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- PIOPPO
Sembrerebbe da non credere ma io ho ancora grosse difficoltà con gli alberi, un po' perché magari sono chiamati qui con il nome popolare in dialetto, difficilmente traducibile con la specie esatta, un po' perché a parte castagni, faggi, ulivi che formano dei mondi a sé, gli altri si mescolano fra loro in boschi misti, arrivati per caso e non più messi apposta dall'uomo spesso come fedeli custodi delle nostre case, delle nostre piazze e della vita quotidiana. Sì perché, e lo ripeto per l'ennesima volta, si tende a pensare oggi che tutto sia dovuto alla "natura" dimenticando che l'uomo ha antropizzato quello che gli serviva e che difficilmente in paesi come il nostro esiste una faggeta, una pineta, un castagneto che non sia stato messo a dimora dall'uomo, magari centinaia di anni fa. Così come un uliveto, il che è più facilmente intuibile. Quando racconto che gli abeti su al passo del Biscia sono stati trapiantati nell'ottica di un rimboschimento, una decina li ho messi io personalmente, la gente mi guarda come fossi pazza. Di certo adesso la "natura" tende a riprendersi gli spazi lasciati inutilizzati da noi e ormai chi mette un albero da casa ogni volta che nasce un figlio, o un tiglio nella piazza perché sotto ci si facciano le assemblee, e chi mai sarebbe stato senza un frassino nelle vicinanze per le incredibili proprietà che gli si attribuiscono? E gli alberi hanno cominciato a far da soli propagandosi dove gli veniva meglio, trasportati dal vento e dagli uccelli e mescolandosi un pioppo, un olmo, due frassini, un abete, un sorbo degli uccellatori... Così oggi quando ho pensato di parlare del pioppo mi son detta: ma quale sarà quello che conosco io? So solo che qui genericamente si indicano i pioppi con il nome di Palua e si usa dire quando una persona non è proprio coerente, cambia spesso parere: - Ti è cumme inna feuggia de palua- alludendo alla facilità delle foglie del pioppo di muoversi al minimo sbuffo d'aria, data la loro conformazione, il lungo picciolo appiattito alla base della foglia, specie nel pioppo tremulo. Pioppo tremulo, pioppo bianco, pioppo nero poco cambia delle proprietà. Per non sbagliare pubblico sotto le foto delle diverse specie dal sito di Actaplantarum Pioppo alba - Pioppo bianco - foglie differenti sui rami fioriferi e sui rami sterili Populus nigra - Pioppo nero Populus tremula - Pioppo tremulo Più facile capire tramite la corteccia Pioppo nero Pioppo tremulo Pioppo bianco o per i piumini bianchi che trasportano i semi e coprono di bianco ovunque quando cadono e al contrario di quanto si crede non sono responsabili di allergie perché fatti di cellulosa pappi di pioppo bianco - foto di Focus Una volta usati per stabilizzare i terreni vicino all'acqua, di veloce accrescimento, al pioppo non piace l'ombrosità dei boschi misti, venivano facilmente venduti per gli usi più disparati aggiungendo al reddito scarso di questi contadini dell'Appennino quelle due lire, oltre alla vendita dei funghi e della farina di castagne. Coltivati per il legno leggero, che si taglia facilmente in sottili strati, usato per pannelli o compensato, mobili economici, ha la caratteristica di non deformarsi seccando. Le tavole erano usate da molti pittori, su una tavola di pioppo Leonardo dipinse la Gioconda. Trittico del Giudizio Universale - Beato Angelico - 1450 - su tavole di Pioppo Vicino all'acqua la sua funzione va oltre quella importante di assorbimento di C02 come tutti gli alberi di crescita rapida, è un ottimo rifugio di molte varietà di insetti che saranno a loro volta predati da uccelli, rettile e mammiferi che lo scelgono come propria casa. Ma l'uomo se lo teneva a portata di mano anche per le sue proprietà medicinali Una semplice tisana di foglie di pioppo calma dallo stress e dalle ansie, la corteccia antinfiammatoria e analgesica per i dolori articolari, e persino le gemme per le proprietà antibatteriche. È pur sempre parente del salice e quindi contiene principi attivi simili all'aspirina. Si può sempre provare a farsi un "enolito" macerando 50gr. di gemme di pioppo in vino bianco o rosso con una buona gradazione alcolica, agitando ogni tanto e filtrando dopo 10 giorni e berne un bicchierino al bisogno. Attenzione se si è allergici all'aspirina. gemma di pioppo nero - foto di Actaplantarum - Dolce compagno è il pioppo, che conduce in lunghe file, per la terra bassa l’argine verde e l’acqua che trapassa in sé specchiando il giorno e la sua luce. Non piangete per lui, se l’uomo forte l’abbatterà per farne legno buono; il pioppo ha fatto di sua vita un dono così pieno, da non temer la morte. Per lui la madia, culla di buon pane, profumerà tutta la fattoria. Odor di legno e grano! Anima mia, respira bene queste cose sane! Renzo Pezzani Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- FIOR D'ACACIA, GLICINE E MAGGIOCIONDOLO
Anche per questI fiori ho rimandato il più possibile prima di scriverne. Oggi è forse la giornata giusta, vista l'invasione di fotografie di frittelle di fiori di acacia, o glicine, pastellati a meraviglia con tralcio ecc., e visto che non ho più voglia di polemizzare sotto ogni volta con " è più opportuno friggere nella pastella solo i fiori senza le parti verd i" o di vedere persone che confondono acacia con maggiociondolo con estrema leggerezza, o che pensano se è commestibile il fiore è commestibile tutto, scrivo una volta per tutte qui. Per farla breve queste piante sono, in proporzione diverse, tutte e tre tossiche in tutte le loro parti verdi, corteccia ecc., nel Maggiociondolo anche i fiori. Meno tossica la Robinia pseudoacacia , un po' di più la Wisteria o Glicine, mentre molto tossico, direi velenoso, il Laburnum anagyroides , il Maggiociondolo. Penso che queste confusioni dipendano dai ricordi che molti hanno delle frittelle della nonna, senza ricordare però tutti i passaggi giusti. ... sono smarrite quelle stradine ebbre dal profumo delle acacie nel chiassoso tumulto di una strada senza ritorno e la ragazza che tingeva le sue guance coi petali dei gerani ora, è una donna sola, una donna sola Forough Farrokhzad, Se ne sono andati quei giorni ROBINIA PSEUDOACACIA L. A me, mia nonna, che l'acacia è tossica me lo ha sempre detto, e come lei me lo hanno ricordato altri qui in campagna, mentre si tagliavano i rami giovani per darli come cibo ai conigli o alle capre, animali che la appetiscono senza problemi. E sempre quelle due o tre volte che si facevano le frittelle si toglievano accuratamente rametti e calice verdi per tenere solo i petali bianchi e profumati, quelli sì commestibili anche per l'uomo. È possibile che parte delle tossine contenute nelle parti verdi decada con il calore, ma perché non toglierle? La pianta, officinale, proprio per alcune proprietà, in un certo senso curative, era un tempo usata, per esempio, per provocare il vomito. Qualsiasi pratica casalinga a scopo curativo è adesso da sconsigliare, visto che nemmeno ci si ricorda della sua tossicità. È ovvio che non si contano morti tra i mangiatori di frittelle di grappoli di acacia, ma mi preme ricordare come allo stesso modo si mangino un giorno con leggerezza fiori e foglie di borragine, un altro frittate di vitalba, ancora erbe più o meno con componenti un po' così, tanto sento ripetere " sempre mangiate, mai morti ". Per tossico, si intende qualcosa che tende ad accumularsi nel corpo, spesso fegato e reni provocandone con l'uso continuo e prolungato un qualche danno, e la dose è personale, essendo personale lo stato dei nostri organi. Quindi se non si muore per una frittella di acacia o di glicine o anche di sambuco con il grappolo intero, bisogna altresì ricordare di quante cose tossiche purtroppo facciamo uso, spesso inconsapevolmente, ogni giorno. Se è possibile evitarne qualcuna, perché no? Quindi si procede per le frittelle togliendo il più possibile le parti verdi e mescolando i petali bianchi e profumati in una pastella che può essere fatta sia con uova che senza. La mia ricetta è sempre la stessa: farina autolievitante, quasi sempre senza tuorlo ma con l'albume montato a neve e l'acqua meglio se frizzante e fredda. ( qui>>> ). Per il riconoscimento basterebbe il profumo dolcissimo che c'è intorno ad un albero di Acacia fiorito, e ben lo sanno le api che ne traggono un altrettanto dolcissimo e chiarissimo miele. Albero che viene considerato infestante ormai, nonostante le sue numerose proprietà. Serve a solidificare i terreni franosi per una sua propria qualità di fissare l'azoto con le sue radici, dà buona legna da ardere anche quando è verde, impiegato in lavori di falegnameria. Visto che spesso è ai margini delle strade proprio per consolidare, evitare almeno di raccogliere i fiori proprio da quelle piante. In realtà non è nemmeno un'acacia ma una Robinia e p er confondere ancora di più le idee, botanicamente parlando, le acacie sono in realtà le mimose, e infatti in casa abbiamo sempre chiamato "gaggìa" la mimosa, nome con il quale spesso si chiama volgarmente anche la robinia ... che confusione davvero! se non si usano i termini scientifici, ma solo i nomi volgari. I grappoli di fiori penduli bianchi e molto profumati vengono a volte scambiati con quelli pericolosi del Maggiociondolo, molto simili, ma gialli e meno