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- LA SPONGATA A MODO MIO
A volte mi vien da chiedermi per quale motivo mi imbarco in progetti dai quali poi qualsiasi sia la riuscita non saprò mai se è così che doveva essere. Avevo voglia di un dolce diverso e domani per l'Epifania ho pensato alla Spongata. Un dolce che condivide Emilia, Toscana e fine Liguria di Levante. Vista tante volte tra valli piacentine, a Pontremoli, a Sarzana, a Berceto, tutti luoghi a poche decine di chilometri qui intorno, ma non ricordo se l'ho assaggiata o no. Parto dall'idea di mia madre che una pietanza dove ci sono cose buone non può essere cattiva e leggendo qui e là decine di ricette scopro per l'ennesima volta che ognuno la fa come vuole, e ogni paese ha la sua per così dire RICETTA ORIGINALE, così decido di fare come mi sento e come sempre, con quello che ho, perché oramai l'ho in testa. In linea di massima si tratta di due dischi di pasta con in mezzo un impasto di frutta secca mescolata a vino e miele, e questo è quello che ho fatto: Per la pasta: 300 gr. di farina bianca 100 gr. di burro morbido 100 gr.di zucchero 70 gr. di vino bianco Per il ripieno: 100 gr. di noci 70 gr. di mandorle non sbucciate 50 gr. di pinoli 50 gr. di uvetta 100 gr. di miele 250 gr. di vino bianco 100 gr. di pane grattugiato cannella a piacere estratto di vaniglia Ho preparato prima il ripieno, frullando le noci, le mandorle e i pinoli e anche l'uvetta, così non infastidisce nessuno. Ho scaldato il miele, messo il vino bianco fino a portarlo a bollore e aggiunto la frutta secca tritata, amalgamato il tutto con un cucchiaio e alla fine aggiunto il pane grattugiato. Lasciato asciugare un po' sul fuoco, poi messo a raffreddare. Ovviamente si può lasciare la frutta a pezzi più grandi, qualcuno intero e si possono aggiungere le nocciole che io non posso mettere. Ho impastato una specie di pasta brisee, senza difficoltà solo con il burro e il vino. Nel caso aggiungere pochissimo altro vino. Ho diviso la pasta in due. Ho allargato con il matterello un disco sottile per una tortiera da 25 cm a bordi bassi, ho unito il ripieno allargando con un cucchiaio e ho ricoperto con un altro disco di pasta. Ho chiuso bene i bordi premendo e ho cercato di formare sulla superficie qualche disegno come ho visto fanno con degli appositi stampi. Ho infornato a forno caldo a 180° fino a un colore ambrato, circa 40 minuti. Sfornata l'ho girata a raffreddare e infine coperta di zucchero a velo È un dolce delle festività natalizie e quindi per domani l'Epifania, era l'ultima occasione per provare. Dolce di quasi certa provenienza mediorientale, partendo dal porto di Luni dove commercianti ebrei scaricavano le merci e da lì la "Via della Spongata", passando per Sarzana e Pontremoli, arrivando a Parma e un po' in tutto il nord Italia con mille varianti, mano a mano che gli Ebrei si insediavano e conosciuto anche con la complicità dei pellegrini cristiani che in barba al divieto del Sinodo del 1642 dove si proibiva di mangiare cibi ebraici, assaggiavano questo impasto o qualcosa di simile, portandone con sé il ricordo in ogni luogo dove si fermavano per questa o quella devozione. Ma chissà se sarà davvero così la storia che ho letto, anche le origini sono controverse. Incredibili le varianti via via dal Piacentino a Parma, da Sarzana a Pontremoli. Marmellate al posto del miele, mostarda, spezie diverse, pasta più o meno sottile. Ecco pronta, profumata, bella tonda, zuccherata il suo aroma eccezionale ha il sapore di Natale sulla tavola dorata sarà di spicco la Spongata* Sono piuttosto soddisfatta del mio risultato, è quello che mi aspettavo. Dalle ricette che ho trovato si possono aggiungere noce moscata e altro, ma io con le spezie vado piano, cambiare proporzioni e modo della frutta secca, aggiungere le uova nella pasta e fare una frolla, insomma dovrò girare ad assaggiare di casa in casa le vari spongate. Così a naso, con scarsa conoscenza di abbinamenti vini, mi sembrava che ci stesse bene un vino, che a me normalmente non piace, tipo Passito o Sciacchetrà che non avevo, ma ho trovato, fra i regali, uno Zibibbo siciliano di ignota provenienza che sì per stasera va bene, tanto non esco, non sono più la Befana di una volta 😜 *dal web Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- A L'ÊA ’NA SCIXÈRBOA ...🌿🌿🌿
Fra le erbe che resistono anche ai freddi invernali e spuntano per prime c'è la scixèrboa o sciscerbua, un'erba molto comune ovunque, in campagna come in città, dove c'è una fessura nel marciapiede o al limite di un prato incolto o persino in un vaso sul balcone. È pianta che accompagna la civiltà umana quasi da sempre, dopo la cicoria è una delle prime usate per l'alimentazione, tanto che nella specie più comune, il Sonchus oleraceus, oleraceus significa "simile a verdura dell'orto" Plinio il Vecchio racconta come Teseo se ne fece un gran piatto prima di entrare nel labirinto ad uccidere il Minotauro. Comunemente chiamata crespigno, grespino, in Liguria è conosciuta appunto come sciscerbua, una parola che non definisce solo quest'erba ma era usata anche per identificare le giovani ragazze un poco vanerelle, leggere, in quel periodo che non esiste più, fra l'adolescenza e la giovinezza, quando l'essere anche un poco insipide era loro perdonato. Infatti non è erba dal sapore particolarmente accentuato, leggermente amaro che sta bene e ha il suo perché nel misto ligure di erbe che è il Prebuggiun,(qui>>>) ma che io non uso da sola, o perlomeno così mi è stato insegnato. Il suo genere scientifico è il Sonchus e per quello che mi riguarda ne riconosco due o forse tre. In questa foto una pianta molto simile che nulla ha a vedere con un Sonchus, ma confondibile. A dimostrazione di come è facile sbagliare. Nulla di grave è commestibile anch'essa, ma è pur sempre un'altra cosa. È una Mycelis muralis (L.) Dumort, detta anche Lattuga dei boschi. La differenza si sarebbe vista se avessi aspettato la fioritura. La confusione è possibile perché anche il gruppo dei Sonchus subisce infinite varietà, Sonchus oleraceusL., Sonchus asper L. Hill, Sonchus tenerrimus L., riconoscibili scientificamente solo dai frutti. Un seme di sciscerbua può rimanere nel terreno fertile anche 10 anni. Per l'identificazione, a scopo alimentare, di una o dell'altra non ci sono molti problemi, vista la facilità di reperimento ovunque. Le foglie, a forma di lancia, dentate, potrebbero far credere a un tarassaco, ma da un'attenta osservazione se ne vedono le differenze sia nel colore che nella forma e nella consistenza. Spesso il gambo, cavo, vira al rossiccio, e le foglie in qualche varietà sembrano quasi essere spinose. Ogni dubbio è fugato con il fiore che non è singolo, come nel tarassaco, ma in capolini simili a margherita, di colore giallo, riuniti insieme, che poi diventano fioccosi con il seme. a destra fiore di sciscerbua tanti capolini su uno stelo A sinistra fiore di tarassaco, uno stelo cavo per ogni fiore, fiore molto più grande I suoi utilizzi in cucina sono i soliti di un misto di verdure: bollite e condite con olio e limone, ripassate in padella, nei ripieni di torte e Pansoti (qui>>>). Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.
