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  • DOLCI GOBELLETTI 🍩

    Natale è vicino, si dovrà pensare a qualcosa. La prima cosa che preparo con largo anticipo sono i dolci, quelli di casa, di tradizione. E per primi quelli di pasta frolla, che conservati in una scatola di latta o contenitore con coperchio durano certo più di una settimana. In casa li abbiamo sempre preparati prima, fedeli alla regola che la pasta frolla si chiama così perché deve frollare per diventare morbida e mai l'ho mangiata prima di tre giorni quindi...procedo. Tra questi i Gobelletti o Cobelletti, dolci liguri, piccoli scrigni di pasta frolla con all'interno marmellata. La storia che so io dice che si chiamano così per la gobba che assume il coperchietto cuocendo in forno. Per confezionarli occorrono le particolari formine smerlate in lamiera che non andrebbero lavate mai. Ricette di pasta frolla ne ho imparate tante per usi diversi, ma resto fedele per questo uso alla tradizionale dell' 1-2-3, e cioè una parte di zucchero, due di burro, tre di farina. Per semplificare preparo sempre 300gr. di zucchero, 600gr. di burro e 900gr. di farina doppio zero. Fermo restando che si ottiene un'ottimo impasto anche senza uova (che dura anche di più non essendoci le uova), in questa dose metto tre tuorli. Il burro deve essere tirato fuori dal frigo qualche tempo prima, ma non morbidissimo. Da tempo uso il robot o la planetaria, con l'accortezza di mettere nell'ordine burro a tocchetti e zucchero, poi la farina, un pizzico di sale e per ultimi i tuorli. Se non voglio usare il robot, metto la farina a fontana con il burro a pezzetti e i tuorli e comincio ad impastare, il più velocemente possibile per non scaldare troppo l'impasto. Appena appena gli ingredienti stanno assieme, faccio una palla che metto in frigo per un'oretta. Dopo di che tiro fuori e preso un pezzo di impasto lo lavoro sul tavolo infarinato quel tanto che basta per tirare una sfoglia. Per avere la stessa altezza mi servo di due strisce di legno dell'altezza desiderata in questo caso circa tre millimetri. Taglio una porzione più larga della formina, la posiziono sopra a questa, senza imburrarla e premo con la punta delle dita per far prendere alla pasta la forma. Posiziono all'interno una piccola quantità di marmellata; troppa uscirebbe cuocendo. La tradizione vuole cotogna o albicocca, qui marmellata di prugne. Taglio un dischetto del diametro leggermente più piccolo della formina e per chiudere seguite bene il passaggio sotto e premo con forza il pollice verso l'esterno per far si che insieme chiudo ed elimino l'eccesso di pasta. Poso su una teglia e, quando sono tutti pronti, inforno nel forno caldo a 180°. Controllo la cottura di circa 15 minuti e, appena appena assumono un po' di colore sforno. A questo punto con l'aiuto di uno strofinaccio per non bruciarmi li rovescio sul tavolo uno a uno da caldi e il gobelletto verrà fuori facilmente nonostante la formina non sia stata imburrata. li sistemo nei pirottini e, appena raffreddati, in una scatola di latta o un contenitore chiuso. Domani faccio i canestrelli 👍. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • LE RADÌCCE di Chiavari

    Nel lungo inverno, sono meno le verdure fresche di cui si può godere. Oltre le zucche, i cavoli, i carciofi e poco altro, qui nel Tigullio abbiamo le Radici di Chiavari, da noi chiamate abitualmente Radìcce. È uno dei cinque ortaggi appartenenti al marchio Antichi Ortaggi del Tigullio Non ha nulla a che vedere con altri ortaggi da radice tipo rapa o barbabietola o pastinaca, è semplice Cichorium intybus, in una varietà selezionata più per le sue radici che per le sue foglie. Si differenzia da altre radici in commercio, non di Chiavari, per la forma conica di notevoli dimensioni e il colore bianco. La differenza non è solo nella forma, ma è anche nell'effetto sull'intestino. Difficilmente quella originale di Chiavari vi darà fastidio, pur mantenendo le sue proprietà e il gusto amarognolo, proprio delle radici di Cicoria, in questa varietà è piacevole. E' una verdura altamente depurativa, tanto che nella tradizione genovese viene annoverata come piatto delle feste natalizie, contorno povero che disintossica dai bagordi dei pranzi, aiuta a smaltire i grassi che inevitabilmente in quei giorni si ingeriscono. Non si devono confondere le Radicce con la Scorzonera,(qui>>>) altra prelibatezza ligure, anch'essa radice buona da mangiare, ma che non è una cicoria, con sapore dolce e dimensione inferiore. Pur appartenendo alla stessa famiglia sono due generi completamente diversi. E' un piatto povero, di facile esecuzione ma salutare. Un tempo le donne avevano il compito di fregarle fino a farle venire belle bianche, ora con un comune pelapatate tolgo la parte superficiale. Lavo bene e taglio in due o tre pezzi. Ho anche pelato e tagliato qualche patata morbida e, come dice la regola, metto sul fuoco in una pentola di acqua fredda. Non sapete la regola delle verdure? "tutto quello che cresce sotto la terra, acqua fredda, tutto quello che cresce sopra la terra, acqua calda" 😜 Incoperchio e faccio cuocere una quindicina di minuti - venti da quando bolle, e comunque controllo ogni tanto con una forchetta. Il piatto è pronto, resta da condirlo con buon olio ligure nuovo, una goccia di aceto o limone, se piace e sale. L' intestino ne beneficerà, ringraziando. "E sêuxoe son comme e radicce: un pö ciù ò un pö mêno, amâe o son tutte." Le suocere son come le radici: un po' più o un meno sono amare tutte Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • A OCCHIO E FEDE -post sulle misure in cucina-