profumati. Le due piante spesso fioriscono assieme e vicine e confuse se pure diverse. a sinistra bianco fiore d'acacia - a destra giallo il maggiociondolo MAGGIOCIONDOLO Il tempo si cambia: stasera vuol l'acqua venire a ruscelli. L'annunzia la capinera tra li albatri li avornielli Giovanni Pascoli, La Capinera LABURNUM ANAGYROIDES Medik. Il laburno, o avorniello, o maggiociondolo, chiamato così perché i suoi grappoli di fiori pendenti annunciano il maggio, è molto più pericoloso della dolce acacia. La sua tossicità, nel caso dei semi e foglie può portare alla morte, ne sconsiglia vivamente qualsiasi uso, sopratutto alimentare e casalingo. Tutte le parti sono velenose. Per le proprietà dell'alcaloide contenuto si credeva servisse alle streghe per volare, tanto che anche il famoso bastone della loro scopa era appunto di Maggiociondolo. Legno durissimo, spesso adoperato per fare i pali per i recinti e per i vigneti, di colore scuro, in falegnameria per sostituire l'ebano. O casa fra l'agreste e il gentilizio, coronata di glicini leggiadri, o in mezzo ai campi dolce romitaggio Guido Gozzano, il Glicine WISTERIA SINENSIS Diverso è il glicine, se pur simile e con grappoli profumati di fiori penduli, non è un albero ma un arbusto rampicante, usato per coprire pergolati qui in Liguria, molto più della Bougainvillea, dato che più di questa resiste agli inverni sull'Appenino. Una curiosità: a seconda della varietà la pianta crescendo si attorciglia al supporto verso destra o verso sinistra Chi da bambino non ha succhiato il calice dolce di questo fiore? E quindi vai di frittelle... In realtà contiene una saponina che in quantità può provocare vertigini, confusione, alterazioni del linguaggio, vomito ecc. anche se i più pericolosi sono i semi. Difficilmente avremo succhiato tanti calici da poterci intossicare pesantemente, resta valido il ragionamento fatto sopra, perché rischiare. Togliere le parti verdi se proprio non se ne può fare a meno e frittellare con moderazione, noi in casa mai fritto glicine. Se mi sono decisa a scrivere ciò è perché ho notato come pubblicazioni e siti di una certa importanza danno per commestibile sia acacia che glicine, sminuendo a parer mio l'informazione, e pur se io non sono nessuno per permettermi di correggere, ritengo possibile il fraintendimento che TUTTA la pianta sia commestibile e questo autorizzi ad un uso non appropriato, vedi pastellare e friggere i grappoli interi, o sottovalutando la possibilità che un bambino ne ingerisca i semi, tanto è commestibile... si friggono ... Appunto, giusto solo qualche petalo, con moderazione, ma poi perché? Perché qualche supposto sito dichiara che il colore viola induce ad un rilassamento? fino a consigliarli in tisana? Ma ce ne saranno erbe e altro che rilassano senza problemi? Tanti altri fiori sono eduli senza problemi, accontentiamoci , e a proposito mimosa e boungavillea sono commestibilissimi, ma nessuno li mangia. La storia e le proprietà della Boungainvillea qui >>> https://www.lellacanepa.com/single-post/fior-di-boungainvillea Quelle della mimosa qui>> > https://www.lellacanepa.com/single-post/fior-di-mimosa Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- FIOR DI BOUGAINVILLEA
Foto di Vandevoern su flickr Perché un post sulla Bougainville a in un blog di erbe selvatiche spontanee commestibili praticamente tutte locali, mentre la Bougainville a arriva da lontano lontano? Forse perché ormai non ce lo ricordiamo nemmeno più che non è nostra, da quando ha sostituito in riviera il glicine, relegato alle case di campagna, dove per il freddo questa non resiste, o perché pochissime persone sanno che è commestibile? In effetti questo è il motivo del post, aver scoperto non molti anni fa, che la Bougainvillea è commestibile e soprattutto ha proprietà curative. Arriva dal Brasile con una storia romantica che meriterebbe la sceneggiatura di un film. Philibert Commerson, siamo in Francia nella metà del '700, contrariamente ai sogni di suo padre magistrato che lo voleva avviato alla carriera legale, decide di diventare medico ma la sua vera passione è la botanica, e laureatosi non esercita ma gira l'Europa compilando erbari e facendosi conoscere da Voltaire e Linneo. Quest'ultimo lo incarica di recuperare alcune piante per la corona di Svezia. Al ritorno trova pronta una moglie giusta confezionata apposta per lui dalla famiglia. Purtroppo nel giro di pochissimo questa muore dando alla luce il loro figlio. Nel frattempo, chissà come chissà quando, Philibert, profondamente colpito dalla morte della moglie e successivamente del figlio , intrattiene una relazione con una domestica a nome Jeanne Baret, che con lui condivide e lo assiste, la passione per la ricerca e classificazione di piante e animali. Con lei incinta si trasferisce a Parigi, frequenta gli ambienti scientifici e viene assunto come naturalista nella spedizione intorno al mondo di Louis Antoine de Bougainville . Sulla nave Jeanne, in quanto donna, non avrebbe potuto salire, lui ottiene di avere con sé un servitore e lei si traveste da uomo per seguirlo e lo aiuta nel suo lavoro essendo Philibert di salute malferma. La donna si espone fino a venire scoperta e costretta a sbarcare in un'isola, forse Tahiti, lui continua il viaggio, ma dopo poco decide di tornare da lei. Philibert Commerçon Tra un viaggio e una scoperta e l'altra, e la catalogazione di tante piante, fra Madagascar, isole Mascarene, nel 1773 si aggrava, e mentre è a Mauritius, muore a soli 45 anni, amorevolmente assistito da Jeanne Baret. Solo più tardi lei tornerà in Francia, portando con sé l'importante lavoro svolto da tutti e due, un erbario di 6000 nuove piante che è conservato oggi al Muséum National d'histoire naturelle. Fu ricevuta da Luigi XVI che riconobbe i suoi meriti chiamandola "donna straordinaria" e le assegnò una pensione di 200 sterline Molti gli esemplari "scoperti" da Commerson e non solo erbe e piante e oggi è riconosciuto anche il lavoro svolto da Jeanne Baret, anche se solo una pianta da lei studiata porta il suo nome. Google qualche anno fa le dedicò un doodle Commerson studiò le diverse varietà di Hydrangeae da lui denominate Hortensie, ma qui è la storia che riguarda il post, fu lui a portare in Europa la Bougainville a, chiamata così in onore del comandante della spedizione, Louis Antoine de Bougainville , e trovata in Brasile. Non so fino a che punto interessava questa storia, ma avevo voglia di raccontarla, visto che è legata all'intrigante vicenda della prima donna che ha circumnavigato la terra ed è riuscita senza nessuna conoscenza in un importante lavoro scientifico e questo è pur sempre un sito che si occupa anche di donne, e si combina con l'informazione che la pianta è appunto curativa e commestibile. Il doodle di Google dedicato a Jeanne Baret https://www.youtube.com/watchv=_ 2qF42guXec&ab_channel= RajamanickamAntonimuthu Credo che nessuno abbia voglia di mangiare chili di fiori di Bougainvillea o Buganville come l'abbiamo sempre chiamata, perché forse qualche effetto si potrebbe avere. Un decotto invece con quattro o cinque "fiori" può sistemare un mal di stomaco, aiutare un po' il fegato, persino alleviare qualche doloretto, si può sempre fare. Una tazza d'acqua a bollire, si aggiungono cinque o sei brattee colorate, i veri fiori sono quelli piccolissimi e bianchi, si toglie dal fuoco appena l'acqua si tinge e si lascia in infusione qualche minuto sempre coperta. O si aggiungono a una Detox water ( qui>>> ) Cosi come decorare un'insalata, le composizioni di un buffet, ecc. Occorre ricordare che fu introdotta in Europa la Boungainvillea spectabilis Willd., quella classica dalle bratteee rosa intenso, quasi lilla, le altre sono frutto di ibridazioni di giardinieri, i vari colori ottenuti non so se ne conservano le proprietà, sono tentata di non crederlo. Inoltre bisogna ricordare che piante appena acquistate, o concimate o spruzzate di sostanze per piante ornamentali da giardino, male si coniugano alla possibilità di farsi un infuso. Quindi commestibile solo se la Buganville è conosciuta e conosciuto il posto dove cresce. Sotto le coloratissime Boungainvillea dei Vivai Devoto a Chiavari in Fiore Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- PASQUALINA E CAPPUCCINA
