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- CAPPONADDA
O Caponadda o Capponada ma non Caponata, che è tutt'altra cosa. La prima è ligure, piatto fresco, estivo anche questo, di elementi crudi, la seconda è siciliana, di verdure cotte e ne avevo parlato qui>>> Qualche giorno fa avevo fatte le gallette qui>>> ,apposta per farla gustare stasera a degli amici italo-inglesi ed è ottima anche solo per accompagnamento a un aperitivo semplice o una cena leggera. Vocabolario Genovese-Italiano, Giovanni Casaccia, 1854. pag.84 L'origine del nome è già stata raccontata da chi ne sa più di me, ne parlano i dizionari di Genovese- Italiano come il Casaccia o l'Olivieri. E la raccontano come un biscotto bagnato condito con olio, aceto, acciughe salate, capperi, olive e simili e mosciame. Col tempo si è abbandonato il mosciame di carne di delfino, la cattura dei quali è proibita per il consumo alimentare in Italia, ma viene ancora consumata in altre parti del mondo, pur essendo sconsigliata per l'alto contenuto di mercurio che trattiene. Si usa adesso il mosciame di tonno che resta pur sempre un prodotto pregiato e quindi si ripiega sul semplice tonno sott'olio. Guardando ad altri piatti simili si è cominciato con aggiungere uova sode e pomodori, essendo la versione originale ritenuta forse un po' troppo povera. La galletta bagnata in acqua e poco aceto deve però rimanere a pezzi e croccante, niente a che vedere con la panzanella qui>>> dove il pane sciapo toscano è imbevuto e strizzato, anche se potrebbe sembrare più o meno la stessa cosa. le mie gallette qui>>> Per farla ho seguito i consigli di Giulio Cassinelli, il maestro focacciaro, che ne sa una più del diao ed è di Camogli, qui>> la sua storia. La procedura è quanto mai semplice: In un vassoio largo e poco profondo si spezzettano con l'aiuto di un batticarne le gallette in pezzi grandi quanto un boccone. Si bagnano con acqua e poco aceto e si lasciano qualche istante, la galletta non deve ammollarsi troppo, solo quel tanto per poter essere mangiata. Tolta l'acqua in eccesso, nello stesso contenitore si aggiunge acciughe sotto sale diliscate e pulite, (io le passo in poco vino bianco), capperi, olive taggiasche, tonno sott'olio al posto del mosciame, pinoli tostati, olio ligure. Si mescola e niente è meglio delle mani in questo caso, e si mette in frigo coperta a riposare. Per esempio per servirla alla sera la preparo in tarda mattinata. Un'ora prima di servirla si trasferisce in una fiammanghilla , perché la Capponadda vuol stare larga, non ammucchiata e si finisce, se si vuole, con tuorli di uovo sodo e pomodorini, c'è chi aggiunge gamberi o altro. Ho messo l'origano perché io ne ho quasi dipendenza. Si mescola solo prima di servirla. Gli ospiti hanno gradito molto. Nessuno saprà mai dove finisce la capponadda e inizia il cundiggiun, altro piatto ligure. Per me la differenza sta proprio che nella capponadda gli ingredienti, il nome, sono conosciuti e se pur con variazioni, codificati, mentre nel Cundigiun tutto quello che ci si mette va bene. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- DEI FAGIOLI... E DELLA PASTA E FAGIOLI DI CASA MIA
Forse sono finalmente cambiate un poco le temperature di questo autunno primaverile con giornate estive e oggi ho azzardato la prima Pasta e Fagioli. Scarso il raccolto quest'anno fra siccità e cimici, pochi i Borlotti raccolti, nemmeno una Fagiolana, il fagiolo bianco di Spagna che una volta era una delle colture principali di questa campagna. Il post sui fagioli era lì che aspettava da un po' perché è una di quelle situazioni dove devo sempre iniziare con una polemica, nel caso su tutte quelle "dimenticanze" o "modernismi" di alcuni passaggi di questo cibo che ormai consumiamo da più di 500 anni. Cioè, per un motivo che mi rimane sconosciuto, da alcuni anni, si è iniziato a usare più spesso i fagioli freschi, se secchi messi a bagno poco o niente, ora si dice che si può usare l'acqua dove sono stati ammollati, che in scatola fa lo stesso, che non hanno conservanti ecc. ecc. Tutto ciò mi ha convinta a indagare perché si è sempre fatto diverso. Abbiamo sempre messo in ammollo per minimo 24 ore, anche cambiando l'acqua i legumi, e gettata via prima di cuocerli, abbiamo sempre usato preferibilmente legumi secchi, si è riservato l'uso delle scatole per questioni di emergenza. Primo I contadini hanno sempre mangiato i fagioli, qualsiasi varietà, preferibilmente secchi, e non poteva essere solo perché facilmente conservabile come cibo per l'inverno. In effetti in qualche modo già sapevano che solo da da secchi sviluppano in maggior parte le famose simil proteine che fanno di un piatto di pasta e fagioli un pasto nutriente e completo. Da freschi il contenuto è notevolmente inferiore, noi in casa mai mangiati, salvo i primissimi nell'orto così per una voglia. Un'altra cosa riscoperta dai vegani, ma solo riscoperta. Se ritrovassi la tabella delle differenze fra legumi secchi e freschi la posterei, ma non ce l'ho al momento. E invece trovo sempre persone convinte di fare la cosa giusta, conservando fagioli freschi in congelatore o in altri modi, quando lasciati seccare sulla pianta è il modo migliore per l'apporto di proteine e nutrimenti che solo con questo procedimento vengono accumulati - i miei fagioli secchi pronti da sgranare, lasciati seccare sulla pianta - Secondo Perché ammollarli per diverse ore? almeno 24? Perché l'ammollo favorisce il rilascio delle saponine che i legumi contengono in quantità notevole e che sono un po' le responsabili degli effetti collaterali ben conosciuti nell'intestino. Un passaggio che non è possibile con i freschi. Se ne avessi le competenze passerei ore a parlare delle saponine, ma posso solo riferire a grandi linee quello che ho capito qui e là. Le saponine sono presenti in molte verdure, piante e anche legumi e sono un po' come una difesa naturale prodotta dalla stessa pianta per proteggersi e sono diverse a secondo della pianta. La solanina delle patate verdi e dei pomodori acerbi, una delle più tossiche per l'uomo, è una saponina. Così come quella davvero tossica della Saponaria qui>>> dalla quale prendono il nome, o quella nelle Bietole, Spinaci, Romice, Soia, Quinoa, ecc. ecc. Oltre ad essere diverse da pianta a pianta è diverso l'effetto sull'uomo, in alcuni casi la presenza delle saponine è utile, come nel caso della rimozione del colesterolo, perché, per farla facile facile e per niente scientifica, è un po' come se "lavassero", infatti si riconosce la loro presenza quando agitando l'acqua di ammollo dei fagioli questa fa la schiuma, ed è per questo che va buttata, così come l'acqua di certe verdure non andrebbe bevuta. Qual'è il problema? come sempre la dose; se poco fa bene, tanto può far male. Anche il tipo di solanine o di saponine, e la quantità contenuta in una o nell'altra pianta, il terreno dove è cresciuta, quanta acqua ha preso, ecc. ecc. Nel caso di patate verdi e pomodori acerbi, ripeto ACERBI non verdi che vuol dire un'altra cosa, si rischia un'intossicazione alimentare, nel caso dei fagioli sento tante persone dire -Io non li posso mangiare perché ...- Riprendo un attimo sui pomodori ACERBI con i quali è consuetudine a fine stagione fare marmellate e sott'oli, un errore grave. Quelli del film fritti alla fermata del treno erano VERDI non ACERBI e cioè appartenenti a varietà di pomodori che rimangono VERDI fuori e rosati dentro ma sono MATURI, cioè con un contenuto minimo di solanine, usati particolarmente per friggere e per i sott'oli in quanto turgidi anche se maturi. Purtroppo sono parole vane al vento ogni anno. Non importa quanto se ne mangiano, sono sempre un inutile accumulo insieme a quelle che non si possono evitare e sono davvero tante e rischiano di diventare troppe, più di quelle che servono e nel caso della solanina diventare davvero pericolose per l'intestino. Terzo Perché non è consigliabile mangiare solo legumi in scatola? ovvio che l'uso sporadico non significa niente. Appunto perché non significano niente, hanno ben poco da offrire. Se una volta il processo di reidratazione era più o meno come quello casalingo, l'enorme quantità di acqua consumata per l'ammollo, i tempi lunghi, hanno fatto si che a livello industriale si arrivasse a studiare metodi che permettono di inscatolare dopo qualche ora e spesso viene lasciato intendere di usare anche il liquido di conservazione, nonostante sia invece raccomandabile scolare e sciacquare, non fosse che per il forte contenuto in sodio usato per insaporire, e solo le recenti scatole smaltate offrono una protezione migliore nella migrazione di elementi dalla lattina. Nel caso sono da preferire quelli nel vetro. Quando mi sento dire - ma i fagioli secchi ci metto troppo se li devo ammollare - ricordo sempre che in ammollo ci stanno da soli, lì in un angolo del banco della cucina, non occorre tenerli per mano per 24 ore o lasciargli la luce accesa, fanno tutto da soli con un po' d'acqua. Una volta ammollati, sciacquati e messi a freddo in una pentola, senza sale, sul fuoco, ci stanno anche lì da soli. Se proprio, è una di quelle poche volte che si può usare la pentola a pressione e in massimo mezz'ora si fa una pasta e fagioli. Un fagiolo ammollato per bene non richiede cotture così lunghe, se i fagioli rimangono duri o hanno la buccia dura è perché sono più vecchi di due anni, ma soprattutto perché si è messo il sale in cottura. Ma c'è un segreto che io però svelo a tutti, fagioli secchi di qualsiasi tipo, una volta ammollati, sciacquati, possono essere conservati in congelatore pronti per essere usati, messi a freddo in acqua e cotti per qualsiasi uso o aggiunti a minestroni. I fagioli una volta cotti devono essere conservati coperti