    ---- un cucc.no ??? ---- Mia nonna diceva"A éuggiu se fâ sôlo i frisceu" - a occhio si fanno solo le frittelle -, quando con costernazione seguiva il mio metodo "a occhio e fede" e non solo per quello che riguarda la cucina. Così quando le amiche mi chiedevano e chiedono ma quanto ne hai messo? prima? dopo? non so come rispondere. L'istinto è quello che mi guida e non nego le volte che non ha funzionato, ma sono più quelle che mi è andata bene anche se non è detto che tutte le volte il gusto delle mie pietanze sia identico. In America, bontà loro, vanno ancora a tazze e cucchiai, chi si occupa di pasticceria sa quanto è difficile tradurre una ricetta e hanno inventato aggeggi come questi dove c'è il cucchiaino, il mezzo cucchiaino, il cucchiaino da te il cucchiaio ecc. o per la misura delle tazze, la mezza tazza, il quarto di tazza. Sapevo quindi che affrontando un blog che narra spesso di cucina, sarebbe stato difficile farmi comprendere e cercherò per voi e per me di provare a spiegarmi. Un pugno di farina è quella che mi sta in una mano chiusa, un pizzico è quello che riesco a tenere fra due dita: pollice e indice. Così è troppo facile... Vorrei riuscire a spiegare che con la pratica si impara che una farina a causa del contenuto integrale o no, manitoba o semola, della giornata umida o secca assorbe più o meno acqua o liquido, quindi è più importante sapere esattamente la consistenza dell'impasto che volete ottenere. Così come io cerco di usare sempre lo stesso sale, marino e spesso integrale e, se mi cambiate il sale, vado in paranoia; questo perchè non tutti salano in egual maniera e poi è più o meno amaro, infatti uso sali diversi per cucinare da quelli che uso per salare a crudo. Così è con l'olio. Il sapore che dà un cucchiaio di olio extravergine ligure è completamente diverso da quello che dà un cucchiaio di olio pugliese o addirittura di un olio di semi e, di conseguenza, la quantità può cambiare. Nella mia cucina ci sono solitamente almeno quattro qualità di olio: Ligure a crudo per pesci e piatti leggeri, pesto, salsa di noci Toscano a crudo per zuppe, carni consistenti rosse del sud: Puglia, Sicilia, Calabria per bruschette, sugo al pomodoro ecc. ecc. un olio per friggere quasi sempre di arachide e anche quello di cocco, che non si sa mai. Ora le uova vengono vendute in confezioni diverse a seconda della grandezza ma se io ho un uovo piccolo devo rinunciare a fare una torta? Aggiungo un po' di latte o di olio a seconda del risultato che voglio o per arrivare alla consistenza desiderata. E se ho un uovo di oca, e qui in campagna ce l'ho in primavera, il più buono di tutti, perché le oche pascolano e quindi si nutrono principalmente di erba, secondo voi non lo uso per via della sua misura? e certo non lo considero come "un" uovo, visto che vale come due, quasi tre. Mentre è più importante che le uova per un impasto, per la maionese, per montare un albume, al momento di usarle siano fuori dal frigorifero da un po' di ore. Non cambia di molto il discorso per la verdura: ci sono più qualità di patate con resa completamente diversa di quelle che riuscirò a conoscere. Più importante sapere guardandola e toccandola, se è una patata granulosa bianca dura che non si disferà nello stufato o una morbida che mi piacerà di più bollita o nella minestra. Le cipolle? dolci, piccanti, bianche, rosse, piatte, rotonde...come dirvi quanta cipolla mettere se non so se la vostra cipolla pizzica più o meno? Per cucinare normalmente uso le cipolle bionde anche perché hanno una migliore durabilità, bianche per fare crude, di Tropea crude nelle insalate o quella di Pignona, paesino nell'entroterra Ligure che produce una deliziosa cipolla piatta di dimensioni notevoli, rosata, dolcissima, meraviglia quando riesco ad averla nell'orto. E l'aglio? sono un'estimatrice di aglio, ovunque vado ne faccio scorta, di Piacenza, quello rosso di Sulmona, sono andata in Provenza e sono tornata con un mazzo di aglio di Piolenc invece che di lavanda...e il nostro ligure di Vessalico? bianco, piccolo e dolce, indispensabile per un pesto più digeribile. Non affronto nemmeno il discorso dei formaggi. Solo di grana ne esistono almeno quattro tipi, più i diversi tipi di pecorino da grattugia per i quali un cucchiaio di uno non vale come quello di un altro in un ripieno o altrove, senza contare la stagionatura. E se vi piacciono erbe e spezie posso io sapere quanto pepe, cannella o noce moscata, timo, origano piacerebbe a voi? Pertanto pur tenendo d'occhio una certa idea di misura negli ingredienti, una ricetta cambia a secondo di cosa mettiamo dentro, spesso più di quanto! A occhio e fede appunto, o meglio a sentimento ... E comunque la quantità più difficile da capire e da spiegare, almeno così dice mio figlio, è "un nonnulla" che ci va, che serve, che è importante, quel nonnulla di... Abbiate fede. La stessa mancanza di indicazioni quantitative, caratteristica di molti ricettari europei, sembra legata a questa destinazione professionale i cuochi sanno bene che LA CUCINA É UN ARTE EMINENTEMENTE CREATIVA E SPERIMENTALE , E CHE LE 'DOSI'SERVONO SOPRATUTTO AI DILETTANTI E AI PRINCIPIANTI. Non deve essere un caso se i pochi manuali in cui tali indicazioni compaiono sembrano appartenere - così almeno in Italia - alla sezione borghese di questa letteratura. "La fame e l'abbondanza" Massimo Montanari Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • NON C'E' AUTUNNO SENZA ZUCCA, non c'è zucca senza semi. 🎃