E quindi ci siamo: è l'ora della Pasqualina... se non ora quando? È tutta la settimana che cerco le parole per affrontare la diatriba pasqualina, ..cappuccina,... di bietole,... di prebuggiun,... di carciofi,... con la ricotta... con la presinseua... Come al solito dirò quello che so, cioè quello che ho sempre visto fare. Intanto occorre precisare che trattasi di torta salata di verdura, la Regina di tutte le torte di verdura liguri. Studiando l'argomento pare che si debba chiamare Torta Pasqualina solo quella fatta con le erbe, separate dalla prescinseua, tutto racchiuso in mezzo a un numero importante di sfoglie. Così dice tale Lando che nel suo “Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevano”, intorno al 1500 la assaggiò, la descrisse e ne rilasciò codesta recensione: - A me piacque più che all’orso il miele -. Dicesi invece Cappuccina quella dove le verdure e la ricotta o prescinseua sono mescolate a formare l'impasto racchiuso fra le sfoglie. Pare che quella con i carciofi non si debba chiamare Pasqualina ma più banalmente Torta di Carciofi . A casa mia quella con i carciofi era la versione ricca di Pasqualina , giusto quella elegante di Pasqua. La versione con le erbe era più facilmente riservata alle scampagnate di Pasquetta. Ricotta o Prescinseua ? Se si vuole seguire la tradizione Prescinseua , se non piace l'acidino di questa potete provare a farvi la mia versione di Prescinseua ( qui>>> ) fatta in casa o usare la ricotta . Per me poi come verdura considero solo il Prebuggiun ( qui>>> ) anche se la ricetta tradizionale la dà con le Bietole . L'unica onnipresente, la Maggiorana( qui>>> ) Per far contenti tutti non mi rimane che farle tutte e quando ho voglia di divertirmi le faccio in monoporzione. Quelle che seguono sono appunto le ricette per tutte le versioni, Pasqualina con il Prebuggiun, Cappuccina con i carciofi e ricotta, ecc. La sfoglia non è altro che farina, acqua, sale e olio. Una pasta matta che se fatta con la farina Manitoba riesce più maneggevole da stendere. Pasta matta la definì l'Artusi e trovate tutte le indicazioni i segreti i consigli per farla perfetta qui>>>LA PASTA MATTA Pasta che val la pena imparare, usata ovunque nella cucina genovese e soprattutto nella Focaccia al Formaggio di Recco Cassinelli il mito, con la pasta matta Sotto basta una o due sfoglie , sopra invece si parla di 33 strati come gli anni di Gesù Cristo... io sono arrivata a 20 e non lo farò mai più, e come dico spesso certe tradizioni erano legate a quando la religione era presente molto più di adesso nella vita di tutti i giorni e semplicemente significava tanti strati perché venisse sfogliata per bene. Che fosse Pasqualina, probabilmente lo si deve al fatto della presenza delle erbette fresche presenti proprio a primavera, per il resto torte di verdura in Liguria se ne mangiano tutto l'anno. C'è poi stato Giovanni Ansaldo, caporedattore del quotidiano "Il lavoro", che scrisse così: "ad un'ostessa di Sottoripa 69 rosso, (la Sciâ Carlotta), celebrando per la Pasqua del 1930 "Le 24 bellezze della torta Pasqualina. La pasta messa a riposare tra due teli come il corpo di Cristo dopo la sepoltura; la spennellata d'olio prima di infornare la torta, quasi una sacra unzione; le erbette sminuzzate che, nella farcia, risorgono a nuova vita; il cerchio giallo dei tuorli delle uova sode come l'oro (il ciclo del sole) che dopo la Quaresima ritornerà a splendere nelle chiese..." cit.Ligucibario. Di certo non va mai mai usata la pasta sfoglia. Preparo, con il robot, o a mano la pasta matta per le sfoglie: farina Manitoba, olio, sale, fino a formare una palla Preparo la mia Prescinseua ( qui>>> Faccio cuocere le erbe del Prebuggiun, passo i carciofi tagliati a fette in padella con olio, e bollire le bietoline Preparo distinti i ripieni: carciofi passati in padella con olio, mescolati a ricotta, parmigiano, uovo, maggiorana, sale Prebuggiun, parmigiano, olio, sale, maggiorana per il terzo ripieno passo le bietoline in padella con un poco di cipolla tritata e aggiungo poi la ricotta Tiro la pasta sottile e preparo le mini teglie (della misura di una crostatina) con le sfoglie sotto, ne metto una poi la ungo per bene e poi un'altra, ungo e poi un'altra, almeno tre Passo a riempire, sopra a ogni ripieno formo con un cucchiaio un incavo dove poso un ovetto, nel caso di torte monoporzione di quaglia, condisco ogni uovo sopra con sale, pepe, pizzico di formaggio parmigiano e un pezzetto di burro. CAPPUCCINA CON CARCIOFI E RICOTTA MESCOLATI ... e maggiorana CAPPUCCINA CON BIETOLE E RICOTTA MESCOLATI ... e maggiorana PASQUALINA CON PREBUGGIUN, PRESCINSEOA SOPRA ... e maggiorana Chiudo con la prima sfoglia, la ungo con il pennello (ricordo mia madre, con mano leggerissima con la piuma di gallina) Poso la seconda sfoglia, premendo ai bordi e lasciando una piccolissima apertura quanto basta per passare una cannuccia e soffio Tolgo velocemente la cannuccia e chiudo, ungo e metto un'altra sfoglia, risoffio e richiudo e torno a ungere delicatamente la superficie, e così fino a che ne ho voglia. È necessario ungere le sfoglie, una a una perché non attacchino e rigonfino in cottura Inforno a 180° fino a doratura della superficie. Con l'esperienza e nel caso delle torte grandi, si impara a fare un movimento, così come fanno nelle sciamadde genovesi, posando e sigillando la sfoglia di pasta matta su una parte del bordo della teglia e velocemente con un colpo si gonfia e velocemente si sigilla tutto intorno, cosi senza dover soffiare. In questo caso la teglia deve essere con i bordi alti per permettere allo spazio di contenere l'aria che gonfierà la pasta... difficile da spiegare... appena riesco posto un video. Così con tutte le versioni sono contenti tutti, carciofisti, bietolari e erbetticoli... Così monoporzione come segnaposto per la tavola di Pasqua sono bellissime e buonissime. Ovvio che seguendo le indicazioni si può farne una grande, quella che si preferisce, con il Prebuggiun, le bietole, i carciofi, la Ricotta o la Prescinseua, mescolate o separate. Spero di non aver confuso le idee a nessuno, mi sembrava carino suggerire l'idea delle tortine diverse per soddisfare più gusti e farle assaggiare tutte. Negli ultimi anni mi sono approcciata a quella che si dice sia la prima vera pasqualina, cioè quella con le erbe e bietole crude cotte solo con il sale e la prescinseua sopra, senza uova nell'impasto, la ricetta qui>>>Torta di bietole cruda e poi le uova crude posate sopra nell'alloggio come nella foto, perché la verità è che nel mondo delle Pasqualine ci si perde e ognuno ha la tradizione di casa sua, compresa quella di soffiare con la cannuccia. Quello che davvero non può mancare mai ma proprio mai e non ammette sostituzioni sono la pasta matta e la maggiorana, tanta maggiorana. PASQUALINA CON PREBUGGIUN, PRESCINSEOA SOPRA E OVETTO CAPPUCCINA CON CARCIOFI E RICOTTA MESCOLATI E OVETTO CAPPUCCINA CON BIETOLE E RICOTTA MESCOLATI E OVETTO Però dai, se serve, la faccio anche grande BUONA PASQUA A TUTTI! Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti . Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.
- I DOLCI QUARESIMALI
- Ti me dîxi che no se dêve, ma no stanni a di che nu se posse - - Mi dici che non si deve ma non dirmi che non si può - Lungo come la Quaresima! Così si diceva un tempo, per indicare un periodo noioso e barboso, pieno di privazioni, che lo facevano sembrare più lungo di quello che era. La Quaresima, un periodo di 40 giorni nella religione cristiana, che impone una serie di restrizioni, tra le quali l'osservanza del digiuno e della privazione della carne e in casi di stretta osservanza anche di uova e latticini. Non mi dilungo qui nelle differenze tra una prescrizione e l'altra che potete trovare facilmente, mi limito a dire che periodi di digiuno regolamentati, sono osservati in tutte le religioni, il Ramadan per gli islamici, Il Kippur per gli Ebrei, il Vassa per i Buddisti, ecc. ecc. Ho la sensazione che al di là dei credo religiosi, si fosse capito che un periodo di "disintossicazione" servisse al corpo umano in un certo periodo dell'anno, specie per quanto ci riguarda, quando l'organismo subisce un ricambio cellulare accelerato proprio della primavera e dove le erbe, specie quelle selvatiche fresche, danno il loro giusto apporto a questo processo con i loro componenti. Dunque la nostra Quaresima, corrisponde vedi il caso a questo periodo, quando uscendo dall'inverno tutto si risveglia e quindi l'opportuno controllo su un certo tipo di cibi non può che essere utile al nostro organismo, al di là della valenza religiosa, tanto che ora si chiama "dieta per la prova costume". Ma non di sole erbe e preghiere vive l'uomo, così intorno al 1500 certe suore Agostiniane di San Tommaso in Genova, decisero di fare sì penitenza, ma non privarsi di una beatitudine e così inventarono questi dolcetti, assolutamente privi di tutto quello che era proibito dalla regola canonica stretta e quindi anche niente uova, niente latticini, oltre che carne, ai quali diedero il nome di Quaresimali. Con questo nome si conoscono in Italia diversi tipi di dolci dalla Toscana, a Napoli, alla Sicilia, quelli genovesi sono gli unici fatti con solo mandorle e zucchero. Verso la fine dell'800 nel suo " Cucina di strettissimo magro " Padre Gaspare Dellepiane dei Frati Minimi di San Francesco formalizza la ricetta stampandola. Ciambelle di pasta di mandorle Prendete un chilogramma di mandorle, dipellatele, e pestatele in mortaio sicché vengano una pasta. Prendete poscia 675 grammi di zucchero in polvere, e amalgamatelo con questa pasta. Aggiungetevi due cucchiai d’acqua di fior d’arancio, 30 grammi di fior di farina, e formatene le ciambelle che metterete in forno. Quando avranno preso un leggiero color di oro, levatele, bagnatele leggermente sulla superficie di sciroppo [di zucchero n.d.r] e spargetevi sopra semenzina confettata a diversi colori. Gaspare Dellepiane, Cucina di strettissimo magro – Genova, 1880 Dolci Quaresimali di Romanengo - 1780 - Ancora prima Romanengo, nella Confetteria più Antica d'Italia in Genova elaborò una sua ricetta personale differenziando la pasta di mandorle fra cotta e a crudo e i ripieni tra i marzapani, i canestrelletti, i mostaccioli e le ovette, ricoperti di palline di zucchero confettato, e non monpariglia come nelle altre