- IL PURÈ
La cucina è semplicità e la semplicità è la cosa più difficile Joël Robuchon Mi è giunta voce che alcune persone trovano difficoltà a preparare un purè morbido e omogeneo, senza grumi, o troppo "annacquato". Visto che sta benissimo con lo zampone, il cotechino e le lenticchie, roba da questi giorni, cercherò di scrivere come lo faccio da sempre o meglio come da sempre l'ho visto fare da mia madre, talmente spesso che il dubbio di un purè non riuscito non mi ha mai sfiorato. Il purè piaceva molto a mio padre e sulla nostra tavola era presente anche due volte alla settimana, quando invece lui non avrebbe mai mangiato una patata bollita o bevuto un bicchiere di latte. Con gli anni e tornando tardi dal negozio gli rifilò qualche volta quello preparato in polvere da reidratare, esistono marche di soli fiocchi di patate disidratate, gli altri più conosciuti lo sono al 99%, il rimanente 1% sono monodigliceridi per dare cremosità, tutto sommato esistono cose peggiori. Per mera curiosità aggiungo che si possono ottenere dei simil fiocchi di patate da poter utilizzare, semplicemente facendo seccare una purea di patate bollite e passate, meglio con un essiccatore, e poi frullate fino ad ottenere una polvere fine. Al momento di utilizzarli basterà aggiungere acqua o latte. Non son proprio come quelli comprati, ma insomma, si può fare. https://www.italiaspezie.com/legumi-cereali-e-farine/745-fiocchi-di-patate.html I segreti per avere un buon purè, per chi non li sapesse, sono pochi, forse però importanti. Primo LE PATATE Devono essere di una varietà morbida non acquosa, farinose, che tendono a disfarsi. Non importa pasta gialla o bianca, meglio non appena raccolte, ma già un po' vecchie, il purè è pietanza invernale e le patate con il tempo tendono a perdere una parte di acqua. Con la buccia, messe in acqua fredda e sbucciate il più rapidamente possibile che non raffreddino. Sbucciate a fette, meglio cotte a vapore. Per passarle, mai il frullatore, diventerebbero una colla non recuperabile, anche se so di chi lo fa con il Bimby e simili, ma è un'altra cosa. Il meglio è con il passaverdure con i buchi piccoli, credo che ormai sia l'unica cosa per la quale lo uso. Intere con la buccia, più o meno della stessa misura, si possono schiacciare con lo schiacciapatate come ho già detto più volte senza sbucciarle, altrimenti a che servirebbe? Però se ha i buchi piccoli, altrimenti si corre il rischio di avere qualche grumo. Nel caso di ritrovarselo con i grumi non resta che passarlo manualmente a un setaccio. Al limite schiacciate velocemente con la forchetta, difficile riuscire, ma a volte per una persona due patate si può fare. Sempre rimesse nella pentola dove si sono cotte, che è rimasta calda, ovviamente svuotata l'acqua. Personalmente se ho fretta, sbucciate, a fette, cinque minuti di pentola a pressione, con il cestello del vapore, sono più che sufficienti. IL LATTE Non deve essere aggiunto freddo, ma appena raggiunto il bollore. Impossibile definire esattamente la quantità necessaria, la proporzione latte-patate è data dalla capacità di assorbirne di queste ultime. Una volta passate, mescolando velocemente e aggiungendo il latte caldo poco per volta si arriva alla consistenza desiderata, su una fiamma bassissima, non deve cuocere oltre. Se si dovesse aggiungere troppo latte non è facile se non impossibile, anche cuocendo ancora, farlo rassodare di nuovo. Insomma il terzo segreto è la velocità, pochissimi minuti da quando le patate son cotte a quando diventano purè. Scuola di cucina vuole che si usi una frusta in modo da inglobare aria che lo renderebbe più soffice, io mi sono sempre trovata bene con il cucchiaio di legno, come mi hanno insegnato, quello tenuto da parte per il purè, poi c'è quello dei sughi e degli umidi e un altro per le creme e i dolci. Raggiunta la compattezza desiderata, per me ben sostenuto sul cucchiaio, si aggiunge qualche fiocchetto di burro, e una spolverata di noce moscata e si aggiusta eventualmente di sale, che deve essere messo con le patate a bollire. Potrei dire che mia madre non ha mai aggiunto il burro e siamo sopravvissuti benissimo, ma certo mettendolo è più buono, sulla noce moscata poca ma ci va. Molti aggiungono parmigiano, se non ci mettevamo il burro figuriamoci il parmigiano, ma ovvio che ogni ingrediente dà sapore, se poi si mette, come leggo in giro, panna e/o pezzetti di salumi o di formaggio credo diventi proprio un'altra cosa. È invece possibile divertirsi a fare dei purè colorati aggiungendo carote, spinaci, ortica, barbabietola bollite e passati a parte e aggiunti alla purea prima di mescolare con il latte. I purè colorati sono molto coreografici da mettere in tavola e buoni, ma il vero purè resta quello di patate. Il purée più famoso al mondo è quello di Joël Robuchon, chef francese pluristellato, morto qualche anno fa. La sua ricetta si avvale della varietà Ratte, una particolare patata dalla forma allungata, burrosa, con il gusto che ricorda quello della nocciola, ma credo che molto influisca anche la quantità di burro che mette su un chilo di patate ... Potete vederlo qui all'opera, tutto sommato il procedimento è quello di mia mamma, che sarebbe però svenuta a vedere usare tutto quel burro. Il risultato finale sinceramente a me piace più sostenuto di come sembra rimanere nel video https://www.youtube.com/watch?v=vrzs170Wfbc&ab_channel=BonApp%C3%A9titBienS%C3%BBr Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL DONO DEL FUOCO
Forse la prima cosa considerata sacra dall'uomo è stato il fuoco, arrivato dal cielo, e da quel momento tutto è stato diverso. L'autonomia nel produrre, trasportare, controllare il fuoco è stata la grande conoscenza che ci ha indotto a credere come noi fossimo superiori agli altri animali e simili a un dio al quale lo avremmo rubato. Al fuoco sono dedicati i riti più antichi, i fuochi del solstizio, i fuochi dei Santi, al fuoco erano messi eretici e streghe, il fuoco purifica, il fuoco disinfetta. E alle donne era assegnata la custodia del fuoco sacro, vedi le Vestali. Se vuoi vedere una donna da poco mettila attorno al fuoco Anche nella nostra cultura contadina tutto era accentrato intorno al fuoco e quindi saperlo gestire, usare al meglio la legna, nessuna donna sarebbe mai tornata a casa dai campi senza la fascetta di sticchi indispensabile per accendere un fuoco e fare bollire una pentola, era solitamente affidata alla donna, mentre la provvista della legna grande era compito dell'uomo di casa. C’è un’usanza delle campagne di una volta ormai dimenticata, il dono del fuoco. Tempi nei quali i fiammiferi erano rari e costosi e lasciarsi spegnere il fuoco sembrava quasi una disgrazia. Era d’uso allora recarsi dal vicino e farsi regalare un tizzone acceso. Dico farsi regalare perché a nessuno sarebbe mai venuto in mente di chiedere un compenso per il fuoco domandato. Il fuoco donato agli uomini da un essere superiore, fosse Dio, Giove o chi per loro, non appartiene a nessuno e nessuno può ricavarne profitto, può rifiutarsi di condividerlo e chi lo riceve non ha l’obbligo di ringraziare. Facciamo che i doni scambiati in queste ore abbiano la valenza e l’importanza che aveva una volta il fuoco domandato, senza nulla pretendere, semplici ma indispensabili. Facciamo che sciolgano i cuori, sgelino il ghiaccio di certi atteggiamenti duri, scaldino con la presenza più che con la sostanza, brucino le distanze spesso mentali. Per una volta, proviamoci, domandiamoci l’un l’altro un fuoco d’amore e non ci sarà bisogno di ringraziare Voi date ben poco quando date dei vostri beni. E’ quando date voi stessi che date davvero (Khalil Gibran) L'ASSOCIAZIONE CULTURALE ERBANDO E LELLA CANEPA AUGURANO BUONE FESTE Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LA BÛCHE DE NOEL, IL TRONCHETTO DI NATALE VERO, E ....
