondità per come era in grado di crescere senza radici, e di guarire quasi tutti i mali. In realtà avrebbe davvero proprietà medicinali, si parla anche di un certo effetto su alcuni tumori che viene studiato adesso, o di come regoli la pressione, e si sa che veniva usata nella medicina popolare, a me è rimasto solo il memore della sua tossicità e a livello casalingo è davvero sconsigliato farne uso, o di quando con le bacche se ne faceva una colla per acchiappare gli uccelli, pratica oggi proibita. - Enea occupa l'ingresso ed asperge di acqua fresca il corpo ed attacca il ramo sulla soglia davanti. Compiuti dunque i riti, consegnato il dono alla dea, giunsero ai luoghi ridenti, alle amene verzure, le sedi beate dei boschi fortunati: Qui l'aria è più pura e veste di luce purpurea le pianure, vedono un loro sole e stelle loro. - Eneide, libroVI L'uso di appendere il vischio alla porta pare derivi da un passo dell'Eneide che riconosce nel Vischio il ramo d'oro con il quale Enea, volendo rivedere il padre Anchise morto, si presenta alla porta degli inferi, consigliato dalla Sibilla Cumana, per calmare le ire di Caronte e offrirlo a Proserpina e appenderlo sulla porta della città di Dite, all’ingresso dei Campi Elisi, potendo così proseguire per incontrare il padre fra i beati. - Se non ti commuove l’esempio di una tale pietà , almeno riconosci questo ramo!» e mostrò il ramo che teneva nascosto sotto la veste. Il cuore di Caronte, gonfio d’ira, si mise in pace: egli non disse più nulla - Il bacio sotto al ramo di Vischio è invece leggenda nordica. La dea Frigg, madre del dio Sole Baldur, temendo la profezia che le annunciava la morte del figlio e quindi la fine della vita sulla terra, si fece promettere da tutti gli elementi, animali e piante, che non gli avrebbero fatto del male, ma dimenticò il Vischio e il dio del male ne approfittò per confezionare una freccia che diede in mano a Hoder ,il dio cieco dell'inverno, che la scagliò proprio contro il figlio della Dea, uccidendolo. Pianse la madre affranta sul corpo dell'amato Baldur e le sue lacrime si trasformarono nelle traslucide perle del Vischio, riportando in vita il figlio. Felice la dea baciò chiunque passasse di lì, appunto sotto il Vischio adorno per la prima volta di bacche bianche ... Nel caso vi accingeste a raccoglierlo per usarlo come portafortuna, sappiate ancora che non va raccolto con le mani nude e mai che mai preso con la mano sinistra e lasciato cadere a terra ma afferrato al volo. Dopo decine di baci sotto il vischio e qualche ramo raccolto personalmente, posso affermare con cognizione di causa che quello usato da me doveva essere proprio stato raccolto malamente non avendo ricevuto meno che meno nessuno degli effetti fantastici che mi aspettavo. Con ciò stasera se avessi un ramo di vischio e qualcuno da baciare proverei ancora una volta. Auguri e baci Ho derubato i boschi i fiduciosi boschi gli alberi ignari porgevano le loro galle e i muschi lusinghe alla mia fantasia esaminai curiosa i loro ninnoli li afferrai li portai via cosa dirà l’austero abete cosa la quercia? Emily Dickinson Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL NOSTRO CRÈME CARAMEL
Il dolce preferito di mio padre, insieme al gelato, era il budino. Preferito nel senso che in tavola doveva esserci tutti i giorni, si poteva arrivare fino al pomeriggio... qualche volta alla sera, ma prima o poi se ne usciva con la frase: - Ma ancheu ina lecàia a nō gh'é? in pö de læte dôçe ...?- Ma oggi una ghiottoneria, una prelibatezza, non c'è? un po' di lattedolce...? e mia madre aveva pronto il budino, nello specifico crème caramel o alla cioccolata. Lattedolce o anche læte a-a spagnòlla, in Liguria, perché di lì pare che arrivino le prime ricette di creme, catalana o brûlée che siano, da altre parti Latte in piedi. Quello che dannava mia madre era l'alto numero di uova presenti nelle ricette di alta pasticceria che trovava nei libri di quei tempi, addizionati di panna e relativi, e nel tentativo di salvare il fegato e la glicemia di mio padre riduceva riduceva fino ad arrivare, per il budino al cioccolato, con un litro di latte a un tuorlo d'uovo solo, ma poi mio padre se ne accorgeva e ricominciava ad aumentare. Poi un giorno arrivò l'Elah, che oltretutto le diede ragione, non essendoci traccia di uova nella composizione e se qualcuno le avesse detto dove trovare la carragenina (ingrediente presente in tutti i budini in polvere per gelificare) sarebbe sicuramente diventata una donna felice. Quindi nella mia carrellata di dolci di una volta non poteva mancare il nostro crème caramel casalingo. Oggi l'ho fatto: mezzo litro di latte tre uova medie o anche solo due grandi 120gr. di zucchero una bacca di vainiglia buccia di limone bio Per il caramello 125gr. di zucchero 1-2 cucchiai di acqua una goccia di succo di limone con queste dosi mi sono venute sei monoporzioni. Messo a scaldare a fuoco bassissimo il latte con metà dose zucchero (60gr.) con qualche pezzo di buccia di limone e la bacca di vainiglia. Sì, oggi l'ho voluto fare proprio così, mia madre per conservare il più a lungo il baccello, allora carissimo e non facilmente reperibile, non lo apriva e prendeva i semi, ma lo faceva bollire con il latte, lo toglieva, lo sciacquava e lo faceva asciugare per la volta dopo e così per tre o quattro volte. Ho scoperto che la bacca si apriva dopo sposata... e il regalo più assurdo che le ho fatto è stato, non tanti anni fa, quando le ho portato un vasetto di semi di vaniglia, comperati nella famosa Antica Drogheria Torrielli di Genova qui>>>, dicendole che poteva adoperare tutti quelli che voleva. Mentre si scalda il latte, sbatto le due o tre uova intere con i restanti 60gr. di zucchero, con un colino passo il latte, che non deve bollire, e a filo lo unisco alle uova, sbattendo. In un pentolino sul fuoco metto l'altro zucchero, il cucchiaio di acqua, senza mescolare fino a che non prende il bollore, aggiungo la goccia di limone (che dovrebbe impedirne l'indurimento repentino) e ora sì mescolando, arrivo a un passo dal color caramello, attenzione è un attimo, perché passi di cottura e diventi amaro. Nella foto si vede che eravamo lì lì. Distribuisco il caramello nei contenitori singoli o in uno, di metallo o di silicone unisco la crema di latte e uova e faccio cuocere a bagnomaria, con l'acqua a tre quarti, in forno per 60-70 minuti a 180°. Se l'avessi avuto avrei messo sopra ogni stampino un amaretto di quelli secchi. A fine cottura si lascia raffreddare, si mette in frigorifero prima di servire. Si possono fare il giorno prima e tenere in frigorifero dove dura anche 5-6 giorni. Al momento si tira fuori dallo stampo, passando prima la lama del coltello dentro, lungo il bordo per staccare e si appoggia sopra il piattino, si gira e con un colpetto scende. Se si serve con della panna montata non si offende. In questa