    Saggia la natura che a fine estate ci offre un prodotto come la zucca, di lunga durata, che ci terrà compagnia nelle buie giornate invernali con il suo colore acceso, che ci permetterà di confezionare con essa zuppe, tortelli, creme, minestre, marmellate, dolci, torte e quant'altro... Tante sono le sue qualità che i più non si soffermano a indagare anche quelle dei suoi semi, sempre numerosi all'interno e al più ci si limita a seccarli e a salarli. Hanno proprietà incredibili,ricchi di vitamine, persino del gruppo B, di grande aiuto per il cuore, la prostata, ricchi di selenio, zinco, magnesio, omega 3, Invece sbucciati e seccati sono un ingrediente prezioso per insalate, per aggiungere al pane fatto in casa e anche per essere gustati così. Ne devo preparare parecchi perchè vanno a ruba letteralmente. Per togliere i filamenti basta sciacquarli sotto l'acqua corrente, e dopo una breve asciugatura, cerco di romperli un poco con l'aiuto di un mattarello, senza schiacciarli troppo A questo punto, li butto in acqua bollente per pochi minuti, circa 5, così saranno più facili da sbucciare Con l'aiuto di un coltellino e con pazienza li pulisco ad uno a uno. Il segreto sta nell'imparare a schiacciarli al punto giusto. Così puliti li metto a seccare e CERCO di conservarli; sono così buoni che raramente ci riesco. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • La PUTA, polenta con i cavoli neri

    Dopo un'estate lunghissima aspettare con ansia i primi freddi, questa non mi era mai successa! Qui a 800 mt. sul livello del mare è sempre un po' più freddo e un po' prima, ma questa volta ho dovuto decidere velocemente proprio appena la temperatura è cambiata a causa delle visite frequenti, direi giornaliere, del capriolo nel mio orto. Ora che non gli è rimasto altro ha deciso che anche i cavoli vanno bene...😡 La varietà di cavoli più indicata per la Puta sono i cavoli neri lunghi ovviamente liguri. Ho portato a casa quel poco rimasto, ho lavato e tagliato a pezzetti. Nel frattempo avevo messo sul fuoco a legna il vecchio paiolo di famiglia. Andrebbe di rame (e in effetti in casa c'è...), ma quello più usato è sempre stato questo di alluminio e non mi decido a cambiare. Misuro l'acqua per poter avere una proporzione di 400 gr. di farina per ogni litro e mezzo di acqua, ma in questo caso metto più abbondante l'acqua perchè deve bollire con i cavoli per almeno un quarto d'ora e si consuma un poco. Quando bolle metto i cavoli tagliati a tocchetti piccoli. Dopo circa 15 minuti aggiungo la farina di mais, fino a quando non ottengo la consistenza desiderata. Mi hanno sempre detto che la polenta non rassoda più di quello che è, cioè pur restando sul fuoco per almeno 45 minuti non diventa più dura; quindi date alla polenta la consistenza che volete più o meno fin dall'inizio. In questo caso la polenta è chiamata Puta proprio perchè rimane morbida, diciamo "a cucchiaio". Anche nella scelta della farina non devo faticare; anche se i cinghiali non mi hanno lasciato nemmeno un chicco del mio granoturco, nel mio paesello di pochissimi abitanti resiste un mulino con le macine in pietra che produce farine di grano, mais e castagna derivate da coltivazioni locali, che un giorno vi mostrerò e dove, se volete, potete portare il vostro grano o altro a macinare o semplicemente a comperare la farina. La tecnica per girare la polenta, quella che ho imparato io perlomeno, è difficile da mostrare con una fotografia; cercherò quindi di spiegarvela. Inizialmente lascio il mestolo nel centro del paiolo girandolo, mentre getto la farina a spaglio. Successivamente giro il mestolo su se stesso e contemporaneamente intorno alla pentola, esattamente come il movimento della planetaria qui sotto: questo per almeno 45 minuti. Non meno perché la farina di mais risulti digeribile. Quando comincia a staccarsi dalle pareti del paiolo è quasi pronta [a dir la verità c'è un detto popolare che suggerisce quando la polenta è cotta, specialmente per chi la cuoce e la mescola per 45 minuti davanti a un fuoco vivo, ma non posso davvero renderlo publico, scrivetemi e ve lo dico in privato 😂]. A cottura ultimata la verso nel piatto e la condisco con buon olio ligure e una spolverata di parmigiano. E buon appetito 😋. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • IL CASTAGNO Albero Sovrano 👑: non si butta via niente, tantomeno le foglie.