pasticcerie. Potete vederne la storia, le ricette e parte della lavorazione in questo video direttamente dalla pasticceria Romanengo: qui >>>https://www.youtube.com/watch?v=R-_LpH7Oh8Y&ab_channel=Tv2000it Ogni pasticceria ha poi elaborato una propria ricetta personalizzandola, fermo restando gli ingredienti principali mandorle e zucchero. A Chiavari la Pasticceria Copello ce la regala qui>>>https://miarrangio.blogspot.com/search?q=quaresimali Poteva la cosa non stuzzicarmi tanto farmi venir voglia di provare? Tanto più che mio figlio ha appena "adottato" un mandorlo in Puglia che mi ha già rifornito di un bel po' di mandorle e di qualcosa dovevo pur farne. In libera interpretazione delle ricette che ho trovato ho usato: 200gr. di mandorle che pelate sono diventate 170gr 120gr di zucchero succo di mezza arancia, avrei usato l'acqua di fior d'arancio ma non l'avevo un cucchiaio di farina 00 Ho ridotto in polvere le mandorle con lo zucchero nel mixer, ho aggiunto il succo di mezza arancia, e il cucchiaio di farina 00, ho impastato e poi lavorando piccole porzioni di pasta grosse come una nocciola ho cercato di imitare le forme: i canestrelletti, le piccole scodelline, le losanghe. Presa dalla foga e dall'entusiasmo non ho riflettuto e ho riempito con un po' di glassa (fatta con zucchero a velo, cacao, e poche gocce di acqua), e la marmellata e ho messo in forno a 180° TRAGEDIA ... troppo tardi mi è venuto in mente che dovevo riempirli dopo! Impossibile rimediare, quello che si è salvato sono stati i canestrelletti che cotti ho provveduto a inumidire con acqua e zucchero per far aderire gli zuccherini, quelli con la marmellata che si sono solo deformati un po', irrimediabilmente persi quelli con il fondant, che comunque non sono rimasti nemmeno il tempo di fare una foto, (Mamma, tanto questi non li usi li posso mangiare...). Troppo tardi anche per mettermi a rifarli. Li presento così, come si vedono in foto, ma ricapitolando vanno cotti e poi farciti con marmellata e fondant di zucchero, non glassa. Il fondant di zucchero richiede una preparazione con cottura, consigliabile l'uso di un termometro, non impossibile da fare in casa, semplicemente non mi sembrava il caso per pochi pasticcini e ho provato... ma non tutto riesce sempre... Rimando a un'altra occasione, chissà prima di Pasqua non ci riprovi, magari con una ricetta veloce anche per fare il fondant. p.s. ho già sfrugugliato e ho scoperto che si può fare con il Bimby ... potrei persino tirarlo fuori dal limbo dove l'ho messo per provare... Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- CANESTRELLI DELLE PALME
Ricordi vaghi d'infanzia, questo dolce fatto ad anello, che nonna mi comperava da attaccare al palmiere da benedire, bello con tutte le codette o la mompariglia colorate, e un uovo chiuso sotto un incrocio di pasta, ma non mi è mai veramente piaciuto il gusto, l'odore di anice mi infastidiva, ricordo anche un impasto duro non particolarmente dolce. Non li ho più rivisti ultimamente, come una volta dal panettiere o nelle pasticcerie e andando avanti con l'età ciò che mi parla d'infanzia è tutta nostalgia, persino le cose che allora non mi piacevano. Da anni volevo provare a farli, ma a dir la verità non ricordavo nemmeno se "canestrello" fosse il nome giusto, figuriamoci la ricetta. Domenica ho provato così a occhio e mi è uscito una cosa simile a quel ricordo, molto morbida, come volevo io, per l'uso che dovevo farne e cioè unirli ai palmieri che ho confezionato per la casa di riposo. Tutto sommato, vista l'accoglienza calorosa, li ho rifatti oggi, cercando di quantificare le dosi degli ingredienti. Ho preso: 250 gr. di farina Manitoba 50 gr. di zucchero semolato mezza bustina di lievito secco a lievitazione naturale (tipo Mastro Fornaio) 40 gr. di burro morbido un tuorlo e un uovo intero 120 - 150 ml di latte anice o finocchietto macinato a piacere, o un cucchiaio di sambuca o aroma anice, per quanto mi riguarda il profumo della mia infanzia è quello dei semi di anice che ho trovato al supermercato Per decorare ovetti di quaglia Dopo la cottura: mompariglia o codette colorate poco sciroppo di zucchero e acqua per attaccare Ho impastato farina, uova, zucchero, lievito, aroma nel robot a velocità media per qualche minuto aggiungendo il latte fino ad avere un impasto morbido e appiccicoso. Tolto con la spatola l'ho rotolato sulla spianatoia a fare una palla, che ho messo a lievitare dentro una ciotola, coperto, nel forno spento con la luce accesa. Quando è lievitato bene, circa un'ora e mezza dopo, ho rimesso sulla spianatoia e ho formato dei filoncini che ho piegato a metà, intrecciato e chiuso ad anello. È una pasta molto elastica da lavorare, che quasi lievita sotto le dita, bisogna arrangiarsi un po'. Nella chiusura ho premuto un ovetto di quaglia crudo, fermandolo con una croce di pasta, aiutandomi con la punta di un coltello. Questo perché li ho voluti fare piccoli, diciamo della misura di una tazza, si possono fare più grandi con l'uovo normale di gallina. Con queste dosi ne ho ottenuto sei. Probabilmente con un'altra farina non Manitoba, si dovrebbe farli nuovamente lievitare, ho preferito metterli direttamente in forno dopo averli lucidati sopra con un poco di tuorlo d'uovo sbattuto con un cucchiaio di latte. Aggiornamento 2024 Ho scoperto un metodo antico per fare le ciambelle che fanno venire i canestrelli perfetti, anche se io li ricordo intrecciati. Con la pasta lievitata formare delle palline, infilare il dito indice nel mezzo e ruotare velocemente fino ad ottenere la ciambella Ho infornato a 180° statico fino a che non sono gonfiati bene e coloriti in superficie. Come è successo per i primi anche questa volta sono lievitati tantissimo in cottura, tanto da raddoppiare, e sono venuti morbidissimi con un delizioso profumo di anice che ora apprezzo e per me davvero buoni. Per quanto ricordo l'impasto di quelli della mia infanzia era molto più duro, quindi questa non sarà una ricetta come quella, farò indagini... Fatti raffreddare ho messo in un pentolino due o tre cucchiai di zucchero con pochissima acqua per fare uno sciroppo con il quale ho spennellato i Canestrelli, che ho poi girato in un piatto fondo dove avevo messo le codette. Pronti da attaccare con un bel nastrino rosso alla palma intrecciata. Un piccolo tutorial per provare a fare anche il palmiere lo trovate a questo link ( >>>qui ) La palma da lavorare si può acquistare nei garden o dai fiorai. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- PANSOTI VELOCI
Gennaio ci aveva illusi, con quel tepore primaverile, ma tant'è presto sarà Pasqua, e, nonostante il freddo, si va in cerca di erbe per fare i Pansöti, immancabili sul tavolo della festa. I Pansöti , per chi avesse la sfortuna di non averli mai assaggiati, sono una pasta ripiena classica genovese. Il loro ripieno morbido e delicato, senza carne, al profumo di " persa" (qui>>>) e la pasta povera di uova, li differenzia da altre paste ripiene di verdura che si possono incontrare in giro per l'Italia. La tradizione vorrebbe i Pansöti ottenuti tagliando un quadrato di pasta ed eventualmente chiusi con un pizzico le due punte del lato lungo, o ad anello. I primi arrivati in casa mia, intorno agli anni '70, erano triangolari. Meno a mezzaluna che ricordano troppo i tortelli di altre regioni. Pansoti chiusi ad anello del Pastificio Dasso Lavagna chiusura pansoto a Rapallo Questo mio invece è un sistema relativamente moderno e veloce. Per me utile, perché ne faccio sempre una certa quantità che poi tengo pronta in freezer per ogni evenienza. L'importante è che abbiano la "pansa " cioè la pancia, un bel "panciotto" che è quello che dà loro il nome e li distingue dai ravioli. Per un buon ripieno è necessario il Prebuggiun ( qui>>> ) ; altre soluzioni tipo bietole o spinaci non portano al risultato ottimale. La pasta dei Pansoti deve essere molto sottile, in modo che non risulti troppo dura nei punti dove viene sovrapposta. Il ripieno deve essere bilanciato: il sapore be equilibrato deve far percepire distintamente le erbe e il formaggio ma senza che nessuno dei due sovrasti sull'altro. In alcune località di Rapallo, che ne rivendica la paternità, non si mette né ricotta né presciseua, ma solo parmigiano Raccolto, pulito e bollito il Prebuggiun , mentre raffredda preparo la pasta. A mano o nella planetaria mescolo in parti uguali farina 00 e semola aggiungo uno/ due uova intere per circa 6-700 gr. di totale delle farine, sale, vino bianco e acqua, e lavoro fino ad ottenere un impasto morbido, che metto a riposare. In questo caso le uova mi servono per mantenere una certa elasticità alla pasta, dato che li preparo prima e li metto in congelatore. Altrimenti per consumarli subito si può anche non mettere le uova nell'impasto. Preparo il ripieno. Per abitudine, passo le erbe bollite e spremute nel mio fedele tritacarne elettrico con il disco dai fori grandi, ma posso anche tritarle a coltello, non nel robot perché troppo fino non mi piace. A questo punto posso aggiungere o la Prescinsêua (qui>>>) o della buonissima ricotta vaccina tipo quella della Cooperativa Casearia Val di Vara ( qui>>> ) del Parmigiano Reggiano e la Maggiorana, importantissima, tritata finemente. mescolo e aggiungo le uova intere a discrezione per ottenere un ripieno