... E IL MIO PASTICCIATO 🤣😂😜 Giorni fa ho ritrovato questa ricetta e meraviglia! perfettamente eseguita su you tube con semplici spiegazioni, anche se in francese. La Bûche de Noël è un dolce francese, classico delle feste natalizie, diventato di successo popolare dopo la seconda guerra mondiale e che in molti paesi del nord ha il posto dei nostri panettoni. Nato intorno alla metà del 1800, ma dalla controversa paternità, chi dice sia il cioccolatiere Bonnat a Lione, o Pierre Lacam famoso gelataio del principe di Monaco, che brevettò la ricetta nel 1895. Ricetta originale che all'inizio prevedeva un pasta genoise generosamente farcita con crema al burro e arrotolata, ricoperta di cioccolato a sembrare corteccia, così come è appunto quella che sapevo e che ho trovato, che non è il solito rotolo alla marmellata che si è abituati a fare velocemente. Attualmente invece i pasticceri francesi si inventano di tutto, tanto da ogni anno, per Natale, ambire alla bûche signature, quella che viene definita la più bella e che contiene le caratteristiche, il simbolo, lo stile della pasticceria che deve rappresentare. Spesso abbandonato il rotolo classico, le patisserie francesi in questo periodo sono ricche di monoporzioni ad ogni gusto e sapore. Qui sotto le foto le bûche signature 2021 decretate le migliori, che si possono ammirare nelle vetrine parigine. https://frenchly.us/7-best-buche-de-noels-by-french-pastry-chefs-2021-edition/ In origine pare che l'idea sia venuta per celebrare il ceppo di Natale che, specie nei paesi del nord, è tradizione lasciar bruciare nel camino durante tutte le feste, insieme a riti più o meno scaramantici, tipo innaffiarlo di vino o spargendo del sale. In ogni paese cambia il tipo di albero, qui in Liguria sicuramente si usava un bel ceppo di alloro che doveva durare nel camino fino all'anno nuovo e addirittura si tenevano da parte gli ultimi tizzoni spenti per accendere quello dell'anno successivo. Ora, perché scrivere un post se già esiste una bellissima versione dettagliata della ricetta francese? Perché a qualcuno potrebbe essere sfuggito e mi fa piacere segnalarlo, perché è fatto molto bene e soprattutto mostra alcuni piccoli suggerimenti forse non così noti, per esempio la seconda cottura della copertura o come stringere il rotolo. Ovviamente ho provato a farlo, ed è per quello che il titolo del post è il Tronchetto di Natale vero e... che sarebbe poi ... e il pasticcio che ho fatto io, ma dato che mi interessava più che altro le tecniche, sono andata un po' così, non l'ho riempito di crema al burro, (della mia più semplice ho già parlato qui>>>IL DOLCE DI MENELIKKE). Non sono riuscita a fare i rotolini di cioccolata per simulare la corteccia, probabilmente oltre a non avere la manualità necessaria, nemmeno il cioccolato era quello giusto. Sono comunque soddisfatta di quello che ho imparato, anche senza altre piccole decorazioni che avrei potuto aggiungere, bastava un rametto di pungitopo, (NON AGRIFOGLIO È TOSSICO, in tavola non si sa mai) ma non avevo più tempo, alla fine la cucina è sempre un delirio da pulire. Come i pasticceri francesi si possono fare infinite variazioni, sia sulla pasta che sul ripieno. Altri consigli: Per provare basta metà dose, è venuto davvero tanto. Per bagnarlo a me non è servita tutta quella quantità di bagna, quella avanzata l'ho messa in una bottiglietta in frigo, in fin dei conti è sciroppo di zucchero. Importante i tempi di cottura che però per il mio forno non così professionale ho dovuto aumentare di uno o due minuti Così come la copertura al cacao da cuocere, lo rende diverso dal solito rotolo che si è abituati a fare. Bisogna farla cuocere bene e raffreddare alla perfezione Interessante il metodo per stringere alla perfezione il rotolo già arrotolato, funziona alla grande, così come quello di lisciare con la spatola l'impasto per averlo perfetto sopra e sotto, per chi non lo sapeva si vede bene come fare. Importantissimo tenerlo in frigo, e in freezer, io non l'ho fatto e si vede, pensando che con la marmellata non servisse, si ammoscia un po' e poi per esempio ho provato a spruzzarlo con lo spray oro e volavano via i foglietti di cioccolata. Non ho valutato l'idea che se non potendo mangiare tutto quel tronchetto con tutta quella crema al burro da sola, avrei potuto conservarlo in freezer tirarlo fuori alla bisogna rifinendo le decorazioni all'ultimo minuto. Sotto alcune foto della mia preparazione, poi il video su youtube, dove ci sono anche le dosi e gli ingredienti oltre alla dettagliata lavorazione https://www.youtube.com/watch?v=exVf3QeYpPk&ab_channel=APPRENDRELAPATISSERIEFRANCAISE Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- ELLEBORO, LA ROSA D' INVERNO
La mia mente vacilla e l'intelletto s'oscura; abbi tu, o fior, di me pietà, appresta alle mie labbra il succo eletto che nelle foglie tue celato sta. L'Elleboro - Pietro Gori, 1882 In questo periodo in quasi tutte le nostre case c'è una Poinsettia, pianta di origine messicana, forzatamente obbligata a far diventare rosse le sue foglie perché fa tanto Natale, con grande dispendio di energie in serre riscaldate dove si fingono luce e calore dell'inverno centroamericano che le sarebbero congeniali. Difficile rinunciarci. Eppure è una moda relativamente recente, solo dopo gli anni '60 divenne accessibile a tutti, sebbene fosse arrivata in Europa già da più di un secolo. Moda iniziata per decorare i boulevard di Hollywood, quando il rosso divenne il colore di queste feste, sbarcata in Germania intorno agli anni '50 dove iniziarono le coltivazioni intensive. Ma precedentemente, il primo fiore invernale, che rappresentava il Natale, è sempre stato l'Elleboro, un fiore selvatico. Come sempre ne esistono diverse varietà, qui nel sottobosco fra le sterpaglie, cresce l' l'Helleborus viridis, completamente verde, abbastanza comune, o l'Helleborus foetidus, sempre tutto verde, ma con le corolle appena tinte di rosso ai margini, mentre salendo a quote più alte, più a nord, fin nei prati di montagna, si trova anche il bellissimo Helleborus niger, dal fiore bianco con l'interno giallo dorato, dal quale derivano le piante che si possono comperare in questo periodo nei garden. Ne scrivo ora perché leggermente anticipata la fioritura con la coltivazione, si trova pronto giusto per le festività natalizie, con un cespo verde compatto che può raggiungere i 30 cm, il fiore bianco che sfiorendo si sfuma di porpora, con un aspetto simile alla rosa selvatica e chiamato Rosa di Natale e ricomparso da qualche anno nei negozi dei fioristi, anche in più colori. Una pianta rustica, che sopravvive più facilmente della Stella di Natale ai climi freddi, anche all'aperto, riempiendo le zone a mezz'ombra, ed essendo perenne torna ad abbellire giardini e terrazzi tutti gli anni, con un minimo di cura. Avevo voglia di parlarne anche perché come pianta selvatica, è conosciuta fin dall'antichità per i suoi molteplici usi. La pianta come tutte le Ranuncolaceae, è altamente tossica, e come tanti altri veleni ha proprietà medicinali, ricordo che "farmaco" dal greco ha anche significato di veleno. Tutta