dall'acqua di cottura, in frigo, per qualche giorno. Anche i fagioli secchi possono conservati in congelatore, solo dopo un passaggio di un giorno possono essere tirati fuori e conservati senza pericolo che producano animaletti vari, e questo non inficia neppure su una possibile semina. PASTA E FAGIOLI COME A CASA MIA Altra ricetta presente in tutte le cucine italiane da nord a sud, e da prima che Colombo li portasse in Europa dal Centro America. I Romani cucinavano un tipo di fagiolo orientale che somigliava molto al pregiato e ricercatissimo da mia madre, il Fagiolo dall'occhio. Adesso per me è pasta e fagioli solo con una delle tante varietà di Borlotti, quella che mi viene nell'orto. L'accoppiata fra cereali e fagioli è vincente anche dal punto di vista nutrizionale, quello che non ha uno ha l'altro, qui è come la faccio io da sempre con poche varianti. Ammollati almeno 24 ore, nel caso cambiando l'acqua, dimenticavo! per carità senza bicarbonato, non serve per farli venire teneri, oltre ad alterare il sapore diminuisce le proprietà utili, si mettono in acqua fredda, in quantità almeno doppia del volume dei fagioli, con una cipolla intera un foglia di salvia, o anche di alloro e si fanno cuocere a fuoco modesto con il coperchio. La pentola di coccio è il massimo, ma con una buona pentola a pressione basterà un quarto d'ora-venti minuti. Sempre sul fuoco a pentola scoperta, con un cucchiaio grande e una forchetta schiaccio una parte di fagioli, nel caso se si vuole un risultato più preciso si può prelevarne una parte, con i pezzi di cipolla e usare un frullatore a immersione. Metto due o tre patate tagliate a tocchetti Per finire aggiungo due foglie di salvia e uno spicchio d'aglio tritati, ma in alternativa rosmarino e aglio, poco sale. Pochi minuti e butto la pasta, in questo caso dei brichetti liguri, ma anche ditalini rigati di una buona semola. Mentre cuoce la pasta faccio rosolare qualche fettina di lardo o pancetta in un pentolino a parte e l'aggiungo, regolo di sale. Nel piatto aggiungo parmigiano grattugiato, un giro d'olio magari toscano, e l'immancabile tocco di pepe a piacere. Se è uno dei giorni che mi sento meridionale aggiungo, con le erbe, una puntina di concentrato di pomodoro. Se mi sento rustica, dopo aver lasciato cuocere i fagioli con le erbe e il lardo, invece della pasta, metto tagliatelle anche senza uova tipo quelle a vantaggio Pasta a Vantaggio >>>qui Solo a Taranto riesco ad aggiungere le cozze. Da non sottovalutare l'uso della salvia, non è solo una questione di gusto, serve come sedativo della peristalsi intestinale, così come l'alloro o il rosmarino che hanno una azione sulla fermentazione sempre dell'intestino, e anche il pepe, nella giusta dose, agisce sulla digeribilità del piatto. Vorrei star qui a parlar ancora di fagioli e fagiolane, ma sono già stata troppo lunga, ci tornerò sopra. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- GALLETTA DEL MARINAIO
Il dilemma era se avrei preso più caldo scendendo in riviera per arrivare al primo panificio utile dove le vendevano o se nella giornata più torrida degli ultimi secoli, accendere il forno per farmele. Certo io sono un'appassionata di friselle delle quali già avevo scritto qui>>> , ma resto ligure e se volevo fare i post sulle ricette della Capponadda e del Bagnun pur delle gallette avevo bisogno. Non ho le competenze linguistiche ma a casa mia la parola " galletta" era anche il biscotto dolce secco da inzuppo, " damme ina galleti-nna " diceva mio nonno a mia nonna. La storia di questa specie di biscotto neutro, classico ligure, è presto raccontata: ai marinai serviva qualcosa a bordo che durasse quanto i loro lunghi viaggi e niente era meglio di quella focaccina secca secca, buona ancora dopo un anno, conservata in bauli foderati di zinco al riparo dai topi. Spezzettata e bagnata in acqua di mare al momento, serviva da pasto completo con l'aggiunta di pochi ingredienti, olio, un'acciuga salata, o musciame, una volta di delfino, oggi solo di tonno, e chissà qualche cappero, forse. Il segreto della durata pare sia nella lavorazione, ma io non ce l'ho. Ce l'ha sicuramente il panificio Maccarini a San Rocco di Camogli che le produce da quasi 150 anni, ma come dicevo troppo lontano e troppo caldo per partire e andare a prenderle oggi. Mi sono quindi cimentata, leggendo qui e là, ricordando di quando avevo chiesto a Cassinelli e di quando con il mio chef preferito, le avevamo fatte piccolissime per delle monoporzioni di cappon magro. Il risultato ottenuto mi soddisfa, anche perché non dovrò stare un anno in mare. Per quello che ho capito serve una farina forte, avevo della Manitoba e quella ho usato. 500 gr. farina forte W320 250 gr. acqua una bustina di lievito secco a lievitazione naturale (io Mastro Fornaio) un pizzico di sale, pochissimo. Ho impastato nel robot fino ad ottenere una palla di pasta non tanto morbida Ho lasciato a lievitare coperto direttamente nella ciotola del robot Dopo un'ora, oggi era un caldo pazzesco e ha fatto prestissimo, ho preso la pasta e ho formato delle palline di circa 60gr. l'una. Le ho disposte sulla spianatoia coperte da uno strofinaccio Dopo un'altra oretta le ho spianate con il matterello fino a uno spessore di mezzo cm, le ho bucate con una forchetta, e le ho ricoperte aspettando fino a che il forno fosse caldo a 250°. Il mio forno è particolarmente lento e ci mette un bel po' Infornate per 10 minuti circa, le ho tirate fuori, tolte dalla teglia e fatte biscottare per altri cinque sei minuti direttamente sulla griglia. Passaggio questo obbligato per renderle belle secche. Ho spento e ho lasciato raffreddare dentro con lo sportello semi aperto. Dure come un sasso le ho assaggiate e per me vanno benissimo. Per romperle ho dovuto prendere il batticarne proprio come faceva mia nonna. L'assenza assoluta di olio e forse anche il poco sale ne fanno un prodotto più conservabile, ma queste non dureranno tanto, giusto quel poco da fare assaggiare ad alcuni amici la Capponadda Prossimamente quindi Bagnun di acciughe qui>>> , Capponadda, ecc. Del Cappon magro avevo già detto qui>>> Vado che c'ho da fare... Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL BAGNUN
Inizialmente avevo scritto "Bagnun di Acciughe" ma poi mi sono chiesta: forse ce n'è un altro? È possibile che il termine Bagnun, nella zona del Tigullio, si sia usato per qualche altra zuppa di pesce, personalmente mai sentito, per me il Bagnun resta solo il Bagnun di acciughe e della zona Riva Trigoso, Sestri Levante. Proprio a Riva Trigoso tutti gli anni nella seconda metà di luglio, si organizza la Sagra del Bagnun, alla quale vengono serviti migliaia di piatti e alla quale ahimè non sono mai andata. Il Bagnun però l'ho assaggiato in casa di amici e in altre occasioni, non in casa mia dove mio padre odiava i piatti dove anche solo casualmente poteva incontrare una lisca di pesce e povera mia madre che per la sua famosa zuppa di pesce puliva tutto con la lente, ma lui alla fine o non si fidava o riusciva a trovarne una lo stesso. Il Bagnun le lische le ha perché proprio non vanno tolte, per chi pensa che sia la stessa cosa, purtroppo non è così. foto dal web - Bagnun di Riva Trigoso Con una manciata di acciughe portate ieri da un'amica me lo sono fatto in esclusiva per me oggi a pranzo. Ho tritato una cipolla piccola, non di quelle con gusti particolari, bianca o gialla, abbastanza neutra o come nel mio caso di Pignona delicatissima, messa ad appassire in padella con olio, uno spicchio d'aglio schiacciato (ogni altra pratica con l'aglio è un errore, l'aglio va sempre prima schiacciato per liberare le sostanze benefiche così come togliere il germoglio nell'illusione che diventi più digeribile, già si perde molto con la cottura). Mezzo bicchiere di vino bianco e poco dopo ho messo un bel pomodoro maturo pelato e tagliato a pezzetti, ho aggiunto un mestolo di acqua e qualche grano di sale grosso. Ho lasciato cuocere per arrivare a una salsina che deve essere brodosa, ho aggiunto le acciughe private solo della testa e delle interiora, lasciate chiuse Basterà pochissimo, nel frattempo spezzetto la galletta che mi so fatta ieri, qui la ricetta>>> e la bagno con un mestolino di sugo In ultimo avrei aggiunto un poco di prezzemolo tritato ma non l'avevo e così ho optato per una spolverata di origano (chiedo pietà, ma ci stava bene), ho sistemato nel piatto e via... Sarebbe meglio un pochino più brodoso di così, ma ho perso tempo a fotografare. Mangiare il Bagnun è un arte, riservata ai goduriosi, come tanti piatti poveri vanno usate le mani. Impensabile stare lì a togliere in punta di forchetta e coltello a ogni acciuga la lisca, basta sollevarle per la codina con la punta delle dita, con le labbra togliere la prima parte di polpa, lasciar cadere il resto e mettere da parte sul bordo la lisca pulita. Le gallette impregnate di sugo saranno deliziose, un bicchiere di Bianchetta fresca, quella che ho messo dentro, e lascia pure che fuori ci siano 35 gradi Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL MIO CAPPON MAGRO, anzi MAGRISSIMO