ricetta mancano, rispetto alla ricetta originale classica, intanto la panna, le uova in più che dovrebbero esserci, forse anche un po' di zucchero, e pure un ulteriore filtraggio prima di metterlo negli stampini e una particolare attenzione a non sbattere troppo per non creare bolle d'aria che in cottura avrebbero lasciato dei buchi. Ma a noi piaceva così tutto bucherellato, con l'amaretto che si ammorbidiva e nei buchi colava il caramello... Slurp! Per capire l'importanza del budino in casa mia non mi resta che dirvi che ho ereditato più di 20 stampi, nella foto sotto solo quelli grandi e vecchi, poi venne la Tupper, poi il silicone, gli stampini monouso, di ogni forma e materiale... Mi sento in dovere per domenica prossima di preparare il finto budino di cioccolata, quello che avrebbe voluto essere il bonet degli avi piemontesi, ma che non lo fu mai, con le limitazioni di mia madre, quando fu sostituito con quello dell'Elah mio padre quasi non se ne accorse ... Lily lesse gli ingredienti per il Budino passatutto... «E dice di usare uno stampo per gelatina se ne abbiamo uno. Ce l'abbiamo, nonna?». La nonna sorrise. I dolcetti dei desideri. Il budino passa-tutto Lorna Honeywell Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- GALANTINA SEMPLIFICATA
Ricordi vaghi di bambina, di nonna che esaltava la Galantina come piatto elegante delle feste importanti, Natale in primis, io non capivo se galantina e gelatina fossero la stessa cosa, o se nella galantina c'era la gelatina ... insomma un'infanzia provata da dubbi tanto da non sapere cosa era quando me la mettevano nel piatto. Credo che le ultime volte che è stata portata in tavola fosse comperata fatta dalla migliore rosticceria, che così si faceva prima. Fino a quando, già sposata da qualche anno, per un pranzo di un Natale mi imposi di farla per dimostrare le mie alte qualità di cuoca. Tutto pronto, nei vassoi da servire, perfettamente tagliato a fette, nella mia dispensa fresca di allora e vado a salutare i parenti arrivati. Seduti a tavolo, mi preparo a servire e ... il vassoio della Galantina di Pollo ... vuoto e solo quello lì, non toccati gli antipasti e il resto, in un angolo l'affezionato cane di casa che mai aveva rubato qualcosa, con lo sguardo soddisfatto! In questi giorni nel tentativo di preparare qualcosa di fresco, soprattutto pronto per il sabato e la domenica, con un pollo giacente in frigo, mi è tornata alla mente, magari semplificata. Perché quando mi viene in mente di fare una cosa, anche se non ho tutti gli ingredienti, modifico e semplifico ... poi non la si potrà chiamare vera galantina, perché non è che adesso ho il tartufo e i pistacchi a disposizione, ma la mangeremo lo stesso. La ricetta rivendicata più in uso da più parti di Italia, chi dice Bologna, chi dice Marche, prevede infatti tartufi, pistacchi e soprattutto un passaggio di marinatura della carne nel Marsala per due ore. Quello che ho ritenuto indispensabili per far prima, invece è che: il pollo sia disossato ci siano più tipi di carne nel ripieno la presenza di un qualcosa che renda la pietanza elegante e diversa dalla solita carne ripiena Occorre disossare il pollo, senza farlo come un professionista in qualche modo sono riuscita con l'aiuto di un coltello ben affilato. È necessario rendere la superficie del pollo uniforme e piatta il più possibile, quindi ho provveduto a pareggiare togliendo parte del petto da tutte due le parti, sistemato poi su un foglio di pellicola, con l'aiuto di un batticarne e sopra di un foglio di carta forno, ho battuto ben bene. Ho salato e pepato e coperto la superficie di fette di prosciutto cotto, ma andrebbe bene anche mortadella. Ho preparato un trito con la carne del petto di pollo, un poco di macinato di vitellone, circa un etto, un altro etto di pancetta affumicata perché quella avevo ma soprattutto per dargli un tocco un po' così ho aggiunto sale, pepe, un nonnulla di noce moscata, un uovo e un etto di parmigiano impastando con le mani e l'ho sistemata sulle fette di prosciutto ho messo pezzi di fungo secco, appena rinvenuti in acqua calda e pezzetti di gherigli di noce e un pezzo di luganega al centro. con l'aiuto della pellicola ho formato stretto stretto il rotolo, ma dato che non mi piace cuocere nella pellicola, l'ho tolta e ho chiuso il rotolo nella carta forno. A questo punto avrei dovuto usare un telo da cucina dove fasciarlo e legarlo stretto stretto, (una volta veniva cucita la pelle del pollo) ma da anni per queste cose ho imparato ad usare la rete elastica che si trova facilmente in vendita. Basta avere un cilindro rotondo rigido, va benissimo un pezzo di tubo, io uso un vecchio contenitore al quale ho tagliato il fondo, dove arrotolare la rete, poi facendo passare la carne nel contenitore, uscendo dall'altra parte, viene legata dalla rete automaticamente con poca fatica e risultato perfetto. Ho chiuso in cima e in fondo con spago da cucina. A questo punto se si vuole seguire la tradizione delle vecchie ricette, si sarebbe dovuto preparare un brodo con le ossa del pollo, carota, sedano e cipolla e filtrato usare questo per cuocere la galantina. Io non l'ho fatto, perché volevo fare tutto in serata, ho semplicemente messo la galantina in acqua fredda, e portata a bollore, fatta cuocere a fuoco basso per un'ora e mezza. Da un piccolo pollo di supermercato è venuto fuori un rotolo comunque di una 40 di cm, quindi ho usato la pescera, che qui in campagna non è che sia molto sfruttata altrimenti, e questa di avere la pentola per cuocere è una cosa da tener conto nel voler realizzare questo piatto. Devo dire che la tentazione di infilarci dentro una po' di erba, quel pizzico di maggiorana era tanta ma ho resistito, proprio per fare qualcosa di diverso, ma non è detto che la prossima volta ... Da cotta, ho seguito la prassi di tutte le carni ripiene cotte in brodo, cioè l'ho messa sotto ad un peso per tutta la notte, in caregóia, si dice qui, cioè sotto carico. La mattina dopo sistemata in frigo in attesa di essere tagliata per pranzo. All'assaggio la scelta della pancetta affumicata si è rivelata azzeccatissima. La praticità di questa pietanza è che si può, anzi si deve, preparare con almeno 36 ore di anticipo, così semplificata tutto sommato facile e veloce, fa parte dei così detti rifreddi, quindi comodissima se si aspettano ospiti e non si vuole stare a spignattare, di grande resa e di bell'effetto, per un costo tutto sommato economico, fredda tagliata a fette sottili per una cena estiva, dentro a dei panini per un picnic, e a proposito ... attenzione al cane di casa. pane casalingo con farina del posto, cicoria rossa e pomodoro, fette di zucchina marinate a crudo, maggiorana fresca tutto dell'orto, fettine sottili di galantina, feta e fiorellino Vi descriverò un cappone in galantina fatto in casa mia e servito a un pranzo di dieci persone; ma poteva bastare per venti, poiché, pelato, risultò chilogrammi 1,500. Pellegrino Artusi Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. 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- DICEMBRE EVENTI