la pianta è tossica, ma in special modo il rizoma e le sue radici contengono più di una sostanza potente che può condurre anche alla morte se usata in modo inappropriato. Soprattutto quello dal fiore bianco, che deve il "niger" del nome botanico per il colore nero della radice, mentre Elleboro potrebbe significare "che fa morire nutrendo". Come tutte le piante che avevano effetti sull'uomo anche questa entrò nell'elenco delle piante magiche e proprio nel medioevo fu usata come veleno, per fare fatture ed esorcismi, di elleboro pare si spalmino le streghe per riuscire a volare ai sabba, ma pure per curare scompensi cardiaci, come purgante, e soprattutto per curare la pazzia, anche se per questo uso già se ne parlava ai tempi di greci e romani quando si narrava di Ercole e Melampo guariti dalla follia grazie all'Elleboro nero, o raccontando del filtro magico di Circe che trasformò gli uomini in porci. Solo San Martino di Tours, nel suo soggiorno all'isola Gallinara, qui in Liguria al largo di Albenga, pare si nutrisse di Elleboro, senza conseguenza alcuna, non sapendo fosse così velenoso, ma d'altra parte lui era Santo. “ bisogna mandarlo per l’elleboro ad Anticira” Orazio Se a livello casalingo sono dimenticate dosi e modi di curarsi con questa pianta e non è proprio il caso di provarci, avendo attenzione anche se si usano i fiori per un bouquet su tavoli e simili, i contadini invece solo da pochissimi anni hanno smesso di curare gli animali con l'Elleboro, o forse qualcuno lo fa ancora, inserendo il rizoma appuntito sottopelle nel collo o nella coscia. La parte gonfiava formando un bubbone e l'animale guariva da diverse patologie. Rimaneva però il segno e l'animale era deprezzato in quanto si capiva che era stato malato. Ho letto da qualche parte che le bustine di polvere per starnutire, vendute a Carnevale non sarebbero altro che radice di Elleboro tritata, che per il potere irritante provocano forti starnuti. Non posso accertare se sia vero o meno, già come scherzo non mi pareva intelligente, nel caso fosse vero spero proprio che non sia più in vendita. Resta comunque da constatare quante nozioni si siano perse nella quotidianità, una volta fin da bambini si sapeva cosa ci circondava, cosa fosse velenoso e cosa no e come andava o non andava usato, anche senza nozioni scientifiche. I bambini una volta andavano a raccogliere gli Ellebori nei boschi per farne grandi mazzi da portare ai mercati dove erano venduti appunto come Rosa di Natale e guadagnare qualche soldo e sapevano di cosa si trattava. Il nome Rosa di Natale le viene da una leggenda che la crede fiorita nei pressi della grotta di Betlemme per le lacrime cadute da una pastorella che non aveva nulla da portare in dono al Bambin Gesù. Per contro la Poinsettia o Stella di Natale, Euphorbia pulcherrima, che l'ha sostituita ha pure una certa tossicità, se pur non così pericolosa, il lattice che secerne è irritante per la pelle, ma che dire allora del Vischio che è davvero tossico anch'esso? L'importante è saperlo. "Anna Onna, su svegliati, su lèvati e vammi in cerca dell'Elleboro nero, che il senno renda a questa creatura” La Figlia di Iorio G. D'Annunzio, 1903 * foto di Actaplantarum, cliccando sulla foto si accede alla scheda sul sito Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LE RADÌCCE di Chiavari
Nel lungo inverno, sono meno le verdure fresche di cui si può godere. Oltre le zucche, i cavoli, i carciofi e poco altro, qui nel Tigullio abbiamo le Radici di Chiavari, da noi chiamate abitualmente Radìcce. È uno dei cinque ortaggi appartenenti al marchio Antichi Ortaggi del Tigullio Non ha nulla a che vedere con altri ortaggi da radice tipo rapa o barbabietola o pastinaca, è semplice Cichorium intybus, in una varietà selezionata più per le sue radici che per le sue foglie. Si differenzia da altre radici in commercio, non di Chiavari, per la forma conica di notevoli dimensioni e il colore bianco. La differenza non è solo nella forma, ma è anche nell'effetto sull'intestino. Difficilmente quella originale di Chiavari vi darà fastidio, pur mantenendo le sue proprietà e il gusto amarognolo, proprio delle radici di Cicoria, in questa varietà è piacevole. E' una verdura altamente depurativa, tanto che nella tradizione genovese viene annoverata come piatto delle feste natalizie, contorno povero che disintossica dai bagordi dei pranzi, aiuta a smaltire i grassi che inevitabilmente in quei giorni si ingeriscono. Non si devono confondere le Radicce con la Scorzonera,(qui>>>) altra prelibatezza ligure, anch'essa radice buona da mangiare, ma che non è una cicoria, con sapore dolce e dimensione inferiore. Pur appartenendo alla stessa famiglia sono due generi completamente diversi. E' un piatto povero, di facile esecuzione ma salutare. Un tempo le donne avevano il compito di fregarle fino a farle venire belle bianche, ora con un comune pelapatate tolgo la parte superficiale. Lavo bene e taglio in due o tre pezzi. Ho anche pelato e tagliato qualche patata morbida e, come dice la regola, metto sul fuoco in una pentola di acqua fredda. Non sapete la regola delle verdure? "tutto quello che cresce sotto la terra, acqua fredda, tutto quello che cresce sopra la terra, acqua calda" 😜 Incoperchio e faccio cuocere una quindicina di minuti - venti da quando bolle, e comunque controllo ogni tanto con una forchetta. Il piatto è pronto, resta da condirlo con buon olio ligure nuovo, una goccia di aceto o limone, se piace e sale. L' intestino ne beneficerà, ringraziando. "E sêuxoe son comme e radicce: un pö ciù ò un pö mêno, amâe o son tutte." Le suocere son come le radici: un po' più o un meno sono amare tutte Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- L'OMBELICO DI VENERE
...Come sempre, il paesello taceva e sembrava deserto, abbandonato; sui muri si apriva con le sue piccole coppe di carne verde l'ombelico di Venere ... Dopo il Divorzio - Grazia Deledda 1903 Per una volta riuscirò a parlare di una pianta facilmente riconoscibile, difficile da confondere con altre. La sua caratteristica forma rotonda, un dischetto con una depressione al centro, il verde tenero, la consistenza di pianta grassa, il posto dove cresce sui muri ombrosi dei boschi ma anche sulle rocce umide a picco sul mare sempre e solo se non troppo baciate dal sole, la rende inconfondibile. Il particolare aspetto la fa assomigliare vagamente alla zona dell'ombelico e se di corpo si parla, per la sua bellezza non può che essere di Venere. Chissà quante volte l'abbiamo incontrata nelle nostre passeggiate, inizia adesso a mostrarsi in riviera, per fiorire prima che venga il caldo, con un lungo ramo di piccole campanelline pendule di un bianco sporco tendente al verde, raramente sfumato di rosa. Forse mai abbiamo pensato di raccoglierla per mangiarla... L'utilizzo alimurgico di questa pianta non è molto in uso da queste parti, forse dimenticato, anche se in tempi diversi veniva addirittura bollito, meglio a vapore, insieme ad altre piante. Invece è buona in insalata e soprattutto decorativa e spesso inaspettata dagli ospiti quando se la trovano nel piatto insieme ad altre foglie più comuni. Da raccogliere giovane, prima che fiorisca. Inutile stare qui a descrivere il gusto, ognuno di noi ha la sensibilità sua e esperienza mi ha insegnato che questi particolari sapori sono tutti da recuperare. I recettori della nostra lingua stanno velocemente andando verso una globalizzazione che non esce da o dolce o salato, i bambini non sono più minimamente abituati, per esempio, all'amaro, che è uno dei quattro sapori fondamentali indispensabili per la sopravvivenza, amari sono quasi tutti i veleni che in minima dose diventano però medicina, quindi è perfettamente inutile che stia qui a scrivere che ha un sapore fresco e delicato, provare provare provare. Un ultima cosa, ha anche blande proprietà. Pestata veniva usata per le scottature, ma anche per sciatica e reumatismi, forse quando davvero non c'era altro Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- CALICANTO 🤗 un profumo che abbraccia