Questa è una riedizione economicissima, sempre di casa mia, della famosa ricetta del Cappon Magro . UN PO' DI STORIA Il Cappon Magro è una delle ricette principe del Natale e delle altre feste genovesi. Il nome è stato inventato dai marinai che, in mare e lontani da casa, venivano nutriti per lo più di galletta imbevuta di aceto, con aglio, olio e pochi ortaggi e solo in rare occasioni qualche pesce; chiamato ironicamente capón de galea , specie dai rematori, in antitesi al fastoso cappone delle mense aristocratiche. La storia continua e, in pieno barocco, certi frati di San Francesco di Paola, di un santuario genovese dedicato ai marinai, arricchiscono la ricetta di aragosta, gamberi e altro rendendolo un piatto sontuoso nel tentativo di dimostrare che anche di magro si poteva mangiare bene, anzi benissimo. Oggi il cappon magro è un piatto ricercato e costoso, se eseguito a dovere. Mia madre, limitandosi alla ricetta originale, lo ha semplificato e alleggerito eliminando il pesce e lo portava in tavola a Natale, tutti gli anni come antipasto, al posto della più sfruttata insalata russa. Ricetta più che mai attuale, visto il numero crescente di persone che non mangiano né carne né pesce. Chi invece sostiene che è complicato da fare, certamente non ha mai provato. La cosa più difficile è la salsa verde, si fa per dire... LA RICETTA Per la salsa verde vedete qui sotto gli ingredienti: Per sapere gli ingredienti a memoria basta ricordare che servono due mani per farla, e cioè dieci cose: Olio extravergine di olive ligure Prezzemolo mollica di pane ammollata nell' aceto capperi sale acciuga diliscata pinoli aglio tuorlo d'uovo sodo Da tempo non sono più in odor di santità, e mi spiace per i puristi ma non la faccio nel mortaio, metto tutto in un potente frullatore e trito fine E' possibile alterare a gradimento le quantità degli ingredienti; a me piace che sappia di aceto, meno verde, mi piace sentire sia l'aglio che i pinoli, più che il prezzemolo. Il passo successivo è bollire la verdura, singolarmente. Patate, carote, fagiolini, un cavolfiore, magari scorzonera,( qui>> ) quasi impossibile da trovare, se volete carciofi o quello che è di stagione. Oggi nell'orto avevo un broccolo, ho messo quello. Cuocio a vapore. Con i cestini di bambù o con altri in acciaio. Sorveglio meglio la cottura, sporco una cosa sola e tutto rimane più sodo e gustoso. Appena cotte condisco, sempre singolarmente, con olio extravergine ligure e sale. Altro ingrediente necessario: la galletta da marinaio, un prodotto da forno tipico genovese, secco. Famose quelle di San Rocco di Camogli, se non la trovate potete provare a farvela >>>qui Se non la trovate e non avete voglia di farle, basta della focaccia secca o il biscotto di pane secco. A questo punto non rimane che assemblare. Preferisco la versione impiattata che quella nella forma. Si tratta sempre e comunque di alternare strati di verdura a strati di salsa verde, o in un piatto o in uno stampo da rovesciare successivamente. Spesso preparo piattini monoporzione. Bagno la galletta nell'aceto velocemente e la rompo, sistemo una cucchiaiata abbondante di salsa, metto qualche fetta di patate e due fagiolini, ancora salsa verde, carote e cavoli, salsa, qualche funghetto sott'olio, ancora patate e fagiolini, salsa e così via. La tradizione vorrebbe anche la barbabietola rossa. Attenzione a quest'ultima perché si corre il rischio di macchiare il resto, di solito la uso solo come guarnizione intorno al piatto finito. Solitamente, nel marasma di cose da fare prima delle feste, preparo la salsa con qualche giorno d'anticipo, così come le verdure che conservo, condite con olio e sale nel frigo in un contenitore chiuso, per assemblare poi qualche ora prima o anche la sera prima, perchè il gusto si amalgami. Conservo il piatto finito, coperto con una cupola di vetro o di acciaio in frigorifero. La differenza sostanziale fra questa versione e quella ufficiale, è che manca il pesce. Se voglio fare il vero Cappon Magro aggiungo il pesce. Un bel pesce, possibilmente cappone o un branzino o simile. Bollito, pulito, diliscato attentamente e disposto a pezzi negli strati, alternato alle verdure. Completo il piatto con gamberoni, gamberi e cozze e se per caso mi capita qualche fettina di mosciame. La composizione barocca esigerebbe una decorazione di stecchi con infilati gamberi, gamberoni e olive snocciolate e alla base un contorno di ostriche. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti . Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- L' ORIGANO, GIOIA DEI MONTI
... at Venus Ascanio placidam per membra quietem irrigat, et forum gremio dea tollit in altos Idaliae lucos, ubi mollis amaracus illum floribus et dulci aspirans complectitur umbra - Eneide, libro 1, Virgilio Splendore o gioia di montagna: questa sembra essere la traduzione del suo nome, oros splendore e ganos montagna, racconta Virgilio che Venere addormenta Ascanio su un letto di Origano. A dir la verità amaraco viene spesso tradotto con maggiorana , o meglio con persa , ma di fatto anche quest'ultima è un Origano infatti il suo nome scientifico è Origanum Majorana e di questa ho già scritto ( qui>>> ). Che appartengono allo stesso genere è evidente nella foto sotto dove la somiglianza è talmente sottile, specie nella fase vegetativa, che si può distinguere solo dall'odore e dallo sviluppo della pianta e dal fiore, l' Origano cresce fino a 60cm con capolini profumati rosa tendenti al rosso, quasi mai bianchi, mentre la Maggiorana ha un aspetto più "cespuglioso", basso e con i fiori quasi sempre bianchi. Da questa somiglianza cresce spesso la confusione, mai, per chi come me, ligure, ha ben presente l'odore della Maggiorana e quello dell' Origano distintamente. Inoltre pur girando per boschi e prati da una vita, non mi è, ahimè, mai capitato, in Liguria, di raccogliere Maggiorana selvatica , mentre tutti gli anni ho la mia giornata di raccolta dell' Origano che ancora cresce qui, selvatico, in mezzo al fieno. Per tradizione la raccolta andrebbe effettuata per Sant'Anna, il 26 luglio, in quanto santa protettrice delle madri e delle partorienti, come anche l'origano è da sempre considerato erba femminile che favorisce il parto, ma ormai spesso è necessario anticipare. Una volta raccolto, nel momento che fiorisce ma non è del tutto aperto, lo immergo velocemente nell'acqua fresca della fontana per togliere animaletti e terra e poi lo stendo su un panno in una giornata ventosa ad asciugare in fretta. Dopo di che appeso a mazzi, coperto parzialmente da un sacchetto di carta a seccare all' ombra. Questa pratica di lavare le erbe prima di seccarle mi è spesso contestata, ma non si tratta di un vero lavaggio, se non di una veloce immersione in acqua fresca corrente della fontana che basta a togliere polvere e altro. Sinceramente mi sento più tranquilla nel fare tisane o usare erbe nel cibo dopo questo veloce trattamento. Una volta secco lo sfilo manualmente dallo stelo e lo passo su un setaccio a trama sufficientemente larga. Il movimento con le mani non è mai così veloce come se si commette l'errore di passarlo in qualsiasi marchingegno elettrico o anche macinino a mano, che oltre ad ottenere una polvere, lo scalderà facendo sparire gran parte degli olii essenziali volatili. Un mazzetto lo tengo così nel sacchetto e lo "sbriciolo" direttamente sui piatti, specie quello che mi portano dal sud. C'è da dire che la varietà che cresce in Liguria non è la stessa presente al sud dove l' Origano Siciliano, con un odore ben più intenso, la fa da padrone, ma ci accontentiamo. E queste non sono che due delle tante varietà di Origano che esistono. L'anno scorso in Trentino ho trovato e portato a casa, regolarmente comperato, questo Origanum crespitoso molto decorativo da secco , oltre che molto profumato di recente va di moda l' Origano cubano o messicano , il Plectranthus amboinicus , dal profumo intenso e pungente, originario dei paesi tropicali e arrivato qui di recente Il nome ligure dell' Origano è Cornabuggia , leggendo qui e là ho scoperto che si attesta l'origine di questo nome come derivante dal greco "erba da buoi" inteso come erba che si dava ai bovini per guarirli da alcune malattie. Son partìu da Seravalle fin da Lunedì passòu me fan mà tutte e mé spalle dai gran legni che ho purtòu Ne ho purtòu da curnabuggia ne ho purtòu 'na quantité a l'é roba c'ha freguggia e n'ho posciuu fa i mé diné Una volta identificato, non resta che usarlo a larghe mani in cucina, insaporitore per eccellenza, ancor di più se mescolato all' aglio, nella pizza e in generale con il pomodoro, anche solo per un' insalata di pomodori, sulle acciughe, sulle bruschette, nelle melanzane e negli zucchini sia conservati sott'olio che cucinati, con un banale petto di pollo, in una frittata alle erbe, nel bouquet garni ... insomma dove piace, meglio all'ultimo minuto per far si che con il calore sprigioni tutto il suo profumo. Qualche rametto da solo o insieme a timo e maggiorana in una bottiglietta di olio evo per ottenere un profumatissimo olio da usare magari con le carni del barbecue. Da non sottovalutare nemmeno gli effetti benefici sull'organismo, come tante aromatiche si capisce proprio dall'odore che hanno proprietà antisettiche, espettoranti , ecc. ecc. e in più è un ottimo repellente naturale per le formiche che non ne amano l'aroma. Nel caso dell' Origano , come per il Timo , con il quale divide le proprietà simili, masticarne un rametto meglio fresco, quando si ha mal di denti , nell'acqua dei suffumigi o nei gargarismi per affezioni dell'apparato respiratorio, ma anche un semplice cuscinetto di Origano per dare sollievo nei dolori articolari, anche per l'artrosi cervicale. Facile da farsi anche a casa con un rettangolo di stoffa di cotone, piegato, cucito e riempito di erba fatta seccare, come si fa anche con Achillea( qui>>> ), Lavanda ( qui>>> ) , ecc. o con i semi di ciliegia, da scaldare un minuto in microonde o da usare freddo secondo il caso. Questo sotto è riempito anche con fiori di Achillea per dolori mestruali, insieme a Sale grosso e Salvia per il famoso Cuscino di Venere ... qui >>> tutto sui Cuscini Profumati o Herbal Sleep Ripeto l'Origano è erba femminile, anticamente si pensava favorisse il parto e tante e tali le sue virtù che, come per altre, per l'uso erboristico della pianta e dell' olio essenziale è necessario il consiglio di un professionista, per alcune controindicazioni che tante aromatiche hanno. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- DEL LINO, DEI SUOI SEMI E DELLE LORO VIRTÙ