morbido. Le uova che si vedono in foto sono sempre perché ne faccio veramente tanti da mettere via, altrimenti il ripieno, e per tradizione è possibile farlo anche con un uovo o senza. Queste ricette che vengono dal mangiare contadino di quando si usava quello che si aveva, se c'era l'uovo si metteva, se non c'era non si metteva. Adesso per metterli in congelatore preferisco mettere un giusto numero perché reggeranno meglio la conservazione e la cottura. Non se n'è mai aperto uno. A questo punto riprendo l'impasto, che riposato sarà più facile da tirare. In questo caso tiro la sfoglia con la macchina tipo Imperia, anche perché questo Raviolamp per Pansöti, ereditato da mia nonna, si usa con la sfoglia della misura appunto di quella macchina. Posiziono la sfoglia sottile sul raviolamp infarinato, riempio di ripieno un sac à poche la bocchetta liscia grande, e ne metto dentro a ogni buchetto una noce Ricopro con un'altra sfoglia e passo il mattarello sopra premendo adeguatamente Con un colpo secco, giro e picchio sul tavolo per far scendere i Pansöti e tolgo con la rotella dentata l'eccesso di pasta. Per metterli nel freezer non li divido, sarà facile farlo dopo da congelati. Li sistemo man mano su un contenitore basso tipo vassoio coperto di carta forno infarinata, così sarà più semplice staccarli e conservarli da congelati in un sacchetto. Nel caso non si possieda questo aggeggino si può sempre, fatte le sfoglie, distribuire dei mucchietti a distanza uguale, piegare la sfoglia e tagliare poi a triangolo, anche se non sono perfetti il gusto non cambia. Se l'occasione è importante, lo confesso, sono più precisa e guardo anche all'estetica, ma una volta cotti, l'importante è quello che hanno nella " pansa ". Come nelle immagini precedenti, se si vuole la precisione assoluta si tagliano dei quadrati di pasta che nel caso dei pansoti, diciamo così di Rapallo, Sori, Recco, posizionato un cucchiaio scarso di ripieno nel centro ecc. sono piegati a triangolo incrociando le punte e lo si può vedere in questo video: Invece nel Levante, e questo sono quelli del Pastificio Dasso di Lavagna, il quadrato è piegato ad anello. Occorre rallentare i video per vedere bene perché la velocità di queste signore è incredibile e ogni volta che passo di lì resto affascinata. Pansoti del Pastificio Dasso di Lavagna Per apprezzare il gusto delle erbe sono ottimi conditi con burro e salvia, anche se la morte loro è condirli con la salsa di noce, ma questa è un'altra storia e ve la racconto un altro giorno.😜 ed esattamente qui>> https://www.lellacanepa.com/single-post/SALSA-DI-NOCI-DI-NOCCIOLE-O-DI-PINOLI-N%C3%92XE-NIS%C3%8AUE-E-PIGNEU - si cucina sempre pensando a qualcuno altrimenti stai solo facendo da mangiare - Per quanto riguarda un minimo di cenno storico o quasi, si sa per certo che il loro nome significa “panciuti”: per questo motivo preferiscono una “t sola”, rispetto al nome “Pansotti” (con le “due t”), usato da alcuni, anche se ormai è acclarato che pansoti o pansotti va bene lo stesso. Una diversa etimologia, li vedrebbe collegati ad un “realmente esistito” generale Pansoit ,che ad inizio ‘800 comandava una guarnigione francese, di istanza sopra Bogliasco (fra le località Poggio e S essarego ). San Martino di Noceto (frazione di Rapallo) , ne rivendica orgogliosamente la paternità… Ufficialmente furono presentati, come una nuova ricetta al Festival della cucina ligure di Genova – Nervi nel 1961. Però si sa per certo che erano già citati in una guida gastronomica del Touring del 1931. In realtà penso che si sia sempre fatto qualcosa di relativamente povero nelle case dove la carne era riservata alle grandi feste, ma che fino ad un certo periodo presentare un piatto con caratteristiche appunto povere, da vendere in ristoranti o pastifici, un piatto che un tempo tutte le massaie sapevano mettere a tavola quasi vergognandosene, fosse impensabile. Solo con un lancio pubblicitario a dovere, come spesso succede anche oggi, i poveri mancati ravioli sono diventati uno dei piatti più prelibati della cucina ligure, ma diciamocelo... l'avevamo sempre mangiati. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti . 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- RAVIOLI E RAVIEU
"...stava genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e ravioli e cuocerli in brodo di capponi..." Decamerone - Giovanni Boccaccio E venne il giorno dei ravioli. Quest'anno è stata dura riuscire a raccogliere la borragine e la scarola per il cattivo tempo che dura da non so più nemmeno quanto, poi la neve, poi il posto nel congelatore, poi qualche giorno di dolori, poi preparare i pochi pacchetti da regalare, poi finalmente è arrivato il giorno giusto, oggi. Una necessaria premessa: in casa mia mai mangiato ravioli e tanto meno sugo, nel senso di ragù. Mia madre amava più le cose leggere, di verdura, le cotture veloci, mai soffritto niente, le poche uova. Sposandomi sono stata catapultata in un mondo dove i ravioli rappresentavano l'unità di valutazione. La riuscita di qualunque e dico qualunque festa, matrimonio, Natale, Pasqua, ferragosto era misurata in base alla bontà dei ravioli portati in tavola. Poteva essere presente qualsiasi leccornia ma alla fine della giornata la conversazione verteva sempre su come erano i ravioli, va da sé che essere riconosciuta come una donna che faceva dei buoni ravioli aveva la sua importanza. La cosa deve trasmettersi nel DNA perché i miei figli cresciuti con tortellini e pansoti della nonna hanno comunque ereditato questo concetto -"Ma i ravioli come erano?"- Per me era tutto troppo difficile, venivo dalla riviera dove i ravioli erano quelli genovesi con poche uova, carne così così, animelle e laccetti, la sfoglia anche quella povera conditi con il Tuccu e approdavo ai confini con l'Emilia dove invece sono ricchi di uova, di carne di maiale, di un particolare salume, la murtadella , ormai introvabile, insaccata quasi apposta, conditi con un sugo altrettanto ricco di carne tritata, costine di maiale, sempre guardando al ragù bolognese. Alla fine ho trovato la mia versione prendendo un po' di qua e un po' di là. Per correttezza pubblico la ricetta dei ravioli alla genovese così ben descritta da Nicolò Paganini, nel 1839, poco prima di morire . .. Ora veniamo alla pasta per tirare le sfoglie senza ovi. Un poco di sale entro la pasta gioverà alla consistenza della medesima. Ora veniamo al pieno. Nello stesso tegame colla carne si fa in quel suco cuocere mezza libbra di vitella magra, poi si leva, si tritola e si pesta molto. si prende un cervello di vitello, si cuoce nell’acqua, poi si cava la pelle che copre il cervello, si tritola e si pesta bene separatamente, si prende quattro soldi di salsiccia luganega, si cava la pelle, si tritola e si pesta separatamente. Si prende un pugno di borage chiamata in Nizza boraj, si fanno bollire, si premono molto, e si pestano come sopra. Si prendono tre ovi che bastano per una libbra e mezza di farina. Si sbattano, ed uniti e nuovamente pestati insieme tutti gli oggetti soprannominati, in detti ovi ponendovi un poco di formaggio parmigiano. Ecco fatto il pieno. Potete servirvi del capone in luogo del vitello, dei laccetti in luogo del cervello, per ottenere un pieno più delicato. Se il pieno restasse duro, si mette nel suco. Per i ravioli, la pasta si lascia un poco molla. Si lascia per un’ora sotto coperta da un piato per ottenere le foglie sottili. Anche qui c'è la salsiccia, il cervello, la sfoglia senza uova, e tre nel ripieno. Per tradizione a Natale i ravioli si mangiavano il giorno dopo proprio per recuperare le varie carni che potevano essere servite il giorno prima, quindi nelle vecchie ricette si trova anche il cappone. Oltre alla Borragine nelle ricette tradizionali si trova la scarola o indivia proprio a smorzare il gusto dell'erba e in definitiva due verdure che resistono al freddo e pure alla neve. Per la ricetta dell'alta Val di Vara ho nominato la murtadella , un salume che veniva confezionato con la pasta simile a quella della salsiccia, senza lardelli e insaccato come un salame e fatto stagionare, che serviva poi per fare sia il ripieno insieme a carne di vitellone, che il sugo e che conferisce alla pietanza un sapore difficile da eguagliare con altri. La verdura usata qui le bietole, essendo introvabile fino a qualche anno fa in questi terreni la borragine. Gli ingredienti che uso per la mia versione mista: 150 gr. vitello 150 gr. di verdura fra borragine e scarola bollite e spremute 50 gr. parmigiano reggiano 2 uova Maggiorana borragine e scarola Per la pasta: 150 gr. di farina di grano duro 150 gr. di farina 00 o 300 gr. di sola farina 00 un uovo poca acqua un pizzico di sale Si prepara la pasta che va lasciata a riposare coperta. Passate in poco olio e burro, con una foglia di alloro e qualche pinolo, le carni, tritate poi nel tritacarne e non nel mixer o nel moulinette, carne, verdura e maggiorana. Il ripieno dei ravioli non deve essere finissimo, come per esempio nei tortellini. Si aggiungono due uova e il parmigiano e si mescola per bene, regolando di sale. Si stende la pasta con il matterello, il più possibile rotonda, si piega per segnare il mezzo, si stende con una spatola il ripieno su una metà, se fosse troppo sodo si mescola un poco di mollica