Guardo fuori in questa giornata uggiosa e vedo il Calicanto nel giardino di casa, apro la porta e mi arriva il suo profumo come un abbraccio. La pianta mi è stata regalata anni fa e nel linguaggio delle piante significa protezione e aiuto per la persona che lo riceve, forse per le tante leggende che lo identificano. Quella che mi piace di più si riferisce a una notte di dicembre di tanti anni fa, in un mondo in letargo, uomini, animali, piante dormivano mentre in una grotta nasceva un bambino. Lì, fuori la grotta, una piantina di Calicanto, a quel vagito si era svegliata improvvisamente e coperta di boccioli gialli, credendo arrivata la primavera. Sentendo il pianto del bimbo e non sapendo come consolarlo si sporse con i rami fin dentro, aprì le corolle spargendo intorno un profumo soave, e il bimbo sorrise... da allora il Calicanto fiorisce sempre a Natale. 🤗 Per questo si dice che il profumo di Calicanto dia forza e serenità. Un rametto in camera alla sera fa risvegliare più tonici e distesi.E' anche buona usanza fregarsi i polsi e le caviglie al mattino per infondere tono, rinforzare le ossa e i fasci nervosi. Così mi preparo l'oleolito di fiori di Calicanto. Dopo averli fatti appena appena appassire, ne metto una manciata in un vasetto scuro e copro con olio di mandorle. Sistemo il vasetto con olio e fiori in un sacchetto di carta al riparo dalla luce, su di uno scaffale in alto in cucina dove la temperatura è un po' più alta, per favorire il rilascio dell'essenza. Dopo venti giorni filtro e il mio olio per massaggi ricostituenti è pronto in tempo per l'arrivo della primavera. E' utile anche per le pelli arrossate di mani e viso. Mentre in dosi attente i fiori anche essiccati possono essere usati mescolati ad altre erbe Attenzione a non usare i semi, che potreste ancora trovare secchi della stagione precedente, sono fortemente tossici. Come potrò dimenticare l’odore del calicanto nelle notti di febbraio, la volatile gioia d’acuta verdezza traboccante nel buio della strada deserta... L. FALLACARA Da tutti chiamato comunemente Calicanto, in realtà un suo nome scientifico è Chimonanthus praecox (L.) Link, il vero Calicanto, Calycanthus floridus, ha una fioritura estiva, fiori rosso porpora solo leggermente profumati. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.
- È NATALE ... nonostante tutto.
Post estremamente difficile quest'anno, mi è stato chiesto di scrivere qualcosa in proposito, fra tradizioni e ricette, quello che faccio o che ho sempre fatto io. Non sono la persona più adatta, se da me ci si aspetta descrizioni di acquisti frenetici e pantagruelici pranzi con decine di parenti, dopo essere scesa dagli sci. Se la devo raccontare tutta e chi mi conosce già sa, abbiamo sempre vissuto in casa il Natale in maniera particolare avendo un padre particolare. Mio padre amava farsi i cavoli suoi, e tutto quello che facevano gli altri non faceva per lui, doveva però combattere con mia madre che voleva riunioni parentali e sfogarsi in cucina, così noi abbiamo sempre fatto il "Finto Natale di Casa Canepa". La singolare tradizione iniziava circa un mese prima dove si cominciava a spacchettare regali "che tanto è Natale", con varie cene per gli auguri fra gli amici, per finire con una grande tavolata di parenti la domenica prima di Natale, ai quali tutti, era imposto di far finta che ne avessimo 25, quindi menù, regali baci e abbracci e Buon Natale a tutti. Qualche volta, i giorni dopo, si partiva per la seconda casa nel paesino sperduto (qui dove abito ora) e lì si rifaceva un altro Natale, con molto meno magia perché avevamo già aperto i regali, mentre tutti ma proprio tutti intorno festeggiavano e noi si bivaccava da un divano all'altro fra i vari Zanna Bianca e La Vita è meravigliosa trasmessi in tv. Il mio divertimento era tutto nell'organizzare presepi viventi e recite con i bambini, andare di casa in casa dove nei giorni fra le feste, si ammazzava il maiale, in un trionfo di salsicce fresche, sanguinacci e imparare a legare il salame. Qualche volta, tante purtroppo, la giornata di Natale si passava a fare l'odiato inventario in negozio e non era cosa facile avendo più di 20000 articoli in vendita. Nel tentativo di riaccendere tradizioni antiche della Liguria riproponendole, andavo chiedendo a nonni e zii, ma quelle scoperte non ebbero successo in famiglia tant'è che erano state volutamente abbandonate, a cominciare da quella di mio bisnonno, vera ed originale ligure, della cena di magro a base di cavoli bolliti e la colazione la mattina di Natale bevendo una scodella di brodo di trippa. Messe al voto le tradizioni ci fu chi chiese perché non eravamo nati in luoghi più ameni. 🤣🤣🤣Personalmente non conosco nessuno che le ottempera più. Nelle case più abbienti il brodo di "sbira" era completato con cappone, carne di manzo e palline di salsiccia, dove poi per il pranzo, che iniziava al pomeriggio, venivano cotti i natalini, o maccheroni di natale, lunghe e grosse penne lisce, che mettevano a prova la buona volontà di tutti per riuscire a prenderli nel brodo con il cucchiaio. Seguiva il cappone con la mostarda, in anni più poveri sostituito con il Cappon magro, allora piatto povero di verdure e pesce con salsa verde. Il giorno di Santo Stefano finalmente i Ravioli, ma come nella migliore consuetudine i ravioli alla genovese erano e sono costituiti da una sfoglia con pochissime uova, un ripieno di erbe selvatiche più indivia e scarola, formaggio, poca carne e poche uova, conditi con il Tócco, pezzo di carne cotto a lungo in poco pomodoro fino a disfarsi. Per secondo oltre la carne del sugo, una bella Cima. Di tradizione anche i berodi, i sanguinacci che arrivavano caldi dalla campagna. Non poteva mancare il Pandolce, da non confondersi con il panettone e nemmeno con il pandolce basso, invenzione recente, e questo sì che rappresentava la capacità delle donne di portare in casa il Natale. La lievitazione del pandolce era seguita come la nascita di Gesù e foriera di buoni o cattivi presagi a seconda del risultato. L'albero di Natale per la Liguria è l'Alloro, ricco di significati, ricordo le macellerie, i besagnini, le rosticcerie con fuori i rami di alloro, in casa