A San Bernardino fiorisce il lino Avrei voluto parlare del Lino a maggio, quando i suoi fiori dal delicato colore indefinibile tra il pervinca e il lavanda chiaro mi incantano, ma ho lasciato questo post per adesso perché scrivendolo mi riporti dentro un poco di bella stagione. Infatti il Lino è uno dei fiori che aspetto ogni anno per godere della sua semplice bellezza e che copre qui interi prati o bordi dei sentieri, quando lo vedo intorno sono certa che la primavera è definitivamente arrivata e mai mai mi stancherò di perdermi a guardarlo. Per fare chiarezza quello che nasce qui, nella foto sopra, è il Lino selvatico o Lino bienne, Linum usitatissimum subsp. angustifolium (Huds.) Thell, mentre quello coltivato e usato per essere trasformato in filo è Linum usitatissimum L. subsp. usitatissimum, la differenza è tutta nel fiore molto più grande e nelle fibre che se ne ricavano molto più lunghe, anche se nelle campagne veniva usato pure quello selvatico, come mi fece vedere un'anziana un milione di anni fa. Linum usitatissimum - foto di Enza Squillaciotti - Il vocabolo usitatissimum denota già quanto questa erba sia conosciuta, coltivata e usata da tempo immemorabile, presso gli Egizi erano di lino le bende delle mummie e anche le vele delle imbarcazioni, è di lino la Sacra Sindone conservata a Torino e pure la parola lino viene dal latino filo. La mitologia narra di Aracne , abile a tessere, fanciulla mortale di Colofone , la città della porpora, che inventò il lino e con questo sfidò Atena , figlia di Zeus, proclamandosi miglior tessitrice. Vinse la sfida, ma Atena, un po' perché davvero la tela di Aracne era più bella, un po' perché questa vi aveva riprodotto le immagini di abusi e stupri che gli dei facevano alle ragazze mortali, la trasformò in ragno costringendola a tessere tutta la vita. Essendo la tela ricavata dal Lino fine e resistente, più delle stoffe ottenute dalla filatura di erbe più grezze, canapa, ginestra, ortica, (il cotone non divenne accessibile a tutti fino ai primi del 1800) venne destinata ad usi più eleganti e preziosi. Del Lino non si butta niente, le fibre vengono divise in fini e meno fini, e destinate all'uso appropriato, non solo stoffe ma corde, stoppa e anche carta. Di lino sono le migliori tele per dipingere. Per trasformarlo in fibra il metodo è simile a quello di tutti gli altri vegetali, essiccazione, macerazione, battitura, pettinatura, ecc. In questo video si vede la lavorazione antica manuale. Sì, quell’anno mi privarono della primavera, e di tante altre cose, ma io ero fiorito ugualmente, mi ero portato la primavera dentro, e nessuno avrebbe potuto rubarmela più”. "Il dialogo tra il mozzo e il capitano" Alessandro Frezza Purtroppo in Italia non è praticamente più coltivato, e viene tutto importato, anche se poi il nostro filato di lino rimane uno dei più richiesti. Nonna mi regalò al mio matrimonio il suo tailleur di lino bianco, 50 anni dopo averlo cucito lei stessa, sarta, per il suo viaggio di nozze. La distrazione di persone non interessate come me, fece sì che in un attimo che io ero assente, andò gettato negli stracci, lasciando a me il cuore a pezzi... L'eleganza del tessuto di lino sta tutta nella resistenza del filo, paragonabile ad alcuni acciai, e questo lo rende poco elastico tanto da far sì che si stropicci facilmente, ma un vestito di lino deve essere stropicciato. Si intende per lino un tessuto fresco, facilmente usato in estate. In realtà, come gran parte delle fibre vegetali, è termoregolatore, in grado di donare freschezza ma anche di contenere il calore. Ma il post è per parlare dei semi del Lino. Il primo uso è quello di ricavarne olio, sia per uso alimentare che industriale. Usato dai pittori per sciogliere i colori a olio, risaltano e non diventano opachi, ma anche per finiture su legno, tecnica anche questa antichissima e che sta tornando in auge proprio per la scarsa tossicità a confronto con resine sintetiche che hanno preso il sopravvento. Esiste l'olio di lino crudo e l'olio di lino cotto e nella falegnameria di nonno o in quella di zio c'erano sempre. Per l'uso alimentare non lo avevo mai trovato, fino a qualche mese fa, nello scaffale del supermercato, ha proprietà antinfiammatorie, è utile per il trattamento dell'ipertensione, della stitichezza ecc. ecc. Analogo risultato si può avere con l'impiego casalingo dei semi, che ahimè non sento più nominare, nonostante fossero una di quelle cose che nella piccola farmacia casalinga di una volta non poteva mancare . Il considerevole contenuto di Omega3 e Omega 6 ne ha sempre costituito la fonte più importante di apporto per le popolazioni lontane dal mare, che non potevano usufruire di pesci e alghe nell'alimentazione. Chi non ha mai bevuto l'acqua dei semi messi a bagno la sera prima e chi non ha mai avuto un impacco di pappetta tiepida di semi di lino sul petto per sciogliere il catarro? ... sicuramente tanti della mia età. Proprio perché non ne sento più parlare, in tempo di tosse e raffreddore e altro ho deciso di rinnovarne la conoscenza, stavo per dimenticarli anche io. I semi di Lino, sempre lo stesso, Lino usitatissimum , hanno grandi proprietà emollienti, innanzitutto per l'intestino. Molti ritengono siano lassativi, invece per l'aspetto gelatinoso che assumono dopo il riposo in acqua, sono emollienti favorendo l'evacuazione e curano le infiammazioni dell'intestino, anche quelle provocate dall'uso indiscriminato di lassativi chimici o a base di erbe irritanti, e non solo l'intestino anche lo stomaco in caso di gastrite. Basta un cucchiaio in un bicchiere scarso di acqua fredda, lasciato tutta la notte, coperto, l'indomani mattina bere quest'acqua diventata gelatinosa, e se si vuole, mangiare anche i semi, meglio a digiuno. Sono insapori e inodori. Fino a 40-50 anni fa questa pratica era comune in tutte le case. Per la "pappetta", il cataplasma, da mettere sul petto, basta macinare o pestare nel mortaio grossolanamente, qualche cucchiaio di semi, messi a cuocere con poca acqua, quel tanto che diventi una specie di polentina, da stendere su un panno di cotone, ripiegare in due e porre caldo sul petto, sotto la gola, sopra i bronchi, coprendo con un panno di lana e tenere per 20 minuti. Con il suo potere emolliente e antinfiammatorio serve per la tosse stizzosa. Attenzione che non sia bollente! Tutte le proprietà rimangono anche se si usano i semi tali e quali o sommariamente macinati, aggiunti a insalate, yogurt, minestre, pane e dolci, ricordando che le mucillagini fungono da collante e bene lo sanno i vegani che sostituiscono con il gel di semi di lino le uova. Si trovano in internet numerose ricette che sostituiscono le uova con i semi di lino. Ma non finisce qui. L'acqua mucillaginosa dei semi di Lino è un portento per i capelli, a parte favorire la crescita, usata come balsamo o come impacco prima di lavare i capelli o anche come gel fissante. Non appesantisce i capelli, non unge, non sporca. Si mette a sobbollire qualche cucchiaio di semi in acqua, circa 50 gr. in 250 gr. di acqua, fino a formare la mucillagine bianca, colare e conservare quello che non si usa in frigorifero, dura circa due settimane. Essendo incolore e insapore è possibile una volta freddo aggiungere qualche goccia di olio essenziale, per esempio di lavanda. I semi usati, dopo aver colato il gel, possono essere messi in una minestra. Ancora, se al mattino non si riesce a mangiare i semi ammollati, si possono far germinare, dopo pochi giorni si vedono spuntare i germogli freschi, buoni per essere consumati. È stata l'occasione per tirare fuori il vecchio germogliatore di mamma, basta sistemare i semi ammollati e badare di tenerli bagnati spruzzandoli almeno due o tre volte al giorno. Trovare i semi di Lino è facilissimo, in farmacia al costo di due o tre euro per un pacchetto da 200 gr. sottovuoto, o anche in erboristeria. Forse come tante altre cose messe in disparte costano troppo poco per credere a tutti i benefici. Quando entreranno dalle porte dell’atrio interno, indosseranno vesti di lino; non porteranno alcun indumento di lana… Porteranno in capo turbanti di lino e avranno mutande ai fianchi Ezechiele 44,17-18 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL SEMPREVIVO ELICRISO