Pubblico per chi fosse nei dintorni o volesse visitare la Riviera Ligure nei prossimi giorni Due gli eventi significativi ai quali parteciperò con le erbe per conto dell'Associazione Erbando Si comincia a LAVAGNA>>> dove sabato 3 dicembre e domenica 4 si svolgerà SONO TUTTI CAVOLI NOSTRI evento che prende spunto da una delle verdure più buone coltivata nella piana dell'Entella il Cavolo di Lavagna, ingrediente di molte ricette del territorio, ne avevo scritto qui>>> FOCACCETTE DI MAIS E DINTORNI e qui>>>PICAGGE DI MAIS E CAVOLI ALLA CREMA DI FORMAGGIO oltre ad altre varietà come le Gaggette, ecc. Sarò presente il 3 il 4 al Porticato Brignardello con le erbe, i manuali, per una chiacchierata con chi vorrà passare a trovarmi. Qui il programma delle iniziative e gli eventi della manifestazione A pochi chilometri a Sestri Levante, PANE E OLIO tradizionale festa dell'olio nuovo. Anche quest'anno programma ricco di iniziative ed eventi, uno collegato ai Cavoli Nostri con un'escursione che porterà in una bellissima passeggiata a piedi da Lavagna a Sestri Levante a Pane e Olio. Sarò in piazza Bo alla Casa dell'Olio sabato 10 alle 15,30 con le erbe, i manuali, per una chiacchierata con chi vorrà passare. Anche qui il programma completo dei numerosi eventi https://www.sestri-levante.net/wp-content/uploads/2022/11/PANE-E-OLIO-PER-WEB.pdf Se interessati agli eventi e volete trascorrere qualche giorno in riviera ricordo i due B&B nelle vicinanze che partecipano sempre alle iniziative dell'Associazione: https://www.lellacanepa.com/single-post/2020/07/31/b-b-del-cuore B&B Il Fiume Via Fiume, 11, 16030 Castiglione Chiavarese FRANCA 0185 408000 Facebook https://www.facebook.com/bebfiume/ B&B Tre Ponti Via Fiume 3, 16030 Castiglione Chiavarese MARTA 338 992 9095 Facebook https://www.facebook.com/BB-Tre-Ponti-309423053312785/ Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- VOLEVO VIVERE IN UN MONDO DI RADICCHI
Il titolo è una scusa per parlare della parola radicchio o meglio dei tanti usi che se ne fa, visto che in tutta Italia indica un'infinità di erbe, selvatiche o meno. Anche ai meno studiati appare semplice la provenienza del termine: evidentemente da "radice", quindi erba con la radice che quasi sempre si mangia. Proprio dal mangiare radici e erbe deriva il ritenere povero chi se ne nutre. Cosa è maggior indice di miseria che nutrirsi di bacche e radici? Ha sempre significato non aver nemmeno un fazzoletto d'orto, o la possibilità di cacciare, appannaggio una volta solo dei ricchi proprietari terreni, tanto che ancora oggi è legge universale non si possa punire chi "raccoglie" da terra ciò che gli può essere necessario per la sopravvivenza. E così ogni posto ha il suo radicchio, la sua radicchiella, qui in Liguria radicciun, radicetta, ecc. Se si va a vedere di che pianta si tratta al 90 per cento si scopre che è quasi sempre Cichorium intybus, comune Cicoria, una fra le primissime piante di cui l'uomo si è nutrito alla sua comparsa sulla terra, e di questo esistono tracce certe nei siti archeologici. Nel tempo sono state selezionate varietà orticole tese a mitigarne l'amaro, a ingrandirne la foglia, ingrossare il cuore o qualsiasi altra proprietà le rendesse più appetibili. Abbiamo anche imparato a cuocere le verdure per attenuarne il gusto e ad apprezzare le sfumature dell'amaro. Nel mondo dei radicchi coltivati i più famosi sono sicuramente quelli che arrivano dal Veneto. Il particolare terreno adatto alla presenza di cicorie selvatiche lungo il fiume Sile, il fiume di risorgiva più lungo d'Europa, le sue acque pulite usate per lo sbianchimento dei radicchi ora coltivati in quel terreno ha fatto sì che ne diventasse la patria. In questo video uno dei più famosi, quello Rosso di Treviso, il grande e lungo lavoro e il processo di rinascita che c'è dietro a ogni pianta che ne giustifica il prezzo, e questa è solo una delle selezioni di questa varietà di radicchio https://www.youtube.com/watch?v=hL2jLuV4D8s&ab_channel=ConsorzioRadicchioRossodiTrevisoIGP Ce ne sono un'infinità, rossi, gialli, verdi, il Radicchio Variegato di Castelfranco, quello di Verona e quello a palla di Chioggia, quello Canarino e la Rosa di Gorizia, Cicoria bianca mantovana, Pan di Zucchero e Cicoria di Milano, il radicchio verde da taglio e quello a grumolo, Catalogna e Puntarelle, Indivia, Belga e Scarola, ecc. ecc. e ce ne sarebbero ancora tutti radicchi e quindi cicoria Tutti, anche se coltivati, se lasciati fiorire arrivano a un fiore solo, più o meno questo: Il fiore è lo stesso e ci riporta subito alla cicoria di campo, la madre di tutte le insalate, con foglie lunghe lanceolate, dentate ma non sempre, facilmente confondibile con altre piante da sempre raccolte per l'alimentazione, talmente facile la confusione che una parte dell'Italia, specie centro e sud, parla di "cicorie" intendendo con questo nome gran parte delle erbe commestibili raccolte. Nelle foto sotto due piante di Cichorium intybus, la vera cicoria selvatica, pur se le foglie sono diverse. Di questa e dei suoi usi ho già parlato qui >>>Della Cicoria e della Ciofeca Oltre alle cicorie chiamate radicchio, ci sono le erbe chiamate radicchiella, radichietto, ecc. ecc. spesso del genere Crepis, senza contare il Tarassaco con il quale la Cicoria è sempre confusa, che non hanno nulla a vedere fra di loro e la distinzione, oltre all'esperienza, si può avere solo con la fioritura che è quasi sempre con fiore tipo margherita gialla, davvero difficile riconoscere dalle foglie o dalla rosetta basale. In realtà cicoria sono solo quelle con il fiore tipo a margherita celeste. In Liguria è chiamato radición il Tarassaco tenero dei prati spesso confuso con la Cicoria spadona venduta a mazzi e radicétta qualsiasi cicoria coltivata tagliata fine fine, ma i due vocaboli finiscono per essere usati indifferentemente secondo il paese. erba amara tienila cara Insomma volevo vivere e in realtà ci vivo, in un mondo di radicchi perché mi piacciono molto, coltivati e selvatici, potrei dire che ne mangio tutti i giorni, forse solo in piena estate luglio e agosto ne faccio meno uso perché ho altre insalate nell'orto del tipo lattuga e la Cicoria fiorisce proprio agosto - settembre. Adesso che arriva la primavera e sento dire spesso: - Vado a cicorie - volevo solo ricordare sommariamente quale sia la cicoria, come spesso è impossibile riconoscerla da altre. A proposito l'amaro ... c'è amaro e amaro ... in natura quasi sempre e in quantità variabili l'amaro indica il veleno, i nostri recettori sulla lingua avvisano che c'è qualcosa che non va, ma come insegna Paracelso per semplificare solo la dose fa il veleno e in tutti i veleni