    Terra difficile quella degli Appennini Liguri, a fasce strette, piccole, terrazzate, dove non si butta via niente di quello che riesce a crescerci e, dove fino ad una certa altitudine, regna sovrano il Castagno. Contrariamente a quello che si crede, il castagno è stato trapiantato, a formare veri e propri frutteti che hanno sfamato e scaldato queste popolazioni generando per loro un vero indotto commerciale, prima non c'era nemmeno quello, . Infatti del castagno si usa tutto. La legna per scaldarsi, anche se non è tra le più pregiate, il frutto per alimentarsi, la corteccia e il resto nell'industria del tannino, usato nelle concerie, il legno ancora per pavimentazioni o mobili, il bosco stesso di castagno perché lì nascono ottimi funghi porcini... Ma questo post è dedicato alle foglie, ebbene sì si usano anche quelle. Tralasciando l'uso nelle stalle (alla pulizia del bosco le foglie venivano raccolte e tenute in capanne per essere portate alla bisogna nelle stalle per strame alle mucche), venivano altresì raccolte per essere usate in cucina; sì proprio in cucina! ma come? Come teglia!... tutto ciò che era cotto sul fuoco di pietra, sotto la campana di ghisa che fungeva da forno, veniva sistemato su uno strato di foglie di castagno che proteggeva e permetteva una cottura idonea della pietanza esattamente come una teglia, regalando anche profumo e un po' di gusto. Ovviamente a fine cottura si toglievano le foglie bruciacchiate che non venivano mangiate (anche se ne veniva un pezzetto in bocca era lo stesso...); alle foglie viene attribuita una blanda attività sedativa della tosse. Torniamo alle foglie: raccolte tutto l'anno verdi per essere usate subito, raccolte per tradizione dopo San Lorenzo (10 Agosto) per essere seccate e usate tutto l'inverno. Con la luna vecchia (luna calante), quindi di agosto e settembre, raccolte per essere conservate, vengono riunite in "fascetti" e unite in una collana per esser messe a seccare ed usate durante l'inverno e la primavera quando le foglie non ci sono. Quando non se ne trova di fresche si prende un mazzetto o due, a seconda della necessità, e si mettono a bagno in acqua tiepida per il tempo necessario perché si ammorbidiscano e possano essere usate come fresche sia sotto torte e pane cotti nel testo sia come indispensabili nei testetti di terracotta per i Castagnacci (qui>>>) Niente impedisce che vengano usate anche nel forno di casa sistemate nella teglia, per dare un tocco di rustico e di antico, come carta forno della nonna 😜 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • BACIOCCA, prego! non torta di patate 😋