"Di fortuna resti intriso, chi si adorna di elicriso" Un altro fiore della mia infanzia è l' Elicriso, o come dicono qua l' Ochetta. È il profumo delle vacanze, quello che sentivo appena arrivavo tra luglio e agosto e salivo allo Zatta a portare o a riprendere le mucche che allora stavano nei pascoli tutto il giorno, e lassù sul monte, inspiravo a pieni polmoni, quasi a liberarli dall'odore di auto e di locali chiusi che dovevo respirare il resto dell'anno. Ed è davvero così, senza saperlo sfruttavo le proprietà che questo fiore giallo ha sull'apparato respiratorio. Ora so che i principi attivi di questa pianta sono utili per espellere il catarro bronchiale, nei casi di asma e nelle allergie. Il primo ricordo del suo uso che ho, è quello delle cime fiorite bruciate sulla stufa dove sopra si appendevano i fazzoletti ad asciugare, per intriderli dell'odore, creando così una specie di effetto balsamico, gli stessi una volta asciutti piegati, con in mezzo altre cime fiorite secche, facevano sì che riposti nel cassetto, fossero quelli tenuti da parte in caso di raffreddore. Così come sono balsamici i suffumigi per il raffreddore e il mal di gola, dove nell'acqua bollente, getto una manciata di fiori secchi, insieme a una di sale grosso. Da un po' di anni ho scoperto anche l' oleolito , dove l' Elicriso trasferisce le sue riconosciute qualità per le patologie della pelle, quali eritemi, psoriasi , unito a quello di Iperico ( qui>>> ) o di Calendula per le scottature , e anche come antinfiammatorio , analgesico per dolori reumatici e le varici. Essendo un oleolito da massaggi preferisco farlo con un olio più fluido tipo mandorle dolci o anche di riso. Uso le cime fiorite fresche raccolte il mattino presto o la sera e dopo qualche ora, solo perché siano appena appassite, le metto nel barattolo di vetro, copro con una garza per qualche giorno e metto al sole, così mi è stato consigliato nel caso di questa pianta, e lascio 30/40 giorni. Ottenuto l'oleolito si può procedere a prepararsi una crema per il corpo come descritto qui nel post sulla Lavanda ( qui>>> ). Come ho già avuto occasione di scrivere ( qui>>> ) questi dati su come fare gli oleoliti sono variabili da pianta a pianta e anche se ci si trova al sud o al nord, Qui quest'anno, che il sole forte c'è solo alcuni giorni, cerco di regolarmi a istinto, se davvero verrà una temperatura impossibile coprirò il barattolo con della comune carta tipo sacchetto del pane, ma sono propensa a pensare che l' Elicriso come l'Iperico, abbia bisogno del sole. Ricordo ancora a tutti che non occorre raccogliere mazzi enormi per fare la piccola quantità di oleolito che occorre per essere usato tutto l'anno, per farsi una crema, o per profumare un piccolo cuscino. Questa pianta è a protezione a livello nazionale, quindi evitare raccolte indiscriminate che non servano veramente. E dal sole prende il nome, Helichrysum, da helios ( sole) e chrysos (oro). Principalmente due le varietà che si possono trovare, una preferisce gli assolati lidi sassosi in riva al mare, l'altra si spinge fin su alla montagna, entrambi hanno le stesse proprietà e solo del sole hanno bisogno per vivere. Inconfondibile l'odore, qualcuno lo descrive simile alla liquirizia, scambiando le due piante, che non si assomigliano neppure. Il colore argenteo delle foglie pelosette, il portamento a cespuglio non molto alto e poi questo aspetto di pianta eterna, visto che non marcisce, non ammuffisce, rimane da essiccato praticamente identico al momento della raccolta. Questa qualità, oltre a quelle terapeutiche, ne ha fatto una pianta magica fin dall'antichità, si adornavano le statue degli dei, si spargevano mazzetti profumati ovunque nelle case, specie nelle stanze dei malati, intuendone un potere disinfettante, nei cassetti e armadi come tarmicida, si usava contro il malocchio, e come sempre, per le piante magiche, gli erano attribuite capacità predittive. Mi piace riportarvi fedelmente un passo tratto da " 101 tesori nascosti della Sardegna da vedere almeno una volta nella vita" di A. Maccioni: -Nel Nuorese le ragazze erano solite trarre presagi riguardanti il proprio futuro di nozze proprio dall'osservazione dell' elicriso. La sera prima della vigilia di San Giovanni si recavano in campagna e segnavano con un nastrino la loro erbetta personale: al mattino seguente, quando albeggiava si recavano sul posto e cercavano la propria pianta. A seconda del tipo di insetto che vi aveva trovato asilo, ricavavano indicazioni sul matrimonio che doveva venire: la formica un marito laborioso, la mosca un marito ozioso, l'ape un apicoltore, il bruco un ortolano, la coccinella un pastore, lo scarabeo un fabbro, il ragno un sarto. Coloro che non trovavano nessun insetto erano destinate a ripetere il rituale l'anno successivo.- È pure usato, ridotto in polvere dopo l'essiccazione, come potrebbe essere un curry nostrano, per dar sapore alle pietanze, e se ne fa anche un liquore. Tanto mi entusiasma il profumo quanto poco mi piace il sapore e quindi non ne ho mai fatto uso in cucina o in tisana, anche se è possibile con le cime fiorite anche secche, fare un infuso contro tosse e allergie. Anche l'aroma potrebbe non piacere a tutti. A casa mia, dove mazzi di Elicriso sono un po' in tutte le stanze, entrò un giorno una persona, che infastidita da quella che lei chiamava puzza, mi disse : - Non so come tu faccia a vivere qui dentro - Per me, quello, era e resta, il profumo della mia libertà. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti . Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.
- L'UMILE MALVA
"La malva da ogni malattia salva" - S.Ildegarda di Bingen - Ci sono piante, frutti e fiori dei quali mi sembra superfluo parlare, come nel caso del post sul Limone ( qui>>> ) faccio fatica a pensare che esistano case dove non se ne faccia uso. Via via, parlando e ascoltando, mi rendo conto che ognuno ha la sua storia, il suo vissuto e sì, quindi ci può essere qualcuno che non conosce la Malva , che non l'ha mai usata, che non la riconosce, come può succedere a me di tante cose che per altri appaiono banali. Mia nonna per farmela riconoscere e ricordare come panacea per tutti i mali mi disse che il suo nome era significativo: - Mal-va - il male va, se ne va .... Tante le sue qualità per finire di essere identificata con l'amor materno. Dunque la Malva , Malva sylvestris L. , qui Varma o Valma in dialetto, umile la definisco, vive ovunque ai margini di strade, nei campi, tra i ruderi, forse perchè voluta da Carlo Magno nel suo Capitulare de villis, in tutti gli orti come " omnimorbia ", buona per tutti i mali. I romani la usavano dopo le pesanti libagioni, per Pitagora e i suoi seguaci era pianta sacra. Usata da sempre, nella farmacopea tradizionale familiare, per tutte le affezioni della bocca, delle gengive, dei denti... chi davvero non ha mai tenuto in bocca l'acqua di Malva per sfiammare un dente? Forse quelli delle generazioni dopo la mia, all'avvento di vari antinfiammatori dei quali non voglio nemmeno fare un nome, che sì, agiscono con più velocità ma con effetti collaterali che la Malva certamente non ha. Anzi, proprio il suo nome, che significa " rammollire ", avuto per le mucillagini di cui è ricca tutta la pianta, ha un'azione benefica anche sul tratto gastrointestinale come blando lassativo, come protettivo per la mucosa gastrica. Di fatto è un potente antinfiammatorio che agisce su tutte le mucose. Oltre a rimedio per il mal di denti, la sua radice, lavata e pulita, era data come masticatorio ai bambini nel periodo della dentizione. Combinata con la Lavanda ( qui>>> ) utile anche per lavande vaginali. Così come non può far male unita ai fiori di Sambuco ( qui>>> ) contro la tosse. O in un pediluvio per i piedi gonfi insieme alla Piantaggine ( qui>>> ) Nel caso della Malva serve il decotto , cioè l'erba fresca o secca, messa in acqua fredda, portata a bollore, per qualche minuto, poi spento il fuoco finire l'infusione per una decina di minuti. Se si vuole si uniscono altre erbe in infusione come i fiori di Sambuco . Questa è la differenza fra infuso e decotto , nel senso che si intende infuso quando si versa l'acqua bollente, come si fa con il tè, il decotto quando si fa bollire anche l'erba. Per tisana si intende un infuso o decotto, di solito un infuso, fatto con più varietà di erbe e fiori.. sembrerebbe essere la stessa cosa... non è così, l'estrazione delle sostanze è diversa. Per quello che riguarda la Malva occorre far bollire le foglie per estrarre le preziose mucillagini, mentre mi piace aggiungere i soli fiori negli infusi con altre erbe. Ancora meglio il macerato, a freddo, foglie e fiori in acqua tutta la notte sempre per le mucillagini, ha tutte le proprietà. Per il riconoscimento tutta la pianta, alta 60-80cm quando è fiorita, prostrata in primavera quando spunta dopo le gelate invernali, il fusto legnoso, le foglie con il lungo stelo, vellutate, pelosette. I fiori del particolare colore, tra il rosa e il viola, appunto color malva. Per il decotto va bene tutto fiore e foglia, certo il fiore è più pregiato,e come dicevo delizioso unito ad altre erbe in tisana. È meglio fresca, se non si ha a disposizione tutto l'anno, sparisce con le gelate, si può seccare per averla sempre a portata di mano, ma perde gran parte delle mucillagini, quindi ne occorre di più. Di solito faccio seccare i ciuffi di foglie che all'ascella hanno i fiori. Viene facilmente attaccata da un fungo, la ruggine della Malva , che rende le foglie piene di macchie color appunto ruggine. In questo caso non va raccolta perché di sapore sgradevole. Un antico unguento si otteneva facendo cuocere le foglie e i fiori nel burro, fino a completo assorbimento dell'acqua contenuta nella pianta. Questa crema era utile per le prime rughe, per la pelle secca o infiammata. Sempre se il gusto piace, niente impedisce di aggiungerla alle minestre, di fare frittelle con i fiori, di usarla nei ripieni, le foglie tenere in insalata, certo non è delle più ricercate per il suo sapore. Una famosa minestra, la “ Melokhia egiziana ”, detta zuppa del Faraone , si ottiene bollendo foglie di un'erba simile alla Malva, per gusto e proprietà, il Corchorus olitorius o Malva degli Ebrei, tagliate fine nel brodo di carne o di pollo, aggiungendo aglio soffritto, pepe e coriandolo. Simile, più grande è la il Malvone , l' Alcea rosea , con le stesse proprietà e usi della Malva comune. Fino a qualche anno fa era in tutti i giardini di campagna con fiori delle varie sfumature da rosa pallido a bordò scuro, usata comunemente come la cugina selvatica. Il Malvone è chiamato anche anche Malvarosa, ma non ha niente a vedere con la Malvarosa al sud, il Pelargonium graveolens, il profumatissimo geranio, quasi spontaneo, citato in diverse opere " Ah! Che bell'aria fresca...Ch'addore 'e malvarosa.." dalle cui foglie si ottiene un olio essenziale prezioso usato in profumeria che spesso sostituisce quello di rose. Per fare questa meraviglia servono due fiori di malva, uno ancora chiuso in bocciolo da infilare in quello aperto. Una volta tolto il calice verde appariranno gli occhietti. Qui sotto un video per farle. Giochi innocenti antichi e ci sembrava di avere in mano una fatina. Sempre dei malvoni si andava in cerca dei semi immaturi per mangiarli, un leggero gusto di nocciola e sembrava chissà che... foto dal web Un'altra pianta della stessa famiglia ma molto più efficace dal punto di vista terapeutico, meno frequente da vedere, almeno per me, è l' Altea officinalis , comunemente chiamata Bismalva Tali sono la quantità di mucillagini collose da permettere con questa pianta unita a albume sbattuto e zucchero la fabbricazione della pâte de guimauve , l'antenato francese del marshmallow . ❤️ ❤️ ❤️ ❤️ ❤️ Impossibile anche per questa pianta così piena di virtù non pensare a un posto nelle leggende, come sempre nelle magie d'amore. Per la sua proprietà di disinfiammare, indispensabile nelle pozioni per calmare gli spiriti bollenti, contro i filtri afrodisiaci, offre protezione alle invidie e le gelosie d'amore. Il posto d'onore nei mal d'amore... un mazzo raccolto fiorito e messo fuori della porta di casa farebbe tornare indietro l' amor perduto .... Mannaggia... con tutti quelli che mi son scappati averlo saputo prima! 