l'uomo ha saputo trovare il farmaco. Ricordare anche che l'amaro della cicoria è un tipo di amaro, altre piante commestibili spesso scambiate per cicoria non hanno la stessa appetibilità. Il discorso sul gusto amaro è più ampio, in questa società moderna dove procacciarsi il cibo nei campi non serve più e l'istinto non ci guida a quello che ci serve e ci fa bene, ma ci attirano altri fattori il colore, la confezione, la possibilità di avere a poco prezzo grassi e zuccheri, i recettori della lingua tendono nei giovani a non riconoscere nemmeno più l'amaro e a non accettarlo. Sarebbe invece opportuno fare una specie di ginnastica gustativa cominciando poco alla volta, chi ha il gusto amaro allenato consuma istintivamente meno zucchero. Se i sensori dell'amaro sono 25 proprio per riconoscerne i vari tipi, contro solo uno per il dolce un motivo ci sarà. Il recettore più potente è quello del dolce perché lo zucchero è la prima fonte di energia e aveva un senso fosse il più potente quando era molto difficile trovarlo, cosa che non è adesso. Tutto questo è cambiato solo negli ultimi 50-60 anni, non posso dimenticare il cruccio di mia madre quando doveva usare lo zucchero per le marmellate, nessuno poteva convincerla che ora costava pochissimo. In fondo al post la piccola ricerca che avevo fatto 15 anni fa per la mostra sulle donne dove è evidente la differenza di prezzo dall'inizio del '900 agli anni '60. Tutto questo ha influito in maniera, diciamo subdola, sulle nostre scelte e di conseguenza sulle abitudini, ma ha contribuito all'aumento del diabete in primis e altro. Di quante proprietà ha la cicoria se l'uomo ne mangia dall'inizio dei tempi è quasi inutile parlarne. Stimola l'azione del fegato e reni, della bile, ricchissima di minerali, utile alla funzione dell'intestino, preziosa nelle diete, ovvio che cruda in insalata è meglio per non perdere nulla. Ringrazio chi mi ha insegnato che si mangia tutto, facendomelo apprezzare, perché poi l'amaro nella vita non è che lo devi accettare solo in bocca ... https://www.lellacanepa.com/della-spesa Per approfondire Della Cicoria e della Ciofeca https://www.lellacanepa.com/single-post/2017/11/27/cicorie-il-mio-caff%C3%A8 Conosci il Tarassaco?https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/04/12/-tarassaco#:~:text=Le%20propriet%C3%A0%20curative%20del%20Tarassaco,che%20far%20bene%20al%20fegato. La Radichella a costaneigra https://www.lellacanepa.com/single-post/2019/04/07/la-radichella-a-costaneigra Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LA MELAGRANA
La pazienza è come una melagrana, la sua scorza è amara, ma il frutto è succulento. Mohamed Meziane Giaceva da qualche giorno questo post in attesa di essere finito, come la Melagrana regalata da un'amica di essere mangiata. Il tempo passa tanto velocemente che raccogliendo gli ultimi pomodorini dell'abbandonorto per un attimo ho pensato: "potrei usarli per appenderli all'albero di Natale". È stato estate ancora a ottobre e fino quasi a settimana scorsa, poi qualcosa che finalmente si poteva chiamare pioggia. Qui l'unico albero di melograno è nel giardino di una casa abbandonata da anni, così in questo rotolamento di giorni uno appresso all'altro ho dimenticato di andare a raccoglierli. Non sono mai maturati a sufficienza per potersi dire buoni, ma di solito non dimentico di fare in giro a vederlo fiorito e uno a raccogliere i frutti che riesce a fare che raccolgo ugualmente per usare come decorazione. Poi qualche giorno fa qualcuno mi ha donato una bellissima melagrana pronta da mangiare, e così ho ricordato! Che bel regalo! Per tutto quello che una melagrana rappresenta. i melograni della casa abbandonata Fatica qui a maturare questo frutto perché arriva dal sud, da paesi caldi, così come arrivano a noi le migliori da Sicilia, Calabria, ma anche Marocco, Spagna e simili. È antico, si dice che il famoso frutto proibito del Paradiso Terrestre fosse appunto una Melagrana, non semplicemente una mela. Melagrana d'altronde significa proprio mela fatta di grani, e così appare quando si apre. Forse per questa sua presenza fino da tempi remoti porta con se simbolismi in ogni parte del mondo e in tutte le religioni, è citato in tutti i testi sacri, più volte nella Bibbia e nel Corano, nei libri sacri induisti o nella tradizione cinese. Per gli ebrei i 613 chicchi, che si dice contenga una melagrana, rappresentano le 613 prescrizioni della Torah, 365 divieti e 248 obblighi che fanno della loro osservanza un uomo probo e onesto. La città di Granada in Spagna prende il nome proprio dalla melagrana, la granada, portata lì per essere coltivata dalla dominazione araba. Ancora Egizi, Greci, legato alle figuri femminili di dee e successivamente di Maria, madre di Gesù. Rappresenta la ricchezza, la fertilità, l'abbondanza, ma anche il rosso del sangue e della passione e pure della resurrezione e non solo quella di Cristo, ma in molti altri miti e religioni. Cerco di non farlo mai mancare sul tavolo delle feste natalizie, prezioso per guarnire piatti e insalate e qualche chicco nel bicchiere di prosecco per l'aperitivo. Buoni come al Sud devo dire che qui non ne ho mai mangiato, ci sono varietà più o meno acidule, ma rossi, succosi, dolci e maturi come quelli mai. Per quanto riguarda come aprirlo correttamente per avere facilmente i chicchi su you tube ci sono infiniti video di come fare, basta digitare "come si apre un melograno". La buccia, ricca di tannini dà un bel colore giallo, è usata per amaricare il Vermut. Per avere il succo, che poi sarebbe l'unica vera Granatina, spesso altre sono fatte con frutti di bosco, ecc. ma quella vera è solo di melagrana, uso semplicemente lo spremiagrumi elettrico, avendo già fatto fuori un estrattore, se non se ne possiede uno professionale, penso sia meglio lasciar perdere. Oppure con uno spremifrutta a mano. È possibile conservando i semini bianchi fare il tentativo di riprodurre la pianta, sempre meglio se si vive in zone mediterranee. Con premesse del genere era abbastanza ovvio che avesse proprietà medicinali, vitamine C e K, proprietà antiossidanti, che ne hanno fatto un prodotto ambito anche per i prodotti di bellezza, creme e shampoo. La scorza essiccata, oltre essere commercializzata dai Fenici, da lì il nome Punica granatum della pianta, per produrre il giallo arabo, può essere usata una volta polverizzata per una maschera per la pelle e insieme a pochi chiodi di garofano, miele e limone per un collutorio per bocca e gola. Per uso interno è sempre meglio chiedere a un erborista qualificato perché l'azione disinfettante, antibatterica, antinfiammatoria delle bucce di melagrana è talmente importante su stomaco e intestino che l'abuso di una dose non consona potrebbe dare effetti spiacevoli Delizioso è anche il fiore del melograno, tanto che alcune varietà sono coltivate solo per la fioritura, o anche esistono melograni nani da giardino solo per la bellezza di questa pianta. Melograno è la pianta, melagrana il frutto, botanicamente una "balausta". Domina la Piana del Sele una basilica dedicata alla Madonna del Granato con una statua in legno, non più l'originale andato distrutto in un incendio, raffigurante Maria che tiene in braccio Gesù Bambino e nella mano destra una melagrana. La Madonna del Melagrano è stata ritratta da illustri poeti e scultori. Per tutti gli importanti simbolismi che rappresenta è uno dei frutti più raffigurati nell'arte, impossibilke riportarli tutti, qui un link dove vederne alcuni http://www.didatticarte.it/Blog/?page_id=19376 È Lui che ha creato giardini con pergolati e senza pergolati, palme e piante dai diversi frutti, l'olivo e il melograno, simili ma dissimili mangiatene i frutti e versatene quanto dovuto nel giorno stesso della raccolta, senza eccessi, ché Allah non ama chi eccede. Corano, VII sec. a.e.c. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- BACCHE DI ROSA CANINA? conserviamole! 🧐
“Nu gh’è bèlla rösu(r)a ch’ā longa a nu se müe in grattacü...” Uno dei frutti più belli e utili da raccogliere tra autunno e inverno sono senz'altro le bacche di rosa canina, a disposizione di tutti in grande quantità e gratuitamente. Il loro nome botanico non è bacca ma cinorrodo. Principalmente ricchi di vitamina C, un etto ne contiene quanto un chilo di arance; stimolano il sistema immunitario, hanno proprietà diuretiche, aiutano a eliminare gli acidi urici e combattono i dolori reumatici e le rigidità articolari. Cure sperimentali a proposito sono in corso presso l' Ospedale Rizzoli di Bologna. rosa canina, la rosa selvatica di monti L'invadenza della Rosa Canina, qui sui nostri monti chiamata con disprezzo insieme alla Mora Selvatica, "razza", occupa sentieri, copre ruderi, trasforma il paesaggio e prolifera che "nemmeno il fuoco la ferma", ci ha fatto dimenticare i grandi pregi dei suoi cinorrodi, i falsi frutti che a fine estate formano gradevoli macchie di colore rosso. Come non farne scorta? Comincio a ottobre appena son rosse, ho fretta di procurarmele. Stando attenta a non pungermi, le sue spine che assomigliano ai denti di cane - e da qui il nome di Rosa Canina - sono tremende. Le prime bacche raccolte le uso per farle seccare e, siccome il lavoro che segue è un pochino noioso, quando sono ancora abbastanza dure è appena un po' più facile. Le lavo, taglio a raso del picciolo e del fondo, le apro a metà e con un coltellino appuntito, tolgo per bene i semini interni e i peletti che sono irritanti per l'intestino. Caratteristica che dà a queste bacche il nome volgare di grattacù 😀. Le rilavo, le metto ad asciugare e a seccare lentamente. Ho la stufa a legna dove sopra, in alto, ho una griglia, altrimenti si può usare l'essiccatore a bassa temperatura. - come pulisco le bacche di rosa - Siccome la vitamina C è termolabile è opportuno non superare i 40 gradi. Per questo motivo una volta secche NON faccio tisane o decotti ma le lascio qualche ora o tutta la notte a bagno in acqua fredda e poi bevo e mangio le bacche ammorbidite. In alternativa polverizzo e uso la polvere a cucchiaini nello yougurt, per esempio. Per chi vive in campagna e ne possiede piante vicino a casa, niente di meglio che raccoglierle fresche, pulirle e aggiungerne 5 o 6 per volta ai frullati, ai succhi ottenuti con l'estrattore, alle macedonie, e perchè no alle insalate, dato il sapore acidulo. Una delle maschere di bellezza più efficaci per rendere la pelle luminosa, tonica e levigata, è ottenuta con i cinorrodi freschi, sempre ripuliti per bene dei semi e dei peletti che sono irritanti anche per contatto, frullati insieme allo yogurt, da fare assolutamente proprio in questo periodo. Un metodo per avere una pseudo marmellata non cotta che conserva più vitamina è quello di tritare le bacche pulite e mescolarle a miele. A chi non piace il miele, a chi vuole una gelatina particolare, che però avrà perso con la cottura gran parte delle proprietà non resta che aspettare le prime gelate invernali quando il rosso frutto è ammorbidito. Sono passati quasi due mesi ed ecco arrivata la prima mattina di brina. E' l'ora di uscire a cercare le bacche morbide ...😊 Nel frattempo saranno diventate più molli e gli uccelli ne avranno fatto man bassa a tutto becco. Uso un rastrellino e le faccio cadere su un telo. A casa, lavo, lascio velocemente asciugare, tolgo la parte nera in fondo e metto a cuocere in una pentola con la metà del peso delle bacche di acqua. quando sono disfatte, le spremo ben bene in un telo pulito bianco con il mio torchietto. A questo punto, quando ho spremuto il più possibile, aggiungo il succo di quattro mele selvatiche passate con buccia e torsolo nell'estrattore, peso il liquido ottenuto e aggiungo lo zucchero in proporzione di 800gr a kg di passata. Quando non avevo il torchietto, appendevo il sacchetto con le bacche cotte e lasciavo che il liquido scendesse per tutta la notte raccogliendolo in una ciotola e premendo per raccogliere il più possibile l'indomani mattina. Senza l'estrattore metto a bollire le mele, sempre con buccia e torsolo insieme alle bacche, rimetto sul fuoco e faccio sobbollire fino a che non ottengo la consistenza di una gelatina. Un altro uso che ho letto ma non provato, (in casa mia i liquori non sono molto usati) è la grappa alle bacche: una manciata di bacche intere in un litro di grappa con un cucchiaio o due di zucchero, pare sia buonissimo. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.
- DEL BOLLITO, DEL LESSO, DEL BRODO E DEL CONSOMMÉ
L’amore è come il brodo: i primi cucchiai sono troppo caldi, gli ultimi troppo freddi. È arrivato il freddo, stasera 5 gradi fuori, e dopo le varie traversie di fulmini e allagamenti c'è bisogno di ristorarsi con qualcosa di caldo, zuppe, brodo ... e dal ristorarsi col brodo arriva la parola "restaurant". I "bouillons” già nel '700 in Francia, erano locali dove ci si poteva corroborare, "ristorare", con una tazza di brodo caldo, qualcuno pensò di montare un'insegna con scritto "Restaurant" proprio per evidenziarne la funzione di ciò che lì veniva servito. Col tempo gli stessi furono poi autorizzati a servire anche altre pietanze e rimase la parola per definirli, Ristorante. In tutte le case comunque il brodo ha sempre rappresentato un modo di trasformare pezzi di carne meno pregiati, come la gallina che non faceva più le uova, in una pietanza nutriente per tutta la famiglia. Si usa il brodo, si mangia la carne, se avanza il brodo si fa il risotto, se avanza la carne si fanno le polpette o il finto stufato. L'arrosto era riservato alle grandi feste. Il paese del bollito è per definizione il Piemonte e quindi avendo avi piemontesi non potevo non parlarne. Quindi adesso dovrei mettermi a raccontare quella dei sette quarti, dei sette ammennicoli, sette bagnetti