un ramo addobbato con mandarini e poco altro, e il ceppo che avrebbe dovuto bruciare a lungo nel camino e ina ramma nel pandolce. Sposata in terra di confine quale è questa, se faccio un passo sono a Parma, se ne faccio due sono in Toscana, nessuno voleva sentire parlare di brodi di trippa e simili. Qui i ravioli sono grassi di carne di maiale e uova e il loro sugo un ragù che guarda all' opulenta Emilia, i secondi un trionfo di carni, di animali spesso macellati in quel periodo e l'albero assolutamente il Ginepro. Anche qui un pandolce seguito amorevolmente nella lievitazione, ma con un di più di vassoi di roêtte, baci di dama pezzi di turta in prexón, gobelletti, amaretti ecc. In questo pot pourri ne è risultato un Natale molto personalizzato, ma mai senza il presepe con le statuine di cartapesta degli anni '50, ognuna con un significato, e una vecchia di più di 100 anni che rappresenta un tipico personaggio del presepio genovese, il mendicante zoppo. Raffigura il povero senza lavoro, il menomato, il migrante, colui che è costretto a dipendere dall’elemosina, che cerca, chiede, vagabonda, chiunque sia senza mezzi e senza assistenza e per questo è l'unica statuina che può dare le spalle alla stalla, a Gesù Bambino. Mi è sempre anche piaciuto tanto preparare molto la casa, tutte decorazioni fatte a mano, corone di tralci e bacche raccolti nelle passeggiate o palline fatte con vecchio velluto e passamanerie recuperate Per il pranzo, della riviera ligure mi è rimasto il Cappon magro, che a volte mancando il pesce, mia madre se lo inventò magrissimo solo di verdure e spesso così lo faccio. Grazie ad una conoscenza che li insegnò a mia madre, in casa mia non è Natale senza Tortellini girati sul dito e piccolissimi. Non piange nessuno se faccio i Ravioli. Poi un buon Arrosto, spesso di maiale, la Cima la preferisco a primavera. Sempre ma proprio sempre, in autunno al tempo dei funghi, un'arbanella con quelli piccoli, i più belli sott'olio, è messa da parte per l'antipasto di Natale. Non so cosa sarà quest'anno, da anni i nostri natali sono ridottissimi, tre massimo quattro persone, gli altri non ci sono più, l'argomento regali non mi tange, da anni se e quando è il caso non aspettiamo natale o compleanni per farceli. Certamente posso dire che il singolare metodo di mio padre mi ha abituato a Natali diversi, poco tradizionali. Per quanto riguarda gli sci, l'unico paio che io o i mei figli abbiamo visto sono quelli di legno che mio marito, con il pezzo di legna sotto il braccio, usava per andare a scuola quando negli anni '50 le nevicate erano abbondanti anche qui, questo senza che niente o nessuno ci abbia mai impedito di andare. Aggiungo un pensiero per la messa di mezzanotte, il nostro prete di campagna aveva 29 chiese per nove parrocchie, e per Natale si faceva scrupolo di fare personalmente almeno una messa in ognuna con un tour di "messe di mezzanotte" dalle otto di mattina a sera fonda che al confronto le polemiche di questi giorni su quando e come mi fanno solo sorridere. Ma la mattina di Natale poteva succedere che mia madre cercando fra le fronde dell'albero in sala, fasciato malamente in un pezzo di carta matta trovasse un gioiello per lei, con un biglietto e una poesia scritta da mio padre, perché Natale è Natale ... nonostante tutto. Qui sotto cliccando i link per le ricette nominate della mia tavola di Natale, aggiungerò a breve quella dei Ravioli e di un Arrosto. Ho risparmiato a chi legge, anche questa volta, quella del brodo di trippa. https://www.lellacanepa.com/single-post/ravioli-e-ravioli I MIEI TORTELLINI https://www.lellacanepa.com/single-post/2017/12/22/i-miei-tortellini IL MIO CAPPON MAGRO https://www.lellacanepa.com/single-post/2017/12/24/il-mio-cappon-magro-anzi-magrissimo TÓCCO DE CÀRNE E FÓNZI https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/04/06/T%C3%93CCO-DE-C%C3%80RNE-E-F%C3%93NZI-N%C3%89IGRI-sugo-di-carne-e-porcini A ÇIMMA. https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/08/15/a-%C3%A7imma-la-cima-alla-genovese PANDOLCE https://www.lellacanepa.com/single-post/2020/01/03/il-pandolce-genovese-o-pand%C3%B4%C3%A7e-zen%C3%A9ize I CANESTRELLI https://www.lellacanepa.com/single-post/2017/12/17/canestrelli-e-roc3aate LA CROSTATA https://www.lellacanepa.com/single-post/2020/04/12/CROSTATA-AL-LIMONE GOBELLETTI https://www.lellacanepa.com/single-post/2017/12/16/dolci-gobelletti BACI DI DAMA https://www.lellacanepa.com/single-post/baci-a-tutti?fbclid=IwAR2pCoHLBns5uyOetPG2v9WK16x7kSUOamaA6NE1bnp7za2e-xK989kGzvA https://www.lellacanepa.com/single-post/i-caramellati-della-sig-ra-graziella ALLORO https://www.lellacanepa.com/single-post/2017/12/26/L%C3%96F%C3%8AUGGIO-PE-DIGER%C3%8E-lalloro-per-digerire-e-altri-usi Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL PANDOLCE GENOVESE O PANDÔÇE ZENÉIZE 🍪
Co-o mae solito camallo ve spediscio ben fasciôu, (ma però non de regallo) o pan dôce comandôu, câo Feliçe, che bon pan! O pâ proprio un marsapan... li gh’è drento do çetron, do fenoggio, do vin bon, pignêu freschi, e che zibibbo ... Martin Piaggio 1811 foto Pasticceria Copello - Chiavari - Ormai mi fischiavano le orecchie... Un altro Natale e ancora non avevo scritto la ricetta del dolce ligure più classico dei classici: O Pandôçe Zeneise. E per Pandôçe Zeneise intendo quello alto, quello che a volte viene chiamato Panettone Genovese... orrore! Poi mi invitano a parlarne a un evento al Musel a Sestri Levante insieme ad altri ben più illustri esperti, per la parte che riguarda la ricetta o meglio le ricette. La telefonata d'invito diceva: - chissà quanti pandolci impasta lei! - È stato il giorno nel quale sono stata costretta a confessare che non l'impasto proprio più il Pandolce... o meglio io lo impasterei anche, ma poi me lo mangio tutto da sola perché pochi siamo e poco ne mangiamo... si fa prima a comperarlo. Dopo aver rispolverato le mie vecchie ricette, aver intervistato il pasticcere più amato in riviera, trovato due vecchie foto sono andata e di ritorno come potevo non condividere qui? La storia in breve è che il Pandolce genovese è vecchio vecchio, pare che quando Andrea Doria nel '500 indisse un concorso per la ricetta perfetta, era da qualche secolo che i genovesi confezionavano un pane con Zibibbo, di origini forse persiane, mentre Toni, lo sguattero di Ludovico il Moro, non aveva ancora impastato per sbaglio il suo dolce, che piacque così tanto allo Sforza da onorarlo con il nome di Pan de Toni ... Le Crociate, la Repubblica di Genova, la fama di marinai girovaghi dei genovesi portò qui prima che altrove Uva Sultanina e Zibibbo, Frutta Candita (che diventerà una specialità ligure) e fu facile usarli per ricordare un pane arricchito che qualcuno aveva assaggiato forse in Persia e che veniva servito al re da un giovane paggio la mattina di Capodanno. Questa usanza fu trasportata qui, visto che è il fantìn di casa, lo scapolo più giovane a portarlo in tavola al cospetto del capofamiglia, e la prima fetta riservata alla mamma che recita l'augurio: Vitta lunga con sto’ pan! Prego a tutti tanta salute comme ancheu, comme duman, affettalu chi