😅 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti . Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. 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- EVENTI GIUGNO INTRECCIA E FILA
Dopo un maggio assurdo un giugno davvero complicato. Il meteo non aiuta per niente quest'anno, piogge, freddo, sabbia che arriva dal deserto, la macaia ligure che opprime e non lascia spazio al sole. Per la prima volta non farò l'evento dei fiori, sciroppi e oleoliti qui a casa di Erbando, e nemmeno la serata di San Giovanni, con la preparazione della tradizionale acqua. Per dare comunque un'opportunità in queste serate di solstizio che sempre qualcosa di magico hanno, mi sposto in Piemonte, perché nessun luogo per me ha più incanto della Fossa del Cucco, a Cascina Il Cucco>>>, Sono previsti due eventi simbolo: SABATO 22 GIUGNO DALLE ORE 10 Tutta la giornata sarà dedicata a due tra le più antiche fra le attività umane. Rossana Sciascia vi porterà per mano nell'arte della filatura e sarete stupiti di quanto sia facile imparare qualcosa che fino a poco più di 50 anni fa tutte le donne sapevano fare fin da bambine. L'approccio di Rossana alla filatura è antico come l'uomo, basteranno le vostre mani e un bastoncino, piano piano si passerà con estrema facilità al fuso rudimentale. Maurizio Leone vi accompagnerà passo passo nella tecnica dell'intreccio, altra attività manuale che inizia con la presenza dell'uomo sulla terra. In questa stagione saranno usati salici raccolti a fine inverno e opportunamente reidratati. Con pochi consigli e facili mosse, con il solo uso delle mani tornerete a casa con un cestino finito e con i consigli per continuare a provare a casa semplicemente raccogliendo tutto il necessario in natura. Tutto il materiale usato sarà fornito e possono filare e intrecciare tutti. Finalmente si rivalutano questi semplici gesti che hanno accompagnato l'evoluzione dell'uomo e si comincia a capire che in questa nostra società il valore non è legato alla reale necessità o all'uso dell'oggetto finito ma al rilassamento e agli altri vantaggi che se ne ottiene, tipo riattivare la capacità creativa del nostro cervello che tutti abbiamo ma che la vita frenetica ci costringe ad abbandonare, aumentare l'autostima, allenare la memoria, distrarre da dolori fisici o dell'anima, favorire la socializzazione. Il benessere è comprovato scientificamente con l'abbassamento del cortisolo, l'ormone dello stress, della pressione sanguigna e del miglioramento delle capacità cognitive tipo memoria ecc. Provate per credere. "Una ricerca condotta all’università di Princeton ha dimostrato che i movimenti ripetitivi del lavoro a mano come intreccio, maglia e uncinetto aumentano il rilascio di serotonina, che è un antistress naturale, poiché induce un aumento del tono dell’umore e porta calma e tranquillità. In effetti lo studio continua ancora elencando altri benefici: abbassare la pressione sanguigna, ridurre la depressione e l’ansia rallentare l’inizio della demenza, rilassare come e quanto fare yoga, distrarre dal dolore cronico e, aumentare la sensazione di benessere. Altri studi sostengono che anche i movimenti degli occhi che seguono il lavoro manuale ripetitivo possono essere comparati ai movimenti oculari che si manifestano durante alcune tecniche di rilassamento profondo nello yoga e che attivano gli stessi meccanismi sollecitati anche della stimolazione bilaterale alternata del cervello. La stimolazione oculare bilaterale si ha quando viene chiesto al paziente di muovere gli occhi seguendo le dita che il terapeuta fa muovere velocemente davanti al volto della persona ed è la stessa tecnica usata anche nel primo step del protocollo EMDR, per rilassarsi e desensibilizzare l’iperattivazione emotiva presente." da un articolo della dr.ssa Sara Zanoni, psicologa. DOMENICA 23 DALLE ORE 16 È il 23 giugno data importante nel calendario della natura. Da sempre l'uomo ha festeggiato il ritorno della luce del sole con feste e rituali. Da secoli la data scelta preferita è la sera del 23 giugno, legata al solstizio d'estate ossia la notte più breve, che cambia ogni anno, quest'anno per esempio sarà il 20 giugno. Solo con l'avvento della Cristianesimo si è legato le due giornate solstiziali, inverno e estate, alle figure di due San Giovanni, prima erano dedicate al dio Giano, il dio degli inizi, bifronte, custode di ogni cambiamento, di ogni entrata e uscita, anche guardia delle "porte solstiziali" delle quali il dio teneva le chiavi e ne permetteva il passaggio, simboleggiando anche passato e futuro. Fra i riti più antichi certamente i falò e il salto delle ceneri che vengono ancora accesi in diverse parti d'Europa e d'Italia e la raccolta delle erbe curative. Il più magico di tutti e riscoperto negli ultimi dieci anni è sicuramente la preparazione dell'Acqua di San Giovanni>>>. Da anni è la serata dove raduno le amiche e con una passeggiata nei prati si raccolgono erbe e fiori e tornando si prepara l'Acqua così che ognuno possa l'indomani mattina lavarsi occhi, viso e altro per beneficiare del potere della rugiada magica che solo in queste notti cade copiosa. Quest'anno non perdete l'occasione di farlo con me a Cascina il Cucco dove raccoglieremo insieme. Qualche altro piccolo rito come bruciare gli intenti e quello del sale per scacciare le negatività. Gesti antichi e semplici che sanno di gioco e convivialità per stare insieme e insieme darci forza propedeutici al bene comune. L'evento di raccolta è completamente gratuito, legato solo alla consumazione di un Aperitivo a fine giornata con prodotti naturali della Cascina o delle aziende agricole intorno. Poi non dite che non ve l'ho detto. Alcune immagine delle sere di San Giovanni degli anni scorsi. link di approfondimento ACQUA DI SAN GIOVANNI https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/06/21/acqua-di-sgiovanni NOCINO https://www.lellacanepa.com/single-post/2019/06/21/del-nocino-e-di-san-giovanni IPERICO https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/06/20/IPERICO IL CUCCO https://www.lellacanepa.com/single-post/il-cucco Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LAVANDA
"...E intanto nell’ombra dei loro armadi tengono lini e vecchie lavande..." Genova per noi P. Conte Ero davvero indecisa se fare il post sulla Lavanda, troppe cose da dire, troppi ricordi da narrare... Il profumo di Lavanda, lo Spigo, come lo chiamava lei, ha accompagnato la vita di mia madre da sempre, fino all'ultimo momento, quando voleva due gocce di olio essenziale sul polso... e per me rimarrà lei e quel profumo un legame inscindibile. Ha trasmesso a me l'amore per quell'odore, non posso concepire di aprire un cassetto del comò, un'anta dell'armadio e non sentirne uscire la fragranza. Intanto di Lavanda (da lavare, anche se qualcuno dice da "livendulo" colore livido), ne esistono diverse varietà, proprio tante. Ho avuto occasione di vederle in Provenza l'anno scorso in un orto botanico dove c'erano tutte, ma mamma riconosceva la "sua lavanda" e con la sua consueta inconsapevolezza sapiente, che si basava su nessuna conoscenza botanica, rispondeva a chi le proponeva piantine o oli essenziali sospetti: -no,no, questa non è la vera lavanda. Ad esser sinceri aspetto che arrivi anche a me quell'istinto... Diciamo che riesco a dire questa mi piace, questa no. Mettendo insieme alcune informazioni, credo di aver capito che lei voleva Lavanda appartenente alle tre varietà più pregiate: la Lavandula latifolia, dalle foglie un poco più larghe delle altre e fiori grandi, la Lavandula officinalis che può essere molto alta, con i fusti quadrangolari e le foglie più grigio verdi, e la Lavanda angustifolia, il nome "angustifolia" deriva dalla forma stretta delle sue foglie, argentee alla base della pianta, e quindi da queste identificabile: Sono le più pregiate, che rendono meno in olii essenziali, per ottenere un litro di olio essenziale servono 130 kg di fiori, che però conserva tutte le proprietà medicinali. Secondo me queste tre sono riconoscibili anche dal punto di colore, appunto lavanda e dall'odore particolare, unico, che non dà fastidio, come invece più penetrante e canforato quello di altre specie, o inesistente. Alla fine degli anni '50 l'industria del dopoguerra, in pieno sviluppo, cominciò a chiedere sempre più olio essenziale da essere utilizzato nei prodotti detergenti così da queste tre cultivar fu "creato" un ibrido, il cosiddetto Lavandino. Di