e sette contorni, che costituiscono il Grande Bollito Storico Risorgimentale Piemontese, difficile farlo in casa, e quindi preferisco rimandare ad un articolo ad hoc dove trovare tutto ciò descritto meglio di quanto potrei fare io, qui >>> https://www.gazzettadelgusto.it/cibo-e-storia/bollito-misto-piemontese-storia-e-ricetta/ Preferisco parlare del mio bollito, quello casalingo. Mi limito a tre pezzi indispensabili, un taglio di polpa meno pregiata, uno di biancostato con osso, un pezzo di gallina. Se riesco ad averlo aggiungo un osso di ginocchio, quando ho i commensali giusti completo con coda e lingua, solo occasionalmente testina e cotechino. Per il procedimento è necessario ricordare se si vuole un Bollito o un Lesso. Il Bollito è quando si mette la carne con l'acqua a bollore, il Lesso quando si mette tutto a freddo. Mettendo la carne nell'acqua calda per lo choc termico il sapore rimarrà all'interno ottenendo un ottimo bollito, mentre con la carne a freddo, questa piano piano rilascerà tutto nell'acqua ricavando un ottimo brodo. In aggiunta pochi indispensabili odori: sedano, carota, aglio incamiciato schiacciato, foglia di alloro, cipolla steccata. Per cipolla steccata si intende intera, qualche taglio a croce nella stessa dove inserire grani di pepe e chiodi di garofano, senza esagerare due o tre in una cipolla media. C'è chi aggiunge pomodorini, chi non mette l'alloro, a volte il gambo del prezzemolo, per quanto mi riguarda mai patate, per non intorbidire il brodo. Il bollito di casa mia è alla fin fine un lesso perché usando il brodo metto tutto a freddo, la carne e se ho del semplice pollo. Qui, in campagna mi hanno insegnato, per quanto riguarda le volte che ho una gallina ruspante, di mettere a parte una pentola di acqua, portarla a bollore, immergere la gallina, farla bollire una decina di minuti, per effettuare una specie di sgrassatura, poi passarla a proseguire la cottura nella pentola dove è la carne. Volevo, ma non lo faccio, tralasciare di raccontare l'uso una volta di lavare galline e galli ruspanti con vero sapone di Marsiglia. Dopo aver fiammeggiato per eliminare i residui di piume, la pelle, che con il calore trasuda un po' di unto, con questo metodo subisce un lavaggio che la pulisce e sgrassa a fondo senza temere che rimanga odore o sapore. Credo non lo faccia più nessuno oggi e quando ci si approccia casualmente a gusti antichi che non riusciamo a farci piacere è anche perché abbiamo scordato certe procedure. “II brodo di gallina, fa bene alla vecchia e alla signorina.” Tornando al brodo e al bollito, con la stufa a legna non è un problema lo lascio lì a bollire fino a che la carne non è tenera, all'inizio schiumando l'eccesso che si forma. L'alternativa è la pentola a pressione, utilissima in questo caso. Le volte che aggiungo lingua e testina o cotechino, faccio cuocere in altre pentole separate perché rovinerebbero il gusto del brodo. La loro acqua di cottura non la uso. La testina arrotolata e legata, la lingua dopo la cottura spellata, cotte in pentole diverse sempre in acqua con odori, cipolla carota sedano e gambo di prezzemolo. Terminata la cottura tutto va tenuto nel brodo in caldo. In casa mia si serviva con una ciotolina di sale grosso a parte, con una salsa verde (qui>>>) , eventualmente un Bagnetto rosso, una salsa ottenuta con qualche pomodoro maturo, 2 cipolle, 2 spicchi d'aglio, una carota, un etto di zucchero, mezzo bicchiere di aceto, meglio di vino nero, olio e sale, anche peperoncino a piacere. Contorno di cipolline in agrodolce, giardiniera, verdure bollite. Per usare il brodo è necessario chiarificarlo, o almeno io lo faccio sempre anche se non è consommé. Un operazione semplice che però pochi fanno senza sapere il risultato che si raggiunge. Quindi filtro il brodo con un colino, lo rimetto sul fuoco, aspetto che raggiunga l'attimo prima di bollire. Nel frattempo metto uno o due albumi in una tazza, li sbatto sommariamente con una frusta aggiungendo un mestolo di brodo. Lo aggiungo al brodo che sta per bollire rimescolando sempre con la frusta. Raggiungendo il bollore l'albume sbattuto si coagula radunando in superficie tutte le impurità contenute nel brodo, improvvisamente a coagulazione avvenuta, appare il brodo limpidissimo. A questo punto con un telo di lino, che tengo appositamente filtro e il brodo è pronto, magari per buttarci dentro due Tortellini fatti a mano (qui>>>) Se non lo uso tutto, lo conservo in freezer in dosi pronte per il consumo. Il bollito o anche il lesso non sono solo una tradizione piemontese, ma in tante regioni era il piatto della domenica, in altre il sabato e sempre servito con tante varietà di salsa. Due parole sul Consommé: non tutti sanno che è fatto con carne tritata di manzo ma anche di pollo, io stessa non ci credevo finché non l'ho visto e assaggiato. Si parte se possibile da una base di un brodo allungato più o meno con acqua, almeno un litro e mezzo, con l'aggiunta delle solite verdure, si aggiunge la carne cruda macinata di manzo, circa 250gr. eventualmente anche mista con pollo e si fa cuocere per due ore a sobbollire a fuoco bassissimo, schiumando spesso. È obbligatorio chiarificare, si mette l'albume anche dall'inizio in cottura, si ottiene un brodo ristretto molto sostanzioso che va servito nelle apposite tazze a due manici con piattino e servito a inizio pasto. La ricetta originale comprenderebbe un aggiunta dentro di ottimo Sherry, anche se c'è chi sostituisce con Marsala o Porto. La carne esausta a quel punto non contiene più gusto o nutrienti, sarebbe persino inutile ri-usarla per farne polpette o simili. Il mio primo approccio al consommé è il ricordo buonissimo di quello che mi veniva servito più di 40 anni fa, durante una convalescenza di un mese in una clinica mantovana, tutte le mattine prima del pranzo, verso le 11e mezza, una cosa squisita di cui conservo ancora il sapore in bocca e il profumo nel naso e che contribuì non poco al mio ristabilimento. Questo convinse mia madre e me che non avremmo potuto più vivere senza il servizio di tazze da brodo in porcellana e per un certo tempo le cene fra amici furono inficiate di consommé vari che loro sopportavano benevolmente basta poter accedere al resto delle pietanze preparate, per le quali valeva sempre la pena sorbirsi anche un po' di brodo. Per il piatto forte venne al tavolo l'albergatore: «Sciur Erculin, il bollito gras o magar?» «Tant!» fu la risposta impressionante del babbo che, a distanza di sessant'anni, mi suona ancora nelle orecchie; non importava che il bollito fosse grasso o magro, purché fosse tanto, a dimostrazione che c'era una fame secolare da saziare, e che il bollito misto non era cosa di tutti i giorni Dante Graziosi - Storie di brava gente in Le storie della risaia Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- CHI VA AL MULINO SI INFARINA... O SI INCRUSCA?