assettae da mangialu in santa paxe co-i figgeu grandi e piccin, co-i parenti e co-i vexin tutti i anni che vegnià cumme spero Dio vurrià. Per la ricetta ne esistono mille e più di mille, ogni pasticcere, panettiere ha la sua, ogni casalinga ha la sua. Sì perché fino ai primi del '900 il pandolce si faceva in casa e come fa fede questo vecchio libro di ricette, in casa era meglio. La preparazione lunga e laboriosa, intanto l'uso del lievito madre, che per fortuna ora è tornato di moda, con le diverse e lunghe lievitazioni che ne conseguono, con ansie varie, riti scaramantici, "sperlengoie", segni della croce perché le lievitazioni andassero a buon fine, tanto da costringere le donne di casa a portarselo a letto, insieme al "præve" lo scaldino con la brace che avrebbe mantenuto costante la temperatura. In tutti questi anni passati, dove ho assistito alla preparazione in casa di persone anziane, ho vissuto con loro "l'apprensione da pandolce" che questa ricetta creava, così la trepidazione all'assaggio e la conseguente approvazione per essere definita una perfetta donna di casa se il dolce veniva inappuntabile. Ad oggi credo che tutto derivasse dal fatto che il costo degli ingredienti era ed è abbastanza elevato perché un eventuale fallimento fosse ritenuto un fatto grave. Dopo la ricetta antica del libro vi posso passare la ricetta, per altro già pubblicata altrove, del pandolce della rinomata e antica Pasticceria Copello di Chiavari, (qui>>>) con tutti i diversi passaggi 500 grammi di lievito madre fresco (crescente, levòu) 500 grammi farina Manitoba impastare e mettere a lievitare finché non raggiunge il doppio del volume aggiungere 1 kg farina impastare e mettere a lievitare finché non raggiunge il doppio del volume Ai 2kg-2,5 e mezzo d’impasto ottenuto aggiungere uguale peso di farina, impastare meglio con un’impastatrice, fino ad ottenere una pasta omogenea Aggiungere circa 570 gr di burro morbido 570 gr di zucchero 7 uova 180 gr. Latte 15gr. Sale Impastare fino a raggiungere una bella elasticità Aggiungere: 1900 gr di uvetta 700gr di cedro e arancia candita 180gr di pinoli Un pizzico di vaniglia Continuare ad impastare fino a raggiungere un’omogeneità completa Dividere l’impasto in pezzature da 500 o 1000 gr. come si desidera Impastare un poco ogni forma a mano fino a formare una cupola Mettere a lievitare coperte in luogo tiepido Raggiunto il doppio del volume incidere con una lametta un taglio a triangolo sulla superficie Cuocere in forno caldo statico a 200° per un’ora circa le forme da un chilo Questa ricetta presenta l'uso delle uova, non è detto che per altre sia così, in diverse ricette antiche non vengono usate. foto Pasticceria Copello - Chiavari - Come si evince si tratta di lavoro lungo e laborioso, quasi impossibile a mano se non si possiedono forti braccia, le lievitazioni fra un passaggio e l'altro possono durare anche otto o dieci ore e devono essere fatte a temperatura costante. Come dicevo esistono mille e più ricette, fra queste quelle delle donne di campagna che almeno qui, usavano cuocerlo nella teglia, come forse si faceva davvero all'inizio, null'altro che un pane con l'aggiunta di qualcosa, spesso poteva essere solo quello che si aveva, quindi i pinoli erano magari sostituiti dalle noci, l'uvetta dai fichi, gli ingredienti più parchi, ma l'ansia sempre la stessa, quella della lievitazione, specie l'ultima di 8 - 12 ore che poteva pregiudicarne il risultato. Scrivo anche questa ricetta più o meno uguale ad altre di diversi paesini dell'entroterra: 500 gr. farina 250 zucchero 200 burro 200 uvetta 100 cedro candito a cubetti 100 latte 50 pinoli 50 lievito di birra 30 liquore tipo rum 3 uova vaniglia Preparare un lievitino con il latte caldo e 100gr. di farina. Far levitare. Unire il resto della farina, insieme a zucchero, una punta di vaniglia, e tre uova intere Far lievitare sempre in luogo a temperatura sufficientemente calda costante senza spifferi. Quando raggiunge il doppio del volume unire il burro quasi fuso, l'uvetta ammollata prima in acqua, il cedro, i pinoli, il liquore se gradito. Impastare a lungo fino ad assorbimento di tutti gli ingredienti in maniera omogenea, versare in una teglia con il bordo alto. Spennellare in superficie con latte e cospargere di zucchero semolato. Fare ulteriormente lievitare e cuocere in forno a 180° Tutto questo finché si parla del Vero Pandolce Genovese alto. Un'altra storia tutta diversa per il Pandolce basso, chissà perché chiamato Baciccia, come la maschera genovese. Non sembrò vero alle comari di casa, ma anche a certe pasticcerie desiderose di creare qualcosa di nuovo, all'avvento delle bustine di lievito chimico istantaneo di risparmiarsi le ansie delle lunghe lievitazioni e quindi impastando tutto ottenere un Pandolce basso ma molto appetibile. È un'altra cosa rispetto a quello alto, la consistenza rimane più friabile, non liscia ma non per questo meno buono, anzi, ma non può essere considerato un dolce da tradizione.e Ecco una delle tante ricette che si trovano, quella che ho fatto per anni 1 Kg di farina, io uso quella autolievitante della Spadoni 2 hg di uvetta 2 etti di canditi 2 etti di pinoli 4 etti di burro 3,5 hg di zucchero acqua di fior d’arancio Impastare velocemente tutto con il burro morbidissimo, quasi sciolto, porzionare, formare a cupola e infornare a 180°. Oltre a essere velocissima, è utile anche per fare mini pandolci da fare come segnaposto. San Bias El Benediss la Gola El Nas Qualunque sia il tipo di Pandolce andrebbe riservata una fetta al povero che bussa alla porta, come si usava una volta, e un'altra conservata in un tovagliolo per essere consumata il giorno di San Biagio il 3 Febbraio, per proteggere dal mal di gola. Il santo protettore appunto della gola, avendo salvato un ragazzo che stava soffocando a causa di una lisca conficcata, dandogli un pezzo di pane. Non fu l'unico miracolo, era usanza portare a benedire il panettone una volta cotto e posarlo in sacrestia vicino ai tanti. Uno di questi fu dimenticato, e il frate Desiderio incaricato della benedizione poco alla volta se lo mangiò tutto. Quando la donna, appunto il 3 febbraio, si ricordò di andarlo a riprendere, il frate imbarazzato non sapeva come raccontare il malfatto, ma nell'involto dimenticato sorpresa! c'era un panettone intero ancora più grande e lievitato del precedente. Gridando al miracolo da allora si consacrò un pezzetto di dolce, da mangiare quel giorno per ricordarlo. Questa sì è una leggenda milanese acquisita anche da noi, ma fra scambi di ricette e di leggende tutto il mondo è paese... chissà poi da dove veniva quel tal Toni che sbagliò la ricetta del dolce di Lodovico... che fosse stato a Genova? Qualche momento dell'evento sul Pandolce Genovese organizzato dall' Associazione Camelot di ieri al Musel di Sestri Levante. Sono intervenuti oltre a me Giorgio Getto Viarengo, la nutrizionista Polyanna Zamburlin, il Sig. Grondona, alcune attrici della Compagnia Teatrale I SENZAPRETESE che hanno letto poesie in genovese. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- LA MIA PICCOLA PASTICCERIA SECCA