questa varietà bastano 40kg di fiori per ottenere un litro di olio che perde però gran parte delle proprietà e non può essere usato per scopi medicinali, solo come profumatore e trova impiego anche dai pittori per diluire i colori, specie dai ceramisti. Il Lavandino, si distingue per avere tre steli ogni tralcio e una colorazione più intensa, è quello usato in Provenza, specie a livelli più bassi, per i famosi campi blu che si vedono in tutte le fotografie. Nella foto gli altopiani verso Sault In Provenza si narra che la fata Lavandulina passando di lì e vedendo i campi della sua terra incolti pianse e dai suoi occhi blu caddero lacrime color lavanda che si sparsero su tutto il paesaggio... da quel giorno la Provenza è coperta di Lavanda e le ragazze bionde di quei paesi hanno tutte gli occhi blu-viola ... Una volta veniva raccolta nel grembiule e "a grembiule" veniva pagata. Consiglio a chi volesse andare, di arrivare almeno fino al paesino di Sault, dove sul plateau de Sault e il plateau d’Albion è coltivato il 70% della vera Lavanda angustifolia . lavanda stocheas Poi ne esistono tante altre, la Lavanda stocheas per esempio, anch'essa ricca di proprietà, con la quale i Romani facevano lo Sticadore , un preparato medicinale per curare crampi e nausee. Per un certo periodo ne ho avuta anche una pianta bianca, dall'odore particolarmente canforato. Le Proprietà... quanto tempo avete per leggere tutto? Si dice che crescesse nel giardino dell'Eden e che Adamo ed Eva ne portassero via un rametto quando furono scacciati... Da tempo immemorabile è usata per disinfettare, lavare, profumare. Gli Egizi già facevano largo uso delle sue proprietà, e così Greci e Romani, Inglesi e Francesi e ogni medico antico da Dioscoride a Avicenna ne ha descritto gli usi, fino a Renè Gatefosse, padre dell'aromaterapia, che bruciandosi nel suo laboratorio, istintivamente mise la parte ferita dentro l'olio essenziale di lavanda trovando sollievo e guarigione pronta e riportando così in auge i poteri curativi di questa pianta. Per esperienza, purtroppo personale, posso dire che tanti anni fa le garze di Fitostimoline che usai per una bruciatura terribile di mio figlio, erano imbevute fra gli altri ingredienti, anche con estratto lavanda. Di recente ho visto che fra gli ingredienti non c'è più. Intanto va cercato il vero olio essenziale della vera lavanda, e dico così perché essendo uno dei più usati è anche il più contraffatto, a parte trovarlo di Lavanda angustifolia o silmili, spesso viene sofisticato (già anticamente si sostituiva con il terebinto) o addirittura ottenuto sinteticamente che la Lavanda non l'ha nemmeno vista. Per una prova empirica basta metterne una goccia su un foglio di carta, dovrebbe allargarsi e nel giro di un giorno non lasciare traccia, mentre con un olio artefatto la macchia e l'odore rimangono. Una volta trovato, ha proprietà incredibili, tante ancora sconosciute, ed è da usare in piccolissime dosi, se ne possono usare due gocce sulle tempie per il mal di testa, per calmare le vertigini e la nausea, qualche goccia per un massaggio lenitivo per uno strappo muscolare, o un reumatismo, per una puntura di insetto, per una ferita che tarda a rimarginare, qualche goccia sul cuscino per dormire meglio, calma l'ansia, l'agitazione, il nervosismo, seda e tranquillizza, pur essendo al contempo un tonico per il sistema nervoso. Per una buona conservazione, per tutti gli usi che se ne vuole fare, va raccolta quando è ancora così, parzialmente chiusa, quando è ricca di oli. Per ottenere un olio essenziale casalingo è necessario un alambicco per una distillazione a vapore. Gli oli aromatici contenuti nei fiori sono talmente volatili che la distillazione avviene spesso nei campi direttamente perché non ne vada sprecato. Con poca grammatica e tanta pratica quest'anno, da sola, sono riuscita a distillare un poco della Lavanda di mamma, come già faceva mio padre, e ho ottenuto una minima quantità di olio essenziale, ma soprattutto un'acqua (idrolato) che sto usando per un sacco di cose, dal lavarmi, spruzzata come doposole, metterne diluita nell'acqua delle pulizie, o nella lavatrice al posto dell'ammorbidente. Un successo. Per conservarla non ho trovato di meglio che metterla porzionata in freezer come già avevo fatto con quella di rose. Per il resto dalle mia piante di Lavanda faccio dei deliziosi Mazzolini (qui>>>) come profumatori per cassetti e armadi e non solo, anche come antitarme, specie uniti a qualche foglia di alloro. Anticamente si diceva "Mettere nella lavanda" quando si teneva particolarmente ad una cosa o una persona. Ogni tanto ricordo di metterne qualche spiga dentro ai cuscini, quando li rifaccio annualmente, sempre perché concilia il sonno. D'altra parte già due regine di Inghilterra, Elisabetta I, aveva una domestica, tale Alice Blizard stipendiata solo per procurare l'enorme quantità di erba che la regina usava giornalmente, sia sotto forma di tisana, si dice circa dieci tazze di tè di Lavanda al giorno, che come confettura, per dare "conforto al cervello", e voleva al suo passaggio pavimenti cosparsi di fiori di Lavanda E così volle anche la regina Vittoria, sempre gelatina di Lavanda a tavola, brandy e gin aromatizzati alla Lavanda, mobili lucidati con cera profumata alla Lavanda, tanto era di moda che per Londra scendevano dalle colline ragazze a venderne mazzolini: "Lavanda, dolce lavanda in fiore sei mazzi a un penny oggi vedete Lavanda, dolce lavanda in fiore Signore compratela finché potete" Questo già succedeva in tempo di peste, quando si erano intuite le proprietà disinfettanti della Lavanda, e si usavano nel famoso Aceto dei quattro ladri del quale esistono mille e una ricetta. E non si sa di preciso se da Francia o Inghilterra, arriva la ricetta del Confetto del Bacio, strumento di seduzione, che le donne preparavano agli uomini che tornavano stanchi dal lavoro, forse anche per profumare l'alito e che consta di mescolare albume d'uovo appena sbattuto con fiori di lavanda tritati, con l'aiuto di zucchero a velo, cercare di fare delle palline da passare prima nella noce moscata in polvere e poi in noccioli di ciliegia tritati... Non amo molto la Lavanda nel cibo, ma nulla impedisce di usarla per profumare gelatine e marmellate fatte con mele con un procedimento simile a quello delle Rose (qui>>>). Per il gelato, basta lasciare alcune ore i fiori nel latte per aromatizzarlo. Se volete approfondire l'argomento in generale, consiglio, fra i tanti libri, questo: "La lavanda" di Philippa Waring Dimenticavo l'Oleolito, una certa quantità di fiori, diciamo un terzo di fiori e due terzi di olio, già fatti seccare un po', sommariamente pestati, nel solito vaso di vetro, coperti di olio di mandorle o di sesamo o di riso, un giorno con una garza perché evapori l'acqua residua, tenuto trenta/quaranta giorni, questa volta al buio, coperto con carta stagnola o più semplicemente dentro a un sacchetto di carta. Gli usi sono gli stessi dell'olio essenziale, massaggi lenitivi, decongestionanti, tonificanti, purificanti, defaticanti, antidepressivi, miorilassanti, antireumatici, antinfiammatori, antisettici, cicatrizzanti, contro l’emicrania, ecc. ecc. Può essere unito, per le proprietà sulla pelle, a quello di Iperico (qui>>>) e di Achillea (qui>>>) o di Calendula (qui>>>), senza mescolare mai più di tre olii insieme. Si può, con poca cera d'api reperita presso un apicoltore, ricavare una crema casalinga per il corpo, da utilizzare dopo bagno, sulla pelle umida. Innanzitutto la cera vergine presa dall'apicoltore deve essere ripulita dalle impurità con un semplice procedimento. Si scioglie assolutamente a Bagnomaria (qui>>>) , (con attenzione, la cera è infiammabile), poi si passa in un colino con una pezzuola, su una teglia coperta di carta da forno, per avere un prodotto utilizzabile con più facilità. Se si vuole particolarmente pulita si può ripetere l'operazione. Ottenuta la cera pulita si procede con: 50gr. di Oleolito 40gr. di acqua distillata 10gr. di cera d'api olio essenziale di lavanda Far sciogliere la cera, sempre a bagnomaria, e unire l'oleolito quel tanto da mescolare i due composti. Fuori dal fuoco, come fosse una maionese, unire l'acqua appena intiepidita a filo mentre con un frullino (adattissimo quello della schiuma del cappuccino) si procede a montare. Una volta raffreddata e solo allora, se si vuole, si aggiungono le gocce di olio essenziale. In questa fase si può posizionare il contenitore sopra ad una ciotola con acqua fredda per favorire il rassodamento, fino ad avere una consistenza omogenea e cremosa. Questo procedimento era davvero difficile da fotografare da sola, ma penso che si capisca abbastanza bene. Il tutto non dura che pochi minuti, con una soddisfazione però, almeno per me incredibile. Questo è un procedimento di base per fare le creme casalinghe. Sarebbe opportuno aggiungere un conservante che si può comperare facilmente a costo davvero minimo su internet. Il più conosciuto dalle apprendiste-cosmetiche è il Cosgard, ecocertificato da Greenlife, ma consiglio comunque di informarsi prima di usarlo. Per conto mio, è talmente facile e veloce che ne faccio poca e la uso io e distribuisco in famiglia. Potrei parlare ancora tanto di lavanda ... ma la nostalgia è canaglia e vado a piangere un po'... La foto di incipit del post, non particolarmente perfetta, è ricavata da un video, che ripresi per aver un ricordo di mia madre, dove seduta in giardino, in mezzo alla sua lavanda, dopo aver avuto quella terribile diagnosi, credendo di esserne uscita, mi disse: - Ora devo solo risorgere- Questa era mia madre ... Aveva indosso il suo bel giacchino color lavanda... Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.