Se tu potessi capire un singolo chicco di grano, moriresti di meraviglia. Martin Lutero - farina integrale locale setacciata da me - a sinistra l'alta percentuale di crusca contenuta, a destra la farina ottenuta che presenta ancora un gran numero di elementi che rimangono e non le permettono di essere perfettamente bianca Setacciavo giusto ieri la farina regalatami dal mio vicino, di grano coltivato in zona e macinato sempre qui, diciamo a km -0, qualche metro fra produzione e macinazione. Eh sì, sono fortunata, anche se non riesco ad avere tutta quella che uso, qui si produce (pochissimo, a livello familiare) e si macina solo grano tenero. Semola e farina di grano duro le compero prediligendo da grani che vengono dal sud. Questo post nasce da una riflessione su come mi sono resa conto di quante persone ignorano come sia la farina davvero, la pensano bianchissima o al massimo conoscono la cosiddetta integrale in vendita che in realtà è quasi sempre bianca con l'aggiunta di crusca, e anche su come è cambiata la percezione di cosa è benessere in pochi anni e poi velocemente ricambiata negli ultimi anni. Un esempio è come nell'immediato dopoguerra la farina con la crusca fosse considerata prodotto inferiore al fior fiore, costasse meno e solo pochi anni dopo prodotti definiti "integrali" siano improvvisamente saliti di prezzo, spesso confezionati con farine con l'aggiunta di crusca e quindi non veramente integrali. Altri post dove avevo già accennato all'argomento: >>>PASTA A VANTAGGIO la pasta venduta a meno prezzo "a vantaggio" di chi la comperava >>>PASTA AVVANTAGGIATA DI FARINA DI CASTAGNE una volta, perché se prima la farina bianca costava di più di quella di castagne (50 anni fa), adesso quella di castagne costa 10 volte quella di grano, tanto da far credere ultimamente che "a vantaggio" significasse proprio arricchita di crusca o di farina di castagne. In nessun'altra epoca l'uomo è riuscito a far passare da povero quello che era ricco, ricco quello che era povero per arrivare al povero arricchito. In pochissimo tempo si è passati da "la farina bianca è più nutriente" a "la farina bianca è dannosa", ma non so quanti sappiano davvero cosa c'è prima. Partendo dal chicco di grano, sempre molto semplicisticamente per non entrare in spiegazioni scientifiche che non mi appartengono, si passa alla macinazione di questo chicco con macine rotonde di pietra (che si usi l'acqua o la corrente per far andare il mulino è ininfluente, è la velocità con la quale girano le macine che importa) o a cilindri nella produzione più industriale. La lavorazione nei mulini di paese di una volta con la macina in pietra, pietra vera non artificiale fabbricata con malte cementizie, permette di sminuzzare il chicco senza separare il germe di grano, la crusca e il resto in modo da ottenere vere farine integrali e difficilmente a livello casalingo si riesce ad avere, con la semplice setacciatura a mano, una farina davvero bianca. I mulini a cilindri funzionano a velocità più elevata, il grano viene inumidito per permettere il distacco di crusca e cruschello e altro e hanno un infinità di setacci dove da una parte esce la farina bianchissima e fine chiamata 00 e dall'altra parte i cosiddetti sottoprodotti. Questo processo, chiamato abburattamento, cioè la percentuale di "scarto" che arriva al 25% nel caso della farina 00, ottenuta a questo punto con la parte di chicco dove rimangono solo amido e glutine. Questo 25% di scarto e cioè crusca, cruschello, tritello, ecc. spesso vengono reintrodotti per ottenere le farine 0, 1, 2 e chiamate ricostituite, arricchite, e questo io lo considero un vero e proprio inganno. Arricchite di cosa? - Tre esempi a caso di ciò che permette la legge - Resta inteso che una farina integrale, cioè se è veramente integrale, non è diversa se prodotta macinata a pietra o macinata a cilindri, così come non serve che sia macinato a pietra solo la parte del chicco ricca di amido e glutine. Ma la legislazione è vecchia e carente e certe parole scritte sulle confezioni sono fatte ad arte per trarre in inganno. La legge definisce una farina integrale in base alle ceneri, che devono essere tra 1,3 e 1,7 % del prodotto secco, quindi può essere una farina raffinata con aggiunta di crusca. Un po' come l'olio 100% Italiano vuol dire che olive prodotte altrove, magari in Tunisia, sono state frante in Italia e il prodotto ottenuto può essere chiamato Italiano. Perché questo processo? Un motivo è che le farine integrali sono più difficili da mantenere, il contadino conserva il grano e ne porta al mulino una decina di chili per volta per avere la farina fresca. Inoltre il prodotto arricchito si lavora meglio e ha un gusto più neutro e appetibile per gli usi e gusti della società moderna. Spesso si guarda di più alla forza della farina che non c'entra con l'integrale o meno, ma solo con le varietà di grano e da come sono mescolate. - la crusca della mia farina integrale - Cosa è questo resto che esce da altre parti dei mulini industriali? Sono quello che purtroppo viene definito spesso "sottoprodotti", crusca, cruschello, triello, farinaccio, ecc., ma chi lo sa cosa sono? e dove vengono impiegati? In realtà sono le parte più ricche del chicco di grano e vengono, ahimè, impiegati nell'alimentazione animale. La nostra conoscenza, spesso finta conoscenza, si limita tutt'al più alla crusca. Quello che volevo raccontare con questo articolo è come pubblicità, la superficialità nella raccolta delle informazioni, la non attenzione all'acquisto, la velocità di vita della società oggi, e la completa negazione di come si viveva una volta, ci abbia portato a credere che la crusca fosse la soluzione a tutti i nostri mali e la farina bianca quella che li procura. In realtà il chicco di grano è rivestito da più strati, detti Cruscami, la crusca vera e propria è il più esterno, contiene poche vitamine e la lignina che dà quel sapore spesso poco piacevole, ed è quella che si riesce a togliere in gran parte anche con un setaccio casalingo a mano da una farina macinata a pietra. Questa sì che veniva messa da parte anche dal contadino per l'alimentazione animale, impastata per le galline o per il mangiare dei maiali, e ancora oggi è regolarmente data anche ai bovini. Ha delle controindicazioni per chi soffre di malattie intestinali, provoca flatulenza ed è comunque sconsigliata a chi soffre di colite, inibisce nel tempo l'assorbimento di calcio, ferro, fosforo e zinco, anche se è utile per la sua capacità di gonfiarsi nelle diete e dare senso di sazietà, o per favorire il transito intestinale. Da ragazza la usavo nel bagno per ottenere una pelle bella morbida, infilata in una calza di nylon, nell'acqua che scorreva, me la passavo poi come una spugna. Ora non entro più nella vasca, l'acqua calda per un bagno costa come una vacanza all'estero e anche la crusca è stata rivalutata esageratamente, mi è però rimasta una bella pelle. Gli altri strati, che con un mulino a pietra non si riesce a separare dal chicco, sono quelli ricchi di vitamine e germe di grano, che rimangono nelle setacciature possibili a livello casalingo e danno sempre un prodotto più scuro e secondo me un gusto più saporito. L'industria favorisce la separazione di questi elementi dal chicco per poterli vendere a parte e così si trova in vendita il germe di grano e le varie crusche e per poterli assumere, ma perché? Ma non si potrebbe continuare a usare una semplice vera farina integrale come una volta? Come dicevo spesso no, perché la vera farina integrale dà più problematiche nell'uso, specie nella lievitazione e nell'elasticità e non sempre è gradita al palato. Ripeto, gran parte comunque di questi "sottoprodotti", proprio per le loro proprietà nutritive, vengono usati per l'alimentazione animale. E forse anche per questo motivo che si trova in vendita un chilo di farina a prezzi ridicoli, perché in effetti sarebbe da dire, è la farina 00 lo scarto, il sottoprodotto. Per me è imprescindibile, proprio per il gusto, usare farina integrale in certe ricette, come la BACIOCCA>>> o i TESTAIO>>>, ma preferisco anche un pane meno bianco o una tagliatella meno elastica. Riesco a fare pizze o la pasta matta anche con la mia farina integrale, con un minimo di attenzione in più e nel caso aggiungo un poco di farina industriale. Rido di noi di questo mondo moderno, pensando a come qui, le anziane donne che non ci sono più, hanno sempre chiamato la farina di negozio con disprezzo "fainetta" ... un diminutivo ... La verità sta nel mezzo, se non è demoniaco usare la farina 00 o la Manitoba ogni tanto