imbevuta di latte tritata, sempre controllando poi il sale, si ripiega sopra l'altra mezza sfoglia, si da una spianata e ora si possono segnare i ravioli con uno degli attrezzi della foto per poi tagliare con la rotella dentata. Nella foto si vedono gli attrezzi usati nei tempi andati, io li ho visti usare tutti. Un semplice riga in legno con la quale fare prima le righe orizzontali partendo dalla parte piegata, così da spingere verso l'esterno il ripieno e poi in verticale per fare i quadrati. Due attrezzi con dei quadretti disegnati da premere sulla pasta. Quello tradizionale è quello lungo, che esiste con i quadretti di varie misure, da sugo, più piccoli da brodo, ecc. Ultimo il matterello da ravioli, anche questo esiste in più misure. Non c'è il così detto Raviolamp, usato quando si fanno le sfoglie con la macchina per la pasta. Ma il motivo è un altro, i nostri veri ravioli non hanno il classico bordo di pasta vuota che lascia qualunque macchina per la pasta, sono quadrati tutti ripieni. Segnati con il matterello da ravioli, tagliare con la rotella dentata, quelle antiche non hanno paragoni con quelle moderne di adesso. Con una spatola si sistemano su di un vassoio e coperti con carta forno, per quanto mi riguarda li sistemo in congelatore. Mi piace ricordare come una volta si conservassero religiosamente le cartoline ricevute perché non avendo spatole larghe servivano egregiamente per tirar su i ravioli. Con questa dose ho ottenuto circa 800 gr. di ravioli che per questo Natale scarno di presenze, saranno più che sufficienti, visto che non mancheranno anche i tortellini. Questa quantità di farina che viene tirata della misura di un normale matterello lungo veniva denominata " ina crostâ de ravieu ", parola che non so quanti giovani potrebbero conoscere oggi, e anche in questa caso diventava unità di misura per definire l'importanza della festa: " ha impastato tot croste di ravioli... " Mentre preparavo il ripieno e riposava la pasta, ho messo su il sugo. Carota, sedano, cipolla, pinoli, foglia di alloro e il trito misto di maiale e vitellone in olio e burro che poi ripasserò di nuovo nel tritacarne. Aggiungo a rosolare qualche costina di maiale, sfumo con il vino bianco Ripasso nel tritacarne, aggiungo pepe e sale, passata concentrata di pomodoro con un poco di acqua calda e lascio a " croccu-à " sulla stufa per tutto il pomeriggio, fino a che galleggerà l'olio in superficie, ma in pratica tutto il pomeriggio e serata. Quest'anno ho trovato rotta la secolare pentola di terra e con questi "chiudo apro rosso arancio qui sì qui no" non sono riuscita a girare per comperarne una nuova, mi sono adattata alla pentola di acciaio, sempre però con il fondo spesso, pazienza. Se si preferisce il classico Tuccu la ricetta è qui>>> TÓCCO DE CARNE E FÓNZI NEIGRI Dato che avevo sporcato cucina e aggeggi vari, nel frattempo ho fatto anche il ripieno e la pasta per i tortellini. Mi sono fermata un attimo per finire il post, vado che mi attende una lunga serata di taglia, piega, gira intorno al dito... La ricetta dei Tortellini è qui, con tutti i segreti di casa mia, ma mi raccomando piccoli >>> https://www.lellacanepa.com/single-post/2017/12/22/i-miei-tortellini Potevo raccontare quella di quel tal Ravioli che, al confine con il Piemonte, pensò di chiudere le palline di carne formaggio e verdura, bollite in acqua, talmente buone che faceva nella sua osteria, in un sottile strato di pasta perché potessero essere trasportati, e cotti a casa, visto che con il successo clamoroso avuto dalla pietanza non si riusciva a servire tutti gli avventori... o che il nome derivi da rovigliolo nel senso di groviglio di pasta e ripieno, che di fatto già nel 1100 verso Savona si parla in un contratto fra mezzadro e padrone di vino, carne, e ravioli... ma non ho tempo ... Non se lese nell’istoia Patria, scritto né memoia, No se trêuva niscûn daeto De chi posse ese mai staeto Quello bravo e bon figgiêu Chi ha sapûo inventậ i Raviêu Martin Piaggio Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- CUCÙ,CUCÙ, L'INVERNO NON C'È PIÙ...
Quando canta il Cucco v'è da far per tutto; o cantare o non cantare, per tutto c'è da fare In assenza di internet (sembra impossibile ma è esistito un tale tempo) l'uomo guardava la natura e ad essa dava simboli e significati che lo aiutavano nel trascorrere del tempo. Questo insieme di memorie, notizie e testimonianze formavano le usanze tramandate da una generazione all'altra e che in assenza di sapere scientifico, rimaneva l'unico appiglio per dare spiegazioni a questo o a quel fenomeno. Spesso si affidava per similitudine fisica o di condotta a piante o ad animali per poi riportarla nel comportamento umano, nella vita di tutti i giorni. Adesso è il tempo del Cucù , il Cucùlo , anche se spesso si sente " Cùculo ", un uccello conosciuto da tutti e che deve il suo nome al riconoscibilissimo verso. Forse per questo o per il suo singolare modo di vivere è stato soggetto di tanti proverbi, modi di dire, usanze, tradizioni insomma. Non è facilissimo vederlo, anzi riuscire a vederlo è segno di persona fortunata, mentre porta sfortuna vederne uno che si abbevera. Tanto difficile vederlo quanto facile è sentirlo in primavera e il suo canto significa che davvero si è fuori dell'inverno ed è con lui che mi piace inaugurare questa sezione del blog dedicata a proverbi e tradizioni, quantomeno per come le conosco io. “Altri tempi, altri costumi" Siamo ai primi di Aprile e un tempo per essere sicuri che il freddo non sarebbe tornato si diceva: « Entro il tre (o il cinque) d'aprile il cuculo deve venire, se non viene entro l'otto o è morto o è cotto » Mi è stato segnalato che in altri posti si dice invece :- Se il cuculo non viene entro il 10 aprile o è morto o sta per morire o ha affari da non poter venire - Probabilmente dipende dalla latitudine visto che in tutto il Nord Europa il giorno del Cuculo è il 21 aprile. Un po' come San Martino il giorno del cuculo aveva significati importanti per la società agricola contadina, nell'attesa della primavera, con il ritorno della bella stagione, c'era molto da fare, si poteva andare a lavorare in giornata, e la campagna bisognava di manovalanza, con più luce si lavorava e guadagnava di più : « Canta il cucco sulla quercia nera ricordati padron che è primavera . » « Quando canta il cuculo, c'è da fare per tutti » Foriero della bella stagione gli si affidano anche altre doti premonitorie e propiziatorie, quando è il periodo del canto del Cuculo è il caso di tenere qualche moneta in tasca perché se il suo canto ti sorprende a tasche piene potrebbero rimanere così, mentre al contrario, tasche vuote, sarai condannato alla miseria più nera. E mentre il cuculo canta si devono fare tintinnare, così da sembrare tante. O anche: se il canto del cucù ti trovava seduto invece che in piedi l'anno non ti poteva andare bene. alludendo sempre al fatto che è una stagione che c'è da fare. Le ragazze chiedono al cuculo appena lo sentono: « O bel cucù per favore quanti anni starò ancora prima di far l'amore? O cucco, cucco dal becco fiorito dimmi quanti anni sto a prender marito... » E conta quante volte fa cucù prima di interrompersi. Ma gli anziani invece contavano altri anni... « Cuculo, bel cuculo d'aprile, quanti anni ho prima di morire? » Tante le domande che gli porgono gli umani e le risposte che gli tocca dare con i suoi cucù che non gli rimane tempo di fare il nido ... Il comportamento di depositare un uovo nei nidi degli altri uccelli, spesso della stessa specie delle famiglie adottive da cui sono state allevate fino alla capacità di imitarne il colore dell'uovo e a quello del cuculo appena nato di sbarazzarsi delle altre uova del nido usurpato, ha portato a innumerevoli altri detti e proverbi: un uomo che fa il cucù era quello che non si occupava di provvedere una casa, che andava a vivere dai suoceri, pigro, inetto. « Fare come il cuculo » tanti discorsi, ma fatti niente. « Vecchio come il cucù » invece allude alla sua carne stopposa che ricorda quella di un animale vecchio e anche per questo si riteneva l' uccello capace di vivere tantissimo, forse di non morire nemmeno, essendo un animale dalle proprietà divinatorie e che misteriosamente spariva per diversi mesi. In tutto il mondo il Cuculo ha valori simbolici che spesso lo legano al mondo dell'aldilà, quanto canzoni, poeti e compositori famosi lo hanno ricordato... Da qual profonda cavità m’ha scosso il canto dell’aereo cuculo? fiorisce a spiga per le prode il rosso pandicuculo? Germoglio - G.Pascoli - Myricae (1891) Ma tutto ciò per portare il discorso ad una delle piante che vengono chiamate il Pan di cuculo , un'orchidea spontanea, l' Orchis morio , o Anacampis morio , relativamente facile da trovare. Non so dire perché venga chiamata così e non è nemmeno l'unico fiore che si è appropriato di questo termine, in Europa sono presenti decine di piante chiamate localmente Pan di cucù . Forse pane le viene dato perché con i bulbi di questa orchidea e anche di altre, viene prodotta una farina che dà luogo in Turchia al Salep , una bevanda pastosa che viene bevuta con l'aggiunta di cannella, come noi beviamo la cioccolata. Per la conformazione dei tuberi, vicini, uno avvizzito e l'altro quello da cui nasce il fiore, le vengono attribuite proprietà