    Credo la ricetta della Baciocca come la più controversa nella storia di tutte le ricette di cucina. Spesso una ricetta varia di zona in zona, mantenendo più o meno gli stessi ingredienti e spesso più di un paese se ne appropria la paternità. Nel caso della baciocca la diatriba fra ricette e paesi sfiora la faida familiare. Di casa in casa si sente "la vera ricetta è questa!": le uova si, le uova no... la sfoglia sotto, la sfoglia sopra, la sfoglia no, l'aglio, la cipolla tanta ...poca... quale sarà la verità? Anche le origini sono fantasiose: chi asserisce che le ragazze di paese più belle e brave nel comporla, fossero chiamate "baciocche", chi dice che la sfoglia messa sotto sia di un impasto "matto" di farina e acqua e quindi "baciocco".... Il suo "areale" si sposta dal Levante ligure, all'Alta Val di Vara, ai confini con la Lunigiana a Prato SopraLaCroce, fino a spingersi nella Val Taro dove se ne fa un vero culto. Resta il fatto che le diverse versioni sono appunto diverse, fino a diventare una cosa completamente estranea una all'altra, fermo restando l'ingrediente principale: le Patate. LA STORIA Ho studiato a fondo le varianti e mi sono fatta una mia idea storica. In Italia è sempre o perchè c'è passato Napoleone o perchè c'è passato Garibaldi, in questa storia tra la fine del '700 e l'inizio dell'800, tale sorella di Bonaparte, Elisa, detta la Baciocca dal cognome del marito Felice Baciocchi, regnò sul piccolo ducato di Massa e Carrara, Lucca e Piombino. Su di lei se ne narrano di cotte e di crude, amica di Nicolò Paganini (originario di Carro, Alta Val di Vara, ai confini con Massa Carrara) e molto...diciamo... "apprezzata e desiderata". Le premesse ci sono tutte perché qualcuno decida di usare il soprannome "baciocca" per le ragazze appetibili e scarse di contenuto e trasferire l'appellativo a una pietanza comunque buonissima con il poco che c'è dentro. Per quanto mi riguarda la vera ricetta resta quella che ho imparato qui in Alta Val di Vara e che si differenzia poco da quella di Santa Maria del Taro dove da qui è trasmigrata, proprio perché è anche quella più particolare, più scarna, ma più saporita tra le tante. Non ci sono le uova, e me ne sono fatta una ragione, visto che la scorta di patate coincideva con la muta delle galline, periodo nel quale fanno meno uova. Mi sembra logica la sostituzione di queste con le due farine di grano integrale e di granoturco per il colore, il sapore e per permetterne l'amalgama. Non veniva usata altra farina per la sfoglia sotto, ma veniva posata sulle foglie di castagno che fungevano da teglia e cotta sotto il testo come il pane. Quando la cuocio nel forno di casa a volte metto la sfoglia, ma solo per poterla porzionare e servire in maniera più precisa e funzionale. Insegnatami più di cinquant'anni fa da un'anziana del paese, che non voleva saperne di altri ingredienti il cui risultato finale era da lei definito con disprezzo genericamente "torte di patate". Mi sento a pieno titolo di erigere la mia ricetta come la più passabile di autenticità. Dunque veniamo al dunque. LA RICETTA Trito il lardo, un segreto antico è quello di scaldare la lama con il quale si trita, coltello o mezzaluna di ferro, la mia è quella di nonna non la cambierei con niente altro. Con pochi veloci movimenti ecco il lardo, circa 200gr, ridotto in pasta. Trito anche la cipolla, una piccola e la metto ad appassire in una padella a fuoco moderato. Trito finemente anche aglio prezzemolo e un nonulla di rosmarino In una terrina taglio le patate, circa 1kg e mezzo, a fette non sottilissime. Patate, quali? La tradizione del levante ligure dice Quarantina, a me piace tanto la Monalisa, certamente non una patata farinosa che tenda a sfaldarsi. aggiungo il trito di erbe e quello di cipolla appassita con il lardo, due pugni di farina di granturco e una di grano, integrale mi raccomando, e una bella manciata di parmigiano Mescolo ben bene con le mani, è l'unico sistema per amalgamare tutto, nel caso mi aiuto con uno o due cucchiai di panna o latte. Nel frattempo, avevo ammollato le foglie secche di castagno in acqua tiepida (vedi il post Sua Maestà il Castagno: non si butta via niente, tantomeno le foglie). La cottura ottimale è sempre quella sotto al testo (vedi il post PANE..profumo di pane) ma non avendolo a disposizione mi accontento di mettere le foglie nel tegame. Se non ho le foglie di castagno, impasto la pasta matta, anche con un comune robot da cucina. Farina, acqua e sale con un po' d'olio, quanto basta per avere un impasto morbido. Tiro una sfoglia sottile a coprire la teglia e sopra posiziono le patate schiacciando per bene in uno strato più o meno di 2 o 3 cm La Baciocca deve trasudare grasso, quindi ancora un bel giro d'olio sopra e inforno a 200° C per 40 minuti Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. 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  • DELLA CICORIA E DELLA CIOFÈCA, il ☕️ di una volta

    Non c'è cicoria che guardi in su che non abbia le sue virtù Con il nome di Cicoria vengono individuate molte piante, spesso il Tarassaco (qui >>>), quasi uguale nella foglia e, in definitiva, molte insalate visto che la cicoria comune è la madre di quasi tutte quelle che mangiamo, ma solo quella con il delizioso fiore azzurro è Cichorium intybus L., 1753 fiore di cicoria E' una delle piante più antiche conosciute e mangiate dall'uomo, tracce del suo uso si riscontrano nelle grotte preistoriche. E' facilmente individuabile in estate con i suoi fiorellini azzurri dalla forma simile a una margherita, in primavera le sue foglie tenere possono essere consumate in insalate o bollite sole o nel misto di verdure e per certe ricette può essere ripassata in padella con aglio e olio. Ha proprietà digestive leggermente lassative, disintossicanti, depurative, per fegato e reni. Queste qualità si concentrano a fine estate nella radice, che fin dal 1600 viene utilizzata per una bevanda che sostituisce il caffè senza averne gli effetti eccitanti, anzi ha solo effetti benefici sull'organismo, dati dall'acido caffeico contenuto. Il nome di questo decotto spesso viene associato alla parola ciofèca, che in parole povere vuol dire "bevanda dal sapore cattivo", tanto per capirci... e per comprendere perché abbandonata per preferirle il caffè, tralasciando completamente i risultati positivi che aveva sulla salute. Per provare a fare questo succedaneo del caffè, come una volta, è ora il momento di raccoglierla, in autunno, dove mesi fa abbiamo visto i suoi fiori, cercando le piante più grosse e evitare le piante più piccole per goderne la primavera prossima. Tolgo le foglie al colletto, pulisco e lavo e le preparo per bollirle Lavo accuratamente le radici con una spazzolina o una paglietta e taglio a rondelle per accelerare il processo di essiccazione. In questo mi aiuta come sempre la stufa a legna, ma se ho premura e una quantità limitata, mi aiuto con qualche passaggio in microonde 5 minuti alla volta alla massima potenza. Tra una volta e l'altra tiro fuori e mescolo. A questo punto tosto in padella (ancora possiedo quella apposta per la tostatura), ma si può fare in una normale senza il coperchio, mescolando continuamente con un cucchiaio di legno. Mi regolo dal profumo che sprigiona che assomiglia vagamente a quello del caffè, facendo attenzione che non bruci. Ora posso macinarlo e metterne a bollire un bel cucchiaio in una tazza d'acqua per due o tre minuti, filtrare e bere. Se ho a disposizione dell'orzo o della segale crudi, tosto anche quelli e faccio una miscela in proporzioni come più mi piace e, nella versione di lusso, aggiungo qualche cucchiaino di caffè. Si può fare anche nella classica moka, l'importante è riempire il filtro a metà. Ci conosce la cicoria leva la palandrana al farmacista Può sembrare una cosa lunga, ma stamattina ho raccolto, essiccato e macinato. Ho pulito e bollito la verdura e questo a mezzogiorno è il risultato. Buon appetito e buona bevuta ☺️. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • IL DADO E' TRATTO... dalle verdure dell'orto