per veder lievitare meglio, così come facevano le nostre nonne per le feste quando volevano un prodotto visivamente superiore, bisogna ricordare che sono state proprio queste farine, spesso definite "americane", che ci hanno aiutato ad uscire dalla fame e dalla denutrizione del periodo post bellico, ma non è santificando la crusca che si fa la cosa migliore. L'errore è stato quello di mangiare troppo e solo di una qualità, con un abuso di apporto di soli certi nutrienti come amido e glutine, in un'alimentazione che nel frattempo si era arricchita in tutti i sensi anche di altro come la carne, che si è cominciata a mangiare tutti i giorni negli ultimi 50 anni, per arrivare così alle intolleranze. Cercare adesso di correre ai ripari comperando farine con aggiunta di crusca è solo un continuare a sbagliare. L'uso regolare di farine macinate a pietra in mulini del posto, di grani possibilmente locali permette l'assunzione di tutti gli elementi necessari, proteine, vitamine, proprie del germe di grano e del cruschello e se serve anche della crusca. Dico grani locali perché se a qualcuno capitasse di vedere davvero come e in che condizioni igieniche arrivino le tonnellate di grano dall'estero smetterebbe di mangiare immediatamente, ma come diceva quell'amico cuoco "il fuoco disinfetta" e nessuno mangia la farina cruda. Ma pure l'acquisto consapevole di farine industriali, con un occhio a come vengono prodotte e ai passaggi che fanno. A casa mia si è sempre cercato di usare tutto, alla bisogna, preferendo quello che si poteva confezionato con prodotti del posto, ma nel caso di altro con cognizione di causa, sapendo quello che si compera e che si mangia cos'è e perché, di tutto un po'. Che resta l'unica vera via di salvezza. La prossima volta arzigogolerò sulle farine e le semole di grano duro. - Non ogni uccello conosce il buon grano - - Se ogni uccello conoscesse il miglior grano, poco da mietere resterebbe al villano - Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- "POUR MARIE MALADE" D'INVERNO
"Pour Marie Malade" è ciò che i cuochi fiorentini scrissero sui vasi della prima composta dolce di agrumi che inventarono come ricostituente per Maria de' Medici, regina di Francia, per riprendersi dalle frequenti gravidanze. Da questa frase pare derivi la parola "marmellata" e forse per questo dal 1982 una direttiva europea consente per soli i prodotti contenenti agrumi, che circolano all'interno dell'unione europea, possa essere usata questa denominazione. In casa abbiamo sempre chiamato marmellate tutte quelle ottenute con qualsiasi frutta passata, confetture quelle con i pezzi, gelatine quelle con il succo e composte quelle con poco zucchero da mangiare velocemente. Per me è tardi per cambiare e oggi mi sono fatta alcune delle mie "marmellate" d'inverno, tanto non circolano al di là della mia dispensa. Marmellata resta comunque parola dove si definisce in italiano quanto segue: cit. da TRECCANI marmellata s. f. [dal port. marmelada, der. dal lat. melimelum, gr. μελίμηλον «melo innestato su un cotogno»]. – Conserva alimentare ottenuta facendo cuocere e raffreddare la polpa, macinata (o passata al setaccio) e zuccherata, di frutti varî, o anche di ortaggi (carote, pomodori verdi, melanzane, ecc. LA RICETTA Da quando ho l'estrattore mi avvalgo del suo aiuto per ottenere in poco tempo delle marmellate a crudo, cioè senza cuocere la frutta prima, mi sembra abbiano un sapore più fresco, che conservino di più il sapore della frutta. Senza di questo passaggio bisogna necessariamente procedere alla cottura della frutta a pezzi per poterla passare successivamente con un passaverdura. Avevo una quantità incredibile di kiwi, ovviamente locali e stra-bio, li ho lavati, tolto in cima e in fondo tagliati a pezzettoni. e passati con tutta la buccia (edibile) nell'estrattore. Ho provato, e ce l'ha fatta fino a una certa quantità, ricavando una bella polpa densa che ho pesato e messo in pentola con una proporzione di 600 gr. di zucchero a chilo di polpa. Questa proporzione è il minimo per consentire alla marmellata di durare senza un'ulteriore sterilizzazione; se volete fare una composta più "leggera"di zuccheri dovrete procedere alla bollitura dei vasetti una volta riempiti. Non ho fatto altro che lasciar cuocere a fuoco medio per poco meno di un'ora e, fatta la prova piattino (un piccola quantità di marmellata su di un piattino, lasciata raffreddare qualche minuto, inclinando dà l'idea della densità raggiunta) e sterilizzati i vasetti vuoti nel microonde ho invasettato. Per sterilizzare nel microonde bisogna avere l'accortezza di metterli dentro un contenitore e coprirli, in quanto con il calore residui di cibo che potrebbero essere dentro al forno potrebbero ricadere all'interno dei barattoli. Tre, quattro minuti a 800w e sono più tranquilla. Si può sterilizzare anche con il forno di casa 20 minuti a 110°. I coperchi li faccio bollire qualche minuto. Se riusate i vasetti, il metodo più veloce che ho trovato per togliere le etichette vecchie è quello di metterli in un contenitore a bagno nell'acqua e sempre in microonde qualche minuto, si staccano con più facilità. Con questo sistema ho fatto anche un'ottima marmellata di zucca e mele selvatiche insieme, in proporzione di metà mele e metà zucca. Ho passato nell'estrattore le mele a pezzi con la buccia e ho unito il succo ottenuto con i pezzi di zucca. Nel succo di mela ottenuto ho messo ad ammorbidire la zucca in una pentola a fuoco medio e poi con il frullatore a immersione ridotto tutto in purea. Pesato, unito sempre 600gr di zucchero a chilo e rimesso sul fuoco fino ad addensare. Ho passato anche i mandarini, togliendo la buccia perchè altrimenti rilascerebbe troppo gusto amaro. La buccia essendo anche questa bio-bio l'ho tagliata a strisce, fatta seccare e polverizzata per profumare qua e là. Appena riuscirò ad avere delle arance casalinghe mi cimenterò anche con quelle. Se non riesco a chiamare confettura le mie marmellate ho però imparato a gustarle con i formaggi e garantisco che tutte e tre sono ottime per questo scopo. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- FOCACCIA con SALSICCIA dei MORTI
Questa volta vi porto con me all'Osteria du Chicchinettu, a Varese Ligure dove ieri mattina, 2 novembre, ho rispettato la tradizione, strettamente locale, della Focaccia con la Salsiccia. E vi accompagno direttamente qui, perché l'usanza proprio questo dice: quando anticamente la Messa dei Morti si teneva alla mattina prestissimo, anche le cinque di mattina, all'uscita di chiesa si passava o dal forno del panettiere o dalle osterie per gustare questa focaccia ben calda, ancor più che farla in casa. Dove probabilmente non era rimasto nessuno a cucinare una colazione, visto la grande partecipazione di popolo, maschile e femminile che questo rito aveva. Una volta a Messa si andava digiuni dal giorno prima per poter prendere l'Eucarestia, quindi compiuto il proprio dovere religioso, serviva qualcosa di pronto e di caldo da mettere sotto i denti. Per quel che ho saputo la consuetudine si è consolidata nel dopoguerra, forse quando in seguito alla macellazione dei maiali avanzava un po' di pasta di salsiccia e un fornaio lungimirante inventò questa prelibatezza. L'esecuzione è quanto mai semplice. Una certa quantità di pasta lievitata, pasta da pane o da pizza, stessa sottilissima e sistemata nella teglia. Sopra con precisione ordinati fino a coprire completamente la superficie, altrettanto sottili pezzetti di salsiccia fresca, un altro strato di pasta stesa, chiusi i bordi intorno e infornata in forno caldo. Tagliata a quadri va mangiata caldissima con un bel bicchiere di vino bianco. Non è l'unica delizia che potete gustare all'Osteria du Chicchinettu, in piazza Mazzini a Varese Ligure. E se per la focaccia con le salsicce ho scritto, ahimè, in ritardo, sono ancora in tempo per domenica prossima ... in occasione della fiera di San Martino arrivate presto, e forse riuscirete ad accaparrarvi uno dei loro gustosissimi frisceu di baccalà con un bicchiere di vino novello, ancora stórbio. Quello che hanno di diverso, oltre al buon gusto, è che sono grandi e rotondi e soprattutto sono caldi e pronti e non hai fatto San Martino se non ne hai mangiato uno. Non posso scrivere la ricetta... non la so ... posso rimandarvi (qui>>>) alla mia che uso genericamente per tutte le frittelle. Ma tranquilli se non ce la fate per domenica prossima, c'è tempo tutti i martedì mattina, giorno di mercato, ma svelti, perché vanno a ruba... Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>