Nei ristoranti di lusso c'è sempre un cuoco addetto solo ai dessert, un eletto che passa la giornata tra spezie aromatiche, panna fresca, frutta, torte, pasticcini: esattamente quello che vorrei fare io per guadagnarmi da vivere. Isabel Allende , Afrodita, 1998 AMARETTI, BRUTTI MA BUONI, PINOLATE, PETITS FOURS Le feste son vicine e se pur non ci saranno molti parenti e amici in visita, lo stesso non voglio rinunciare al mio vassoietto di piccole pastine secche che fanno tanto festa, da servire ad eventuali ospiti con il tè. Ho già descritto Baci di Dama ( qui>>> ), Gobelletti ( qui>>> ), Canestrelli ( qui>>> ) oggi invece mi sono deliziata nel preparare piccole quantità di Amaretti , Brutti ma Buoni, Pinolate , Petits fours , così li chiamavamo un tempo. Ho deciso di riunire tutte le ricette in un solo post, per via degli stessi ingredienti e poca differenza nel procedimento. Il tempo dedicato facendoli insieme ma diversi, si risparmia in pulizia di stoviglie e altro adoperati, con il risultato a lavoro finito di trovarsi un bel vassoio di dolcetti più o meno impiegando lo stesso tempo che si userebbe per farne una qualità sola. Mentre cuoce una varietà si prepara l'altra. Gli ingredienti per tutti mandorle, a volte pelate a volte no, nocciole in qualche caso se si vuole, albume, zucchero. Le quantità veramente minime, tanto per un albume ogni volta, si possono raddoppiare, ma a me bastano così, giusto per farli e divertirmi. Ricordare che un albume d'uovo pesa tra i 35 e i 37 grammi. Tutti vanno tolti dal forno quando ancora sembrano molto morbidi e chiari, altrimenti raffreddando seccherebbero troppo. AMARETTI Questa ricetta è denominata in casa "Amaretti della Gabri", per via dei quantitativi importanti che aspettavamo portasse la tal Gabri a tutte le riunioni fra amici. Questo è un amaretto non morbido, spugnoso. Se si vogliono secchi secchi basta farli cuocere di più. È un misto di mandorle e nocciole ma è possibile farli anche con sole mandorle. Occorrono: 90 gr. di mandorle non pelate 90 gr. di nocciole leggermente tostate e pelate 125 gr di zucchero semolato vaniglia, estratto o un pizzico di vanillina un albume qualche armellina ( qui>>> ) o poco aroma di mandorla amara Tritare nel mixer nocciole e mandorle non finissime, mescolarle allo zucchero e alla vaniglia in una ciotola, aggiungere l'albume appena appena battuto con una forchetta, impastare poi con le mani fino ad ottenere un impasto omogeneo. Formare delle palline e sistemandole su carta forno in teglia, appiattirle appena appena. Far cuocere in forno a 160° forno statico, 20 minuti circa, con attenzione che non colorino troppo. Se si vogliono degli amaretti morbidi, di sola mandorla, raddoppiare il peso delle mandorle, eliminando le nocciole, aggiungere l'albume questa volta sbattuto a neve fermissima, con movimenti leggeri dall'alto al basso per non smontare il composto. Con questa dose ho ottenuto più di 50 amaretti. BRUTTI MA BUONI 100 GR. DI MANDORLE NON PELATE (oppure NOCCIOLE , come piace di più, io mandorle) 90 gr. di zucchero semolato (io zucchero di canna) un albume Tritare questa volta grossolanamente le mandorle oppure le nocciole Montare a neve l'albume con lo zucchero e aggiungere il trito e mescolare piano. Mettere il composto in un pentolino di acciaio e far asciugare con attenzione a fuoco dolcissimo sempre mescolando per qualche minuto. Con l'aiuto di due cucchiai formare dei mucchietti sulla carta forno in teglia Infornare a 140° - 150° per mezz'ora o poco più sempre sorvegliando attentamente che non secchino troppo PINOLATE Per questi dolcetti occorre accendere un mutuo per comperare i pinoli, visto anche il procedimento. Inutile farli con pinoli che non siano italiani, la differenza si vede qui >>> A Varese Ligure abbiamo un negozio che vende pinoli, mandorle e nocciole a prezzo di ingrosso in pacchi da chilo o mezzo chilo, così ogni anno a Natale ci regaliamo pinoli e mandorle. L'alternativa è raccogliere le pigne e procurarseli, come ho già fatto qualche volta. Occorrono: 50 gr. di mandorle pelate (anche qui sarebbe opportuna una piccola quantità di mandorle amare) 110 gr. di zucchero semolato un albume Mescolare un attimo le mandorle pelate in una ciotola con lo zucchero prima di tritarle finissime, mischiare la farina ottenuta con lo zucchero e aggiungere l'albume. A questo punto occorre sbattere a lungo, diversi minuti, contro le pareti della ciotola fino a che lo zucchero sembra sciolto e si forma un impasto morbido e liscio. Con l'aiuto della sac à poche formare dei punti grossi come una moneta. Su un piano vicino si preparano stesi una discreta quantità di pinoli. Si solleva la carta forno con i mucchietti di impasto, che non cadranno se della consistenza giusta e si capovolge sui pinoli (ecco perché ne occorrono molti) si preme leggermente con la mano, si rigira, si aggiustano un poco e si mette in forno a 140° per 25 minuti. SI tolgono chiarissimi. È praticamente impossibile attaccare pochi pinoli per volta su ogni mucchietto di impasto senza questo metodo. PETITS FOURS Ho lasciato questi per ultimi, perché è necessario lasciarli asciugare una notte, o 12 ore, prima di cuocerli. Occorrono 100 gr. mandorle spellate 100 gr. zucchero semolato 70 gr. zucchero a velo un albume un limone Per queste dosi sarebbe opportuno che l'albume fosse di un uovo grande, più o meno 40 gr. da aggiungere poco per volta per non compromettere il risultato Macinare finissime le mandorle con lo zucchero, nella ciotola aggiungere la buccia di limone grattugiata, e lo zucchero a velo (ricordarsi di setacciarlo, io l'ho dimenticato!) e l'albume semi montato impastando con il cucchiaio fino ad ottenere un impasto liscio omogeneo ma sostenuto. Con una sac à poche e una bocchetta stellata grande formare le pastine sulla carta forno. Per agevolare l'operazione inumidire appena la teglia così da fissare la carta. Premere con forza e con una leggera torsione sollevare la bocchetta Andrebbero decorati con mezza ciliegia candita rossa, verde. e filetti di mandorla. Non avendole ho usato quadretti dei miei Hoshigaki , kaki secchi di cui parlo qui >>> , pezzetti di Cotogna candita, e mandorle. Coprire con un telo leggero e mettere a seccare in un luogo fresco, non nel frigorifero Dopo 12 ore cuocere a 140 per un quarto d'ora circa. Mi sono distratta un attimo, ho sbagliato la temperatura del forno e a 160°, come si vede nella foto, oltre ad essersi "seduti" troppo, in pochissimo tempo sono anche troppo coloriti, devono essere tolti dal forno molto chiari. Ce ne sarebbero altri, ma avevo finito le mandorle ... Ho giocato poco più di due ore oggi pomeriggio e con poche cose ho circa 125 pastine, che conserverò una volta raffreddate in una scatola di metallo, cercando di dimenticare che esistono 😂😜. Se si esclude mandorle, che non posso procurarmi in natura, e pinoli, che sono davvero un lavoro lunghissimo raccogliendo le pigne, le nocciole le ho, gli altri ingredienti sono economici, come dire ne vale la pena. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti . Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>