    Con tutta la verdura dell'orto sarebbe stato impensabile per me non provare a conservarla in tutte le maniere e, dopo zuppe, minestre, passati, polpettoni e torte pronti in freezer, sottoli e sottaceti, resta da conservarle con il metodo più antico: il sale. A fine estate raccolgo le ultime verdure: carote, sedano, cipolla, aglio, porro, bietoline, zucca, qualche pomodorino, non devono mancare ma in definitiva metto tutto quello che trovo, anche una patata se non ho altro, ma non melanzane o cavoli. Aggiungo rosmarino, alloro, salvia, erba cipollina, maggiorana o quello che mi piace al momento. Nella versione ricca metto anche qualche pezzo di fungo secco, che in Liguria viene spesso usato come insaporitore. Lavati e tagliati a pezzi li metto in un comune robot da cucina e verso la fine aggiungo il sale fino, nella proporzione di almeno un terzo del peso delle verdure. Frullo ancora fino a ottenere una purea minuta, la stendo in uno strato sottilissimo su carta forno in una teglia e passo in forno a fuoco dolcissimo sui 150 gradi e lascio finché non è ben asciutto. Come sempre uso la stufa a legna con lo sportello aperto e lo lascio nel forno anche tutta la notte. Per la presenza importante di sale evito di appoggiare direttamente il composto sulla teglia di alluminio. Una volta sufficientemente secco, lo spezzetto, lo passo di nuovo al robot e, quando è diventato una polvere granulare, lo faccio asciugare ancora un po'. Se ho premura, dopo un' oretta di asciugatura in forno, lo metto nel microonde a 800 watt, ma sto attenta e procedo cinque minuti per volta per non bruciare tutto; per chi possiede l'essiccatore è tutto più facile. La polvere si conserva per un anno, in barattoli di vetro, fuori da frigo e congelatore. Ricordare al momento dell'uso di regolare il sale nella pietanza. Con due cucchiai si ottiene un mezzo litro di buon brodo vegetale. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze appassionanti. E se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

  • TASHA TUDOR - la mia Donna della settimana

    «Al giorno d’oggi, le persone sono così trafelate. Se prendessero un po’ di camomilla e trascorressero più tempo dondolandosi seduti sotto il portico e ascoltando nelle serate il canto del tordo eremita che scorre fluido, potrebbero godersi di più la vita». (Tasha Tudor) Ho chiamato il mio sito Erbando per via dell'ultima esperienza che sto vivendo, legata alle erbe commestibili selvatiche spontanee, ma tutto questo parte da lontano, dalla mia passione per i lavori femminili di qualsiasi genere, quelli che facevano parte della quotidianità delle donne di una volta, sicuramente più faticosi e di come queste fatiche siano state alleviate dalla tecnologia, e dalle storie delle donne che hanno cercato di cambiare la loro vita impegnativa. Legata profondamente da un concetto di vita semplice, che non vede il superfluo come una necessità, ho scelto di vivere in campagna, una campagna molto solitaria oramai e, per questo, ho ricevuto se non critiche, diciamo così, opinioni contrarie alla mia scelta. Questo per dire che non ho incontrato molte persone come me, se non qualche anno fa quando sono capitata sulla storia della vita di Tasha Tudor e mi sono sentita meno sola. Così mi sembra giusto cominciare le mie storie parlando di donne con lei che, della vita in campagna senza tecnologia, ha fatto quasi una professione. Nasce a Boston nell'agosto del 1915, suo padre architetto navale le da il nome di Natasha come la protagonista di Guerra e Pace, lei sceglierà il cognome della madre, famosa ritrattista. Famiglia e antenati facoltosi, fin da piccola, spaventata dal ritmo frenetico preso dal progresso, sa di volere una vita semplice in campagna e si appresta giovanissima ad imparare tutto ciò che è necessario alla vita di tutti i giorni; ad esempio impara a cucire la sua camicetta di lino, ma non le basta. Vuol cominciare dall'inizio, coltiva il suo lino e lo fila personalmente, per poi tesserlo prima di cucire. Da appena adolescente suo nonno le regala una mucca, poi oche e galline e si dedica a studiare modi di conservazione dei cibi. Poco prima dei vent'anni scopre la sua vena artistica, ereditata dalla madre, e disegna un volumetto sulla vita agricola nella Nuova Inghilterra. Diventa famosa e la vendita dei suoi disegni per cartoline e biglietti d'auguri (chi non ha mai visto il disegno accanto o uno simile?) le permette, al suo matrimonio, di comprare un cottage nel New Hampshire; lì alleverà i suoi 4 figli, disegnando anche libri per bambini, coltivando giardino e orto, cucinando sulla stufa a legna, cucendo i suoi lunghi vestiti, circondata dai suoi animali per i quali organizza deliziosi afternoon tea party nel giorno del loro compleanno. Nella sua casa non c'è acqua né calda né fredda, niente corrente elettrica e meno che meno elettrodomestici. Gira comunque l'America tenendo conferenze e convegni, senza essere mai tentata ad un ritorno alla vita moderna. Divorzia nel 1961, ha un breve secondo matrimonio, si trasferisce nel Vermont in un secondo cottage, costruito manualmente da suo figlio Seth nel 1970 e continua a curare il giardino, fiori, erbe e orto, dedicandosi alla cucina, al disegno, ai racconti. Intreccia cesti, realizza bambole, case di bambole e meravigliose coperte in pachtwork. Oggi è possibile visitare la sua casa, prendere il tè tra i suoi fiori e aspettarsi quasi da un momento all'altra di vederla sulla sedia a dondolo costruita da lei. Muore nel 2008, a 93 anni dopo essere diventata un'icona, per chi, specie negli anni '80, rifiuta lo stile di vita moderno, con il progresso che allontana ogni giorno di più dalla serenità, dal piacere di fare quello che più interessa. Alla sua morte solo il suo cottage viene valutato 2 milioni di dollari, più tutte le sue opere e la sua collezione di abiti antichi. Muore il 18 giugno, giorno del mio compleanno...fosse che non fosse che abbiamo qualcosa in comune. Condividi il post! e poi torna, troverai storie appassionanti. E se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> clicca qui sotto e vai al libro >>