afrodisiache e di favorire la procreazione. All'interno dell'Unione Europea tutti i tipi di orchidee sono altamente protetti e il commercio del salep proibito. Servono circa 1000 orchidee per un kg di farina. Ascolta l'estratto da "L'usignolo e il cuculo" di Georg Friedrich Händel dove con l'organo viene imitato il canto del cucù e dell'usignolo Organ Concerto HWV 295 "The Cuckoo and the Nightingale Un ultimo riferimento che mi piace ricordare è quello al bellissimo film " Qualcuno volò sul nido del cuculo " uno dei tre film della storia del cinema che ha ricevuto i cinque Oscar più importanti, (miglior film, miglior regista, miglior attore, miglior attrice, migliore sceneggiatura non originale) Il titolo allude alla filastrocca americana: Three geese in a flock, one flew East, one flew West, one flew over the cuckoo's nest "Uno stormo di tre oche, una volò ad est, una volò ad ovest, una volò sul nido del cuculo" dove nelle espressioni americane " the cuckoo's nest " il nido del cuculo, è il manicomio, perché "il destino, l’imprevedibilità e la casualità della vita può portare qualcuno a diventare pazzo o ad essere considerato tale". Ringrazio di cuore gli amici fotografi Tony Polverini e Daniela Papi del Gruppo Amici dell' Oasi Faunistica Entella https://www.facebook.com/groups/99765945942/ che mi hanno gentilmente fornito le bellissime foto del cuculo e dell'orchidea Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- ASPRAGGINE E SPRAGGINE
È stata questa per me un'erba delle più difficili da identificare correttamente, nonostante quando la vedo, riconosco, senza esitazione, quella che voglio prendere tra le altre somiglianti. Come spesso ho già avuto modo di dire, non mi occupo di riconoscimenti scientifici, ma solo di quelli empirici insegnati sul campo, dalla tradizione orale di chi ha raccolto prima di me e mi ha insegnato così i tratti riconoscibili di un'erba al tatto, dall'odore, con la vista. Consultando vari testi sono arrivata alla mia personale conclusione che a grandi linee esistono due tipi di erbe raccolte per uso commestibile chiamate, comunemente Spraggine o Aspraggine , o anche, e capirete perché, Pei Giànchi . Identificate un tempo tutte sotto il genere Picris , una di queste, quella che generalmente raccolgo io, è stata immessa in un nuovo genere e le è stato affidato il nome di Helminthotheca echioides . Raccolgo questa ultima proprio perché, per me, è di sapore migliore delle altre. La rosetta basale , quella che va raccolta in primavera, ha le foglie abbastanza larghe, poco dentate o per niente, ma soprattutto peli ispidi, quasi setole, che rendono la superficie ruvida e hanno alla base delle simil verruche spesso bianche, ma sempre, anche nelle foglie giovani, la superficie, oltre che ruvida e irsuta, non liscia, con una presenza di segni quasi come una specie di eritema, e facilmente la costa rossa. Toccandola e muovendola si sente la caratteristica che le dà il nome: cioè come se si toccasse una carta abrasiva, una cartavetro, e che le da il nome di "aspra" spraggini in campo Facile capire perché le è stato affidato il nome di Spraggine , o di Pei Giànchi. Il gusto invece non si può propriamente definire aspro, solo leggermente, meno se raccolta giovanissima, ma ben equilibra il gusto più amaro di altre erbe nel misto. Più amara, dura e meno gradevole, per quanto mi riguarda, la parente Picris hieracioides , o altre Picris che molti chiamano pure Aspraggine , spesso confondendole e credo per tanti anni pure dai botanici identificate con lo stesso nome o come sottospecie una dell'altra, essendo il mondo delle Picris ampio e di difficile "interpretazione tassonomica" . Molto comuni e infestanti, quest'ultima dalla foglia più stretta e più dentata, spesso con sfumature rossastre, sempre ispida di peli e con foglia ruvida, ma dall'aspetto che di per se non invita alla raccolta... Picris hieracioides Ma queste incursioni nel mondo scientifico poco mi riguardano e non sono certo deputata io a parlarne, lascio a chi ha approfondito tali argomenti con studi appropriati. Personalmente mi interessa aver imparato a riconoscere quella che a mio parere è più appetibile bollita nel contesto delle erbe miste del Prebuggiun ( qui>>> ) . Mi affido alle sue pustoline bianche e ai suoi peli ispidi , e come sempre, al posto dove la raccolgo da anni. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- APRILEVENTI - LE PASSEGGIATE DI APRILE -
Siamo a fine marzo e non sono ancora riuscita a pubblicare le date dei prossimi eventi, anche perché alcuni non sono ancora definiti e altri sono già praticamente tutto esaurito. Si inizia SABATO 5 APRILE Giornata interamente dedicata al riconoscimento delle erbe selvatiche commestibili e al loro uso nella cucina ligure con particolare attenzione alle paste ripiene. Al mattino dalle 10 passeggiata di riconoscimento delle erbe nei dintorni dell'Agriturismo Risveglio Naturale a Valletti di Varese Ligure. Chi vuole potrà comporre un erbario con Lella Canepa Alla fine intorno all'una, pranzo con pansoti fatti a mano, arrosto alle erbe, dolce. Per chi vuole rimanere nel primo pomeriggio dimostrazione di pulitura e cottura delle erbe, storia e formazione delle varie paste ripiene e del loro ripieno con particolare attenzione a quelle liguri. Ogni partecipante avrà a disposizione un quantitativo di pasta e di ripieno per poter provare a comporre una porzione di pansoti da portare a casa da cuocere Passeggiata + pranzo 40 € Pranzo + corso 40€ Intera giornata Passeggiata + pranzo + corso 65€ Posti limitati pochi posti ancora liberi Prenotarsi il più presto possibile Come sempre è possibile il pernottamento in Agriturismo Tel. : 01871854393 Cell.: 3493386861 Mob. : 3922195962 DOMENICA 6 APRILE Un appuntamento annuale ormai la giornata con Pamela, nei campi vicino alla chiesa di San Marco D'Urri. Ritrovo nei pressi della Chiesa alle 14,30, passeggiata di riconoscimento, Confezione dell'Erbario a piacere con il taccuino da portarsi a casa, messo a disposizione dall'Associazione Al ritorno nei locali nei pressi della chiesa una dimostrazione di come vanno pulite le erbe e cotte, e una prova di cagliatura del latte per la preparazione di una simil prescinseua. Al termine saluti e assaggi. Contributo 25€ Prenotazioni Pamela 379 149 9356 MARTEDÌ 8 E MERCOLEDÌ 9 APRILE Diventato ormai consuetudine l'evento al Gaggero Garden Tigullio a Carasco per la dimostrazione di intreccio palmieri per la festività delle Palme. Tradizione ancora viva in Liguria di un'arte che va sparendo. Al mattino dalle 10-11 dimostrazione di intreccio. Nel pomeriggio se interessati si potrà provare a intrecciare la propria palma da portarsi a casa. Due giorni intensi martedì 8 aprile e mercoledì 9 aprile. Presentatevi per tempo, le adesioni sono sempre numerose SABATO 12 DOMENICA 13 APRILE Tutto esaurito per domenica 13 Aprile per il corso di erbe e torte Rimane qualche posto per sabato 12 per la sola passeggiata di riconoscimento erbe nei dintorni di Cascina il Cucco - Casaleggio Boiro. Come sempre sarà possibile comporre un erbario da portare a casa con il taccuino messo a disposizione dall'Associazione Pranzo in Cascina Telefonare al 327 854 8388 per gli ultimi aggiornamenti LUNEDÌ 21 APRILE IN PROGRAMMAZIONE EVENTO A CARRO ANCORA IN ELABORAZIONE SABATO 26 DOMENICA 27 APRILE Una vera full immersion nelle erbe e nei loro usi. Da sabato 26 aprile alle ore 15 ci accoglierà l'ospitalità del B&B C'era una volta al Villaggio Al Pino di Santo Stefano d'Aveto per una passeggiata di riconoscimento erbe nei prati circostanti. Al ritorno si finirà la costruzione dell'erbario, si parlerà con dimostrazione pratica di pulitura e cottura delle erbe con un aperitivo di prodotti locali forniti dalle aziende circostanti. Per chi pernotta nel B&b la domenica mattina mani in pasta per la costruzione di una mini torta di erbe da portarsi a casa, con tutte le informazioni sulla pasta matta e sulle torte di verdura liguri e non. Si può aderire al solo pomeriggio di sabato con passeggiata e aperitivo con un contributo di 40€ Per tutto il pacchetto, passeggiata di sabato, pernottamento e laboratorio di torte contributo di 100€ Prenotarsi per tempo, i posti sono pochissimi e in veloce esaurimento Sara 348 618 9707 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- VIVERE D' AMOR E SCREPUE