- L'IPPOCASTANO, LA CASTAGNA D'INDIA.
"Il nostro castagno è in piena fioritura dai rami più bassi alla cima, è carico di foglie e molto più bello dell'anno scorso". Anne Frank 13 maggio 1944 Di scrivere dell'Ippocastano mi è tornato in mente quando alle prime foto di castagne di quest'anno, riscopro come alcune persone non sappiano distinguere le castagne buone da quelle matte, appunto dell'Ippocastano o Castagno d'India. Al di là del gusto amarissimo che a me verrebbe in mente come sia quasi impossibile mangiarle, c'è che sono tossiche, in quanto ricche di una particolare saponina. E invece la notizia è che i casi di intossicazione da castagne d'India sono circa il 12 per cento, secondi solo alle intossicazioni da bulbi velenosi. Quest'anno le castagne sono incredibilmente grosse e la confusione può essere ancora più facile. Il riconoscimento messe al confronto con la vera castagna è quanto mai facile, se invece si dovesse trovare una qualità per volta può sorgere qualche dubbio. Le differenze si notano distintamente nelle foto sotto, sia nelle foglie, sia nel riccio, sia nella castagna vera e propria. - foglia, ricci e castagne dell'Ippocastano - La castagna d'India, frutto di Aesculus hippocastanum, è sempre più tondeggiante, mancante della cosiddetta "torcia", la parte finale a punta che, per dirla facile, è in pratica la rimanenza del fiore. La base, ilo, anche quella più rotonda e dove facilmente si può appoggiare la castagna. Il colore scuro, più lucido. Il riccio completamente diverso ha poche spine e spesso contiene una castagna sola, massimo due. Le foglie composte di 5 o 6 o 7 foglie grandi fino oltre 20cm, riunite alla base e sono tra le primissime a cadere già a fine settembre. La castagna commestibile, frutto di Castanea sativa, è di forma vagamente triangolare, più o meno schiacciata, con una parte piana dove si appoggia, con all'apice la"torcia" bene in evidenza formata spesso da un residuo di peli o fili sottilissimi di colore chiaro. La base, l'ilo, ossia la cicatrice dove era attaccata, l'ombelico praticamente, è di forma rettangolare, di colore più chiaro, ma la castagna non si può appoggiare. Il riccio tutto spine sottilissime e acuminate, che può contenere tre castagne ma possono arrivare a otto. La foglia semplice di forma allungata, appuntita, commestibili anche esse, degli usi delle quali ho parlato qui: https://www.lellacanepa.com/single-post/2017/12/03/sua-maest%C3%A0-il-castagno-non-si-butta-via-niente-tantomeno-le-foglie Le saponine contenute nelle castagne matte però diventano preziose per le proprietà come decongestionante, antinfiammatorio e astringente. Uso interno in forma di tisane o tinture in maniera casalinga è sempre sconsigliato perché non è possibile misurare il contenuto di escina, il principio attivo, pertanto occorre avvalersi di preparati di sicura provenienza erboristica, evitando assolutamente prove fai da te. È nota l'azione che ha sull'emorroidi, specie sanguinanti, o quante creme a base di ippocastano si trovino per cellulite e vene o semplicemente defaticanti. Il contenuto di saponine, come preannuncia il nome, ne fa anche un ottimo detergente e questo forse si può provare a fare in casa. Non fanno molta schiuma, ma hanno un potere lavante, un po' come le famose noci esotiche. Occorre sbucciarle, tritare, far seccare e poi se ne usa un cucchiaio, chiuso in un sacchettino, in una bacinella. È necessario sbucciarle perché con la buccia si possono usare solo con i capi colorati. Per lo stesso potere lavante si può aggiungere questo trito anche all'acqua del bagno, verificando prima eventuali allergie. La saponina si attiva con l'acqua calda. È pianta tintoria, il decotto, specie quello dei ricci, dà un bellissimo e resistente colore. Usata anche in ecoprint, la foglia rimane benissimo sulla stoffa. -- foto e lavoro di Oniq - Ma l'uso in assoluto più conosciuto, che tutti prima o poi abbiamo sentito, è quello di tenere una o due castagne in tasca o nella borsa per sconfiggere i malanni invernali, quali raffreddore e tosse. Nessuno saprà mai dire perché, ma personalmente l'ho sempre fatto, come sarebbe possibile affrontare un duro inverno di malanni senza la castagna in tasca? E poi non era bello sapere di avere qualcosa di magico da portarsi appresso, quando la nonna te la dava e ti consigliava di custodirla gelosamente? Il perché o se è vero non aveva molta importanza. Un altro uso delle donne di una volta era metterle nell'armadio e nei cassetti come antitarme, basta bucarle con un ago, passare un filo e farne una collana da appendere, o spaccarle in due, mettere i pezzi in un sacchetto di garza e sistemare nel cassetto insieme a due foglie di alloro, chiodi di garofano, lavanda, bucce di arancio secche. Sacchetti che se ben confezionati, a costo zero, possono decorare un regalo di Natale e diventare un piccolo omaggio anche essi. - Ippocastano vicino a casa mia, soffocato dalla vitalba - L'Ippocastano è un albero imponente, decorativo, usato nei viali delle città. Arrivato dall'Oriente, forse portato da Costantinopoli 500 anni fa, è stato chiamato Ippo-castano perchè si curavano i cavalli e forse una volta si otteneva una farina con i suoi frutti macinati usata come stimolante per i cavalli bolsi, ma son prove da non ripetere, credo completamente abbandonate . Castagna d'India perché spesso si chiamavano così le cose che arrivavano da lontano, non avendo bene a mente dove stava l'india o la Turchia. Un po' come il mais, chiamato granoturco perché arrivava da paesi sconosciuti, anche se in realtà è arrivato con la scoperta dell'America. A maggio si riempie di meravigliose pannocchie alte anche più di 20cm, contenenti anche 50 fiori leggermente profumati, che attirano le api. È una pianta che vira il colore per informare che all'interno non c'è più polline, da giallo diventa rosa, rosso, anche se esiste una varietà a fiori rossi. Non facile da trovare nei boschi in campagna, non si naturalizza, più frequente nei parchi, lungo i viali, sono stata presa dallo sconforto quando oggi ho visto l'unico esemplare vicino a casa mia soffocato dalla vitalba e irraggiungibile dai rovi alla base. Presto non si vedrà nemmeno più. Ne ricordavo altre piante vicino alla chiesetta nel bosco, dedicata a San Rocco dopo una pestilenza, costruita su terreno nostro dalle famiglie riconoscenti salvate da un'epidemia di colera e infatti lì le ho trovate, per fortuna ancora in salute. L'ippocastano più famoso è certamente quello che tenne compagnia ad Anne Frank nei mesi di isolamento nascosta nella casa di Amsterdam, era l'unica cosa che si vedeva dalla finestra della soffitta dove era nascosta e Anne ne osservava i cambiamenti stagionali e li annotava nel diario. La pianta, malata, nonostante i tentativi di curarla, è stata abbattuta nel 2010 per evitare disastri a persone e al Museo dedicato alla ragazza. Da esso sono stati creati 150 cloni innestati in giro per il mondo. - Ippocastano di Anne Frank dalla finestra della soffitta - Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. 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