  • BACCHE DI ROSA CANINA? conserviamole! 🧐

    “Nu gh’è bèlla rösu(r)a ch’ā longa a nu se müe in grattacü...” Uno dei frutti più belli e utili da raccogliere tra autunno e inverno sono senz'altro le bacche di rosa canina, a disposizione di tutti in grande quantità e gratuitamente. Il loro nome botanico non è bacca ma cinorrodo. Principalmente ricchi di vitamina C, un etto ne contiene quanto un chilo di arance; stimolano il sistema immunitario, hanno proprietà diuretiche, aiutano a eliminare gli acidi urici e combattono i dolori reumatici e le rigidità articolari. Cure sperimentali a proposito sono in corso presso l' Ospedale Rizzoli di Bologna. rosa canina, la rosa selvatica di monti L'invadenza della Rosa Canina, qui sui nostri monti chiamata con disprezzo insieme alla Mora Selvatica, "razza", occupa sentieri, copre ruderi, trasforma il paesaggio e prolifera che "nemmeno il fuoco la ferma", ci ha fatto dimenticare i grandi pregi dei suoi cinorrodi, i falsi frutti che a fine estate formano gradevoli macchie di colore rosso. Come non farne scorta? Comincio a ottobre appena son rosse, ho fretta di procurarmele. Stando attenta a non pungermi, le sue spine che assomigliano ai denti di cane - e da qui il nome di Rosa Canina - sono tremende. Le prime bacche raccolte le uso per farle seccare e, siccome il lavoro che segue è un pochino noioso, quando sono ancora abbastanza dure è appena un po' più facile. Le lavo, taglio a raso del picciolo e del fondo, le apro a metà e con un coltellino appuntito, tolgo per bene i semini interni e i peletti che sono irritanti per l'intestino. Caratteristica che dà a queste bacche il nome volgare di grattacù 😀. Le rilavo, le metto ad asciugare e a seccare lentamente. Ho la stufa a legna dove sopra, in alto, ho una griglia, altrimenti si può usare l'essiccatore a bassa temperatura. - come pulisco le bacche di rosa - Siccome la vitamina C è termolabile è opportuno non superare i 40 gradi. Per questo motivo una volta secche NON faccio tisane o decotti ma le lascio qualche ora o tutta la notte a bagno in acqua fredda e poi bevo e mangio le bacche ammorbidite. In alternativa polverizzo e uso la polvere a cucchiaini nello yougurt, per esempio. Per chi vive in campagna e ne possiede piante vicino a casa, niente di meglio che raccoglierle fresche, pulirle e aggiungerne 5 o 6 per volta ai frullati, ai succhi ottenuti con l'estrattore, alle macedonie, e perchè no alle insalate, dato il sapore acidulo. Una delle maschere di bellezza più efficaci per rendere la pelle luminosa, tonica e levigata, è ottenuta con i cinorrodi freschi, sempre ripuliti per bene dei semi e dei peletti che sono irritanti anche per contatto, frullati insieme allo yogurt, da fare assolutamente proprio in questo periodo. Un metodo per avere una pseudo marmellata non cotta che conserva più vitamina è quello di tritare le bacche pulite e mescolarle a miele. A chi non piace il miele, a chi vuole una gelatina particolare, che però avrà perso con la cottura gran parte delle proprietà non resta che aspettare le prime gelate invernali quando il rosso frutto è ammorbidito. Sono passati quasi due mesi ed ecco arrivata la prima mattina di brina. E' l'ora di uscire a cercare le bacche morbide ...😊 Nel frattempo saranno diventate più molli e gli uccelli ne avranno fatto man bassa a tutto becco. Uso un rastrellino e le faccio cadere su un telo. A casa, lavo, lascio velocemente asciugare, tolgo la parte nera in fondo e metto a cuocere in una pentola con la metà del peso delle bacche di acqua. quando sono disfatte, le spremo ben bene in un telo pulito bianco con il mio torchietto. A questo punto, quando ho spremuto il più possibile, aggiungo il succo di quattro mele selvatiche passate con buccia e torsolo nell'estrattore, peso il liquido ottenuto e aggiungo lo zucchero in proporzione di 800gr a kg di passata. Quando non avevo il torchietto, appendevo il sacchetto con le bacche cotte e lasciavo che il liquido scendesse per tutta la notte raccogliendolo in una ciotola e premendo per raccogliere il più possibile l'indomani mattina. Senza l'estrattore metto a bollire le mele, sempre con buccia e torsolo insieme alle bacche, rimetto sul fuoco e faccio sobbollire fino a che non ottengo la consistenza di una gelatina. Un altro uso che ho letto ma non provato, (in casa mia i liquori non sono molto usati) è la grappa alle bacche: una manciata di bacche intere in un litro di grappa con un cucchiaio o due di zucchero, pare sia buonissimo. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti. Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>> Tutti gli usi alimurgici o farmaceutici indicati sono a mero scopo informativo, frutto di esperienza personale, declino ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.