Sono anni di immensa soddisfazione questi per me, e mai come in queste ultime primavera ne ho raggiunto un punto così alto. La vita mi ha voluto regalare qualcosa di inaspettato e gratuito. Anni fa, tanti, intorno agli anni ‘90, mia madre stava invecchiando e cominciava a vederci sempre meno e io mi resi conto che senza la sua presenza non riuscivo a raccogliere le erbe selvatiche del prebuggiun, o meglio quando c’era lei le conoscevo, quando tornava a Chiavari le mie certezze svanivano. Alle mie domande come fai a sapere che è questa e non quella lì che sembra uguale? Lei mi guardava senza capire, per lei entrava in gioco un istinto primordiale di generazioni di raccoglitrici, il suo, come lo chiamavo io, inconsapevole sapere. Niente internet a quei tempi, cominciai a cercare pubblicazioni sulle erbe commestibili, e già ci aveva provato lei con le sue centinaia di libri su piante e fiori, ma le piante selvatiche commestibili poco erano nominate e non mi riuscì di riconoscerne con certezza che una o due, il tarassaco, la borragine e poco altro. Se in enciclopedie o altro, sempre tutto troppo scientifico e incomprensibile. L'uso delle selvatiche come cibo era stato completamente abbandonato negli anni del benessere, quelli cosi detti del boom economico. Mangiare erbe, per la generazione prima della mia, significava la fame per la guerra, per la carestia e da questo deriva l'etimologia della parola Alimurgia, alimentia urgentia, alimento in caso di urgenza, nutrirsi di erbe edibili, quasi rubate agli animali, per sopravvivenza. Ricordo come, giunti in vacanza nel paesino dove abito adesso, quali possessori di un negozio e quindi individuati come famiglia che stava bene, a breve, vedendo mia madre che raccoglieva erbe e ce le dava da mangiare, cominciò a girare la voce: - I dixan che i sian ricchi ma i mangiu dell'erba-. Dicono che siano ricchi ma mangiano dell'erba. Gli ultimi 50 anni sono bastati per dimenticare un istinto vecchio di milioni di anni come il riconoscimento delle erbe, e pure il sapore infinitamente migliore del coltivato, specie se su larga scala. La passione trasmessa da mia madre e a lei da sua nonna Clorinda, donna incredibile di campagna, che a inizio secolo curava le persone con l'aloe senza saperne il nome, aiutava le donne del paese a partorire e sapeva indovinare il sesso del figlio successivo da come la donna rimaneva dopo il parto, aveva rimedi per tutto e tutto mi è stato negli anni confermato scientificamente, mi convinse che non poteva finire così, solo perché non c'era più la necessità. Un pomeriggio d’autunno, al ritorno dall’ultima forse passeggiata per erbe di quell’anno, decisi di forzare la mano con mia madre. Stesi le erbe su un lenzuolo bianco, la obbligai a dirmene il nome che conosceva e a spiegarmene le differenze pratiche fra una e l’altra per come le sapeva lei: toccandole o dall' odore, nel sapore, nel rumore, e osservandole, e fu così che nacque il mio riconoscimento empirico. Solo dopo molti anni scoprii che era quello usato in tutto il mondo, da quando era comparso l'uomo sulla terra. Fotografai, catalogai in base alle sue informazioni e parlandone fra amiche mi accorsi che tanti non avevano fatto in tempo a raccogliere questo tipo di informazioni. E di tempo non ce n’era molto visto il trascorrere degli anni e l’età media di chi queste conoscenze ancora le aveva. Era il 1996 e credo di essere davvero tra le prime ad avere avuto questa specie di intuizione su quello che sarebbe venuto dopo pochi anni, cioè la richiesta di riconoscere quello che quasi nessuno sapeva più e sentivo che dovevo fare qualcosa. Buttai giù una specie di progetto fatto di slide show e un primo manualetto di fotografie e brevi didascalie e cominciai a cercare un luogo, una location come si dice adesso, per presentarlo pubblicamente. Guardandomi di sottecchi tra “il prebuggiun non lo mangiano più” e “cos’è il prebuggiun?” una prima sera che portai la mia proposta di presentazione delle erbe, davanti a poche persone, la frase che ricordo meglio, e mi spiace ma devo riportarla così, “Le tue c....o di belin di erbe non interessano a nessuno”. Alla morte di mia madre nel 2017 tutto diventò un'esigenza insopprimibile, dovevo assolutamente, nel suo ricordo portare avanti questa idea. Qui entra in gioco mio figlio Alessio, che un giorno arrivò dicendomi:- Ti ho aperto un blog, scrivi quello che sai, che poi muori anche tu- Sincero, diretto, ma vero. Fino a che Franca Ginocchio qui>>> non mi spalancò le porte del suo B&B Fiume a titolo completamente gratuito e Alessandro Dentone mi aiutò permettendomi di portare avanti il tutto che successivamente si concretò nell' Associazione. nei prati del B&b Fiume Sono ancora qui a parlare di erbe, anzi ne parlo talmente tanto tutto l’anno che anche oggi sono roca e senza voce. E ancora chiamo Incontri e non corsi le mie passeggiate e insisto nel dire che non insegno: Tramando. In questi anni ho incontrato persone splendide, Linda Sacchetti e il suo incredibile lavoro sulle erbe liguri, Marco Fossati che mi ha citato nella sua laurea, botanici ed erboristi con i quali mi sono confrontata in tutta Italia e donne, donne, tante donne delle erbe come me, con le quali parlo davvero la stessa lingua e basta un’occhiata per riconoscerci e senza saperlo, lontane km e km una dall'altra, hanno deciso che questo sapere non doveva andare perduto. Ho avuto esperienze indimenticabili, incontrato personaggi e frequentato collaborando cucine stellate, sono finita sulle migliori riviste di cibo. Ma se molto si deve ai cambiamenti della società, con il divenire di sempre più vegani e vegetariani, con un ritorno a guardarsi attorno nella natura, molto a internet, per quello che riguarda il mio mondo e il termine “Prebuggiun” io so che ero pronta e ho fatto la mia piccola parte, quando Mattia Pecis, Executive Chef di Cracco Portofino mi ha contattata per saperne di più sugli usi delle erbe in Liguria. E ci siamo intesi subito. Mattia è fatto di materiale permeabile. Si lascia attraversare da tutto quello che sente e vede, velocemente seleziona ciò che può essergli utile, lo mette da parte, lo tira fuori e lo modifica nel momento che gli serve per creare qualcosa. Mattia va a mille, gli racconto qualcosa di vecchio e di antico, un modo di cottura, il sapore di un'erba, un accostamento della cucina povera e riesce a trasformarlo in un piatto gourmet, innovativo, conservando qualcosa della Liguria che possa essere apprezzato e servito in ambienti completamente diversi. Mattia è il mio futuro. Quello che io non avrò per decorsi limiti di tempo, il mio modo di mescolare erbe e fiori adesso è in lui, l’ha trasformato con eleganza mantenendo la semplicità del prodotto, l’ha proiettato in un mondo dove era sconosciuto, aggiungendo valore. Il messaggio trovato un certo giorno sulla posta di Instagram che mi chiedeva un incontro per parlare delle erbe usate nella cucina ligure, da parte di quello che non sapevo essere il futuro Executive Chef di Cracco Portofino, è stato una vera sorpresa. Dal quel primo momento, un qualsiasi pomeriggio di chiacchiere, c'è stata fra noi un'intesa incredibile. La curiosità di Mattia, la sua inesauribile energia, l'intuito prezioso nell'afferrare al volo cosa va bene e cosa no, ha creato fra noi una sinergia preziosa per me e spero anche per lui. Mattia ha ora 29 anni ne aveva poco più di 24 quando gli è stata affidata da un giorno all'altro una responsabilità enorme. In un paese, bisogna ammetterlo, non proprio ospitale al massimo, che non ti facilita niente, vuoi per il carattere degli abitanti, vuoi per l'asperità del territorio, Mattia si è fatto amare, la Liguria è selvatica di gente e di paesaggio e non è così scontato riuscirci. Insieme in meno di due anni abbiamo fatto esplodere una bomba vegetale. Se tanto va riconosciuto a chi faticosamente non ha mai abbandonato la tradizione servendo le nostre erbe a tavola, vedi per esempio la Brinca a Ne o U Giancu a Rapallo, non si può negare che Portofino>Cracco>Prebuggiun sia stato trainante in maniera diversa. Mattia ha inventato il Risotto al Prebuggiun con Triglia laccata e Prescinseua, dedicandomelo, premiato presso la prestigiosa scuola dell’Alma, piatto ormai rappresentativo del ristorante, portando la parola Prebuggiun a livello mondiale. E anche questa primavera, mentre giro come una trottola mostrando e raccontando di erbe a tutti, vedo decine di persone che si inventano raccoglitori di erbe, che si ricordano improvvisamente ma molto improvvisamente che le conoscevano anche loro, eventi su eventi ovunque, messi su di corsa perché adesso va davvero di moda sapere di erbe, che giurano spergiurando che loro lo hanno sempre usato, che proprio gli è sempre piaciuto, che lo conoscono e come lo conoscono... chissà... Come potrei non essere contenta di tutto questo interesse suscitato? Chi mai si sarebbe aspettato tanto. Il mio scopo è stato più che raggiunto, volevo non andassero perse le conoscenze di mia madre e di mia nonna e di tante altre donne che ho incontrato come loro, il loro istinto e il loro inconsapevole sapere. Rido e mi diverto tanto, quando sento e vedo di tutto e di più, e mi spiace solo che mia madre non ci sia più. Non ha molta importanza se tutto non sarà davvero prebuggiun, non ci si inventa da un giorno all'altro leggendo qui e là e credendo di sapere, io continuo a imparare ogni giorno, ma l'importante è suscitare interesse per una pratica una volta quotidiana e ormai desueta. Qualche volta mi basta un’occhiata, come inquadrano una pianta, come la toccano e capisco. La passione bisogna averla nel cuore che racconta, il gusto nella bocca che assaggia, la riconoscenza nelle mani che toccano, la luce negli occhi che scoprono. Siamo in poche a saper ancora vivere davvero “d'amô e screpue”* E chi è veramente interessato prima o poi lo capisce. *traduzione: vivere solo di amore e Reichardia picroides, l'erba più buona e conosciuta del prebuggiun, conosciuta anche come Talegua >>> https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/10/10/la-talegua-reichardia-picroides Per chi volesse sapere chi era mia madre https://www.lellacanepa.com/single-post/2020/01/20/storia-di-una-gemma Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>