  • PANE...profumo di pane...😋

    Il fuoco in terra fra quattro pietre è certamente il più antico metodo di cottura; è arrivato quasi ai tempi nostri, qui nelle campagne dell’Appennino, grazie al modello di cucina con il fuoco a terra al centro della stanza. Questa era una costruzione a parte, con delle aperture in alto che costituivano il tiraggio quasi come un enorme camino, dove all'interno sopra il fuoco su di un soffitto a mo' di grigliato si permetteva alle castagne ed al granoturco di seccare; questi ultimi hanno rappresentato fino a poche decine di anni fa il principale sostentamento della gente di queste campagne. Al soffitto veniva attaccata una catena che reggeva un paiolo per cucinare alla bisogna o anche il forno a campana (chiamato qui da noi "u testo"); originariamente di terracotta e più recentemente di ghisa, quando caldo al punto giusto e spazzate le ceneri, si metteva il pane o qualsiasi pietanza si dovesse cuocere, come in un forno. LA RICETTA La ricetta del pane è semplice, la quantità di farina elevata perché si faceva una volta la settimana, ma anche in proporzione con il diametro della campana, sotto la quale sarebbe stato più difficile cuocere un pane di dimensioni inferiori. Facili e banali gli ingredienti : 2 kg di farina, possibilmente integrale, impastata con 50 gr. di lievito di birra sciolto in acqua tiepida. La quantità di acqua varia tantissimo secondo il tipo di farina, ma anche in base all’umidità della giornata. Una volta si usava "u levau", la pasta madre che tutti conservavano tra un impasto e l'altro, e per fortuna oggi si riscoprono le qualità di questo antico lievito. E’ preferibile non mettere subito il sale ma iniziare ad impastare un pochino prima di aggiungerlo. Con questo metodo è necessario possedere "la livea”, un grande tagliere di legno leggero, rotondo e con il manico. dove, disposte ordinatamente le foglie di castagno che assolvono alla stessa funzione di una "teglia", viene posata la pagnotta a lievitare. Per mantenere la forma di questa occorre un anello di legno, “la sgarbia” dentro alla quale viene infilata, con l’accortezza di tirare su le foglie quasi a coprirla. Lasciata a lievitare fino a che non sembra raddoppiata, si prepara il fuoco, qui sta la vera maestria nel sapere a tempo dovuto accendere il fuoco perché la campana si riscaldi a dovere. Questa è una cosa che si impara solo con la pratica. Basta un fascio di stecchi ben secchi e in genere la campana di ghisa si comporta come la volta di un forno classico da pizzeria; prima con il calore diventa rossa e poi bianca e a questo punto si spazzano le ceneri e con un movimento secco e preciso, si fa scivolare dalla livea il pane lievitato nel centro del focolare si toglie la sgarbia e si copre con il testo caldo e si ricopre questo con le braci calde. Aspettata circa un’oretta, quando si sente sprigionare un profumo intenso di pane si spazzano le ceneri, si tira fuori la pagnotta cotta, si ripulisce bene dalle foglie ormai bruciate. La vista e il profumo di un pane appena cotto, ha un fascino romantico che trascende qualsiasi altra riuscita culinaria. (Elisabeth Luard) Nella mia felice permanenza nel Tarantino ho scoperto che in Puglia, è ancora in uso una versione simile, data la presenza in quasi tutte le case di un camino. E’ un tipo molto più leggero, di lamiera, di costo contenuto e di facile acquisto nei mercati settimanali del Salento e qui chiamato “u tempagnu”. Più veloce da utilizzare perché non serve scaldarlo prima ma basta ricoprirlo di braci ardenti e si scalda subito; anche per questo serve la pratica e non la grammatica… ma appena si sprigiona un intenso profumo... A questo link i consigli per la raccolta delle foglie di castagno da usare tutto l'inverno https://www.lellacanepa.com/single-post/2017/12/03/sua-maest%C3%A0-il-castagno-non-si-butta-via-niente-tantomeno-le-foglie Qui un'altra ricetta sotto il testo https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/01/21/torta-di-riso-finita-e-allora-rifacciamola Un'altra ricetta con le foglie https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/01/09/castagnaccio-dolce-o-salato Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze appassionanti. Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>

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